The Basement Tapes (1974)
Great White Wonder (1968).
(Il disco precedente: The "Royal Albert Hall" Concert.
Il disco successivo: John Wesley Harding).
Cari dylaniti, ci siamo.
Mi aspettavate al varco, vero?
Per mesi mi sono preso gioco delle vostre ossessioni: munito di poco più che Wikipedia e Spotify ho attraversato con impeto sbarazzino le vostre regioni più sacre: lungo le tappe del mio piccolo viaggio organizzato ho profanato il Dylan acustico, ho liquidato in un mese quello elettrico, non c'era un capolavoro che non si potesse visitare in settimana. E vi immagino, sornioni, mentre mi lasciate passare e sotto le barbe ghignate, va' pure, va' pure, povero illuso, impiccati alla tua lunghissima corda. Credi di aver capito Dylan perché sei sopravvissuto al 1965, al 1967? Va' pure avanti, vediamo come te la cavi col Grande Deserto del 1967. Ed eccoci qui.
Ai Basement Tapes.
Dove nessun non-dylanita è mai giunto vivo.
O almeno, nessuno è sopravvissuto per raccontarlo.
Ce la posso fare?
No, vero?
Beh, intanto bisogna spiegare all'amabile comitiva che mi ha seguito fin qui cosa sono i Basement Tapes, (Ahahah, non ce la farai mai. Ma perché non hai scelto i Pink Floyd? Se a dicembre partivi coi Pink Floyd, a quest'ora avevi già finito. T'avanzava anche un po' di posto per i progetti solisti). Zitti voi.
Diconsi Basement Tapes i nastri che Dylan convalescente registrò con la sua band (in seguito nota come Band, con la B maiuscola) in un paio di seminterrati dalle parti di Woodstock; registrazioni rudimentali che non avrebbero dovuto essere pubblicate, ma costituire materiale d'archivio per la neonata casa di edizioni musicali (la Dwarf Music) che Dylan era convinto di possedere al 100%, ignorando di aver firmato la cessione del 50% al suo manager, Grossman. Incisioni che venivano stampate su effimeri 45 gradi di acetato e inviate per posta ad altri artisti, dalle quali effettivamente nacquero alcuni singoli di successo: addirittura un pezzo in cima alla top10 inglese (The Mighty Quinn, nella versione dei Manfred Mann). In sostanza, durante il suo ritiro a Woodstock, Dylan riscopre quell'attività collaterale di compositore-esecutore che lo aveva portato negli anni precedenti a incidere acetati per case editrici musicali, prima la Leeds Music e poi per la Witmark: la differenza è che anche questo tipo di registrazioni semi-private, ora, voleva farle con una band. Era anche un modo per tenersi impegnato i pomeriggi, e per tenere impegnata la Band, che era rimasta sotto contratto anche dopo che Dylan aveva sospeso il tour. Queste registrazioni sono convenzionalmente note come Basement Tapes, e ne dovrei parlare oggi.
Senonché (ahahah, qui ti aspettavamo) stavolta i compiti non li ho fatti. I Basement Tapes non li ho ascoltati. Non tutti.
Perché voi sì?
Eh, appunto.
I Basement Tapes hanno una storia, per usare un eufemismo, complessa. In principio fu forse una raccolta di almeno 14 pezzi che circolava nell'ambiente musicale già nell'autunno 1967: lo scopo promozionale delle registrazioni impediva che potessero rimanere private a lungo. Dylan le incideva con la Band per farle sentire agli artisti, ma non poteva impedire che gli artisti le facessero ascoltare agli amici e agli amici degli amici, tutti in crisi d'astinenza perché il loro beniamino non faceva uscire un disco nuovo, rendetevi conto, ormai da quindici mesi. Riuscite immaginare 15 mesi senza un nuovo disco di Dylan? L'inferno sulla terra, dai - non importa che fosse l'anno più cruciale della storia del rock, il 1967: a esordire in quell'anno, tra gli altri, Jimi Hendrix, i Doors, i Pink Floyd, i Velvet Underground: se però non eri il tizio che segue le novità, in circolazione c'erano comunque Beatles, Stones, Who, Kinks, Small Faces, e stavano tutti rinnovando completamente il loro repertorio, sperimentando cose nuove e memorabili. Ma Dylan non c'era. Fino a ottobre, silenzio di tomba - nel frattempo era finalmente uscito nelle sale Don't Look Back, un documentario che risaliva ai tempi del Dylan acustico, due anni prima, un'eternità: ma era un mattone importante del monumento che si stava chiudendo intorno a lui. Finalmente in autunno si scopre che il Genio sta registrando qualcosa. È roba strana, ma piace immediatamente a tutti i privilegiati che riescono ad ascoltarla. Passa di mano in mano, come l'erba. E come l'erba non è che debba essere sempre per forza genuina: un pacco capita a tutti e se sei in compagnia fai finta di niente, l'importante è stare assieme, no? "Buona vero?" Buonissima.
