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giovedì 10 marzo 2011

Il nuovo Baudo (è meglio del vecchio)

Ho letto Popstar della cultura di Alessandro Trocino, e non so se consigliarlo. Il fulcro del testo è l'introduzione, che trovate integrale sul Post, dove si illustra quella fenomenale definizione che poi vale il libro intero: popstar della cultura, appunto. Seguono sei brevi monografie su altrettante popstar (Saviano, Allevi, Petrini, Grillo, Mauro Corona, Camilleri), che in generale suscitano in me l'effetto instant book, non so se riesco a spiegarmi, quando pensi: “Questo è interessante, dovrei leggermi un vero libro sull'argomento”. Forse Trocino ha avuto un po' troppa fretta di uscire dopo il successo di Via con me, che è un po' la premessa di tutto il libro (Fazio come nuovo sacerdote della nuova cultura midcult). In effetti tutti e sei i personaggi si dimostrano molto interessanti e meritevoli di analisi un po' più approfondite, salvo che a quel punto magari Grillo si sarebbe incazzato e avrebbe sequestrato tutto (sì, pare che Grillo faccia ritirare le biografie non autorizzate, è un dettaglio interessante, se si pensa che la vita di Grillo è materiale da Dostoevskij). E in generale, chi si sarebbe letto un volume di trecento pagine, di cui magari cinquanta sulla concezione petriniana dell'agricultura, o altre trenta sul neoprimitivismo coroniano? Mi viene quasi il dubbio che le sei monografie funzionino soprattutto per le scintille che fanno nel sommario: l'effetto di leggere accostamenti come Saviano-Allevi. In realtà Trocino concede molto a Saviano, ed è persino disposto a riconoscere che quella di Grillo non è antipolitica, non più di quella di molti politici. Ma insomma, alla fine un dibattito su questo libro non può che vertere sulla definizione di popstar. Se dovessi riassumere il tutto in una pagina, metterei questa:

L’intellettuale moderno non è più da tempo la cinghia di trasmissione tra il partito e le masse. All’egemonia culturale della sinistra è subentrata, silenziosa ma devastante, una nuova egemonia “sottoculturale”, per usare un’espressione di Massimiliano Panarari, che ha soppiantato la prima, inoculando nella società il pericoloso e pandemico germe del populismo mediatico.
Sedici anni di dominio berlusconiano hanno impresso un segno indelebile nel carattere nazionale. Per uscire dalle strettoie della sottocultura berlusconicentrica e per sfuggire al gorgo mefitico dell’autoreferenzialità, l’intellettuale ha ceduto di schianto. Succube da decenni di dibattiti autopoietici e di soporiferi cineclub, ormai ebbro e nauseato dalla propria presunta superiorità morale, da tempo degradata in un indifendibile moralismo da casta protetta, la sinistra culturale ha rotto le righe e, muovendosi in ordine sparso, si è buttata nello stesso circuito di populismo della destra, innervato da robuste iniezioni di moderni steroidi catodici. Quel che rimane dell’industria culturale in mano alla sinistra scimmiotta il baudesco nazionalpopolare, utilizzando le antiche corde dell’emozione, del sentimento, dell’anima, dell’antirazionalismo, dell’antimodernismo e della cialtroneria, che da sempre costituiscono il nerbo della melodrammatica e furbesca indole italica. Così nasce e prospera Giovanni Allevi...



