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Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
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domenica 30 dicembre 2001
venerdì 28 dicembre 2001
Deliri di Natale - 2
Dreaming I saw Marzullo
Certe sere che sono solo in casa, e so che nessun telefono o campanello suonerà, mi piace addormentarmi sul divano, sì, con la tv accesa.
L’altra sera avevo appena chiuso gli occhi, quando mi è apparso davanti un angelo con la frangetta nera e il volto familiare, che mi chiedeva: “Secondo lei la vita è sogno o i sogni aiutano a…”
“…’inchia”, ho risposto io. “Ma non potevo sognarmi Enzo Biagi, almeno?”
“Eh, avrebbe dovuto prender sonno un po’ prima, lo sa”.
“Lo so, lo so, e poi dovrei bere meno, interessarmi di più ai miei amici e imparare a usare la lavatrice, e poi? C’è altro?”
“Guardi, non sono mica venuto qui a fare polemiche. Solo un po’ di domande. Il consuntivo di fine anno, come consueto”.
“Come consueto, va bene. Però non le prometto niente di sincero”.
“E allora: positivo o negativo?”
“Beh, lei che dice? Dopo 12 mesi mi ritrova sullo stesso divano. Le pare normale?”
“Succede a molti”.
“Alla mia età? Con tutta la flessibilità e l’elasticità e i traffici di risorse umane che ci sono là fuori? Mi faccia il piacere”.
“Magari vuol soltanto dire che è soddisfatto del posto dove sta”.
“Soddisfatto, io le sembro un tipo soddisfatto? Le sembro un tipo soddisfabile?”.
“Lei pensa che, se fosse soddisfatto, se ne accorgerebbe?”
“Non lo so. Non sono mai stato soddisfatto in vita mia”.
“Quest’anno però sono successe molte cose… per esempio, è diventato un rivoluzionario… una conversione inaspettata, no?”
“Balle. Io sono sempre stato così. Posso citarle un articolo del Novantasei dove parlo di globalizzazione e dico esattamente…”.
“Sì, ma prima, se permette, erano solo parole. Adesso si sta dando fare. Le ho dato un occhio: ha comprato un sacco di biglietti. È stato in un sacco di posti. Questa è una novità. Cos’è successo?”
“Ma niente di straordinario. Ho solo scoperto che sono autosufficiente”.
“Autosufficiente? Ne è sicuro?”
“Beh, a parte forse il conto del dentista… Prima mi ero sempre sentito un investimento dei miei genitori. Non mi andava di fare il rivoluzionario a spese loro, capisce”.
“Lei ha due ottimi genitori che le hanno permesso qualsiasi cosa”.
“Lo so, lo so, e gli voglio bene. Anche a mio fratello. Però adesso sto un po’ meglio”.
"Ha raggiunto un equilibrio, diciamo".
"Sì, ma basterebbe così poco... un cofano ammaccato, un dente da cavare... queste piccole stupide cose mi fanno ancora paura... dovrei essere al riparo da queste miserie, ormai... dovrei aver raggiunto da un pezzo la classe media. Perché arranco? Cosa c'è che non va con me?"
“Però tutto sommato il bilancio è positivo”.
“Ma neanche per sogno. Lei legge troppo il mio blog. Lasci perdere, sono tutte puttanate, io sono il coglione di sempre. Non ne imbrocco una. Sono patetico. E la fuori c’è una persona in più che non vuol più parlare con me”.
“Guardiamo i lati positivi. Mi dica la cosa che nel 2001 l’ha resa più fiera”.
“Vediamo… mmm… in ottobre ho riparato il carico del lavello, da solo”.
“È da allora che non c’è più acqua calda in cucina”.
“Ah, lo sa… sì, devo darci un’occhiata… è che non ho mai tempo…”
“È che lei lascia sempre i lavori a mezzo”.
“Sì”.
“E la cosa che l’ha resa più felice?”
“Una mail. Magari non l’avessi mai ricevuta. Perché Virgilio funziona sempre nei momenti sbagliati?”.
“E la cosa che ritiene più imbarazzante?”
“Euh… il modo in cui mi trattano le donne”.
“Già il fatto che ne parli al plurale…”
“Sì… non si dovrebbe… il problema è che sto diventando una specie di ragazzo facile… a volte m’immagino i discorsi da spogliatoi femminili del tipo: “E Ognibene, te lo sei fatto?”
“Mmmsì, niente di che, ahah”. Cioè dov’è la dignità? Dov’è la gloria?”
“Ha avuto solo qualche tentativo sfortunato, tutto qui”.
“No, qui c’è qualcosa più, qualcosa di profondo. Io non capisco le donne. Sono strane! Attaccano nelle stanze foto di bambini nudi! Se io attacco nella mia stanza una foto di bambino nudo vengo processato per direttissima, loro invece si sentono buone. Non sono buone!”
“Dipenderà da caso a caso”.
“…e poi non fanno che dire cose tipo “Devi essere spontaneo… devi essere te stesso…” Ma io sono già me stesso, per definizione. E se mi giudichi continuamente come faccio a essere spontaneo, porcaputt…”
“Ma lei che cosa cerca, veramente?”
“Non lo so… Esiste al mondo una persona che di cui io mi potrei fidare, illimitatamente? Qualcuno che non avrei in continuazione il terrore di perdere? Esiste? Me lo dica”.
“La domanda è mal posta. Lei dovrebbe piuttosto chiedersi: qualcuno potrebbe mai fidarsi illimitatamente di lei?”.
“E perché? Non la seguo”.
“Ha ragione, non è cambiato di un grammo”.
“È così”.
“Allora nel bilancio ci metto stabile… però segno un anno in più, o in meno, a seconda del punto di vista”.
“Senta, ma noi ci conosciamo bene, ormai…”
“Sì, e allora?”
“Io so che ci sono angeli che propongono delle vite alternative… cioè, se a qualcuno il bilancio va male gli propongono una vita di scorta… lei non ha niente da proporre, no?”
“È male informato. Quelli non sono angeli, hanno le corna e fanno dei contratti capestro. Li lasci perdere”.
“Quindi lei non ha proprio vite alternative per me?”
“Oddio, se proprio insiste… vediamo cosa ho qui… coltivatore diretto in Tanzania… le può interessare”.
“Ma in Tanzania fanno la fame!”
“Lì e in tanti altri posti. Oppure allevatore in Mongolia”.
“Un po’ noioso”.
“Prostituta a Sumatra”.
“Sta scherzando, spero”.
“No, sono le uniche proposte che posso farle. Non sono mica un pezzo grosso, io”.
“Va bene, allora niente. Resto qui”.
“Perfetto. Ci vediamo l’anno prossimo”.
“Sempre lei? Non potrebbe mandarmi una faccia diversa? Magari una donna…”.
“Chiederò a Catherine Spaak. Auguri di buon anno”.
“Gli auguri portano sfiga”.
“La sfiga non esiste”.
“E lei, invece?”
Quando mi svegliai, in tv davano un documentario sulla prostituzione in Indonesia. Sconsolato, guadagnai il letto. Un anno in più, un anno in meno. Buon anno a tutti.
Dreaming I saw Marzullo
Certe sere che sono solo in casa, e so che nessun telefono o campanello suonerà, mi piace addormentarmi sul divano, sì, con la tv accesa.
L’altra sera avevo appena chiuso gli occhi, quando mi è apparso davanti un angelo con la frangetta nera e il volto familiare, che mi chiedeva: “Secondo lei la vita è sogno o i sogni aiutano a…”
“…’inchia”, ho risposto io. “Ma non potevo sognarmi Enzo Biagi, almeno?”
“Eh, avrebbe dovuto prender sonno un po’ prima, lo sa”.
“Lo so, lo so, e poi dovrei bere meno, interessarmi di più ai miei amici e imparare a usare la lavatrice, e poi? C’è altro?”
“Guardi, non sono mica venuto qui a fare polemiche. Solo un po’ di domande. Il consuntivo di fine anno, come consueto”.
“Come consueto, va bene. Però non le prometto niente di sincero”.
“E allora: positivo o negativo?”
“Beh, lei che dice? Dopo 12 mesi mi ritrova sullo stesso divano. Le pare normale?”
“Succede a molti”.
“Alla mia età? Con tutta la flessibilità e l’elasticità e i traffici di risorse umane che ci sono là fuori? Mi faccia il piacere”.
“Magari vuol soltanto dire che è soddisfatto del posto dove sta”.
“Soddisfatto, io le sembro un tipo soddisfatto? Le sembro un tipo soddisfabile?”.
“Lei pensa che, se fosse soddisfatto, se ne accorgerebbe?”
“Non lo so. Non sono mai stato soddisfatto in vita mia”.
“Quest’anno però sono successe molte cose… per esempio, è diventato un rivoluzionario… una conversione inaspettata, no?”
“Balle. Io sono sempre stato così. Posso citarle un articolo del Novantasei dove parlo di globalizzazione e dico esattamente…”.
“Sì, ma prima, se permette, erano solo parole. Adesso si sta dando fare. Le ho dato un occhio: ha comprato un sacco di biglietti. È stato in un sacco di posti. Questa è una novità. Cos’è successo?”
“Ma niente di straordinario. Ho solo scoperto che sono autosufficiente”.
“Autosufficiente? Ne è sicuro?”
“Beh, a parte forse il conto del dentista… Prima mi ero sempre sentito un investimento dei miei genitori. Non mi andava di fare il rivoluzionario a spese loro, capisce”.
“Lei ha due ottimi genitori che le hanno permesso qualsiasi cosa”.
“Lo so, lo so, e gli voglio bene. Anche a mio fratello. Però adesso sto un po’ meglio”.
"Ha raggiunto un equilibrio, diciamo".
"Sì, ma basterebbe così poco... un cofano ammaccato, un dente da cavare... queste piccole stupide cose mi fanno ancora paura... dovrei essere al riparo da queste miserie, ormai... dovrei aver raggiunto da un pezzo la classe media. Perché arranco? Cosa c'è che non va con me?"
“Però tutto sommato il bilancio è positivo”.
“Ma neanche per sogno. Lei legge troppo il mio blog. Lasci perdere, sono tutte puttanate, io sono il coglione di sempre. Non ne imbrocco una. Sono patetico. E la fuori c’è una persona in più che non vuol più parlare con me”.
“Guardiamo i lati positivi. Mi dica la cosa che nel 2001 l’ha resa più fiera”.
“Vediamo… mmm… in ottobre ho riparato il carico del lavello, da solo”.
“È da allora che non c’è più acqua calda in cucina”.
“Ah, lo sa… sì, devo darci un’occhiata… è che non ho mai tempo…”
“È che lei lascia sempre i lavori a mezzo”.
“Sì”.
“E la cosa che l’ha resa più felice?”
“Una mail. Magari non l’avessi mai ricevuta. Perché Virgilio funziona sempre nei momenti sbagliati?”.
“E la cosa che ritiene più imbarazzante?”
“Euh… il modo in cui mi trattano le donne”.
“Già il fatto che ne parli al plurale…”
“Sì… non si dovrebbe… il problema è che sto diventando una specie di ragazzo facile… a volte m’immagino i discorsi da spogliatoi femminili del tipo: “E Ognibene, te lo sei fatto?”
“Mmmsì, niente di che, ahah”. Cioè dov’è la dignità? Dov’è la gloria?”
“Ha avuto solo qualche tentativo sfortunato, tutto qui”.
“No, qui c’è qualcosa più, qualcosa di profondo. Io non capisco le donne. Sono strane! Attaccano nelle stanze foto di bambini nudi! Se io attacco nella mia stanza una foto di bambino nudo vengo processato per direttissima, loro invece si sentono buone. Non sono buone!”
“Dipenderà da caso a caso”.
“…e poi non fanno che dire cose tipo “Devi essere spontaneo… devi essere te stesso…” Ma io sono già me stesso, per definizione. E se mi giudichi continuamente come faccio a essere spontaneo, porcaputt…”
“Ma lei che cosa cerca, veramente?”
“Non lo so… Esiste al mondo una persona che di cui io mi potrei fidare, illimitatamente? Qualcuno che non avrei in continuazione il terrore di perdere? Esiste? Me lo dica”.
“La domanda è mal posta. Lei dovrebbe piuttosto chiedersi: qualcuno potrebbe mai fidarsi illimitatamente di lei?”.
“E perché? Non la seguo”.
“Ha ragione, non è cambiato di un grammo”.
“È così”.
“Allora nel bilancio ci metto stabile… però segno un anno in più, o in meno, a seconda del punto di vista”.
“Senta, ma noi ci conosciamo bene, ormai…”
“Sì, e allora?”
“Io so che ci sono angeli che propongono delle vite alternative… cioè, se a qualcuno il bilancio va male gli propongono una vita di scorta… lei non ha niente da proporre, no?”
“È male informato. Quelli non sono angeli, hanno le corna e fanno dei contratti capestro. Li lasci perdere”.
“Quindi lei non ha proprio vite alternative per me?”
“Oddio, se proprio insiste… vediamo cosa ho qui… coltivatore diretto in Tanzania… le può interessare”.
“Ma in Tanzania fanno la fame!”
“Lì e in tanti altri posti. Oppure allevatore in Mongolia”.
“Un po’ noioso”.
“Prostituta a Sumatra”.
“Sta scherzando, spero”.
“No, sono le uniche proposte che posso farle. Non sono mica un pezzo grosso, io”.
“Va bene, allora niente. Resto qui”.
“Perfetto. Ci vediamo l’anno prossimo”.