"Non c'è bisogno di registrarla, Garth... è solo nastro sprecato" (Hills of Mexico).
Nell'estate del 1968 arriva nei negozi il primo disco della Band. Si rifaceva esplicitamente all'esperienza dei Basement Tapes e si intitolava Music from the Big Pink. La "Grande Rosa" era la casa nel bosco che la Band aveva preso in affitto, in cui era stata registrata la maggior parte dei Tapes. Dylan nel loro disco non compariva, un po' perché i ragazzi volevano dimostrare di reggersi sulle loro gambe, un po' per questioni contrattuali: la Band aveva firmato per la Capitol, lui restava alla Columbia. In compenso aveva dipinto la copertina, una delle prime testimonianze (abbastanza oscene) del suo periodo di apprendista Chagall. Il disco conteneva almeno tre suoi brani importanti: Tears of Rage, I Shall Be Released e This Wheel's On Fire: roba buona, che piacque immediatamente ai critici: ma ancora più che l'album, piaceva a tutti pensare che da qualche parte Dylan stesse registrando privatamente coi suoi amici della grande musica, di cui ci arrivavano per vie irregolari soltanto le briciole. "Rolling Stone" lanciò un appello: il Basement Tape dev'essere pubblicato. Al tempo pensavano ancora che ce ne fosse uno solo. Che teneri.
Di lì a poco sette miseri pezzi arrivarono davvero nei negozi, all'interno di un doppio 33giri in una busta tutta bianca; in seguito qualcuno cominciò a stamparci sopra la scritta Great White Wonder, perché negozianti e clienti ormai avevano iniziato a chiamarlo così: la Grande Meraviglia Bianca. Nessun'altra indicazione, perché si trattava di un disco abusivo, un bootleg, uno dei primi in assoluto. Ne sarebbero seguiti tantissimi. I 33giri riprendevano la struttura bifronte di Bringing It All Back Home e degli ultimi show di Dylan: un lato acustico, uno elettrico. Il due lati acustici venivano da vecchie registrazioni domestiche dei primissimi anni, sparite dalla casa di un amico di BD in seguito a un furto. I due lati elettrici contenevano anche brani dei Basement Tapes. Great White Wonder arrivava in un momento in cui, anche a causa del ritiro dalle scene, l'interesse del pubblico per Dylan sembrava più vivo che mai - l'effetto Battisti, per capirci. Più dei brani in sé, destava stupore la direzione completamente inattesa: era musica che non assomigliava né a Blonde On Blonde - (estate 1966) né a John Wesley Harding (dicembre 1967), né al Dylan un po' più country ma anche 'commerciale' di Nashville Skyline, che le radio AM programmavano con piacere in quell'estate 1969, con quella voce tanto diversa, più calda. Acclamare al capolavoro per due facciate di registrazioni sporche in cantina, magari, era un po' da fanatici, ma serviva anche a dare un messaggio preciso: rivogliamo il vecchio Dylan sporco e arruffato, con la sua voce nasale - anche se a ben vedere non assomigliava così tanto al 'vecchio' Dylan. Ma neanche a quel bel faccino che sorrideva sulla copertina di Nashville.
A questo e ad altri appelli, per molto tempo Dylan non rispose, per una serie di motivi che possiamo con un po' di margine ricostruire: (1) non credeva troppo in quel materiale: lo considerava impubblicabile, per una mera questione di resa del suono, ma anche perché inferiore agli standard delle sue uscite ufficiali. (2) In realtà gli standard si stavano già abbassando, e anche i critici avrebbero smesso di gridare al capolavoro per qualsiasi cazzatina Dylan mettesse su disco, ma a quel punto pubblicare i Tapes del 1966-67 avrebbe significato ammettere che da lì in poi l'ispirazione aveva avuto una flessione, per non dire un crollo. C'è anche da dire che (3) non si trattava di un nastro solo, ma di una massa di scatoloni pieni di bobine che già cominciavano ad ammuffire, e riascoltarli per capire cosa si poteva riutilizzare avrebbe richiesto più tempo che incidere un nuovo disco dal niente (un po' come i Beatles, che piuttosto di riascoltare i nastri del progetto Get Back! si misero a incidere Abbey Road. I nastri li riascoltò Phil Spector, e ci tirò fuori Let It Be). Dylan poi non si stava nemmeno preoccupando troppo della conservazione di quella robaccia, custodita dai membri della Band in vecchi scatoloni. Forse perché (4) era materiale della Dwarf Music, il che significa che Grossman ci avrebbe guadagnato il 50%, e dopo aver scoperto la fregatura Dylan era tutt'altro che ansioso di arricchire un altro po' Grossman. Piuttosto, davvero, preferiva incidere altre cose. Magari nello stesso stile dei Tapes, se davvero alla gente piacevano i Tapes. Ma alla gente piacevano davvero? Come facevano a saperlo? Ne avevano ascoltati molto pochi.
