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lunedì 28 luglio 2003

Rideranno, rideranno (e come dargli torto).

Sul cavallo di Caligola ci sono due teorie:

Secondo alcuni, l’imperatore era pazzo, punto e basta: parente di pazzi, cresciuto in un contesto in cui sareste usciti pazzi pure voi. Sicché, quando ottenne il privilegio di nominare dei senatori, pensò bene di nominare il suo cavallo preferito, anche se sullo scranno non doveva trovarsi molto a suo agio. Questa la prima teoria. Divertente, no?

Secondo altri, Caligola non era così pazzo, aveva forse un senso un po’ esagerato della teatralità (metti quella volta che fece costruire un ponte di barche sulla baia di Pozzuoli solo per attraversarlo con un cocchio, vestito da Dio Apollo), e una precisa strategia: impressionare il popolino, umiliare il patriziato. Il suo modello era l’Egitto, dove l’imperatore era davvero onorato come un Dio, non sottoposto al vaglio dei senatori di una cosa che ufficialmente continuava a chiamarsi Res Publica. Tanti imperatori dopo di lui snobbarono il Senato e guardarono all’Oriente: Nerone, Commodo, Eliogabalo: tutti, non a caso, ritenuti pazzi dalla storiografia ufficiale. Ma la storiografia la facevano i senatori, appunto.
In questo senso, anche una pagliacciata come quella del cavallo senatore assume un senso politico: Caligola mandava a dire che considerava il Senato una succursale delle stalle imperiali, che non avrebbe dato retta ai senatori più di quanta non ne desse a un equino di pregio. Questa la seconda teoria.

Sul Ministro Castelli se ne potrebbero dire tante (tranne forse che è un pirla, ci dovrebbe essere da qualche parte una sentenza che stabilisce che non si può dare del pirla al Ministro Castelli: nel dubbio, preferisco non dargli del pirla. Anche voi, non azzardatevi a dire che è un pirla, il Ministro Castelli).
Siamo di fronte, mi rendo conto, a un mistero che divertirà gli storici a venire: perché questo signore, che qualcosa l’ha pur studiata, e in un qualche ramo sarà pur competente, si è trovato tre anni fa alla guida di un dicastero così importante, per il quale non aveva mai dimostrato (e non dimostra tuttora) nessuna inclinazione?

La prima ipotesi che viene in mente, la più banale, è sempre quella: pazzia. Berlusconi, soggetto da anni a uno stress psicofisico, vince le elezioni ma esce di senno. Bossi, poi, è uno che nel senno ci entra di rado, per uscirne sempre abbastanza rapidamente. Si incontrano ad Arcore, si mettono le dita nel naso e fanno tutte le cose che fanno i matti nei film, tra cui stilare una lista di ministri che più paradossale non si può: la Moratti all’istruzione, Scajola agli interni. E il signor Castelli (che non è un pirla), alla giustizia. Il tutto, immaginiamo, tra sberleffi e risolini. A leggerla, Ciampi ormai sviene: ma tanto la frittata è fatta. Magari gli storici del futuro racconteranno le cose così.

Ma io non sono tanto convinto. Secondo me Berlusconi e Bossi sono persone dall’intelletto brillante, ancorché un po’ rozzo, e con uno spiccato senso teatrale. Nominare un broker all’istruzione, per quanto possa sembrare assurdo, dà precisamente il senso della concezione che Berlusconi ha della scuola. Allo stesso modo anche la nomina di un non-pirla alla Giustizia assume un senso, ed è precisamente il senso del cavallo di Caligola: tanto poco Berlusconi dà importanza ai suoi ministri, ai magistrati, alle istituzioni, alla legge, da nominare come Guardiasigilli il primo equino che si trova tra i piedi.

Che poi Castelli possa essere assimilato a un equino, e non dei più pregiati, è cosa che possiamo dimostrare in talmente tanti modi che non vale nemmeno la pena. Per dirne una, passò a Bolzaneto nel pieno delle torture e non trovò niente da dire. Ma su queste cose non vorrei tornare. Preferisco insistere su qualche piccolo dettaglio di nessuna importanza, com’è mio tipico. Vi ricordate quando la settimana scorsa, per offendere un sottosegretario UDC, disse la frase “non ho mai visto un democristiano dimettersi”?

Lasciate stare un attimo la mancanza di stile, la rozzezza pura, sforzatevi: concentratevi un attimo sul significato della frase: ma vi sembra normale che una persona dica una cosa del genere? Vi sembra normale che un italiano nato senz’altro prima del 1993 possa dire che “non ha mai visto un democristiano dimettersi”?
Io, che di Castelli potrei esser figlio, e che della prima repubblica mi son perso più della metà, pure qualche vago ricordo ce l’ho: e questi vaghi ricordi, guarda caso, sono tutti di democristiani che si dimettono. Ministri, presidenti del consiglio, perfino un tal Leone, presidente della Repubblica. I democristiani si dimettevano in continuazione. Pare quasi fosse la cosa che gli riusciva meglio. Ricordo che i governi duravano un soffio e che i ministri avevano sempre un piede dentro e uno fuori: che quando si trattò di salvare i tre canali a Berlusconi, si dimisero in quattro o in cinque (roba da tornare alle urne), e Andreotti fece spallucce: l’evento potrebbe essere considerato la vera fine della DC, perché chi se ne andava erano le costole del futuro Partito Popolare; chi restava oggi è tuttora a corte di Berlusconi. Ricordo che io ero al mare coi miei. E Castelli, dove diavolo era? Dov’è stato fino al ’93, in una campana di vetro? Ha letto qualche giornale, a parte la gazzetta dello Sport?

Un’inezia, mi rendo conto, ma mi pare il sintomo di un’ignoranza grande, diffusa, perniciosa. Questo è l’uomo che da tre anni rappresenta il Governo nelle questioni della giustizia. Un pirla forse no, ma da qui a nominarlo Ministro, ce ne passa, ce ne dovrebbe passare. La democrazia, va bene, il consenso popolare, son d’accordo, ma fenomeni come Castelli alla giustizia non dovrebbero più accadere. Cosa penseranno i posteri di noi?
Rideranno, come noi ridiamo del cavallo di Caligola, senza riflettere. Rideranno di noi. Ok. Ma non doveva essere così divertente, la vita ai tempi di Caligola. E vi giuro, posteri, tre anni di governo Berlusconi non sono stati quel gran spasso che credete. Oh, posteri, mi sentite? E piantatela di ridere, una buona volta. Non ce niente da... oh, beh, fanculo pure a voi.

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