“Sempre lei? Non potrebbe mandarmi una faccia diversa? Magari una donna…”.
“Chiederò a Catherine Spaak. Auguri di buon anno”.
“Gli auguri portano sfiga”.
“La sfiga non esiste”.
“E lei, invece?”
Quando mi svegliai, in tv davano un documentario sulla prostituzione in Indonesia. Sconsolato, guadagnai il letto. Un anno in più, un anno in meno. Buon anno a tutti.
lunedì 24 dicembre 2001
deliri di Natale –1
il progetto Roadrunner
C'è in giro un sacco di gente che spara cattiverie, stupidaggini, che scrive anche cose non vere pur di far ridere o di mettere in cattiva luce qualche personaggio…Com’è vero…
Chi in questi giorni non avesse niente, ma veramente niente di meglio da fare che leggermi il sito, si sarà chiesto cosa c’è che non va con Wile. Perché litighiamo sempre? Cosa c’è sotto?
Beh, i tempi sono maturi per cominciare a togliere qualche velo dalla nuda verità.
Fu qualche anno fa, su un volo di linea.
A quel tempo W. faceva un mestiere ancor più orribile di oggi.
Dovete sapere che anche i pannolini delle multinazionali, come qualsiasi altra cosa, a volte escono difettosi, e alle mamme tocca buttare via il bambino coi panni sporchi (da cui il proverbio). In questi casi W. interveniva, come perito di parte, e con l’aiuto di appositi grafici e freccette dimostrava che era tutta colpa del poppante che non aveva letto bene le istruzioni, per cui le mamme il rimborso se lo potevano sognare.
W. era bravo nel suo mestiere, ma sentiva che qualcosa non andava. Faceva fatica a dormire. Faceva cose strane, come chiudersi in cesso col catalogo ikea o mettersi a parlare da solo in mezzo alla gente. Per tirarsi su di morale andava ai corsi di autoaiuto per malati terminali. Cose così. Non poteva continuare.
Fu in quel periodo che l'incontrai. Eravamo seduti di fianco su quell'aereo. Lui mi raccontò un po' della sua vita, attaccò tutta una pezza sulle razioni monodose, disse che tutta la sua vita era una razione monodose. Io deviai la discussione sugli esplosivi. A quel tempo, in effetti, facevo il traff… il rappresentante di esplosivi. Un lavoro come un altro, anche il mio.
Quel ragazzo mi fece veramente impressione. Capii che non poteva andare avanti a lungo, che sarebbe impazzito. Così una volta a terra mi precipitai a casa sua e gliela feci saltare con un estintore-*olotov (sono un tipo pieno di risorse, io).
La sera stessa mi telefonò, da una cabina. Mi spiegò che tutto quello che gli era rimasto al mondo era il biglietto dell’aereo con il mio numero di telefono scritto a penna. “No problem, amico”, gli dissi io. “Puoi venire a stare a casa mia”.
Proprio così, Wile è stato in santamargherita! E secondo me si è pure divertito. Quando pioveva dentro giocavamo a barchette con le bollette del gas. Poi andavamo a berci una birra e a tirarci un paio di cartoni. A volte combinavamo anche degli incidenti in macchina.
Bei tempi.
Ma io avevo dei progetti un po’ più importanti su di lui., e così ho dovuto lasciarlo per un po’. Quando sono partito, dormiva come un agnellino.
Al suo risveglio, alcune cose non gli quadravano. La casa era piena di individui in tuta nera e passamontagna, che lo trattavano con deferenza, ma interrogati non rispondevano. E io dov’ero finito? In un cassetto della mia camera c’era un mazzo di biglietti d’aereo. Si mise a cercarmi in giro per l’Italia.
Ovunque riceveva risposte evasive. Alcuni gli rifilavano terribili fandonie sul mio conto, dicevano che ero il capo dei blecbloc, che facevo cascare i grattacieli, o che consumavo sessanta vergini a serata. Altri dicevano che non esistevo, e intanto strizzavano l'occhio.
Il curioso è che in ogni posto in cui arrivava sapeva già a chi chiedere. In un modo o nell’altro, riusciva a imbattersi sempre in individui spregevoli che in qualche modo mostravano di avere avuto contatto con me, e col misterioso “Progetto Roadrunner”.
Venne così a contatto con la feccia del pianeta: i bloggers.
Alcuni credono che i bloggers siano persone vere, che raccontano la loro vita a chicchessia. Balle. È l’ora di squarciare un altro velo sull’altare della verità: i bloggers non sono mai quello che sembrano!
Prendi Vanessa… beh, i post glieli scrive tutti Lakes! E viceversa! Del resto, anch’io non sono io, sono Ludik. (Nei giorni pari. In quelli dispari faccio Polaroid).
Ma questo è niente. Sapete perché Biccio alleva tanti gatti? Per mangiarli vivi la notte di Natale! E se vi sembra una pratica discutibile, pensate a Rillo che alleva i bambini…
La 500 di Broono è una copertura. Lui gira in Porsche. Tranne quando passa, una volta all’anno, con un caterpillar di carbone per me. Ma stavolta sono stato buono, Broono…
Freefall l’estate molla tutto e va a cacciare balene nell’Oceano Pacifico. (“Laggiù soffia…”)
E che dire di Frederic? Lui dice sempre: “vado a Madrid… vado a Parigi…”. Non è vero niente! Si chiude in casa coi fumetti di Batman e Devil, stacca il telefono e tira giù le tapparelle, e così tutti credono che è via.
Come Blogorroico, che in realtà fa il rappresentante di ceramiche, e di computer non ne sa assolutamente un k… ogni tanto spara dei tag a caso e la gente ci casca, perché è più fessa di lui.
E Max di Blogico? Perché è stato ricoverato? non lo indovinerete mai...Sì … Max ha cambiato sesso! Anche se non si è ancora capito quale.
Quanto a Shake… lo sapete perché scrive così poco? Perché è troppo indaffarato a scrivere i romanzi di De Carlo. Shake, ma lascialo perdere, quell’ingrato.
Un altro segreto di Pulcinella è l’identità segreta di Bellachioma, che in realtà è Roberto Vecchioni, il quale, siccome nessuno gli faceva un sito, ha deciso di spacciarsi per una sua fan. Ma valà, Roberto, una tua fan, chi ci crede? Come se Martina di Weblogz fosse Meneghin!
(Un momento... adesso che ci penso nessuno ha mai visto Martina e Meneghin nello stesso posto. Cioè, ogni volta che t'imbatti in Meneghin, Martina è appena sparita. Come Superman e Clark Kent. Cosa c'è sotto?)
I due peggiori comunque sono Valido e Alternativamente, che la sera si eccitano con le videocassette dei goal di Gullit e Van Basten.
Chi altro c’è? Ah, la Pizia. Beh, la Pizia… non c’entra. La Pizia ha una cospirazione tutta sua.
Non so se posso dirlo qui… sapete quel tale saudita che cercavano in tutto l’Afghanistan? Beh… io avrei cercato anche altrove… a Chicago, magari… o nei pressi di Ostia… una barba finta si fa presto a incollare e scollare… e i gattini neri al metal detector risultano trasparenti… nell'ambiente è cosa nota.
Gli altri bloggers non esistono proprio, li scrive tutti l'uomonero per tenersi compagnia. In effetti non esiste nemmeno la realtà come noi la intendiamo: è tutta una simulazione virtuale che noi chiamiamo Uomonero (Oznamor per gli amici).
Morale: ragazzi, state alla larga dai bloggers. È brutta gente.
Quanta ipocrisia, quanta perfidia, quante turpitudini... io li adoro.
Cioè, in realtà non vi conosco, ma mi siete simpatici. Buon Natale, ovunque voi siate
il progetto Roadrunner
C'è in giro un sacco di gente che spara cattiverie, stupidaggini, che scrive anche cose non vere pur di far ridere o di mettere in cattiva luce qualche personaggio…Com’è vero…
Chi in questi giorni non avesse niente, ma veramente niente di meglio da fare che leggermi il sito, si sarà chiesto cosa c’è che non va con Wile. Perché litighiamo sempre? Cosa c’è sotto?
Beh, i tempi sono maturi per cominciare a togliere qualche velo dalla nuda verità.
Fu qualche anno fa, su un volo di linea.
A quel tempo W. faceva un mestiere ancor più orribile di oggi.
Dovete sapere che anche i pannolini delle multinazionali, come qualsiasi altra cosa, a volte escono difettosi, e alle mamme tocca buttare via il bambino coi panni sporchi (da cui il proverbio). In questi casi W. interveniva, come perito di parte, e con l’aiuto di appositi grafici e freccette dimostrava che era tutta colpa del poppante che non aveva letto bene le istruzioni, per cui le mamme il rimborso se lo potevano sognare.
W. era bravo nel suo mestiere, ma sentiva che qualcosa non andava. Faceva fatica a dormire. Faceva cose strane, come chiudersi in cesso col catalogo ikea o mettersi a parlare da solo in mezzo alla gente. Per tirarsi su di morale andava ai corsi di autoaiuto per malati terminali. Cose così. Non poteva continuare.
Fu in quel periodo che l'incontrai. Eravamo seduti di fianco su quell'aereo. Lui mi raccontò un po' della sua vita, attaccò tutta una pezza sulle razioni monodose, disse che tutta la sua vita era una razione monodose. Io deviai la discussione sugli esplosivi. A quel tempo, in effetti, facevo il traff… il rappresentante di esplosivi. Un lavoro come un altro, anche il mio.
Quel ragazzo mi fece veramente impressione. Capii che non poteva andare avanti a lungo, che sarebbe impazzito. Così una volta a terra mi precipitai a casa sua e gliela feci saltare con un estintore-*olotov (sono un tipo pieno di risorse, io).
La sera stessa mi telefonò, da una cabina. Mi spiegò che tutto quello che gli era rimasto al mondo era il biglietto dell’aereo con il mio numero di telefono scritto a penna. “No problem, amico”, gli dissi io. “Puoi venire a stare a casa mia”.
Proprio così, Wile è stato in santamargherita! E secondo me si è pure divertito. Quando pioveva dentro giocavamo a barchette con le bollette del gas. Poi andavamo a berci una birra e a tirarci un paio di cartoni. A volte combinavamo anche degli incidenti in macchina.
Bei tempi.
Ma io avevo dei progetti un po’ più importanti su di lui., e così ho dovuto lasciarlo per un po’. Quando sono partito, dormiva come un agnellino.
Al suo risveglio, alcune cose non gli quadravano. La casa era piena di individui in tuta nera e passamontagna, che lo trattavano con deferenza, ma interrogati non rispondevano. E io dov’ero finito? In un cassetto della mia camera c’era un mazzo di biglietti d’aereo. Si mise a cercarmi in giro per l’Italia.
Ovunque riceveva risposte evasive. Alcuni gli rifilavano terribili fandonie sul mio conto, dicevano che ero il capo dei blecbloc, che facevo cascare i grattacieli, o che consumavo sessanta vergini a serata. Altri dicevano che non esistevo, e intanto strizzavano l'occhio.
Il curioso è che in ogni posto in cui arrivava sapeva già a chi chiedere. In un modo o nell’altro, riusciva a imbattersi sempre in individui spregevoli che in qualche modo mostravano di avere avuto contatto con me, e col misterioso “Progetto Roadrunner”.
Venne così a contatto con la feccia del pianeta: i bloggers.
Alcuni credono che i bloggers siano persone vere, che raccontano la loro vita a chicchessia. Balle. È l’ora di squarciare un altro velo sull’altare della verità: i bloggers non sono mai quello che sembrano!
Prendi Vanessa… beh, i post glieli scrive tutti Lakes! E viceversa! Del resto, anch’io non sono io, sono Ludik. (Nei giorni pari. In quelli dispari faccio Polaroid).
Ma questo è niente. Sapete perché Biccio alleva tanti gatti? Per mangiarli vivi la notte di Natale! E se vi sembra una pratica discutibile, pensate a Rillo che alleva i bambini…
La 500 di Broono è una copertura. Lui gira in Porsche. Tranne quando passa, una volta all’anno, con un caterpillar di carbone per me. Ma stavolta sono stato buono, Broono…
Freefall l’estate molla tutto e va a cacciare balene nell’Oceano Pacifico. (“Laggiù soffia…”)
E che dire di Frederic? Lui dice sempre: “vado a Madrid… vado a Parigi…”. Non è vero niente! Si chiude in casa coi fumetti di Batman e Devil, stacca il telefono e tira giù le tapparelle, e così tutti credono che è via.
Come Blogorroico, che in realtà fa il rappresentante di ceramiche, e di computer non ne sa assolutamente un k… ogni tanto spara dei tag a caso e la gente ci casca, perché è più fessa di lui.
E Max di Blogico? Perché è stato ricoverato? non lo indovinerete mai...Sì … Max ha cambiato sesso! Anche se non si è ancora capito quale.
Quanto a Shake… lo sapete perché scrive così poco? Perché è troppo indaffarato a scrivere i romanzi di De Carlo. Shake, ma lascialo perdere, quell’ingrato.
Un altro segreto di Pulcinella è l’identità segreta di Bellachioma, che in realtà è Roberto Vecchioni, il quale, siccome nessuno gli faceva un sito, ha deciso di spacciarsi per una sua fan. Ma valà, Roberto, una tua fan, chi ci crede? Come se Martina di Weblogz fosse Meneghin!
(Un momento... adesso che ci penso nessuno ha mai visto Martina e Meneghin nello stesso posto. Cioè, ogni volta che t'imbatti in Meneghin, Martina è appena sparita. Come Superman e Clark Kent. Cosa c'è sotto?)