Dopo aver a lungo nicchiato, risolta la causa con Grossman, Dylan acconsentì a pubblicare un po' del materiale nel momento in cui meno ne avrebbe avuto bisogno, ovvero nel 1974, all'indomani del successo di Blood on the Tracks. Galvanizzati dal ritorno alla forma del loro idolo, i dylaniti corsero a comprarlo e... decisero che era un capolavoro, che altro avrebbe potuto essere? Si videro per l'occasione critici musicali inclinati secondo angoli imbarazzanti. Per il NYTimes era "uno dei più importanti dischi della musica popolare americana", figurati gli altri. Per Robert Christgau, che tanto criticherà altri sforzi di Dylan, era il disco dell'anno 1974 (addirittura), ma avrebbe potuto anche essere il disco dell'anno 1967: avete presente che razza di dischi erano usciti nel 1967? Sgt. Pepper, Are You Experienced, Velvet Underground and Nico, The Doors, Forever Changes... Christgau in quel momento preferiva una raccolta di scarti incisi in cantina da Dylan.
Questa supervalutazione, alla lunga, non avrebbe giovato alla carriera di BD - che senso aveva preoccuparsi di scrivere materiale nuovo e di arrangiarlo in modo originale, se critici e pubblico si accontentavano di roba amatoriale registrata in un seminterrato? Ma non era del tutto colpa loro. Erano giovani, ricordiamocelo, tutti giovani: la critica rock era persino più giovane del rock, le mancavano un sacco di errori da cui imparare. Aveva desiderato i Tapes per così tanto tempo che ormai non riusciva ad ascoltarli, era così felice anche solo di averli in mano. Era euforica, come il bambino mentre scarta il regalo. Solo dopo ripetuti ascolti qualcuno osò ammettere che, insomma, qualcosa non tornava. Belli i pezzi, per carità. Ma non aggiungevano molto a quello che si era già sentito nella Meraviglia Bianca, e inoltre... dov'era The Mighty Quinn? Dov'era I Shall Be Released? Dov'era Bob Dylan? In otto pezzi su ventiquattro non compariva nemmeno. In effetti chi aveva curato l'edizione del 1974 dei Tapes aveva evidentemente potuto lavorare su pochi nastri: gli unici in condizioni decenti, o magari l'unico scatolone che era già saltato fuori. Per allungare un brodo che i dylaniti conoscevano già, Robertson - il chitarrista della Band, responsabile dell'edizione del 1974 - aveva aggiunto qualche brano dalle session di Music from the Big Pink. Ma in generale tutti i brani erano stati rieditati, ripuliti, corretti: in particolare erano state aggiunte quelle armonie vocali che erano diventate col tempo uno dei marchi di fabbrica della Band, e che le registrazioni rudimentali della Grande Rosa avrebbero documentato in una fase ancora molto embrionale (in tutto il tour del 1965, l'unico a cantare qualcosa era Danko, che armonizzava con Dylan la parola "Behind" in One Too Many Morning. Nella Ain't More Cane del 1974 sembrano un affiatatissimo quartetto vocale. In un seminterrato? Con i microfoni presi in prestito a Peter, Paul e Mary? Quando glielo facevano notare, i critici rispondevano che, beh, uhm, effettivamente qualcosa non tornava, però... non è bella Ain't More Cane? E allora qual è il problema?
DYLAN: "Richard, canta una strofa".
MANUEL: "Che canzone è?"
DYLAN: "Non importa, canta una strofa" (Bring It Home).
Per molto tempo i Tapes del 1974 sembrarono essere gli unici che si sarebbero mai ascoltati. Ma i dylaniti non si davano per vinti e lentamente il muro di omertà cominciò a sgretolarsi. Qualche brano inedito venne stampato qua e là. Nel 2007 uno dei pezzi più strani dei Tapes, I'm Not There, uscì nella colonna sonora del film a cui dava il nome, il bizzarro biopic di Dylan di Todd Haynes. E poi nel 2014 uscì l'undicesimo volume della serie ufficiale dei bootleg di Dylan, interamente dedicato ai Basement Tapes, riesumati dagli scatoloni, ripuliti e rimasterizzati. Sono sei cd. Centotrentotto pezzi, di cui centodiciassette inediti. Sono una testimonianza inestimabile di uno dei periodi fondamentali della carriera di Bob Dylan.
E io... non li ho ascoltati (continua sul Post!)