20 settembre: Santa Susanna di Eleuteropoli, monacә e martire palestinese (IV secolo?)
Susanna potrebbe essere la patrona di Eleuteropoli, se Eleuteropoli ci fosse ancora; ma è stata distrutta come capita presto o tardi a tutte le città. In epoca romana era un vero capoluogo, più grande di Colonia Aelia Capitolina, ovvero Gerusalemme, dopo che i Romani avevano distrutta pure quest'ultima, cose che succedono. Eleuteropoli sorgeva più a sud, nei pressi di Hebron, dove tanti anni dopo fu tracciata la linea dell'armistizio tra Israele ed Egitto.
La leggenda di Susanna, tramandata da due fonti greche, è un pasticcio; anche nel senso di una cosa messa assieme con gli avanzi. La prima parte segue la ricetta di Santa Marina di Bitinia, ovvero la storia di una donna che si traveste da uomo per entrare in un monastero maschile. Ma se Marina lo fa per seguire il padre, Susanna mostra di provenire da un crocevia di culture: il padre è pagano, la madre ebrea; entrambi muoiono troppo presto e Susanna, convertita da un sacerdote cristiano, decide di rifugiarsi nel luogo in cui nessuno si accorgerà del suo sesso. Di storie del genere nei sinossari bizantini ce n'è più d'una e non sono tutte favolette; lasciano sospettare che in alcuni casi una persona che non si trovasse a suo agio con il genere assegnato alla nascita potesse trovare un rifugio adeguato tra i cenobiti delle prime generazioni – prima che si diffondessero cenobi riservati alle donne. C'è un'ambiguità morale, in questi resoconti, che fatichiamo a chiarire, anche perché ogni generazione probabilmente tende a vederla in un modo diverso, come ben sanno le femministe che di solito parlano di ondate. Chi inventava queste storie probabilmente considerava la donna che rinunciava al proprio sesso per farsi monaco un'eroina della fede, anzi un eroe; poi arriva un'altra ondata con un'altra sensibilità, e questa cosa di travestirsi per entrare in un luogo di soli maschi risulta un po' troppo piccante, da cui la necessità di aggiungere alla storia uno svelamento drammatico.
Nel caso di Susanna questo svelamento somiglia superficialmente a quello di Marina: una donna accusa il monaco Susanna di averla violentata. C'è però questa fondamentale differenza: per difendersi da un'accusa così infamante, Susanna decide di rivelare il proprio sesso. Al contrario, Marina preferisce confermare la bugia della sua accusatrice, e addirittura adotta come padre il figlio che la donna sostiene di avere avuto da lei/lui. Questo potrebbe riflettere i tempi diversi in cui queste due leggende sono state costruite; magari Marina rischiava più a rivelarsi donna in un monastero di uomini che a confessare una violenza sessuale (ricordiamo che per tutto il Medioevo vestirsi con abiti maschili poteva procurare a una donna una condanna per stregoneria). Invece Susanna sembra vivere in un tempo (III-IV secolo?) o in un luogo in cui cose del genere non sono ritenute altrettanto gravi; certo, deve lasciare il monastero, ma pare che sia l'unica punizione che le viene inflitta.
A questo punto – e veniamo alla seconda parte della leggenda – Susanna si reca ad Eleuteropoli, dove viene ordinata diaconessa da un vescovo, il che le permette di morire da martire durante una persecuzione. Questo è abbastanza curioso, visto che il monachesimo si sviluppa anche in oriente in un periodo in cui il cristianesimo non è più oggetto di persecuzioni; ci fa sospettare che di Susanne ce ne fossero almeno due e che qualche copista le abbia messe assieme, magari per risparmiare spazio su una pergamena.
Eleuteropoli significa "città dei liberi". Settimio Severo l'aveva ribattezzata così, quando nel 200 d.C. aveva concesso agli abitanti la cittadinanza romana. Prima d'allora aveva un nome aramaico, Beth Gabra, che non è poi molto diverso da come duemila anni dopo la chiamavano gli ultimi abitanti, Bayt Jibrin. Beth Gabra significava "casa del potente", ed era forse riferita a un antico re edomita. Gli edomiti erano antichi rivali meridionali degli israeliani; secondo la Bibbia discendono da Esaù, fratello di Giacobbe. A volte sono confusi con gli amaleciti, quelli che gli antichi ebrei dovevano ricordare di dimenticarsi. Il nome aramaico non deve essere mai veramente scomparso, se persino in una carta stradale romana (l'unica che ci è arrivata, la Tavola Peutingeriana) veniva chiamata Beitogabri. L'Islam arriva verso il 630, in modo piuttosto violento: gli arabi uccidono cinquanta soldati bizantini che rifiutano di convertirsi. Quattrocento anni più tardi i crociati espugnano la città e ci costruiscono una roccaforte, Bethgibelin, che il re di Gerusalemme affida all'ordine degli Ospitalieri. La rocca sarà distrutta dall'esercito di Saladino dopo la battaglia di Hittin. Bayt Gibrin resterà ancora un po' in mano ai crociati e poi passerà ai Mamelucchi e agli Ottomani. Ai tempi del Mandato britannico era un villaggio di 2500 abitanti, tutti arabi. Nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1948 Bayt Jibrin fu bombardata dall'aviazione israeliana: la maggior parte degli abitanti lasciò il villaggio e non c'è più tornata. Il 27 ottobre, tre giorni dopo il cessate il fuoco, gli israeliani la occupano. Oggi Bayt Jibrin non esiste più, o se preferite ne esistono due: in Cisgiordania c'è il campo profughi di Bayt Jibrin, dove vivono migliaia di discendenti degli abitanti sfollati nel 1948; e in Israele c'è il kibbutz Beit Guvrin, fondato nel 1949 nei pressi della rocca di Bethgibelin, con annesso un parco storico che l'Unesco ha dichiarato patrimonio dell'umanità. Ci sono tracce del passato ebraico, romano, bizantino, crociato; ma quasi niente dei secoli arabi e turchi: quelli sono completamente scomparsi, sono cose che succedono.
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