I due peggiori comunque sono Valido e Alternativamente, che la sera si eccitano con le videocassette dei goal di Gullit e Van Basten.
Chi altro c’è? Ah, la Pizia. Beh, la Pizia… non c’entra. La Pizia ha una cospirazione tutta sua.
Non so se posso dirlo qui… sapete quel tale saudita che cercavano in tutto l’Afghanistan? Beh… io avrei cercato anche altrove… a Chicago, magari… o nei pressi di Ostia… una barba finta si fa presto a incollare e scollare… e i gattini neri al metal detector risultano trasparenti… nell'ambiente è cosa nota.
Gli altri bloggers non esistono proprio, li scrive tutti l'uomonero per tenersi compagnia. In effetti non esiste nemmeno la realtà come noi la intendiamo: è tutta una simulazione virtuale che noi chiamiamo Uomonero (Oznamor per gli amici).
Morale: ragazzi, state alla larga dai bloggers. È brutta gente.
Quanta ipocrisia, quanta perfidia, quante turpitudini... io li adoro.
Cioè, in realtà non vi conosco, ma mi siete simpatici. Buon Natale, ovunque voi siate
domenica 23 dicembre 2001
E lui sa che è triste anche se è natale
Per tutti e per lui
E sa che son stanchi
E piange ogni giorno per i suoi abitanti...
Buon Natale sensa se e sensa ma
Non è tanto il fatto di alzarsi a quest’ora e bere una lemonsoda… (chi può avere messo una cosa del genere nel nostro frigo?)
Ma è piuttosto il fatto di svegliarsi al pensiero: “devo assolutamente bere quella lemonsoda che c’è nel frigo!”, è questa cosa che mi spaventa.
Mettiamola così:
due cose al mondo, due sole cose possono farmi triste: il Natale e i matrimoni.
Perciò, capite che invitarmi a un matrimonio sotto Natale è veramente uno scherzo crudele.
Che sia un messaggio del Destino? Ma non potrebbe, il destino, mandarmi una semplice e-mail come fanno tutti? Ciao, brutto stronso, volevo dirti che ti odio. Tuo, il Destino. È così semplice…
(Scherzo… gente, invitatemi a vostri matrimoni. Ho un bel repertorio, al terzo brindisi so tutte le canzoni di Battisti, e le suono come Jimmy Page)
Sarà più evidente domani
A star troppo da soli si diventa strani
E in mezzo a tanta cultura...
Di altre due cose il 2001 mi ha fatto dono in abbondanza: le manifestassioni e i concerti di addio dei Lomas. Ma quanti casso ne hanno fatti? O sono io che ogni volta che capito a Libera c’è un concerto d’addio?
Ma poi cosa importa. Auguri, Lomas. Cento di addii.
...Ma dentro la Città vecchia ha paura
Ma dov’è che comprerai i regali
In un Centro di mille luci bastarde che piange ogni giorno per te
Quanto alle manifestassioni, a volte vengono bene, a volte male, ma farne in Centro sotto Natale è stata veramente una scommessa. Beh, diciamo che l’abbiamo vinta.
Non dico che fossimo in tanti, eh? Togli quelli che stavano semplicemente transitando da un negossio all’altro e si sono ritrovati intrappolati da due striscioni, rimangono quelle solite soquante centinaia di persone.
Diciamo anche che son stati più veloci gli americani a vincere la guerra che noi modenesi a fargli una manifestazione contro...
Però eravamo ben organissati, ecco. Mi è piaciuto, ma faceva freddo e mi è venuta voglia di grappa, poi sono andato a un matrimonio, poi a un concerto d’addio dei Lomas, adesso perché sorprendermi se mi sveglio con una voglia di lemonsoda?
Carpi
che è un posto come tutti gli altri
e sei tu che hai problemi e non loro…
La cosa migliore del corteo? Lo striscione “NO ALLA GUERRA SENSA SE E SENSA MA”
Sì avete letto bene.
Poi lo sapete che ho un debole per i lapsus e gli errori (degli altri) perciò… ma perché l’avete corretto all’ultimo momento? Era bellissimo.
Buon Natale, ragassi. Grassie di tutto, e di cuore. No, ma veramente.
Per tutti e per lui
E sa che son stanchi
E piange ogni giorno per i suoi abitanti...
Buon Natale sensa se e sensa ma
Non è tanto il fatto di alzarsi a quest’ora e bere una lemonsoda… (chi può avere messo una cosa del genere nel nostro frigo?)
Ma è piuttosto il fatto di svegliarsi al pensiero: “devo assolutamente bere quella lemonsoda che c’è nel frigo!”, è questa cosa che mi spaventa.
Mettiamola così:
due cose al mondo, due sole cose possono farmi triste: il Natale e i matrimoni.
Perciò, capite che invitarmi a un matrimonio sotto Natale è veramente uno scherzo crudele.
Che sia un messaggio del Destino? Ma non potrebbe, il destino, mandarmi una semplice e-mail come fanno tutti? Ciao, brutto stronso, volevo dirti che ti odio. Tuo, il Destino. È così semplice…
(Scherzo… gente, invitatemi a vostri matrimoni. Ho un bel repertorio, al terzo brindisi so tutte le canzoni di Battisti, e le suono come Jimmy Page)
Sarà più evidente domani
A star troppo da soli si diventa strani
E in mezzo a tanta cultura...
Di altre due cose il 2001 mi ha fatto dono in abbondanza: le manifestassioni e i concerti di addio dei Lomas. Ma quanti casso ne hanno fatti? O sono io che ogni volta che capito a Libera c’è un concerto d’addio?
Ma poi cosa importa. Auguri, Lomas. Cento di addii.
...Ma dentro la Città vecchia ha paura
Ma dov’è che comprerai i regali
In un Centro di mille luci bastarde che piange ogni giorno per te
Quanto alle manifestassioni, a volte vengono bene, a volte male, ma farne in Centro sotto Natale è stata veramente una scommessa. Beh, diciamo che l’abbiamo vinta.
Non dico che fossimo in tanti, eh? Togli quelli che stavano semplicemente transitando da un negossio all’altro e si sono ritrovati intrappolati da due striscioni, rimangono quelle solite soquante centinaia di persone.
Diciamo anche che son stati più veloci gli americani a vincere la guerra che noi modenesi a fargli una manifestazione contro...
Però eravamo ben organissati, ecco. Mi è piaciuto, ma faceva freddo e mi è venuta voglia di grappa, poi sono andato a un matrimonio, poi a un concerto d’addio dei Lomas, adesso perché sorprendermi se mi sveglio con una voglia di lemonsoda?
Carpi
che è un posto come tutti gli altri
e sei tu che hai problemi e non loro…
La cosa migliore del corteo? Lo striscione “NO ALLA GUERRA SENSA SE E SENSA MA”
Sì avete letto bene.
Poi lo sapete che ho un debole per i lapsus e gli errori (degli altri) perciò… ma perché l’avete corretto all’ultimo momento? Era bellissimo.
Buon Natale, ragassi. Grassie di tutto, e di cuore. No, ma veramente.
venerdì 21 dicembre 2001
La parificazione dei beni.
Sono un coglione anch’io, ci mancherebbe altro.
Sulla scuola, per esempio, è sicuro che mi sbaglio. La parificazione l’ha già fatta il governo di sinistra, no? Per la verità non mi pare che studenti e professori siano stati molto teneri con De Mauro e Berlinguer.
Beh, si sbagliavano.
La parificazione è una cosa sacrosanta. Infatti, come dice Wile, è un reato pretendere che un italiano possa scegliere se mandare i figli in una scuola pubblica o in una privata senza dover pagare due volte? Perbacco, no!
Per dirla con l’ottimo Giuseppe Carbone, la differenza non è più tra scuola pubblica e scuola privata, ma - stando ad una più attenta interpretazione della Costituzione - la distinzione va fatta tra “scuola pubblica statale” e “scuola pubblica non statale”.
Distinzione davvero interessante! Una cosa è il ‘pubblico’, una cosa è lo ‘statale’, c’è una bella differenza…
Difatti, proprio per evitare che restino o diventino scuole dei ricchi, è opportuno che anche gli istituti non statali abbiano il sostegno economico dello Stato, senza il quale sarebbero costretti a finanziarsi con le sole rette degli studenti.
Che posso dire? Lode al compagno Berlinguer, al compagno De Mauro, alla compagna Moratti, e soprattutto alla nostra beneamata guida, il Presidente Berlusconi, che dall’alto approva e benedice quest’impresa: la statalizzazione delle scuole private. Altro che privatizzazione, come dicono gli studenti! Ma cosa vuoi che ne sappiano, gli studenti! Con le scuole che fanno…
La parificazione delle scuole è un primo passo verso la comunione dei beni. Ma si potrebbe fare molto di più, Presidente.
Per esempio: esistono i cosiddetti mezzi pubblici, che poi non sono un granché. Ma sono pubblici, perché si finanziano anche con le tasse mie!
Io non li uso mai, perché ho una macchina (veramente è di mio padre, ma me ne sono impossessato). Beh, e allora? Spostarmi in macchina è un mio diritto. Poi, a Modena, se non sei motorizzato, non sei nessuno.
Ora, il fatto che, dopo aver fatto il pieno di gasolio, io debba anche pagare le tasse per il trasporto pubblico, mi sembra francamente assurdo.
Voglio la libertà di scegliere! Voglio parificare la mia macchina! Voglio il buono-gasolio! Sennò non è giusto.
C’è stato un tempo, è vero, in cui credevo che i buoni scuola fossero uno scempio. Mi spaventava il modello lombardo: 15 miliardi di contributi all’1 per cento degli studenti, quasi tutti allievi di scuole private (ops…“pubbliche non statali”), e quasi tutti con redditi superiori ai 30 milioni pro-capite.
Mi sbagliavo. Era l’odio di classe che mi accecava. Ce l’avevo coi ricchi: perché? I ricchi sono persone come le altre. Hanno i diritti che hanno tutti gli altri. Siamo in democrazia, cristosanto.
Adesso è diverso. Perché? Sarà l’età, e poi adesso ho un lavoro, un affitto, una macchina. Soprattutto la macchina.
Quando ho fretta, e mi capita di rimanere dietro a un autobus mi viene una rabbia… una rabbia…
Sono un coglione anch’io, ci mancherebbe altro.
Sulla scuola, per esempio, è sicuro che mi sbaglio. La parificazione l’ha già fatta il governo di sinistra, no? Per la verità non mi pare che studenti e professori siano stati molto teneri con De Mauro e Berlinguer.
Beh, si sbagliavano.
La parificazione è una cosa sacrosanta. Infatti, come dice Wile, è un reato pretendere che un italiano possa scegliere se mandare i figli in una scuola pubblica o in una privata senza dover pagare due volte? Perbacco, no!
Per dirla con l’ottimo Giuseppe Carbone, la differenza non è più tra scuola pubblica e scuola privata, ma - stando ad una più attenta interpretazione della Costituzione - la distinzione va fatta tra “scuola pubblica statale” e “scuola pubblica non statale”.
Distinzione davvero interessante! Una cosa è il ‘pubblico’, una cosa è lo ‘statale’, c’è una bella differenza…
Difatti, proprio per evitare che restino o diventino scuole dei ricchi, è opportuno che anche gli istituti non statali abbiano il sostegno economico dello Stato, senza il quale sarebbero costretti a finanziarsi con le sole rette degli studenti.
Che posso dire? Lode al compagno Berlinguer, al compagno De Mauro, alla compagna Moratti, e soprattutto alla nostra beneamata guida, il Presidente Berlusconi, che dall’alto approva e benedice quest’impresa: la statalizzazione delle scuole private. Altro che privatizzazione, come dicono gli studenti! Ma cosa vuoi che ne sappiano, gli studenti! Con le scuole che fanno…
La parificazione delle scuole è un primo passo verso la comunione dei beni. Ma si potrebbe fare molto di più, Presidente.
Per esempio: esistono i cosiddetti mezzi pubblici, che poi non sono un granché. Ma sono pubblici, perché si finanziano anche con le tasse mie!
Io non li uso mai, perché ho una macchina (veramente è di mio padre, ma me ne sono impossessato). Beh, e allora? Spostarmi in macchina è un mio diritto. Poi, a Modena, se non sei motorizzato, non sei nessuno.
Ora, il fatto che, dopo aver fatto il pieno di gasolio, io debba anche pagare le tasse per il trasporto pubblico, mi sembra francamente assurdo.
Voglio la libertà di scegliere! Voglio parificare la mia macchina! Voglio il buono-gasolio! Sennò non è giusto.
C’è stato un tempo, è vero, in cui credevo che i buoni scuola fossero uno scempio. Mi spaventava il modello lombardo: 15 miliardi di contributi all’1 per cento degli studenti, quasi tutti allievi di scuole private (ops…“pubbliche non statali”), e quasi tutti con redditi superiori ai 30 milioni pro-capite.
Mi sbagliavo. Era l’odio di classe che mi accecava. Ce l’avevo coi ricchi: perché? I ricchi sono persone come le altre. Hanno i diritti che hanno tutti gli altri. Siamo in democrazia, cristosanto.
Adesso è diverso. Perché? Sarà l’età, e poi adesso ho un lavoro, un affitto, una macchina. Soprattutto la macchina.
Quando ho fretta, e mi capita di rimanere dietro a un autobus mi viene una rabbia… una rabbia…
giovedì 20 dicembre 2001
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere…
Le etichette sono pessime cose, e bisognerebbe evitarle finché si può.