Alcune obiezioni:

1. B e r l u s c o n i    h a    v i n t o. Ci ha inoculato. Abbiamo ceduto di schianto e adesso ci ritroviamo Allevi, mentre prima ascoltavamo... ascoltavamo... boh, Benedetti Michelangeli? Trocino, che pure identifica con molta chiarezza quali sono i contenuti deteriori delle 'popstar' (sentimentalismo, antirazionalismo, primitivismo, eccetera), e altrove se la prende esplicitamente con i “venditori di apocalisse”, ecco, Trocino non è del tutto immune dal sentimento apocalittico. Addirittura nella sua versione più svenduta, l'antiberlusconismo. Per immaginare che Berlusconi ci abbia lasciato un segno indelebile, dobbiamo postulare un'età dell'innocenza in cui non eravamo berlusconiani, non avevamo ancora colto la mela del biscione e quindi fruivamo di una cultura vera, senza popstar. Ma è mai esistita questa età dell'oro in cui invece di Allevi ascoltavamo Benedetti Michelangeli, mentre sfogliavamo La dialettica dell'Illuminismo invece di Camilleri? Lo chiedo a voi, io non me la ricordo, sarà che sono giovane?

Trocino stesso indica come prima manifestazione di popstar culturali la tenzone post 11 settembre tra la Fallaci e Terzani sulle pagine del Corriere. Ecco, per esempio, la Fallaci. Senz'altro una popstar quando scriveva La Rabbia e l'Orgoglio (la cui estrema appendice si chiama, guardacaso, Apocalisse). Ma la Fallaci degli anni Settanta? Qualla delle super-mega-interviste coi protagonisti del Novecento? La Fallaci di Un uomo o di Lettere a un bambino? Non aveva già il piglio, il carisma e il pubblico di una popstar? E... Pasolini? Trocino si ritrova a citarlo spesso, come padre putativo di un certo sentimento antimoderno che serpeggia tra le nuove popstar. Pasolini è un autore contorto e aggrovigliato sulla sua stessa ideologia, ma pensiamolo semplicemente nel ruolo che interpretava (che aveva in un qualche modo acconsentito a interpretare) nel dibattito culturale degli anni '70; pensiamo alle Lettere Corsare: non era una popstar – anzi, meglio, una rockstar – anche lui, quando scriveva “io so” o “vi odio cari studenti”? E la Morante del Mondo salvato dai ragazzini? E Don Milani, non quello asperrimo delle Esperienze pastorali, ma quello edulcorato della vulgata veltroniana, quello che è un eroe perché non boccia gli studenti poveri? E Dario Fo? E Indro Montanelli quando faceva lo storico? Ed Enzo Biagi quando diventava un marchio di fabbrica (garanzia di medietà) da appiccicare su qualsiasi prodotto industriale, compresi i fumetti? Tutto questo succedeva quando Berlusconi faceva al massimo il palazzinaro: non l'ha inventato lui il midcult. In seguito non mi sembra che abbia aggiunto molto a una formula già rodata. Ne ha semplicemente approfittato, come qualsiasi editore (Feltrinelli non lo ha fatto? E Adelphi?)

2. F a z i o    è    i l   n u o v o     B a u d o. Sono d'accordo. E allora? Secondo me sarebbe d'accordo lo stesso Fazio, probabilmente è il disegno che persegue da anni. A questo punto però propongo un esercizio intellettuale: immaginare cosa sarebbe Domenica In, il contenitore domenicale della Rai, se lo gestisse Fazio da dieci anni, come probabilmente sarebbe successo senza editti praghesi e in generale senza Berlusconi al potere. Non c'è dubbio che lo avrebbe gestito come lo gestiva Baudo negli anni Ottanta: invitando cantanti e scrittori, presentando balletti cantanti e telefilm, e dando verso sera la linea a 90° minuto. Secondo me Fazio ha sempre voluto essere quello lì, quello che regna sulla domenica italiana. E non c'è dubbio che sarebbe una domenica nazionalpopolare, ma che domenica sarebbe? Un'intervista a Peter Gabriel (all'ora in cui invece si parla del delitto di Avetrana), un siparietto con Albanese (invece che Platinette), due chiacchiere divulgative con Odifreddi (invece di un servizio sulla fine del mondo nel 2012), un balletto ma sperimentale, poi un'ospitata di Follett o Calasso che presentano il loro cartonato (invece di un servizio dalla casa del Grande Fratello). Che domeniche sarebbero? Naturalmente noi avremmo meglio da fare che guardarlo – ma non sarebbe un netto miglioramento, non solo nei confronti della merda che affligge la nostra digestione mentre sonnecchiamo sul divano, ma anche rispetto alla Domenica baudiana? Insomma, preso atto che Fazio è il nuovo Baudo, è così male come Baudo? Baudo non invitava la Fallaci o Pasolini, è arrivato troppo tardi: ma non è neanche riuscito a scovare Pier Vittorio Tondelli o Andrea Pazienza. Io ricordo immarcescibili i vari Bevilacqua, Gervaso, De Crescenzo, Luca Goldoni, per carità tutta gente simpatica, ma non stiamo neanche a scomodare il termine popstar. E invece un Pazienza da Fazio ci sarebbe andato. E gli avremmo dato del nazionalpopolare. Perché saremmo convinti di vivere in una pessima Italia, non sapendo quanto è pessima quella in cui Berlusconi ha vinto e la domenica è affidata a creature come Giletti, o Giurato.

