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sabato 21 dicembre 2024

Michea il provinciale

21 dicembre: San Michea, profeta di provincia (VIII sec. aC)

Basilica della Natività, Betlemme, Palestina. 

Ma insomma Gesù veniva da Nazareth o da Betlemme? Perché sono a più di 100 km di differenza. Non solo, ma anche a quei tempi sorgevano in due Stati diversi, benché controllati dallo stesso impero, in questo caso il romano. Nazareth è in Galilea, un territorio che grosso modo coincide con l'attuale distretto settentrionale di Israele. Dai vangeli risulta chiaro che il Gesù predicatore provenisse da lì; più volte viene chiamato "Gesù di Nazareth" e "nazareno". Ora, può anche darsi che in un primissimo momento – un momento in cui i vangeli non erano ancora stati scritti, e si tramandavano oralmente – la parola greca "nazoràios" associata a Gesù non indicasse una provenienza geografica. "Nazoràios" potrebbe derivare da "nazarà", una parola aramaica (Gesù e i suoi primi seguaci parlavano aramaico). Quest'ultimo termine potrebbe sì, alludere a una cittadina della Galilea che a quel tempo sarebbe stato poco più di un villaggio: ma potrebbe anche essere il contrario, che il villaggio abbia preso il nome dall'epiteto di Gesù, visto che in precedenza né nella Bibbia né in altri documenti era mai stato nominato. 

"Nazarà" potrebbe derivare dall'ebraico nazir, "separato", e alludere al carattere scismatico del movimento fondato da Gesù, che si era separato dall'ebraismo tradizionale. Oppure dall'ebraico netzer, germoglio, che in Isaia 11,1 allude proprio alla nascita del Messia ("Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse"). Non si può nemmeno escludere che Gesù non fosse "nazareno", ma "nazireo", ovvero consacrato per la vita al Signore secondo un rituale descritto dalla Torah: il nazireo più famoso è l'eroe Sansone, e come Sansone anche Gesù è spesso raffigurato coi capelli lunghi. Ai nazirei non era consentito partecipare ai funerali, il che potrebbe spiegare come mai Gesù non si presenti a quelli dell'amico Lazzaro. Più difficile immaginare un Gesù totalmente astemio, visto che i nazirei non potevano consumare prodotti della vigna; ma in effetti se Gesù più volte fa bere gli altri, non è mai descritto nell'atto di bere; e sulla croce rifiuta persino una spugna intrisa d'aceto. 

Per quanto insomma non si possa escludere che sia stato Gesù "Nazoràios" a dare il nome al suo luogo d'origine, e non viceversa, nel momento in cui la sua vita viene messa per iscritto ormai l'idea è che "Nazoràios" alluda a un luogo in Galilea. Per questo motivo Ponzio Pilato, non sapendo bene come gestire il prigioniero, tenta di trasferire il caso a Erode Antipa, figlio di Erode il Grande, che pur essendo il Tetrarca della Galilea (una sorta di viceré) preferiva risiedere a Gerusalemme. La Galilea era già al tempo una regione molto periferica. Gli abitanti erano più vicini ai porti del Libano che a Gerusalemme e dovevano scontare un forte pregiudizio da parte dei giudei gerosolimitani, di cui resistono tracce nel Vangelo di Giovanni; "da Nazareth non può venire niente di buono", dice Natanaele all'apostolo Filippo; "dalla Galilea non sorgono profeti", spiegano i farisei a Nicodemo. E i due Vangeli che raccontano dell'infanzia di Gesù (Matteo e Luca), pur accettando l'idea che provenisse dalla Galilea, lo danno per nato a Betlemme, in Giudea, a poche miglia da Gerusalemme.

Entrambi gli evangelisti si preoccupano di risolvere questa contraddizione, offrendo però soluzioni diverse: secondo Matteo fu Giuseppe a decidere di trasferirsi con la famiglia dopo il soggiorno egiziano, su ispirazione di un sogno; secondo Luca invece i genitori di Gesù risiedevano entrambi a Nazareth, e a Betlemme ci erano capitati per caso mentre andavano a compilare il censimento a Gerusalemme. Il che fa un poco a pugni con la geografia: rispetto alla capitale, Nazareth è a nord, Betlemme a sud. Ma potrebbero davvero esserci arrivati in giornata mentre cercavano un alloggio per la notte. 

Il perché sia così importante ambientare il Natale a Betlemme lo mette per iscritto Matteo: dipende tutto da un versetto del profeta Michea risalente a sette o otto secoli prima (5,1), una delle profezie più impegnative dell'Antico Testamento perché mentre di solito i profeti si mantenevano nel vago, Michea non ci era riuscito e aveva messo nero su bianco che il futuro dominatore di Israele sarebbe nato a Betlemme. Matteo è l'evangelista più legato alla tradizione ebraica: per lui è fondamentale che la profezia si avveri. Luca a questa storia del dominatore di Israele non sembra crederci molto, ma la sua sensibilità sociale potrebbe essere rimasta colpita dal fatto che secondo Michea Betlemme era "il più piccolo dei capoluoghi di Giuda": l'idea già fiabesca per cui il Re dei re sarebbe apparso in una piccola città, tra pastori e carpentieri.

In effetti se di ogni profeta è lecito isolare un tratto distintivo, per cui Isaia è il poeta, Geremia il brontolone, Ezechiele il visionario, Osea il cornuto... Michea, nato anche lui in un villaggio ai confini con la Filistea, è decisamente il provinciale. A tutti i profeti capita di prevedere la disgrazia di una città, ma Michea sembra provarci gusto a decretare la rovina di Samaria (capitale del regno di Israele), la disgrazia di Gerusalemme (capitale del regno di Giuda), insomma di tutti i centri abitati cinti da mura e che non si riducano a un crocicchio di sentieri. Il fatto che tutto sommato ci abbia preso (Samaria fu distrutta dagli Assiri, Gerusalemme dai Neobabilonesi) non scaccia il sospetto che Michea parli a nome di tutti gli abitanti dei contadi, e dia una forma scritta alla loro profonda diffidenza per queste assurde sfide alla natura che sono le grandi città.

I ricchi della città sono pieni di violenza,

i suoi abitanti affermano il falso

e la loro lingua non è che inganno nella loro bocca.

Perciò anch'io ti colpirò, ti produrrò gravi ferite

e ti devasterò a causa dei tuoi peccati.

Tu mangerai, ma senza saziarti

e la fame ti rimarrà dentro;

porterai via, ma non salverai

e ciò che avrai salvato lo darò in balìa della spada.

(Michea 6,12-14)

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