Non è solo una questione di forma: se anche fosse buon inglese, “No global” non andrebbe bene comunque.
E se anche fosse giusto dire “No” e dire “Global”, questa etichetta non andrebbe bene lo stesso.
E se anche esistesse davvero, questo famoso e famigerato movimento “No Global”, questa etichetta non andrebbe bene ugualmente. In quanto tale. In quanto etichetta.
Questo non è marketing. Non siamo qui per fare pubblicità a un cantante o a un passamontagna (attività in sé rispettabilissime). Siamo qui perché ogni giorno succedono cose che non ci piacciono, e tra i nostri diritti costituzionali c’è ancora quello di esprimere il nostro dissenso.
O non c’è più?
C’era, questo diritto costituzionale, il 20 e il 21 luglio a Genova? Secondo le testimonianze scritte e filmate di giornalisti e manifestanti no, questo diritto costituzionale era stato sospeso.
La polizia, i carabinieri, la guardia di finanza (le “forze dell’ordine” che noi paghiamo perché ci difendano) hanno caricato cortei autorizzati in zone autorizzate dalla questura; hanno sparato fumogeni ad altezza uomo a pochi metri dei manifestanti; hanno infierito sugli stessi chini a terra con calci e manganelli; hanno fermato centinaia di persone che fuggivano accusandole di resistenza a pubblico ufficiale e le hanno torturate con comodo, per due giorni, al fermo di polizia di Bolzaneto.
Un carabiniere, un ragazzino di leva, in preda agli effetti dei fumogeni (effetti dei quali nessun istruttore evidentemente l’aveva informato), preso dal panico, in una camionetta rimasta indietro, vedendo un ragazzo di qualche anno più grande venire verso di lui con un estintore, gli ha sparato in testa, e lo ha ucciso.
Infine, sabato sera, un gruppo di poliziotti e carabinieri ha massacrato le decine di persone che si trovavano nelle scuole Diaz, senza trovare nessuna vera arma e nessun vero terrorista, approfittandone però per sequestrare gli archivi informatici di Indymedia, pieni di documenti sulle violenze delle forze dell’ordine.
La libertà, un diritto costituzionale, il 20 e il 21 luglio, a Genova, è stato sospeso.
Perché?
Per salvare le vetrine delle banche? Le auto parcheggiate? I cassonetti? Oltre al fatto che nessuno ha impedito veramente a chi voleva di sfasciare un cassonetto o un auto, vorrei far presente che qui c’è in ballo molto più di una vetrina.
Le vetrine sono assicurate. Le banche danneggiate hanno riparato al danno in pochi giorni. Il molare strappato alla radice, ritrovato sui gradini delle scuole Diaz, non si riattacca più. Carlo Giuliani non è rimborsabile. Carlo Giuliani è morto.
Quello che è successo in quei giorni è grave. E tornando da Genova ci sembrava che molti, malgrado le deformazioni televisive, se ne fossero resi conto. Si sentiva in giro molta indignazione e molta solidarietà. E un po’ di speranza. Perché c’è un limite a tutto, e i responsabili non avrebbero potuto farla franca, in un Paese civile.
Sono passati cinque mesi esatti, e mi sono accorto che quella speranza non l’ho più. L’ho persa giorno dopo giorno, senza accorgermene. Man mano che i processi andavano avanti, i pezzi grossi della digos che prendevano a calci negli occhi i ragazzini tornavano in servizio e i poveri cristi fermati sulla spiaggia e portati a Bolzaneto venivano processati (alcuni anche per tentato omicidio).
E nel frattempo tutta la solidarietà, tutta l’indignazione, scadeva in un vago borbottio giornalistico, e veniva lentamente eclissata da questa etichetta: no global. Quelli di Genova. I no global vanno a Napoli. I no global vanno a Roma. Forti però, ‘sti No Global. Ma stiamo ancora ai No Global? Minchia, cheppalle… Agnoletto, Casarini… perché non fondano un partito? Perché non la piantano? Dove vogliono arrivare?
Guardate che stavolta è diverso. Non stiamo presentando l’ennesimo film sull’ennesima generazione. Non è una sfilata di moda. Non è un concerto.
Guardate che non siamo più negli anni ’90. Lo spettacolo è finito (oltretutto siamo in guerra).
Qui c’è in ballo la Costituzione. Quando si passa sopra la Costituzione (per salvaguardare i cassonetti?) ci andiamo di mezzo tutti.
Ci andate di mezzo anche voi, che in luglio vi siete un attimo indignati, e poi avete preferito pensare che il problema fosse qualche migliaio di disadattati dei centri sociali con la smania di rompere vetrine (sempre queste vetrine).
A voi va troppo comodo dire No Global. Che è come dire “Quelli là”.
E invece no, signori: qui si sta parlando di voi. Potevate esserci voi alle Diaz quella sera, che cercavate di riposarvi o scrivevate una mail a casa per rassicurare i vostri amici. Potevate essere sulla spiaggia il giorno dopo, a tuffarvi dagli scogli per sfuggire dai manganelli. “Quelli là” non erano anarchici o comunisti. Erano gente come voi! Questo è il vero motivo per non dire No Global: perché i No Global siete anche voi, coglioni!
Sono mesi che vi dite che niente sarà come prima… intanto però cos’è cambiato? Niente, i soliti rincari, i soliti dolori, a scuola scioperano perché non hanno voglia di studiare, tanto ormai è Natale, al cinema danno Harry Potter…
E intanto hanno depenalizzato il falso in bilancio,
E intanto hanno fatto una specie di sanatoria per i capitali trasferiti all’estero,
E intanto hanno insabbiato i processi scomodi con la truffa delle rogatorie,
E intanto hanno ghettizzato le minoranze con la legge Bossi-Fini,
E intanto siamo in guerra (brutte figure del nostro Governo a parte…),
E intanto… continuate voi, tanto non c’è limite a quello che potranno fare. Aboliranno l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori? Parificheranno definitivamente la scuola privata alla pubblica? Vedremo.
Il minimo che si può dire di questo governo è che si sta dando parecchio da fare.
Certo, è un governo di maggioranza: ma manifestare il proprio dissenso è ancora un diritto di tutti. Fino a prova contraria…
Ma a manifestare non sono semplicemente i “No Global”. Sono impiegati, studenti, lavoratori, disoccupati, che hanno una quantità di motivi concreti per protestare. Abbiamo spaccato qualche vetrina, in passato? Va bene, sentite scuse. (Vorremmo però sentire le scuse anche di chi, mesi fa, mirava alle nostre teste).
Abbiamo diritto alla vostra solidarietà, perché stiamo protestando anche per voi. Qui sono in gioco le libertà individuali: la libertà di pensiero, la libertà di associazione. Forse domani capiterà a voi di dover scendere in piazza. Perché no? Quel giorno forse la Costituzione vi farà comodo, e avrete un po’ di gratitudine per chi l’ha difesa, quelle sere in cui voi vi dicevate “non sta succedendo niente”.
E forse allora troverete un nome più gentile per noi. Non un’etichetta, un nome.
Grazie per l’attenzione
...lasciandosi in buonafede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere…
Le etichette sono pessime cose, e bisognerebbe evitarle finché si può.
Non è solo una questione di forma: se anche fosse buon inglese, “No global” non andrebbe bene comunque.
E se anche fosse giusto dire “No” e dire “Global”, questa etichetta non andrebbe bene lo stesso.
E se anche esistesse davvero, questo famoso e famigerato movimento “No Global”, questa etichetta non andrebbe bene ugualmente. In quanto tale. In quanto etichetta.
Questo non è marketing. Non siamo qui per fare pubblicità a un cantante o a un passamontagna (attività in sé rispettabilissime). Siamo qui perché ogni giorno succedono cose che non ci piacciono, e tra i nostri diritti costituzionali c’è ancora quello di esprimere il nostro dissenso.
O non c’è più?
C’era, questo diritto costituzionale, il 20 e il 21 luglio a Genova? Secondo le testimonianze scritte e filmate di giornalisti e manifestanti no, questo diritto costituzionale era stato sospeso.
La polizia, i carabinieri, la guardia di finanza (le “forze dell’ordine” che noi paghiamo perché ci difendano) hanno caricato cortei autorizzati in zone autorizzate dalla questura; hanno sparato fumogeni ad altezza uomo a pochi metri dei manifestanti; hanno infierito sugli stessi chini a terra con calci e manganelli; hanno fermato centinaia di persone che fuggivano accusandole di resistenza a pubblico ufficiale e le hanno torturate con comodo, per due giorni, al fermo di polizia di Bolzaneto.
Un carabiniere, un ragazzino di leva, in preda agli effetti dei fumogeni (effetti dei quali nessun istruttore evidentemente l’aveva informato), preso dal panico, in una camionetta rimasta indietro, vedendo un ragazzo di qualche anno più grande venire verso di lui con un estintore, gli ha sparato in testa, e lo ha ucciso.
Infine, sabato sera, un gruppo di poliziotti e carabinieri ha massacrato le decine di persone che si trovavano nelle scuole Diaz, senza trovare nessuna vera arma e nessun vero terrorista, approfittandone però per sequestrare gli archivi informatici di Indymedia, pieni di documenti sulle violenze delle forze dell’ordine.
La libertà, un diritto costituzionale, il 20 e il 21 luglio, a Genova, è stato sospeso.
Perché?
Per salvare le vetrine delle banche? Le auto parcheggiate? I cassonetti? Oltre al fatto che nessuno ha impedito veramente a chi voleva di sfasciare un cassonetto o un auto, vorrei far presente che qui c’è in ballo molto più di una vetrina.
Le vetrine sono assicurate. Le banche danneggiate hanno riparato al danno in pochi giorni. Il molare strappato alla radice, ritrovato sui gradini delle scuole Diaz, non si riattacca più. Carlo Giuliani non è rimborsabile. Carlo Giuliani è morto.
Quello che è successo in quei giorni è grave. E tornando da Genova ci sembrava che molti, malgrado le deformazioni televisive, se ne fossero resi conto. Si sentiva in giro molta indignazione e molta solidarietà. E un po’ di speranza. Perché c’è un limite a tutto, e i responsabili non avrebbero potuto farla franca, in un Paese civile.
Sono passati cinque mesi esatti, e mi sono accorto che quella speranza non l’ho più. L’ho persa giorno dopo giorno, senza accorgermene. Man mano che i processi andavano avanti, i pezzi grossi della digos che prendevano a calci negli occhi i ragazzini tornavano in servizio e i poveri cristi fermati sulla spiaggia e portati a Bolzaneto venivano processati (alcuni anche per tentato omicidio).
E nel frattempo tutta la solidarietà, tutta l’indignazione, scadeva in un vago borbottio giornalistico, e veniva lentamente eclissata da questa etichetta: no global. Quelli di Genova. I no global vanno a Napoli. I no global vanno a Roma. Forti però, ‘sti No Global. Ma stiamo ancora ai No Global? Minchia, cheppalle… Agnoletto, Casarini… perché non fondano un partito? Perché non la piantano? Dove vogliono arrivare?
Guardate che stavolta è diverso. Non stiamo presentando l’ennesimo film sull’ennesima generazione. Non è una sfilata di moda. Non è un concerto.
Guardate che non siamo più negli anni ’90. Lo spettacolo è finito (oltretutto siamo in guerra).
Qui c’è in ballo la Costituzione. Quando si passa sopra la Costituzione (per salvaguardare i cassonetti?) ci andiamo di mezzo tutti.
Ci andate di mezzo anche voi, che in luglio vi siete un attimo indignati, e poi avete preferito pensare che il problema fosse qualche migliaio di disadattati dei centri sociali con la smania di rompere vetrine (sempre queste vetrine).
A voi va troppo comodo dire No Global. Che è come dire “Quelli là”.
E invece no, signori: qui si sta parlando di voi. Potevate esserci voi alle Diaz quella sera, che cercavate di riposarvi o scrivevate una mail a casa per rassicurare i vostri amici. Potevate essere sulla spiaggia il giorno dopo, a tuffarvi dagli scogli per sfuggire dai manganelli. “Quelli là” non erano anarchici o comunisti. Erano gente come voi! Questo è il vero motivo per non dire No Global: perché i No Global siete anche voi, coglioni!
Sono mesi che vi dite che niente sarà come prima… intanto però cos’è cambiato? Niente, i soliti rincari, i soliti dolori, a scuola scioperano perché non hanno voglia di studiare, tanto ormai è Natale, al cinema danno Harry Potter…
E intanto hanno depenalizzato il falso in bilancio,
E intanto hanno fatto una specie di sanatoria per i capitali trasferiti all’estero,
E intanto hanno insabbiato i processi scomodi con la truffa delle rogatorie,
E intanto hanno ghettizzato le minoranze con la legge Bossi-Fini,
E intanto siamo in guerra (brutte figure del nostro Governo a parte…),
E intanto… continuate voi, tanto non c’è limite a quello che potranno fare. Aboliranno l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori? Parificheranno definitivamente la scuola privata alla pubblica? Vedremo.
Il minimo che si può dire di questo governo è che si sta dando parecchio da fare.
Certo, è un governo di maggioranza: ma manifestare il proprio dissenso è ancora un diritto di tutti. Fino a prova contraria…
Ma a manifestare non sono semplicemente i “No Global”. Sono impiegati, studenti, lavoratori, disoccupati, che hanno una quantità di motivi concreti per protestare. Abbiamo spaccato qualche vetrina, in passato? Va bene, sentite scuse. (Vorremmo però sentire le scuse anche di chi, mesi fa, mirava alle nostre teste).
