Io poi lo so che il patriarcato è esistito e tuttora resiste, e negarlo, oltre che ipocrita, sarebbe anche di pessimo gusto; e tuttavia a volte mi sembra un bersaglio troppo facile – ma non è neanche questo il problema, non c'è niente di male a indicare bersagli facili – ma se in alcuni casi fosse il bersaglio sbagliato?
La Repubblica. Che poi spaccare i social mi sembra sempre una cosa ottima. |
So anche che molti maschi su questi argomenti non ragionano. Cominciano a veder rosso, a indignarsi a caso, a fabbricarsi competenze linguistiche raccattate sonnecchiando al liceo. I peggiori fanno le battute, e sono sempre le stesse battute da quando ero piccolo. Ero piccolo nel secolo scorso e già "dentisto" non faceva ridere, cogliono, "dentista" è già maschile. Lo so.
Quante cose che so.
Lavoro da tanti anni e ho avuto tanti capi. Alcuni uomini, altri erano donne. Con gli uomini è semplicissimo, si chiamano dirigenti. Se volevo sottoporre qualcosa alla loro cortese attenzione, era sempre la cortese attenzione del dirigente. Facile, naturale, svelto.
Con le donne c'è sempre il piccolo problema. Che per carità, è un'inezia davvero. Ma proprio perché è un'inezia, non si risolve mai, come quel piccolo bottone scucito.
Il dirigente o la dirigente? E fin qui, basta chiedere. (E infatti glielo chiedi, ma siccome è un'inezia dopo un po' ti scordi come ti ha risposto. Ma non osi richiedere, e vivi nell'angoscia. Cioè non è vero, magari fossero questi i motivi per angosciarsi al suo cospetto. Ma c'è sempre questo disagio, questo bottone che non è al suo posto e lo sai, e preghi che non ci facciano caso).
(Dirigenta non fa ridere, cogliono).
Ma senti questa: fino a qualche anno fa, d'estate al/alla dirigente subentrava il presidente della commissione d'esame, che spesso era una donna, e quindi: egregio presidente, egregia presidente, o egregia presidentessa? Lo so che è una sciocchezza, ma insomma, quale usare per non dare una cattiva impressione?
A questo punto lo so cosa mi state per rispondere: basta chiedere. Ma certo, ma infatti, che male c'è. Ho forse paura in quanto maschio di chiedere a una superiore donna (superiora?) come vuole essere chiamata? No, in coscienza no, passo la vita a chiedere cose alle donne che stanno sopra, sotto, intorno, non è un problema chiedere. Ma ecco, il problema è che chiedere alla volta diventa pretendere. Abbiamo questo problema del genere dei sostantivi professionali e vogliamo che siano le donne a decidere. Tante volte mi sono sentito pensare: le donne dovrebbero finalmente mettersi d'accordo. Facciano la loro assemblea generale, la costituente, decidano una volta per tutte se il rettore o la rettore o la rettrice o la rettora. Insomma si mettano d'accordo e decida il matriarcato, almeno su questo specifico argomento.
Ma perché dovrebbero mettersi d'accordo? Perché dovrebbero avere sull'argomento opinioni meno contrastanti di quelle dei maschi? Abbiamo mai preteso dai maschi una simile compattezza? Abbiamo mai chiesto a un pilota se preferiva chiamarsi piloto, come se il fatto di essere bravo a guidare un'automobile gli conferisse una qualche autorità linguistica(*)? No, i maschi si sono trovati la lingua già tagliata a loro misura. Invece appena una donna si fa strada nella sua categoria, pretendiamo che s'improvvisi linguista. Ecco, se c'è ancora qualcosa di davvero patriarcale, in tutta questa faccenda, forse è la nostra pretesa di avere una risposta precisa, da un'entità collettiva femminile che dovrebbe cucinarci e servirci una soluzione bella e pronta, qualsiasi soluzione andrebbe bene. E quindi insomma donne, rispondete: il direttore, la direttore o la direttrice? (direttora non fa ridere), (e comunque il femminile di cantore è davvero cantora).
Le donne però non sempre ne hanno voglia – è un problema? Ti rispondono: faccia lei.
È una risposta tremenda.
"Commissario o commissaria?" "Faccia lei".
Ma cosa devo fare, scusi. Perché mi tocca decidere una cosa così. Su che fondamenta linguistiche o storiche o sociali devo decidere lì per lì se sei un commissario o una commissaria, una figura che poi io spero sempre d'incontrare poche volte all'anno, mentre lei è commissaria/o molto più spesso, non può deciderlo lei? Anzi, non potete decidervi una volta per tutte?
No.
No perché?
Perché non è così che funziona la lingua. Specie in Italia. Non c'è nessun parlamento che legifera, nessuna corte suprema che sentenzia. La lingua è libera, la gente s'immagina da qualche parte un consesso di grammatici occhialuti che borbotta su che misure adottare per respingere petaloso, e invece è tutto il contrario, i grammatici sono naturalisti estrosi in giro per i prati ad acchiappare neologismi effimeri e pittoreschi col retino di farfalle. Ti verrebbe voglia di agguantarne uno per il collo, senta adesso lei mi dice se il mio boss è un dirigente o una dirigente, e se mi denunzia mi devo trovare un avvocato o un'avvocato con l'apostrofo o un'avvocata o un'avvocatessa. Ma niente, quelli alzano le spalle, non spetta a noi, sarà l'uso a prevalere come sempre, e cioè?