3. L e     c e n e r i    d i     G r a m s c i. Per l'apocalittico Trocino l'apparizione di queste popstar è un chiaro sintomo degenerativo della cultura di sinistra (ogni tanto compare Gramsci come nume tutelare, per la verità la riflessione di Gramsci sul nazionapopolare era un po' più sottile). Ora, dare addosso alla sinistra è uno sport nazionale che pratico anch'io a livello amatoriale (ma da bambino sognavo il professionismo). Però, insomma, chi ce lo ha detto che Allevi è di sinistra? Lui no, lui non lo ha detto. Da cosa si dovrebbe capire? E Mauro Corona? Non potrebbe essere considerato più agevolmente un autore di destra, col suo primitivismo apocalittico? A volte, più che essere di sinistra, queste popstar “vengono” dalla sinistra: vedi Petrini, con la sua storia di comunista di sezione. Trocino poi insiste molto sui 'tradimenti' di Petrini, sui suoi flirt con la Lega. Si potrebbe semplicemente prendere atto che il fondatore di Slow Food, partendo da sinistra, si è spostato consapevolmente su posizioni conservatrici che lo portano per forza a incrociarsi con movimenti tradizionalisti e identitari. Lo stesso Saviano, prima che con “Vieni via con me” si ritrovasse nella ridotta televisiva antiberlusconiana, godeva di una certa trasversalità politica, secondo Facci e Socci era addirittura un intellettuale di destra (a proposito: e Socci? Non è a suo modo una popstar, anche se più locale, diciamo un neomelodico della parrocchietta? E Veneziani? E Buttafuoco? E chi li legge? Sì, appunto, è il solito problema della cultura italiana di destra, che non trovi nessuno disposto a leggertela, figurati a passarti i riassunti). Il fatto che da sinistra spuntino più popstar dipende se mai dal fatto che sempre di consumo culturale stiamo parlando, e il bacino di questo consumo è sempre il famoso ceto medio riflessivo coi capelli grigi che intasa le librerie Feltrinelli alle sei di pomeriggio di ogni santo sabato: i libri e i dischi li comprano praticamente solo loro  (per dire io Trocino l'ho preso in biblioteca), quindi è abbastanza naturale che oggi le popstar nascano lì. Ma non restano lì, questo mi sembra importante. Si diventa popstar quando si riesce a sfondare il proprio bacino tradizionale e a piacere anche a tutti gli altri. Lo stesso Camilleri, prima di darsi alle invettive impegnate, ha conquistato la sua popolarità sulla cosa più trasversale che esista sui banchi del mercato letterario: il giallo seriale. Roba tendenzialmente conservatrice, non fosse perché di solito la Legge trionfa e l'Ordine viene ripristinato: salvo che in quegli anni c'è stata un'enorme rivalutazione del noir da sinistra, che ha permesso a Camilleri e ai suoi lettori di non percepire quel senso di colpa – ma anche quel delizioso senso di proibito – che avevano i 'compagni' di trent'anni fa che sfoggiavano Marcuse sugli scaffali del soggiorno ma sul comodino ammucchiavano Gialli Mondadori. C o n t i n u a . . .