Abbiamo diritto alla vostra solidarietà, perché stiamo protestando anche per voi. Qui sono in gioco le libertà individuali: la libertà di pensiero, la libertà di associazione. Forse domani capiterà a voi di dover scendere in piazza. Perché no? Quel giorno forse la Costituzione vi farà comodo, e avrete un po’ di gratitudine per chi l’ha difesa, quelle sere in cui voi vi dicevate “non sta succedendo niente”.
E forse allora troverete un nome più gentile per noi. Non un’etichetta, un nome.
Grazie per l’attenzione
...lasciandosi in buonafede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate
martedì 18 dicembre 2001
Generazione Santamargherita
Interrompo il feuilleton noglobbal (è così che possiamo anche chiamarlo, Enzo) per una comunicazione importante.
Elisa ha chiamato dall’Africa: resterà altri quattro mesi, non si sa quanto volentieri. Ma nel frattempo Leandro, ragazzo previdente, si è già trovato un’altra sistemazione. E così ci troviamo di nuovo una camera libera in casa, per quattro mesi. Chi vuole provare l’ebbrezza di vivere un poco con noi?
Siamo persone simpatiche. Non siamo quel tipo di gente che traccia confini sin dentro al frigo, qui ci stanno le mie carote, lì il tuo gorgonzola. Non ci è mai successo di scrivere le nostre iniziali su una latta di birra, triste abitudine che ho visto in altri appartamenti. Scusami, avevo sete e te l’ho bevuta, mo’ te la ricompro (“Se me la ricompri finisci che te la ribevi, prendine un cartone e dividiamo”).
Non siamo maniaci della pulizia. Per pulire, puliamo, ma in maniera molto discreta, tant’è che molti neanche se ne accorgono: più discreti di così…
Siamo simpatici/e e carini/e, sempre alle prese con storie che ci insoddisfano. Eppure siamo persone alla buona. Cioè, di recente la Fra’ ha menato un tipo all’Irish che ci provava, ma aveva ragione lei, erano due giorni che lo prevenivaa. “Guarda che se continui così ti arriva una capocciata sul naso”… finché, l'altra sera…
“Insomma, tu l’hai capito quali sono i miei sentimenti per te, no?”
“Sì, però, insomma, tu l’hai capito che non sei il mio tipo, no…?”
“Ah”.
"È così”.
“Ma almeno una scopata con me te la faresti, dai… Stasera ho anche la casa libera…”
–> !TUNC! <–
Capocciata nel naso, come da copione. S’è anche messo a piangere, poveretto.
Di solito comunque siamo persone alla buona.
E poi facciamo discussioni interessanti: anche se con Leandro se ne va il teologo, resta una scienziata delle culture… e poi ci sono io, coi miei tre argomenti che, alternandosi nel corso di una settimana, creano una piacevole sensazione di varietà.
(I miei tre argomenti:
1. Forse dovrei cambiare lavoro
2. Forse dovrei cambiare casa
3. Le donne mi trattano male).
Mi rendo conto che non siamo proprio quel tipo di nucleo famigliare che risulta dai rapporti del Censis. Il fatto è che noi (e chissà quanti altri come noi) al Censis non risultiamo. Il censimento del 2001 non ci ha proprio considerato.
Sì che viviamo in Centro, vista sul teatro, a due passi dal Palazzo del Comune…
Una sera è anche passato, il tipo del Censimento. È andato ad aprire Leandro, ragazzo sportivo, sudato per via delle sue dugento flessioni serali. Ma, vuoi per il fiatone, vuoi per il suo destino ramingo, non sapeva che rispondere.
"È il censimento? Lascia, faccio io”, ho detto, col tono di chi sa. Bisogna aggiungere che ero in accappatoio, a piedi nudi e gocciolante (praticamente irresistibile).
"È lei il residente?”
“Oh, no, ci mancherebbe”.
“E non c’è nessuno che risieda qui?”
“Per la verità”, ho detto io, strigliandomi i capelli, “una residente c’è”.
“Perfetto, posso parlare con lei?”
“Difficile”.
“Perché?”
“Perché è in Angola”.
“Eeeeh?”
“Angola, Africa sudoccidentale” (Leandro, ragazzo scrupoloso, stava già correndo a prendere l’atlante).
“Oddio, e quando torna?”.
“Heh… anche a me piacerebbe saperlo, guardi”.
“E quindi?”
“E quindi qui siamo in tre: residenti rispettivamente a Taranto, Firenze e Sorbara. L’Italia in miniatura, no? Non ha un modulo per noi?”
“Ma chi è il capofamiglia?”
“Euh… La più anziana è la Fra’”
“Posso parlare con lei?”
“Ma cosa vuole che sappia lei, è una ragazzina…”
“Ma come, non è la più anziana?”
“Nel senso che è più tempo che sta qui, un eternità, più di due anni. Poi ci sono io che ho sette anni in più. Poi c’è lui che ne ha sette in più di me. E fanno 14. La generazione x al completo, no? Non ha un modulo per noi?”
“Io… non so… forse è meglio che torno un’altra volta”.
“Vuole qualcosa? Ha fatto tutte queste scale senza casco né paracadute…Una birra, un maraschino…”
(Interviene Leandro: “La birra è la mia…”)
“Il maraschino, allora… o un amaretto… Fra’, ci presti l’amaretto?” ("È finito”. L’amaretto è sempre finito quando serve).
“No, no, guardate, è meglio che torno”.
“Ma mancano pochi giorni… è sicuro che c’è un modulo anche per noi, vero?”
“Adesso vediamo…”
“Mi raccomando, eh? Ci trova tutte le sere, a parte domani… anche dopodomani veramente ho un impegno… giovedì Leandro fa sciazzu e… ma in linea di massima tutte le sere”
“Va bene, va bene”.
“E le offriamo anche il maraschino”.
Glielo si leggeva in fronte: Io Qui Non Ci Torno Più (Per Quel Che Mi Pagano…).
Del resto, come biasimarlo. Un modulo per noi non c’era, nessuno ha mai pensato a stamparlo.
Più tardi ha chiamato mia madre: “Senti, è arrivato il modulo del censimento: io ti metto residente qui, eh?”
“Metti, metti”, dicevo io, lo sguardo perso nel nulla.
Pensavo già ai dieci anni che avevamo davanti. Dieci, lunghi anni di rapporti del Censis in cui serissimi sociologi ci avrebbero spiegato quanto siamo mammoni, noi che a 30 anni viviamo ancora coi genitori, quanto siamo provinciali, prevedibili, noiosi, una generazione di mentecatti, mentre gli europei, loro sì che sono forti, a 18 anni tutti fuori dai piedi (con fior di sovvenzioni statali…)
Comunque pensateci. Quattro mesi in Santa Margherita. Al riparo dalle statistiche, venite a farvi una piccola e confortevole generazione per conto vostro. Pensate che bello, tutti fratelli per qualche ora su un pianeta che non esisterà mai...
E poi la stanza è bella. Ha la vista sul teatro.
Interrompo il feuilleton noglobbal (è così che possiamo anche chiamarlo, Enzo) per una comunicazione importante.
Elisa ha chiamato dall’Africa: resterà altri quattro mesi, non si sa quanto volentieri. Ma nel frattempo Leandro, ragazzo previdente, si è già trovato un’altra sistemazione. E così ci troviamo di nuovo una camera libera in casa, per quattro mesi. Chi vuole provare l’ebbrezza di vivere un poco con noi?
Siamo persone simpatiche. Non siamo quel tipo di gente che traccia confini sin dentro al frigo, qui ci stanno le mie carote, lì il tuo gorgonzola. Non ci è mai successo di scrivere le nostre iniziali su una latta di birra, triste abitudine che ho visto in altri appartamenti. Scusami, avevo sete e te l’ho bevuta, mo’ te la ricompro (“Se me la ricompri finisci che te la ribevi, prendine un cartone e dividiamo”).
Non siamo maniaci della pulizia. Per pulire, puliamo, ma in maniera molto discreta, tant’è che molti neanche se ne accorgono: più discreti di così…
Siamo simpatici/e e carini/e, sempre alle prese con storie che ci insoddisfano. Eppure siamo persone alla buona. Cioè, di recente la Fra’ ha menato un tipo all’Irish che ci provava, ma aveva ragione lei, erano due giorni che lo prevenivaa. “Guarda che se continui così ti arriva una capocciata sul naso”… finché, l'altra sera…
“Insomma, tu l’hai capito quali sono i miei sentimenti per te, no?”
“Sì, però, insomma, tu l’hai capito che non sei il mio tipo, no…?”
“Ah”.
"È così”.
“Ma almeno una scopata con me te la faresti, dai… Stasera ho anche la casa libera…”
–> !TUNC! <–
Capocciata nel naso, come da copione. S’è anche messo a piangere, poveretto.
Di solito comunque siamo persone alla buona.
E poi facciamo discussioni interessanti: anche se con Leandro se ne va il teologo, resta una scienziata delle culture… e poi ci sono io, coi miei tre argomenti che, alternandosi nel corso di una settimana, creano una piacevole sensazione di varietà.
(I miei tre argomenti:
1. Forse dovrei cambiare lavoro
2. Forse dovrei cambiare casa
3. Le donne mi trattano male).
Mi rendo conto che non siamo proprio quel tipo di nucleo famigliare che risulta dai rapporti del Censis. Il fatto è che noi (e chissà quanti altri come noi) al Censis non risultiamo. Il censimento del 2001 non ci ha proprio considerato.
Sì che viviamo in Centro, vista sul teatro, a due passi dal Palazzo del Comune…
Una sera è anche passato, il tipo del Censimento. È andato ad aprire Leandro, ragazzo sportivo, sudato per via delle sue dugento flessioni serali. Ma, vuoi per il fiatone, vuoi per il suo destino ramingo, non sapeva che rispondere.
"È il censimento? Lascia, faccio io”, ho detto, col tono di chi sa. Bisogna aggiungere che ero in accappatoio, a piedi nudi e gocciolante (praticamente irresistibile).
"È lei il residente?”
“Oh, no, ci mancherebbe”.
“E non c’è nessuno che risieda qui?”
“Per la verità”, ho detto io, strigliandomi i capelli, “una residente c’è”.
“Perfetto, posso parlare con lei?”
“Difficile”.
“Perché?”
“Perché è in Angola”.
“Eeeeh?”
“Angola, Africa sudoccidentale” (Leandro, ragazzo scrupoloso, stava già correndo a prendere l’atlante).
“Oddio, e quando torna?”.
“Heh… anche a me piacerebbe saperlo, guardi”.
“E quindi?”
“E quindi qui siamo in tre: residenti rispettivamente a Taranto, Firenze e Sorbara. L’Italia in miniatura, no? Non ha un modulo per noi?”
“Ma chi è il capofamiglia?”
“Euh… La più anziana è la Fra’”
“Posso parlare con lei?”
“Ma cosa vuole che sappia lei, è una ragazzina…”
“Ma come, non è la più anziana?”
“Nel senso che è più tempo che sta qui, un eternità, più di due anni. Poi ci sono io che ho sette anni in più. Poi c’è lui che ne ha sette in più di me. E fanno 14. La generazione x al completo, no? Non ha un modulo per noi?”
“Io… non so… forse è meglio che torno un’altra volta”.
“Vuole qualcosa? Ha fatto tutte queste scale senza casco né paracadute…Una birra, un maraschino…”
(Interviene Leandro: “La birra è la mia…”)
“Il maraschino, allora… o un amaretto… Fra’, ci presti l’amaretto?” ("È finito”. L’amaretto è sempre finito quando serve).
“No, no, guardate, è meglio che torno”.
“Ma mancano pochi giorni… è sicuro che c’è un modulo anche per noi, vero?”
“Adesso vediamo…”
“Mi raccomando, eh? Ci trova tutte le sere, a parte domani… anche dopodomani veramente ho un impegno… giovedì Leandro fa sciazzu e… ma in linea di massima tutte le sere”
“Va bene, va bene”.
“E le offriamo anche il maraschino”.
Glielo si leggeva in fronte: Io Qui Non Ci Torno Più (Per Quel Che Mi Pagano…).
Del resto, come biasimarlo. Un modulo per noi non c’era, nessuno ha mai pensato a stamparlo.
Più tardi ha chiamato mia madre: “Senti, è arrivato il modulo del censimento: io ti metto residente qui, eh?”
“Metti, metti”, dicevo io, lo sguardo perso nel nulla.
Pensavo già ai dieci anni che avevamo davanti. Dieci, lunghi anni di rapporti del Censis in cui serissimi sociologi ci avrebbero spiegato quanto siamo mammoni, noi che a 30 anni viviamo ancora coi genitori, quanto siamo provinciali, prevedibili, noiosi, una generazione di mentecatti, mentre gli europei, loro sì che sono forti, a 18 anni tutti fuori dai piedi (con fior di sovvenzioni statali…)
Comunque pensateci. Quattro mesi in Santa Margherita. Al riparo dalle statistiche, venite a farvi una piccola e confortevole generazione per conto vostro. Pensate che bello, tutti fratelli per qualche ora su un pianeta che non esisterà mai...
E poi la stanza è bella. Ha la vista sul teatro.
lunedì 17 dicembre 2001
Novità? No:
– Sto un po’ meglio.
– Il ritaglio di Cragno sul Passamontagna in passerella è tratto da l'Espresso, la rivista che io leggo dal dentista (e sfogliandola invoco il trapano: perché tarda a piallarmi il molare?)
