14 dicembre: San Giovanni della Croce, mistico ed erotico (1542-1591)
Attribuito a Zurbarán |
La coscienza è un gioco di specchi. Se mi chiedo perché Giovanni per tutta la vita ha cercato di vedere Dio dove c'era una ragazzotta mora ma formosa, non posso che immaginarmi Giovanni, dall'altra parte dello specchio, che si chiede perché devo per forza vedere dappertutto ragazze more (ma formose). Perché pensi solo al sesso, mi chiede? (Ma sa già la risposta: è il demonio). No, Giovanni, sei tu che al sesso non vuoi pensarci, a causa di una pressione sociale che ti imponeva un innaturale regime di castità. Risponde: ma secondo te al sesso davvero non ci pensavo? Hai fatto caso che ho passato interi anni della mia vita in monasteri... femminili? Ad Avila per tre anni sono stato il padre spirituale di centotrenta monache. Le confessavo tutte, capisci, in fatto di donne credi davvero di saperne più di me? Credi di avere avuto amiche più complicate di Teresa d'Avila, o di Anna del Gesù? E soprattutto: credi di avere avuto una vita sessuale più realizzata della mia, soltanto perché accetti di farti ispirare dal demonio ogni volta che ne ha voglia, a causa di una pressione sociale che ti vuole perennemente irradiato da immagini intriganti; credi che la tua fregola pressoché costante sia un regime più vicino alla natura, o alla felicità? Perché magari ti sbagli, in fondo che ne sai.
Va bene Giovanni, mi sbaglio. Ci sbagliamo tutti, prendiamo i nostri usi e costumi come pietra di paragone per giudicare quelli dei secoli passati, senza nemmeno verificare se siano usi e costumi replicabili, se non dipendano da parametri economici effimeri, che forse stanno già cambiando e potrebbe essere il motivo per cui siamo molto meno felici e realizzati di quanto dovremmo essere. Tu invece sei stato felice, o almeno vorresti tanto farmi credere in questo. Hai scelto la vita contemplativa, hai scoperto quanto fosse tortuosa, hai scoperto che persino nella voluttà di ricevere i sacramenti possono nascondersi la gola e la lussuria, che persino i digiunatori possono digiunare per vanità; hai scoperto con orrore tutto questo e proprio quando ti sembravi perso, in una notte oscura, con ansias en amores inflamada (o dichosa ventura) hai trovato la strada giusta, la via verso la grazia. Tutto giusto. Non credo a una parola, Giovanni.
Tu eri nato per scrivere poesie d'amore, e in un altro secolo lo avresti fatto, magari tra un'impresa cavalleresca e l'altra. Ma siamo nel Cinquecento, i prezzi in Castiglia non fanno che salire e nessuno capisce come mai, proprio adesso che sta arrivando tanto oro dalle Americhe... tuo padre si è declassato per sposare una tessitrice, gli affari vanno male, tu sei portato per gli studi e in breve tempo la carriera ecclesiastica diventa l'unica praticabile per un secondogenito studioso senza amici in paradiso. Entri in un monastero carmelitano, e a 25 anni incontri Teresa D'Avila, che ha il doppio dei tuoi anni e vuole riportare le carmelitane ai vecchi costumi ascetici di un tempo. Certi monasteri ormai sono alberghi per le signorine di buona famiglia che le buone famiglie non vogliono accasare; non è senz'altro così che si diventa santi e anche tu sei d'accordo, ma appunto, tu hai vent'anni e lei cinquanta: non ti viene in mente che dovendosi trovare un direttore spirituale per il suo nuovo monastero, non abbia scelto te perché eri così giovane e malleabile? Dietro a tante mistiche di successo, c'è un padre spirituale che invece di prenderle per matte si segna le visioni e comincia a sparger voce che c'è una santa in città; con te e Teresa sembra successo l'opposto. Cerchi di riformare i carmelitani come lei ha fatto col ramo femminile, ma siamo nel Cinquecento e questa parola, "riforma", è la più pericolosa che si possa usare in Spagna. I pezzi grossi dell'ordine ti perseguitano; finisci in cella un paio di volte, e lì non digiuni più per la vanità di digiunare, ma perché proprio da mangiare te ne danno punto o poco; non ti frusti più per lussuria, ma sono gli altri a frustarti perché non ritratti determinati punti di dottrina; non preghi più per la vanità di pregare, ma perché sei solo in una stanza oscura. E ritrovi Dio, di questo sei convinto. Sicuramente ritrovi la poesia, perché non hai nemmeno carta per scrivere i tuoi pensieri, e non ti resta che compitarli a memoria, puntellandoti con rime e prosodia. Scrivi poesie d'amore talmente pure che l'oggetto dell'amore è secondario; potrebbe essere Dio come una ragazza come qualsiasi altra cosa. In pratica riscrivi il Cantico dei Cantici, e forse lo scrivi anche meglio dell'originale, perché non c'è dubbio che tu sia un grande poeta, Giovanni, un sorso d'acqua limpida prima che tutto diventi tortuoso e barocco. E quando sarai di nuovo libero, quando le tue amiche monache ti chiederanno cosa significano quelle stanze così chiare a chiunque abbia amato un poco, tu farai proprio come gli esegeti medievali dei Cantici, e diventerai l'interprete anagogico delle tue poesie erotiche. Cosa dire.
Non lo so, Giovanni, forse c'era una strada più dritta, ma ognuno trova quella che può; senz'altro la tua non l'hai scelta per pigrizia, o perché fosse la più praticata ai tuoi tempi. Non posso dire lo stesso di me, e quindi ti ammiro. Credo che la coscienza sia poco più di un labirinto di specchi; credo che per un po' sei riuscito a fare così buio nella tua anima da illuderti di averli superati, e quando finalmente hai sentito di nuovo qualcosa, hai pensato che fosse Dio, e sei stato davvero felice. Perché no. Se è successo, sono contento per te. Ma non riesco a immaginare che quel volto benigno che finalmente ti perdonava, e ti riconosceva, e asciugava le tue lacrime, non fosse che l'ennesimo specchio. Mi dispiace, non ho abbastanza immaginazione. O è il demonio, perché no.
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