15 commenti:

  1. Non ho capito il punto 2… me lo rispieghi?

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  2. Se non ho capito male, definire Fazio il nuovo Baudo, a livello di immaginario e rappresentatività, è accettabile, ma comunque il livello televisivo proposto (rispetto ai liquami odierni) tenderebbe più verso un medio alto.

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  3. a quando la seconda parte? Consigli la lettura del libro o no? C'è un refuso nella prima riga del punto 1?

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  4. Non finisco neanche di leggere: dovevo correre qui per dire che sottoscrivo integralmente il punto 2.

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  5. sottoscrivo tutto. soprattutto l'inesistenza dell'età dell'oro pre-berlusconiana.

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  6. Grande! Mi viene in mente la battuta di una film di Woody Allen: "No, continua, adoro essere ridotta così ad uno stereotipo culturale".

    Insomma, innanzi tutto mi pare che il termine "popstar" viene mutuato dalla musica per dargli già una sfumatura peggiorativa di conformismo di massa, come se una folla che segue Saviano fosse uguale a quella di un concerto di Gigi d'Alessio.
    Poi mi risulta che Dante e Verdi, per dire, siano stati piuttosto popolari ai loro tempi e chissà, se ci fosse stata la tivù avrebbero condotto "Radio Londra" il primo e il secondo sarebbe magari andato a Sanremo.

    Mi pare che il problema se mai è che certe "popstar della cultura", accompagnate dalle ali del mezzo televisivo (che riesce a creare miti popolari persino da Nando GF11 o da Berlusconi) siano andate a riempire il vuoto lasciato dai politici "di sinistra" che non riescono più (e nemmeno aspirano) a dare un messaggio unificante di civiltà, di coraggio, di speranza e di esempio: sono loro, che hanno "ceduto di schianto". E allora gli intellettuali (quelli che campano di cervello e non di braccio, non necessariamente tutti Socrate) fanno da "cinghia di trasmissione" tra le masse e sé stessi, al punto che diventano oggetto di aspettative politiche (v. Grillo, appunto, ma anche Saviano che qualcuno addirittura aveva proposto come premier). O no?

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  7. Tondelli e Pazienza a Domenica in negli anni ottanta? Sarebbe stato più facile vederci Paviglianiti!

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  8. Beh intanto Paz in tv la domenica pomeriggio c'era :-p Con Barbato. Quoto Rob, e naturalmente il tuo post. Sei una popstar della webcultura (eheheh), ci vorrebbe Madeddu per chiosaer.
    Porco Rosso