– Sabato al Florida c’era una festa curda: varcata la soglia, sono stato identificato in cinque secondi. I curdi non dimenticano. Questo mi spaventa un po’, ma il cibo non è male.
– Apocalypse now è l’oggetto di un ennesimo delirio divagante a sfondo cinematografico che uscirà su polaroid in settimana. Leggete Polaroid! è l’unica prova tangibile della superiorità dell’Occidente.
– Io, se fossi un dipendente di d’Amato (quello che “è più facile divorziare che licenziare”) a questo punto gli chiederei gli alimenti.
– “Va bene, tu dici che i No Global non esistono, però dovrai ammettere che qualcosa esiste, e in qualche modo dobbiamo pur chiamarla”.
“Ecco, te la sei voluta: hai colpito in pieno il Quinto motivo per non dire No Global".
Non è vero che “esiste qualcosa”, un Movimento o altro. Esistono tante cose, e quasi tutte hanno un nome.
Esiste Attac (prima… in ordine alfabetico, naturalmente). Esistono i Disobbedienti. Esiste la Rete di Lilliput. Esistono i Forum Sociali. Esistono i sindacati e i Cobas. Esiste Pax Christi. Esiste l’Acli ed esiste l’Arci, quella vecchia zia che tutti snobbano finché non c’è bisogno di un furgone con le casse o una corriera (e allora improvvisamente tutti abbassano le creste e le ginocchia: “Per favore, zia Arci… quella corriera dell’altra volta, non è che ce la potresti…”).
Esiste il mondo dell’associazionismo e del volontariato, e sono mondi straordinariamente compositi (e discretamente litigiosi). Esiste il Commercio Etico e la Finanza Etica, con tante cooperative che già fan fatica ad andar d’accordo con loro, figurarsi con gli altri.
Esistono i migranti, e sono parecchi, e sono seri, perché sanno che per loro in gioco c’è qualcosa di più di un pomeriggio vissuto pericolosamente.
Esistono i partiti. Perché, non dovrebbero esistere pure loro? Sono un po’ disorientati, decisamente appannati, coprono gli strappi con bandiere e palloncini, ma esistono: non è che cerchino di strumentalizzare, semplicemente esistono, e fanno politica coi mezzi che hanno. Forse sono gli unici a pensare questo banale pensiero: che prima o poi, dopo chissà quanti autunni, inverni, primavere calde… bisognerà anche andare a votare.
Ed esistono anche i terribili anarcoinsurrezionalisti e i blecbloc, perché negarlo? Esistono anche loro.
Tutti questi soggetti esistono: hanno nomi diversi e storie diverse, e non vanno d’accordo quasi su niente. Era ridicolo chiamarli tutti “comunisti”, è altrettanto ridicolo chiamarli ora “noglobbal”. Quando si sono incontrati non si sono capiti e nemmeno riconosciuti.
Questo è successo, per esempio, venerdì 20 luglio a Genova: le piazze tematiche. Un compromesso logistico infelice, che ha portato a negare il primo comandamento di qualsiasi manifestazione (pacifica e no): stiamo tutti uniti, e non ci faranno niente.
Quel giorno eravamo tutti divisi, e si è visto com’è andata.
Poi però c’è stato sabato 21: una cosa radicalmente diversa (questo mi fa incazzare, dei “registi italiani a Genova”: che non l’abbiano capito e abbiano mischiato assieme le immagini). Quel mare di gente arrivata coi pullman dell’Arci e del sindacato (ma senza la tessera dell’arci o del sindacato).
Quella gente non aveva bandiere. Non era lì per sventolarle. Era lì perché aveva visto e sentito quello che era successo il giorno prima. Aveva guardato la tv, letto i giornali e Internet. Aveva sentito che Ciampi chiedeva di fermarsi e D’Alema supplicava di non andare, di "fermare le violenze".
Ed era partita lo stesso. Perché aveva capito qual era la cosa giusta da fare. Che era in gioco la stessa democrazia, il diritto di manifestare liberamente. E che valeva la pena, per questo, di prendersi dei rischi.
Quella gente è il vero soggetto interessante. Non so per che partito voti, se faccia volontariato, se sia iscritta a un sindacato, che quotidiano legga. Mi piace pensare che voti un po’ per tutti i partiti, che legga un po’ tutti i giornali, e che faccia nel tempo libero un po’ volontariato e un po’ i comodi suoi.
Però esiste, ed è l’unica cosa positiva in tutto questo.
L’abbiamo rivista alla marcia della Pace e, in parte, a Roma il 10 Novembre. In entrambe le occasioni non una vetrina è stata infranta… è proprio il caso di ribadirlo? Evidentemente sì.
Quella gente esiste. E forse, tra una manifestazione, una guerra, un decreto-legge, una petizione, un’iniziativa, troverà anche il tempo per conoscersi e parlarsi.
E scoprire che magari anche lei non è d’accordo su tante cose.
E poi, con calma (quella che è mancata in questi mesi), si troverà il modo di mettere insieme un vero movimento, coi sindacati al loro posto, gli studenti nelle scuole, gli operai nelle fabbriche, i blecbloc fuori dalle palle, e l’arci nolleggerà i pullman.
E magari decideremo anche di votare lo stesso partito. Perché no? Che altro dovremmo fare? La politica dovrebbe servire a questo.
Quando sarà quel momento (ma ci vorranno molti inverni, primavere estati e autunni freddi e caldi), allora potranno anche darci un nome. Spero non sarà “No Global”. Ma a quel punto in realtà mi andrebbe bene qualsiasi cosa.
Questo sarebbe già un motivo sufficiente. Eppure no, nemmeno questo è il motivo migliore per non dire No Global.
(Mi dispiace di abusare della vostra pazienza in questo modo, ma tant’è. Però il prossimo è quello buono, giuro).
– Sto un po’ meglio.
– Il ritaglio di Cragno sul Passamontagna in passerella è tratto da l'Espresso, la rivista che io leggo dal dentista (e sfogliandola invoco il trapano: perché tarda a piallarmi il molare?)
– Sabato al Florida c’era una festa curda: varcata la soglia, sono stato identificato in cinque secondi. I curdi non dimenticano. Questo mi spaventa un po’, ma il cibo non è male.
– Apocalypse now è l’oggetto di un ennesimo delirio divagante a sfondo cinematografico che uscirà su polaroid in settimana. Leggete Polaroid! è l’unica prova tangibile della superiorità dell’Occidente.
– Io, se fossi un dipendente di d’Amato (quello che “è più facile divorziare che licenziare”) a questo punto gli chiederei gli alimenti.
– “Va bene, tu dici che i No Global non esistono, però dovrai ammettere che qualcosa esiste, e in qualche modo dobbiamo pur chiamarla”.
“Ecco, te la sei voluta: hai colpito in pieno il Quinto motivo per non dire No Global".
Non è vero che “esiste qualcosa”, un Movimento o altro. Esistono tante cose, e quasi tutte hanno un nome.
Esiste Attac (prima… in ordine alfabetico, naturalmente). Esistono i Disobbedienti. Esiste la Rete di Lilliput. Esistono i Forum Sociali. Esistono i sindacati e i Cobas. Esiste Pax Christi. Esiste l’Acli ed esiste l’Arci, quella vecchia zia che tutti snobbano finché non c’è bisogno di un furgone con le casse o una corriera (e allora improvvisamente tutti abbassano le creste e le ginocchia: “Per favore, zia Arci… quella corriera dell’altra volta, non è che ce la potresti…”).
Esiste il mondo dell’associazionismo e del volontariato, e sono mondi straordinariamente compositi (e discretamente litigiosi). Esiste il Commercio Etico e la Finanza Etica, con tante cooperative che già fan fatica ad andar d’accordo con loro, figurarsi con gli altri.
Esistono i migranti, e sono parecchi, e sono seri, perché sanno che per loro in gioco c’è qualcosa di più di un pomeriggio vissuto pericolosamente.
Esistono i partiti. Perché, non dovrebbero esistere pure loro? Sono un po’ disorientati, decisamente appannati, coprono gli strappi con bandiere e palloncini, ma esistono: non è che cerchino di strumentalizzare, semplicemente esistono, e fanno politica coi mezzi che hanno. Forse sono gli unici a pensare questo banale pensiero: che prima o poi, dopo chissà quanti autunni, inverni, primavere calde… bisognerà anche andare a votare.
Ed esistono anche i terribili anarcoinsurrezionalisti e i blecbloc, perché negarlo? Esistono anche loro.
Tutti questi soggetti esistono: hanno nomi diversi e storie diverse, e non vanno d’accordo quasi su niente. Era ridicolo chiamarli tutti “comunisti”, è altrettanto ridicolo chiamarli ora “noglobbal”. Quando si sono incontrati non si sono capiti e nemmeno riconosciuti.
Questo è successo, per esempio, venerdì 20 luglio a Genova: le piazze tematiche. Un compromesso logistico infelice, che ha portato a negare il primo comandamento di qualsiasi manifestazione (pacifica e no): stiamo tutti uniti, e non ci faranno niente.
Quel giorno eravamo tutti divisi, e si è visto com’è andata.
Poi però c’è stato sabato 21: una cosa radicalmente diversa (questo mi fa incazzare, dei “registi italiani a Genova”: che non l’abbiano capito e abbiano mischiato assieme le immagini). Quel mare di gente arrivata coi pullman dell’Arci e del sindacato (ma senza la tessera dell’arci o del sindacato).
Quella gente non aveva bandiere. Non era lì per sventolarle. Era lì perché aveva visto e sentito quello che era successo il giorno prima. Aveva guardato la tv, letto i giornali e Internet. Aveva sentito che Ciampi chiedeva di fermarsi e D’Alema supplicava di non andare, di "fermare le violenze".
Ed era partita lo stesso. Perché aveva capito qual era la cosa giusta da fare. Che era in gioco la stessa democrazia, il diritto di manifestare liberamente. E che valeva la pena, per questo, di prendersi dei rischi.
Quella gente è il vero soggetto interessante. Non so per che partito voti, se faccia volontariato, se sia iscritta a un sindacato, che quotidiano legga. Mi piace pensare che voti un po’ per tutti i partiti, che legga un po’ tutti i giornali, e che faccia nel tempo libero un po’ volontariato e un po’ i comodi suoi.
Però esiste, ed è l’unica cosa positiva in tutto questo.
L’abbiamo rivista alla marcia della Pace e, in parte, a Roma il 10 Novembre. In entrambe le occasioni non una vetrina è stata infranta… è proprio il caso di ribadirlo? Evidentemente sì.
Quella gente esiste. E forse, tra una manifestazione, una guerra, un decreto-legge, una petizione, un’iniziativa, troverà anche il tempo per conoscersi e parlarsi.
E scoprire che magari anche lei non è d’accordo su tante cose.
E poi, con calma (quella che è mancata in questi mesi), si troverà il modo di mettere insieme un vero movimento, coi sindacati al loro posto, gli studenti nelle scuole, gli operai nelle fabbriche, i blecbloc fuori dalle palle, e l’arci nolleggerà i pullman.
E magari decideremo anche di votare lo stesso partito. Perché no? Che altro dovremmo fare? La politica dovrebbe servire a questo.
Quando sarà quel momento (ma ci vorranno molti inverni, primavere estati e autunni freddi e caldi), allora potranno anche darci un nome. Spero non sarà “No Global”. Ma a quel punto in realtà mi andrebbe bene qualsiasi cosa.
Questo sarebbe già un motivo sufficiente. Eppure no, nemmeno questo è il motivo migliore per non dire No Global.
(Mi dispiace di abusare della vostra pazienza in questo modo, ma tant’è. Però il prossimo è quello buono, giuro).
venerdì 14 dicembre 2001
La neve - che piace tanto ai bambini - per gli adulti è solo un sinonimo di seccature.
Perciò, se dopo un paio d'ore in auto nel traffico (con la ventola che vi assorda e vi risveglia i dolori antichi e nuovi) la casa è ancora lontana, le cassette sono finite e la radio non prende, il cellulare non prende (e bisogna annullare un paio di riunioni importanti, e poi speriamo che la mamma, papà, fratello, questo, quell'altra...), il ragazzo che avete urtato ai tre all'ora insiste per la constatazione amichevole perché è vero che il paraurti me lo sono ammaccato solo io, ma la macchina non è sua, è... del suo carrozzaio (ma non lo sai che io di tre cose non mi fido: delle donne, dei dentisti e dei carrozzai?), se malgrado tutto sentite che ben dentro di voi, al riparo dal gelo, c'è qualcuno che a vedere le strade farsi bianche e scivolose si diverte, ebbene: ce l'avete fatta! avete individuato il bambino che c'è in voi! E ora strozzatelo, per favore.
Questo comunque è un blog serio, però volentieri pubblico questo trafiletto segnalatomi da Cragno (dove l'hai poi preso)?
passamontagna in passerella
Pantaloni con tasconi, felpe con cappuccio e camicie pesanti sopra la T-shirt, giubbotti di pelle consunti e naturalmente il passamontagna. Il look dei Blac* bloc diventerà una linea di abbigliamento che verrà presentata il prossimo inverno. L'idea è dello stilitsta Michele Rossi, 40 anni, calabrese, trapiantato a Massa, in toscana, titolare con Giacomo Russo della Mg, società che cura i marchi delle manifatture Generali, propreitaria e produttrice della griffe [non dico quale, ha ha haaa]
Come volevasi...
