Tua madre è innamorata, si è fatta un altro po' di botox. Tuo papà è ergastolano, ma ancora sta in tv. Tuo figlio vuol fare il papà, ha messo incinta una matta, chiede due mesi d'affitto più le spese. Al lavoro c'è un dipendente che gioca a incollare la tua faccia su delle animazioni 3d sodomite, ma d'altro canto se lavori nel campo dei videogiochi la tua quota di psicopatici ti tocca. Il tuo amante sta diventando un po' ossessivo, l'ex marito è depresso perché fa lo scrittore francese, che altro? Ah già, c'è un tizio che ogni tanto entra in casa e ti violenta. Quasi dimenticavi. Buon Natale, Michèle, e felice anno Nuovo.
Paul Verhoeven non si è mai dato troppa pena di giustificare quello che faceva. Gli piaceva un certo tipo di violenza che Hollywood, fino a un certo punto, gli ha consentito: oltrepassato quel punto è tornato in Europa, dove le regole sono più ambigue, non necessariamente più tolleranti. Dopo un lungo purgatorio è finito in Francia, ed è incredibile quanto ci si sia ambientato - non avrei mai immaginato che un film tanto verhoeveniano potesse anche essere tanto francese. È un film di ordinaria follia, ma anche di borghesi che vanno al Monoprix a scegliere il borgogna da accompagnare alla lasagna, se trovano il vicino di casa lo invitano - e hanno tutti una cantina insonorizzata dove chissà che cosacce fanno. O potrebbero averla. Non dovresti fidarti di nessuno, ma poi sono tutti così gentili che lo fai lo stesso. Anche se è tratto da "Oh...", un romanzo di Philippe Djian (da cui la quota sindacale di ironia sui romanzieri francesi) Elle non doveva essere così francese, in partenza. La produzione cercava un'attrice americana, ma non si trovava, e bastano pochi minuti di film per capire il perché. Alla fine è entrata Isabelle Huppert, a cui nel film capita qualsiasi cosa, ma forse la violenza peggiore è vederla doppiata. Quando l'anziana madre le chiede: ma se mi risposassi tu cosa faresti?, e lei le risponde: ti uccido, beh, in originale è un j'te tue, così semplice, così naturale, con la stessa intonazione con cui sceglierebbe un dessert o negherebbe un premio di produzione a un dipendente, che ti fa capire che non scherza: per lei l'idea di uccidere la madre è davvero la cosa più naturale al mondo.
Elle deve aver fatto uno strano effetto agli spettatori di Cannes. In mezzo a tanti film sul disagio del neoproletariato europeo, un film di borghesi parigini che si scopano e si uccidono con quel savoir faire che incute sempre un certo rispetto, se non ammirazione. Però non credo, come Francesco Boille, che a Verhoeven interessasse mostrare la degenerazione di una determinata classe sociale. Verhoeven non ce l'ha con la borghesia francese: è che alla prova dei fatti solo la borghesia francese è in grado di esprimere film così. Romanzo, soggetto, ambientazioni, attrice: altrove sarebbe stato impensabile. Invece Boille non ha tutti i torti sul modo in cui l'assenza di moralità di Verhoeven ci consente, per contrasto, di verificare la nostra: come ai tempi di Starship Troopers, più che un film fascista un test sul fascismo: lo prende, lo colora, lo rende più pop e più gender equal, e poi te lo sbatte in faccia: ti piace? Perché anche se ti piace rimane fascismo lo stesso, facci caso.
A Verhoeven interessa la violenza (continua su +eventi!)
Elle si presta a varie interpretazioni, ma si può godere anche come un thriller dove qualsiasi cosa può succedere in qualsiasi momento; può farci arrabbiare o sorridere, e almeno la nostra rabbia e il nostro riso avranno avuto un senso. Ma può anche lasciarci indifferenti: che è poi la posizione della protagonista, e di uno dei personaggi meno in vista, a cui tocca una delle ultime battute del film. Una persona che all'apparenza è l'esatto contrario di Michèle: che ha una moralità, una religione; e che allo stesso tempo non è l'avversaria, anzi forse aveva capito tutto dall'inizio. Elle è al Vittoria di Bra (17:00, 20:00), al Fiamma di Cuneo (15:00, 18:00, 21:00) e all'Aurora di Savigliano (18:30, 21:00).
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