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  9. Ciao, sono Alessandro Trocino.
    Innanzitutto, grazie a Leonardo per aver letto il libro e per averlo recensito in modo molto più approfondito di molti quotidiani o riviste. Inutile dire che non sono d’accordo con molte delle critiche fatte. E inutile dire che io consiglio caldamente la lettura del libro...
    Rispondo a qualche obiezione, in ordine sparso.
    Non ho avuto fretta di scriverlo né di uscire: ho cominciato a pensarci e a scrivere il libro nel 2009, un paio d’anni prima di Vieni Via con me. L’uscita in quei giorni è stata casuale, anche perché programmata con largo anticipo.
    Troppo buono con Saviano e Grillo? Molti dicono il contrario. In effetti ricevo critiche di segno diametralmente opposto: forse (dico forse) perché l’intento non era demolire né incensare, ma solo raccontare e, dove lo ritenevo necessario, decostruire e criticare.
    L’accusa che mi rivolgete mi sorprende: retorica dell’apocalissi e nostalgia dei bei tempi andati? Oibò, pensavo di aver scritto un libro contro questi detestabili sentimenti. Ma può darsi che ci sia cascato anch’io, son sabbie mobili sempre dietro l’angolo.
    Comunque. C’era un’età dell’oro? Non mi pare. Prima delle popstar moderne, scrivo nel passo citato c’era “l’intellettuale organico” e c’era “l’egemonia culturale della sinistra”. C’erano “i dibattiti autopoietici e i cineclub soporiferi”. C’era “la presunta superiorità morale”. Mi cito solo per far notare che queste parole non mi pare denotino una gran nostalgia del passato. Sentimento apocalittico? E perché? Perché dico che il ventennio berlusconiano ha modificato sensibilmente il nostro modo di vedere il mondo? Io ne sono convinto, il che non vuol dire che il nostro sguardo di venti o trent’anni fa fosse limpido o particolarmente da rimpiangere. Semplicemente è cambiato e decisamente non in meglio. Detto questo, come si evince da molti passaggi del libro, considero l’antiberlusconismo militante di molte di queste popstar un errore e un rifugio di comodo.
    Altra critica ricorrente: le popstar della cultura sono sempre esistite, non c’è nulla di nuovo. Vedi Pasolini, Fallaci, Don Milani, Dario Fo, Enzo Biagi. Verissimo, chi ha detto il contrario? Io ho raccontato come ci sia stato, a mio parere un mutamento (antropologico, direbbe Pasolini) nelle caratteristiche delle popstar. Che ha a che fare con molti elementi, non da ultimo da un’industria culturale che è molto cambiata. Ci sono tratti comuni con le vecchie popstar? Eccome, le citazioni di Pasolini, ma anche di Terzani, ne sono un esempio. Gli intellettuali e artisti della cultura di massa citati sono solo un campione, che ho ritenuto significativo. Ma potevano essere molti altri.
    2 “Fazio è il nuovo Baudo. E allora?”, ti chiedi. Con Fazio a Domenica In, sostieni, avremmo avuto “popstar” di qualità superiore ai De Crescenzo e ai Bevilacqua che ci ha propinato per anni il Pippone nazionalpopolare. Può darsi, anzi, sicuramente. Ma a parte che Fazio se ne sta nella sua riserva di sinistra (volente o nolente), il che cambia radicalmente il discorso, la sua melassa buonista e chiesastica fa del bene alla causa della crescita culturale del Paese? Non sempre e non completamente. Nel libro provo a spiegare il perché.
    Meglio Pazienza di Gervaso? Beh, sfondi un portone spalancato. C’è da discuterne?
    (Scrivi: “Perché saremmo convinti di vivere etc”…ah! Ma non mi accusavi di antiberlusconismo apocalittico al punto 1? A moi?)
    (segue)

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  10. 3 Il punto terzo è il più interessante e in diverse cose mi trova d’accordo.
    Ovviamente non ho mai immaginato né sostenuto che Allevi è di sinistra. Lo schema di lettura del libro come un pamphlet contro le popstar di sinistra è riduttivo e parziale, come ho spiegato varie volte. I fili che si intrecciano e li collegano tra loro non riguardano solo e sempre la politica, ma il costume, la società, il modo di essere e di pensare degli italiani. Di più, credo che ogni capitolo possa essere letto a se stante, senza per forza costringerlo dentro la camicia di forza di una teoria generale e sistematica.
    Ma per tornare alla politica, uno dei punti, credo, più interessanti, riguarda proprio la collocazione oscillante o incerta di queste popstar: vedi Petrini, vedi Corona. Vedi Saviano. Mi pare giusta la tua riflessione sul fatto che molte di queste popstar nascono a sinistra (o fanno di finta di nascere lì) e poi si spostano (magari provando a non dare troppo nell’occhio) verso altre posizioni. Altrettanto interessante mi sembra il discorso che provo a fare sul fatto che alcuni “valori” e “principi” oscillano pericolosamente tra destra e sinistra, vedi il culto della natura, la tradizione, l’ossessione identitaria, il primitivismo apocalittico. Io offro, o provo a farlo, elementi di riflessione. E, spesso lo vedo sottovalutato, offro anche molti elementi da cronista, di ricostruzione storico-biografica di questi personaggi. Raccontando le loro vite e i meccanismi della loro ascesa al successo credo che si capiscano molte cose. O perlomeno che vengano molti dubbi. A me piacciono i dubbi, mi piace mettere in crisi certezze consolidate, negli altri e in me stesso. Non è anche questo un modo di capire la realtà e di crescere?
    Per finire, grazie ancora dell’analisi e delle critiche. Sono anch’io figlio di questa Italia e di questa sinistra, purtroppo o per fortuna, e non sono immune dai “vizi” che provo a denunciare. Tra i vizi che ho, non c’è quello di considerarmi infallibile o intoccabile o più puro degli altri.
    Un saluto
    Alessandro Trocino