Perciò, se dopo un paio d'ore in auto nel traffico (con la ventola che vi assorda e vi risveglia i dolori antichi e nuovi) la casa è ancora lontana, le cassette sono finite e la radio non prende, il cellulare non prende (e bisogna annullare un paio di riunioni importanti, e poi speriamo che la mamma, papà, fratello, questo, quell'altra...), il ragazzo che avete urtato ai tre all'ora insiste per la constatazione amichevole perché è vero che il paraurti me lo sono ammaccato solo io, ma la macchina non è sua, è... del suo carrozzaio (ma non lo sai che io di tre cose non mi fido: delle donne, dei dentisti e dei carrozzai?), se malgrado tutto sentite che ben dentro di voi, al riparo dal gelo, c'è qualcuno che a vedere le strade farsi bianche e scivolose si diverte, ebbene: ce l'avete fatta! avete individuato il bambino che c'è in voi! E ora strozzatelo, per favore.
Questo comunque è un blog serio, però volentieri pubblico questo trafiletto segnalatomi da Cragno (dove l'hai poi preso)?
passamontagna in passerella
Pantaloni con tasconi, felpe con cappuccio e camicie pesanti sopra la T-shirt, giubbotti di pelle consunti e naturalmente il passamontagna. Il look dei Blac* bloc diventerà una linea di abbigliamento che verrà presentata il prossimo inverno. L'idea è dello stilitsta Michele Rossi, 40 anni, calabrese, trapiantato a Massa, in toscana, titolare con Giacomo Russo della Mg, società che cura i marchi delle manifatture Generali, propreitaria e produttrice della griffe [non dico quale, ha ha haaa]
Come volevasi...
giovedì 13 dicembre 2001
Dire che ho mal di denti è riduttivo.
Diciamo così: ho una gravidanza molto, molto extrauterina, praticamente subgengivale.
Spero che alla fine sia femmina e abbia i tuoi occhi.
Ma io stringo i denti (mi duole il solo concetto) e proseguo col Quarto motivo per non dire No Global.
Che grosso modo è il seguente: i No Global non esistono.
Io so di trovarmi in minoranza, ma amo i nomi che designano delle cose: pappa, cane, dente (ouch). Ho già problemi con i sostantivi un po’ astratti, tipo: “valori”, “identità”, “amore”, ecc..
Infine, ho un franca antipatia per i nomi che, più che indicare le cose, le evocano: esprimono il desiderio/la paura che queste cose esistano realmente.
Per esempio: detesto la parola “comunisti” nell’uso che se ne fa oggi. Ci sono vari partiti che si sono chiamati comunisti, in Italia. Nessuno di loro è stato al governo per cinquant’anni, occupando sistematicamente istituzioni, palazzi di giustizia e palazzi della Stampa. Non è vero. E non lo renderà più vero il ripeterlo in ogni occasione.
Per esempio: detesto l’uso del sostantivo “generazione” in ogni sua declinazione: “generazione x”, “generazione y”, ecc. Ho una notizia per voi sociologi da salotto: le generazioni non esistono, non veniamo sfornati tutti da un cavolo lo stesso giorno ogni dieci anni, bensì nasciamo in continuazione (in un modo che qui sarebbe lungo spiegarvi).
E detesto tutta quella fraseologia da settimanale illustrato che tratta il mondo come una sfilata di moda: ci sono stati i cyberpunk col loro hitech, poi la generazione cocktail, e adesso… e adesso tocca ai “giottini”, come li chiamò “Panorama” quest’estate: dedicando un ampio servizio su come si vestono, cosa mangiano, cosa leggono, ecc.. Ma il nome era ridicolo e dopo Genova fu sostituito col più franco e tamarro no global.
A che serve un’etichetta? A spaventare chi non la conosce, a blandire chi decide poi di portarla. I distinti signori istigati all’odio di classe da “Libero” o il “Giornale” probabilmente non ne possono più di gridare al ‘comunista’ a ogni pie’ sospinto: bene, eccovi serviti. Il prossimo Goldstein è il No Global. Com’è fatto? È sporco, ha le trecce rasta, il piercing, si fa le canne e spacca le vetrine. Da dove viene? Dalle fogne di qualche centro sociale sgomberato e disinfestato. Cosa vuole? Vuole rompere le vetrine e le belle macchine, perché è stupido.
Allo stesso tempo – il punk insegna – nei laboratori del prét-à-porter si sta già elaborando la collezione No Global per la prossima primavera-estate. I rasta applicabili, più comodi da portare. Il piercing ultrasterilizzato. Le giacche firmate con già le macchie pronte. Le canotte forate, senza loghi perché non fa più fine: il tutto ad uso dei ragazzini in sbandata puberale, in cerca di un’“identità” da sfoggiare.
I no global non esistono ancora. Ma se continuiamo a parlarne esisteranno di sicuro.
Sono giorni di agitazione nelle scuole. Personalmente (per quello che può interessare), mi sembra giusto protestare contro la Moratti (un ministro né tecnico né politico) e la sua controriforma. Ma non vorrei mai più leggere comunicati farneticanti come questo, che comincia con un bel “lanciamo un assalto all’impero”, prosegue con un “invaderemo le strade e ci prenderemo le piazze” e finisce con un imperioso:
Da una scuola / universita’ indifferente, Sud Italia, Europa, Pianeta Terra
Dicembre 2001 , I Anno della Guerra Globale
Tutta questa bellicosità a cosa serve? Una volta erano i fascisti a giocare ai soldatini. Questo è un fenomeno tipico dei ragazzini, noto come ‘emulazione’. Il loro modello di protesta è Casarini che legge una dichiarazione di guerra davanti alle telecamere. Casarini, però, per quel gesto ha chiesto scusa da tempo, e si è beccato un’accusa (piuttosto ridicola, visti i toni del documento) per istigazione sovversiva. Genova ci ha insegnato che questo tipo di proclami esalta soprattutto i ps e i carabinieri (che poi caricano, sparano fumogeni ad alzo uomo e altre amenità). Le guerre non vorremmo proprio dichiararle più.
Comunque neanche questo è il motivo migliore per non dire No Global (Continua, ma non troppo)
Diciamo così: ho una gravidanza molto, molto extrauterina, praticamente subgengivale.
Spero che alla fine sia femmina e abbia i tuoi occhi.
Ma io stringo i denti (mi duole il solo concetto) e proseguo col Quarto motivo per non dire No Global.
Che grosso modo è il seguente: i No Global non esistono.
Io so di trovarmi in minoranza, ma amo i nomi che designano delle cose: pappa, cane, dente (ouch). Ho già problemi con i sostantivi un po’ astratti, tipo: “valori”, “identità”, “amore”, ecc..
Infine, ho un franca antipatia per i nomi che, più che indicare le cose, le evocano: esprimono il desiderio/la paura che queste cose esistano realmente.
Per esempio: detesto la parola “comunisti” nell’uso che se ne fa oggi. Ci sono vari partiti che si sono chiamati comunisti, in Italia. Nessuno di loro è stato al governo per cinquant’anni, occupando sistematicamente istituzioni, palazzi di giustizia e palazzi della Stampa. Non è vero. E non lo renderà più vero il ripeterlo in ogni occasione.
Per esempio: detesto l’uso del sostantivo “generazione” in ogni sua declinazione: “generazione x”, “generazione y”, ecc. Ho una notizia per voi sociologi da salotto: le generazioni non esistono, non veniamo sfornati tutti da un cavolo lo stesso giorno ogni dieci anni, bensì nasciamo in continuazione (in un modo che qui sarebbe lungo spiegarvi).
E detesto tutta quella fraseologia da settimanale illustrato che tratta il mondo come una sfilata di moda: ci sono stati i cyberpunk col loro hitech, poi la generazione cocktail, e adesso… e adesso tocca ai “giottini”, come li chiamò “Panorama” quest’estate: dedicando un ampio servizio su come si vestono, cosa mangiano, cosa leggono, ecc.. Ma il nome era ridicolo e dopo Genova fu sostituito col più franco e tamarro no global.
A che serve un’etichetta? A spaventare chi non la conosce, a blandire chi decide poi di portarla. I distinti signori istigati all’odio di classe da “Libero” o il “Giornale” probabilmente non ne possono più di gridare al ‘comunista’ a ogni pie’ sospinto: bene, eccovi serviti. Il prossimo Goldstein è il No Global. Com’è fatto? È sporco, ha le trecce rasta, il piercing, si fa le canne e spacca le vetrine. Da dove viene? Dalle fogne di qualche centro sociale sgomberato e disinfestato. Cosa vuole? Vuole rompere le vetrine e le belle macchine, perché è stupido.
Allo stesso tempo – il punk insegna – nei laboratori del prét-à-porter si sta già elaborando la collezione No Global per la prossima primavera-estate. I rasta applicabili, più comodi da portare. Il piercing ultrasterilizzato. Le giacche firmate con già le macchie pronte. Le canotte forate, senza loghi perché non fa più fine: il tutto ad uso dei ragazzini in sbandata puberale, in cerca di un’“identità” da sfoggiare.
I no global non esistono ancora. Ma se continuiamo a parlarne esisteranno di sicuro.
Sono giorni di agitazione nelle scuole. Personalmente (per quello che può interessare), mi sembra giusto protestare contro la Moratti (un ministro né tecnico né politico) e la sua controriforma. Ma non vorrei mai più leggere comunicati farneticanti come questo, che comincia con un bel “lanciamo un assalto all’impero”, prosegue con un “invaderemo le strade e ci prenderemo le piazze” e finisce con un imperioso:
Da una scuola / universita’ indifferente, Sud Italia, Europa, Pianeta Terra
Dicembre 2001 , I Anno della Guerra Globale
Tutta questa bellicosità a cosa serve? Una volta erano i fascisti a giocare ai soldatini. Questo è un fenomeno tipico dei ragazzini, noto come ‘emulazione’. Il loro modello di protesta è Casarini che legge una dichiarazione di guerra davanti alle telecamere. Casarini, però, per quel gesto ha chiesto scusa da tempo, e si è beccato un’accusa (piuttosto ridicola, visti i toni del documento) per istigazione sovversiva. Genova ci ha insegnato che questo tipo di proclami esalta soprattutto i ps e i carabinieri (che poi caricano, sparano fumogeni ad alzo uomo e altre amenità). Le guerre non vorremmo proprio dichiararle più.
Comunque neanche questo è il motivo migliore per non dire No Global (Continua, ma non troppo)
martedì 11 dicembre 2001
Il delirio sul cinema francese è qui. Merita se non altro per l'immagine...
Meritano anche il commento di Jonathan (ciao Jonathan, guarda un po' chi c'è qui).
E veniamo al Terzo motivo per non dire No Global
La parola Global
(One world is enough for all of us...)
È il motivo più scontato: non possiamo chiamarci No Global perché non siamo contro la globalizzazione. Punto. Da Susan George fino al Subcomandante, sono tutti d’accordo: noi siamo più global degli altri, perché gli altri si limitano alla globalizzazione dei mercati, noi chiediamo anche la globalizzazione dei diritti.
Cosa c’è di più global di protestare per i diritti degli operai vietnamiti? Se loro possono fabbricare scarpe per noi, devono avere anche gli stessi diritti che abbiamo noi. Altrimenti la loro concorrenza c’impedisce di lavorare, e ci troviamo disoccupati con le scarpe di Michael Jordan ai piedi, sai la soddisfazione.
D’accordo, non subito: ci vorrà tempo, pazienza, ci vorranno compromessi, conflitti.
D’accordo, non è solo colpa di una multinazionale o della Banca Mondiale: certi governi nazionali sono i primi nemici dei loro cittadini. Ma il problema rimane quello: i diritti devono essere globali quanto lo sono i mercati.
Questa parola, “globalizzazione”, è stata lo scioglilingua degli anni '90. Ti devo abbassare lo stipendio a causa della globalizzazione. Anzi, ti licenzio, per via della globalizzazione (che m’impone di aprire una fabbrichetta in Romania). Dobbiamo tagliare lo Stato sociale perché si sa, la globalizzazione…
La globalizzazione rimpicciolisce il mondo, perché nell’era di Internet e dei containers non si possono più imporre confini alle merci e ai capitali. È innaturale. Bene, d’accordo. Ma allora è altrettanto innaturale imporli alle persone: perché anche per le persone è sempre più facile viaggiare e informarsi. E incazzarsi.
Noi non guardiamo al passato. Non vogliamo ripristinare le care vecchie tradizioni di una volta, le barriere, le dogane, i fili spinati… non c’interessano. Noi guardiamo al futuro, ma quello che vediamo ci spaventa. Vediamo un Sud che non dà segni di ripresa. Vediamo nel Nord del mondo avanzare un modello di società detto “20/80”, dove cioè il 20% delle persone partecipa ai processi produttivi e il restante 80% passa il tempo a intrattenersi non si sa bene come e perché. Forse andando al cinema. O forse spaccando le vetrine. Dipenderà dalle inclinazioni.
Il vero “No Global” è il signor Bush Junior, che si presenta al mondo dicendo: il tenore di vita dei cittadini USA non è in discussione. Il problema è che il nostro piccolo mondo non può più permettersi il tenore di vita di 270 milioni di cittadini USA, che da soli consumano quasi la metà delle risorse mondiali. Proprio mentre il benessere occidentale è reclamato e reclamizzato in tutto il mondo, attraverso i satelliti, internet, e i containers. Perché un miliardo di cinesi non può andare in macchina come noi? Perché non c’è abbastanza aria per tutti. E allora chi deve abbassare le emissioni di carbonio, i cinesi o gli americani?