Cioè continueremo a litigare su questa cosa per generazioni e generazioni, e a usare questo argomento come pretesto polemico persino quando a Sanremo non c'è un Morgan a dare di matto. E qualcuno continuerà a scrivere "dentisto" 🤣🤣🤣🤣 voglio morire.
E quindi, ricapitolando: il femminile di direttore non può deciderlo una donna tra tante (con che autorità?), e sarebbe ingiusto pretendere che lo decidesse una comunità femminile (forse che abbiamo aspettato che si riunisse una comunità maschile per i nomi maschili)? Si può chiedere ogni volta a ogni singola professionista come vuole essere chiamata, ma è faticoso per noi e anche per lei, anzi è proprio quella piccola fatica che ti fa sospettare che il mondo del lavoro non sia a misura delle donne, come le forbici non sono a misura dei mancini. C'è una soluzione? Continuare a discuterne finché un'opinione prevarrà sulle altre. Sì, ma quale opinione dobbiamo avere noi? Quale opinione devo difendere io?
Non lo so.
Mai detto di sapere tutto, eh.
(*) "Un'automobile" a quanto pare si scrive in italiano con l'apostrofo perché Agnelli non sapeva bene come scriverlo e lo chiese a D'Annunzio, il quale lì per lì decise che siccome il pilota è un uomo, l'automobile aveva da esser femmina; ecco, di tutte le persone al mondo alle quali potevamo concedere di legiferare in materia linguistica, proprio Agnelli e D'Annunzio, certe volte io dico "macchina" dalla rabbia.
Io me la risolvo così: uso la forma che mi sembra più giusta e rispettosa (tendenzialmente declinando sempre al femminile, comunque), sarà poi la destinataria a dirmi eventualmente che preferisce altrimenti. Quindi senza troppe paturnie direi direttrice, rettrice, presidentessa, facendo valere la regola del silenzio-assenso.
RispondiEliminaIo sono stato un recluto e facevo il vedetto nella camerata (o nel camerato?) per evitare al burbo di farci prendere una bella ramanzina collettiva. Del resto un anziano in fanterio (ma anche in marino) serve a fare da guido per i più giovani, come quando ero un matricolo all'università. Che poi non ho mai capito perché deve essere un'alma mater e non un almo pater.
RispondiEliminaTornando semi-seri, io penso che le parole che sono sempre state declinate al femminile in un certo modo (presidente->presidentessa, avvocato->avvocatessa) dovrebbero restare come sono sempre state, invece è forse giusto, per quanto a me che sono anzianotto suonino un po' artefatti, coniare neologismi per le parole che un femminile non l'hanno mai avuto.
Per esempio per predecessore mi piacerebbe dire predecettrice più che predecessora. Ma come giustamente scrivi tu una lingua non è governata dalle leggi, ma dalle consuetudini, altrimenti non si spiegherebbe lo sdoganamenteo di un orrore come famiGLIare.
ma A TE TI hanno vaccinato Leona'? spero sinceramente di sì :) PS il femminile di "avvocato" è "avvocata", sta anche nel SALVE REGINA
RispondiEliminaLa mia maestra delle elementari, suor Giovanna, che probabilmente se lo è inventato lei, sosteneva che avvocata volesse dire sostenitrice, patrocinatrice, come l'ingelse "advocate" mentre avvocatessa fosse il difensore in una causa legale, l'equivalente dell'inglese "lawyer".
EliminaSono cresciuto pensando che fosse vero. :-)
(in una scuola cattolica di quegli anni ci facevano fare le preifrasi delle preghiere e ce le insegnavano pure in latino).
è una bellissima storia e suor Giovanna mi ha convinto :)
EliminaIl problema che c'è dietro è più profondo dei fastidi grammaticali o dei lievi imbarazzi in cui ci troviamo nel rivolgerci a una donna con un ruolo prestigioso. Il problema è di tutti, uomini e donne, quando percepiamo come svilente la declinazione al femminile di un ruolo o di una professione di rilievo. Maestro e maestra sì, ministro e ministra no; infermiere e infermiera sì, ingegnere e ingegnera no... C'è una radice patriarcale o meglio maschilista dietro a questo, soprattutto se consideriamo che quando le donne entrano in gran numero in un determinato ambito professionale - e quindi diventa necessario e abituale usare il femminile - il prestigio sociale (e di conseguenza la remunerazione) di quella professione diminuisce (qui un articolo in proposito del NYT https://www.nytimes.com/2016/03/20/upshot/as-women-take-over-a-male-dominated-field-the-pay-drops.html). Le donne che non vogliono essere chiamate "ministra", "direttrice", "avvocata" etc. lo fanno perché non vogliono un titolo di seconda classe, vogliono il prestigio sociale per cui hanno studiato e lavorato, e purtroppo lo ritrovano solo nel termine maschile.
RispondiEliminaPer dirimere il dubbio consiglio la lettura: https://www.effequ.it/saggi-pop/femminili-singolari/
RispondiElimina: )
Beatrice Venezi aveva un bottone staccato? e che si vedeva? tanta roba, eh?
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