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  11. 3 Il punto terzo è il più interessante e in diverse cose mi trovo d’accordo.
    Ovviamente non ho mai immaginato né sostenuto che Allevi è di sinistra. Lo schema di lettura del libro come un pamphlet contro le popstar di sinistra è riduttivo e parziale, come ho spiegato varie volte. I fili che si intrecciano e li collegano tra loro non riguardano solo e sempre la politica, ma il costume, la società, il modo di essere e di pensare degli italiani. Di più, credo che ogni capitolo possa essere letto a se stante, senza per forza costringerlo dentro la camicia di forza di una teoria generale e sistematica.
    Ma per tornare alla politica, uno dei punti, credo, più interessanti, riguarda proprio la collocazione oscillante o incerta di queste popstar: vedi Petrini, vedi Corona. Vedi Saviano. Mi pare giusta la tua riflessione sul fatto che molte di queste popstar nascono a sinistra (o fanno di finta di nascere lì) e poi si spostano (magari provando a non dare troppo nell’occhio) verso altre posizioni. Altrettanto interessante mi sembra il discorso che provo a fare sul fatto che alcuni “valori” e “principi” oscillano pericolosamente tra destra e sinistra, vedi il culto della natura, la tradizione, l’ossessione identitaria, il primitivismo apocalittico. Io offro, o provo a farlo, elementi di riflessione. E, spesso lo vedo sottovalutato, offro anche molti elementi da cronista, di ricostruzione storico-biografica di questi personaggi. Raccontando le loro vite e i meccanismi della loro ascesa al successo credo che si capiscano molte cose. O perlomeno che vengano molti dubbi. A me piacciono i dubbi, mi piace mettere in crisi certezze consolidate, negli altri e in me stesso. Non è anche questo un modo di capire la realtà e di crescere?
    Per finire, grazie ancora dell’analisi e delle critiche. Sono anch’io figlio di questa Italia e di questa sinistra, purtroppo o per fortuna, e non sono immune dai “vizi” che provo a denunciare. Tra i vizi che ho, non c’è quello di considerarmi infallibile o intoccabile o più puro degli altri.
    Un saluto
    Alessandro Trocino

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  12. Sono un po' in imbarazzo: è la prima volta, direi, che un autore commenta una mia recensione, e l'antispam mi fa pure fare una brutta figura.

    C'è da dire che questa era solo una metà del pezzo, e probabilmente la più debole: gli spunti più interessanti me li tenevo per la prossima settimana (purtroppo il blog è la riserva dei grafomani). Però in effetti dove ho scritto "alcune obiezioni" sarebbe stato meglio scrivere "alcuni spunti", perché a ben vedere fin qui delle vere obiezioni a quello che scrivi non ci sono.

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  13. Buffo. Ricorda ancora Woody Allen, quando (cos'era? Io e Annie?) nel mezzo di una conversazione fatta nella fila al cinema immagina di far apparire McLuhan e fargli dire "Lei non ha capito assolutamente nulla del mio lavoro".
    Attendiamo la seconda parte del pezzo, sarà interessante.

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  14. Che cosa carina, un autore che commenta una "recensione" online del suo libro.

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