Questa non è demagogia – o magari lo è nel tono, non nella sostanza. Io non sono violento, ma non credo neanche troppo ai volemose bbene. Prima o poi i cinesi s’incazzeranno, come si stanno incazzando i musulmani. E ci verrà di nuovo chiesto da che parte stiamo e se ci piace la nostra civiltà occidentale. Certo che ci piace l’occidente (io, di sicuro, amo le chiese molto di più di quell’atea rimbambita della Fallaci), ma qui non è questione di cultura. Questa è una cara, vecchia questione economica. Ed è oltremodo sospetto che chi si è riempito fino a ieri la bocca di globalizzazione oggi se la riempia di discorsi sulle identità culturali da salvaguardare, sui nuovi steccati da alzare tra occidente, oriente, islam. Noi a queste cose non ci crediamo. Noi continuiamo a pensare globale. Dove voi vedete islam e occidente, noi vediamo gasdotti e petrolio, risorse da accaparrare.
Il mondo stesso è una risorsa non rinnovabile, noi ce ne siamo resi conto, e voi? Voi fate finta di niente? Come fate? Abbassate le tapparelle, spegnete la tv, non leggete i giornali? Ah, leggete solo il Giornale? E questa l’avete letta? Secondo voi va tutto bene, quindi, non c’è niente che si possa fare? Beh, andate a sciare finché ce n’è.
… e comunque neanche questo è il motivo più importante per non dire No Global (continua).
Meritano anche il commento di Jonathan (ciao Jonathan, guarda un po' chi c'è qui).
E veniamo al Terzo motivo per non dire No Global
La parola Global
(One world is enough for all of us...)
È il motivo più scontato: non possiamo chiamarci No Global perché non siamo contro la globalizzazione. Punto. Da Susan George fino al Subcomandante, sono tutti d’accordo: noi siamo più global degli altri, perché gli altri si limitano alla globalizzazione dei mercati, noi chiediamo anche la globalizzazione dei diritti.
Cosa c’è di più global di protestare per i diritti degli operai vietnamiti? Se loro possono fabbricare scarpe per noi, devono avere anche gli stessi diritti che abbiamo noi. Altrimenti la loro concorrenza c’impedisce di lavorare, e ci troviamo disoccupati con le scarpe di Michael Jordan ai piedi, sai la soddisfazione.
D’accordo, non subito: ci vorrà tempo, pazienza, ci vorranno compromessi, conflitti.
D’accordo, non è solo colpa di una multinazionale o della Banca Mondiale: certi governi nazionali sono i primi nemici dei loro cittadini. Ma il problema rimane quello: i diritti devono essere globali quanto lo sono i mercati.
Questa parola, “globalizzazione”, è stata lo scioglilingua degli anni '90. Ti devo abbassare lo stipendio a causa della globalizzazione. Anzi, ti licenzio, per via della globalizzazione (che m’impone di aprire una fabbrichetta in Romania). Dobbiamo tagliare lo Stato sociale perché si sa, la globalizzazione…
La globalizzazione rimpicciolisce il mondo, perché nell’era di Internet e dei containers non si possono più imporre confini alle merci e ai capitali. È innaturale. Bene, d’accordo. Ma allora è altrettanto innaturale imporli alle persone: perché anche per le persone è sempre più facile viaggiare e informarsi. E incazzarsi.
Noi non guardiamo al passato. Non vogliamo ripristinare le care vecchie tradizioni di una volta, le barriere, le dogane, i fili spinati… non c’interessano. Noi guardiamo al futuro, ma quello che vediamo ci spaventa. Vediamo un Sud che non dà segni di ripresa. Vediamo nel Nord del mondo avanzare un modello di società detto “20/80”, dove cioè il 20% delle persone partecipa ai processi produttivi e il restante 80% passa il tempo a intrattenersi non si sa bene come e perché. Forse andando al cinema. O forse spaccando le vetrine. Dipenderà dalle inclinazioni.
Il vero “No Global” è il signor Bush Junior, che si presenta al mondo dicendo: il tenore di vita dei cittadini USA non è in discussione. Il problema è che il nostro piccolo mondo non può più permettersi il tenore di vita di 270 milioni di cittadini USA, che da soli consumano quasi la metà delle risorse mondiali. Proprio mentre il benessere occidentale è reclamato e reclamizzato in tutto il mondo, attraverso i satelliti, internet, e i containers. Perché un miliardo di cinesi non può andare in macchina come noi? Perché non c’è abbastanza aria per tutti. E allora chi deve abbassare le emissioni di carbonio, i cinesi o gli americani?
Questa non è demagogia – o magari lo è nel tono, non nella sostanza. Io non sono violento, ma non credo neanche troppo ai volemose bbene. Prima o poi i cinesi s’incazzeranno, come si stanno incazzando i musulmani. E ci verrà di nuovo chiesto da che parte stiamo e se ci piace la nostra civiltà occidentale. Certo che ci piace l’occidente (io, di sicuro, amo le chiese molto di più di quell’atea rimbambita della Fallaci), ma qui non è questione di cultura. Questa è una cara, vecchia questione economica. Ed è oltremodo sospetto che chi si è riempito fino a ieri la bocca di globalizzazione oggi se la riempia di discorsi sulle identità culturali da salvaguardare, sui nuovi steccati da alzare tra occidente, oriente, islam. Noi a queste cose non ci crediamo. Noi continuiamo a pensare globale. Dove voi vedete islam e occidente, noi vediamo gasdotti e petrolio, risorse da accaparrare.
Il mondo stesso è una risorsa non rinnovabile, noi ce ne siamo resi conto, e voi? Voi fate finta di niente? Come fate? Abbassate le tapparelle, spegnete la tv, non leggete i giornali? Ah, leggete solo il Giornale? E questa l’avete letta? Secondo voi va tutto bene, quindi, non c’è niente che si possa fare? Beh, andate a sciare finché ce n’è.
… e comunque neanche questo è il motivo più importante per non dire No Global (continua).
lunedì 10 dicembre 2001
Vorrei prima dire qualche futilità del tipo:
– Siccome avevo creato delle attese, con questa storia del kung fu nel cinema francese, il pezzo l’ho scritto: ma è così delirante che l’ho passato a Polaroid, dove apparirà, (se apparirà) a discrezione degli stimatissimi webmastri. Leggete Polaroid! È come Leonardo, ma con più sesso, più droga, più rock’n’roll!
– C’è qualcosa di profondamente sbagliato o in me, o in Dreamweaver, o in Homesite, o in Netscape 6.2, ma non è possibile perdere 8 ore per fare una tabella (e non riuscirci).
– Ehi, tu! Sì, dico proprio a te. Preparati una scusa credibile, del tipo sai, si è aperta una crepa nel sottosuolo che ha inghiottito il mio cellulare...
– Il creativo che ha creato l’ultimo spot del pandoro Melegatti è cocainomane.
– (Non è una futilità) Visto che ora le prove le hanno, spero che prendano Bin Laden vivo e lo processino.
– I vostri commenti sono molto graditi e, con molta calma, cercherò di rispondere un po’a tutti.
E ora passiamo alle cose serie. Prossimamente: il terzo motivo per non dire No Global…
– Siccome avevo creato delle attese, con questa storia del kung fu nel cinema francese, il pezzo l’ho scritto: ma è così delirante che l’ho passato a Polaroid, dove apparirà, (se apparirà) a discrezione degli stimatissimi webmastri. Leggete Polaroid! È come Leonardo, ma con più sesso, più droga, più rock’n’roll!
– C’è qualcosa di profondamente sbagliato o in me, o in Dreamweaver, o in Homesite, o in Netscape 6.2, ma non è possibile perdere 8 ore per fare una tabella (e non riuscirci).
– Ehi, tu! Sì, dico proprio a te. Preparati una scusa credibile, del tipo sai, si è aperta una crepa nel sottosuolo che ha inghiottito il mio cellulare...
– Il creativo che ha creato l’ultimo spot del pandoro Melegatti è cocainomane.
– (Non è una futilità) Visto che ora le prove le hanno, spero che prendano Bin Laden vivo e lo processino.
– I vostri commenti sono molto graditi e, con molta calma, cercherò di rispondere un po’a tutti.
E ora passiamo alle cose serie. Prossimamente: il terzo motivo per non dire No Global…
sabato 8 dicembre 2001
Ieri sono stato un po’ duro con quelli della Rete No Global. Probabilmente potrebbero benissimo dare lezione d’inglese ai webmastri del nostro President of the Advice (Presidente del Consiglio)…
Secondo motivo per non dire No Global
C'è chi dice no?
Sono due parole: “No” e “Global”. Oggi esaminiamo la prima: No.
Il concetto è chiaro, fin troppo. Diciamo di no. Siamo contro. Gli altri affermano, e noi neghiamo. È una buona descrizione del movimento?
No.
Certo, è vero, siamo ‘contro’ alcune cose. Ma non è l’essere ‘contro’ a caratterizzarci.
Noi crediamo che un altro mondo sia possibile: un mondo dove, per dire, l’80% delle risorse mondiali non sia a disposizione di appena il 20% della popolazione.
E loro dicono di no.
Perché?
Perché secondo loro l’unico modello che funziona è questo.
Noi proponiamo di azzerare il debito di Paesi che – speculazione a parte – i loro debiti li avrebbero già pagati con fior d’interessi: loro dicono che non si può.
Noi proponiamo di tassare gli scambi valutari, in modo da rallentare la speculazione: loro rispondono di no.
Noi chiediamo di istituire un tribunale internazionale permanente – loro rispondono: no.
Noi chiediamo di ridurre le emissioni di gas nocivi: sarebbe possibile – ma secondo loro no.
Noi proponiamo i bilanci partecipativi, i bilanci di giustizia, il commercio equo e solidale, il microcredito – e loro scuotono la testa, queste sono simpatiche fantasie, ma non possono funzionare.
Chissà, magari hanno ragione loro.
Però sono loro a dire di no.
Tutto quello che noi diciamo è: proviamo a fare diversamente.
Noi i contenuti li abbiamo. Le proposte le abbiamo. Chi dice di no non ha contenuti, non ha proposte: è solo convinto che questo sia l'unico mondo possibile, perché è l'unico che ha visto funzionare. Confonde la Storia con la necessità. Noi no. Poteva anche andare meglio di così. E magari in fututro andrà meglio. Ma solo se si cambia qualcosa.
Per questo motivo la particella “No” è una cattiva scelta. Rafforza l’idea (distorta), che il movimento sia un’accozzaglia di cannaioli paranoici che ce l’hanno con tutti per qualsiasi motivo.
Oddio, c’è anche gente così, specie in primo piano nelle riprese delle tv berlusconiane: ma non sono così tanti. E comunque bisognerebbe anche chiedersi perché la nostra società felice partorisce persone così. Perché non sono tutti felici alla prima della Scala, o in centro per acquisti, o al cinema a vedere Harry Potter? Colpa della propaganda comunista?
“E al posto del No cosa ci metteresti?”
Non lo so. Io sono il correttore (frustrato), non il creativo. Creativi, comunque, ne abbiamo a pacchi: che ci pensino loro.
Un’idea (modesta) ce l’ho: al posto della particella “No” metterei la particella “Altro”. È una proposta poco originale, data da un vecchio lettore di Altromercato, Altrafinanza, Altraeconomia…
Il concetto comunque è quello: noi non diciamo “no”, diciamo “proviamo in un altro modo”. Sono gli altri a dire no. Sono gli altri a caricare. Sono gli altri a pestare. A lasciarci storditi, attoniti. Perché noi tutto sommato non facciamo niente di male. Chiediamo solo un’altra possibilità.
Comunque questo non è il motivo più importante per non dire No Global (continua).
Secondo motivo per non dire No Global
C'è chi dice no?
Sono due parole: “No” e “Global”. Oggi esaminiamo la prima: No.
Il concetto è chiaro, fin troppo. Diciamo di no. Siamo contro. Gli altri affermano, e noi neghiamo. È una buona descrizione del movimento?
No.
Certo, è vero, siamo ‘contro’ alcune cose. Ma non è l’essere ‘contro’ a caratterizzarci.
Noi crediamo che un altro mondo sia possibile: un mondo dove, per dire, l’80% delle risorse mondiali non sia a disposizione di appena il 20% della popolazione.
E loro dicono di no.
Perché?
Perché secondo loro l’unico modello che funziona è questo.
Noi proponiamo di azzerare il debito di Paesi che – speculazione a parte – i loro debiti li avrebbero già pagati con fior d’interessi: loro dicono che non si può.
Noi proponiamo di tassare gli scambi valutari, in modo da rallentare la speculazione: loro rispondono di no.
Noi chiediamo di istituire un tribunale internazionale permanente – loro rispondono: no.
Noi chiediamo di ridurre le emissioni di gas nocivi: sarebbe possibile – ma secondo loro no.
Noi proponiamo i bilanci partecipativi, i bilanci di giustizia, il commercio equo e solidale, il microcredito – e loro scuotono la testa, queste sono simpatiche fantasie, ma non possono funzionare.
Chissà, magari hanno ragione loro.
Però sono loro a dire di no.
Tutto quello che noi diciamo è: proviamo a fare diversamente.
Noi i contenuti li abbiamo. Le proposte le abbiamo. Chi dice di no non ha contenuti, non ha proposte: è solo convinto che questo sia l'unico mondo possibile, perché è l'unico che ha visto funzionare. Confonde la Storia con la necessità. Noi no. Poteva anche andare meglio di così. E magari in fututro andrà meglio. Ma solo se si cambia qualcosa.
Per questo motivo la particella “No” è una cattiva scelta. Rafforza l’idea (distorta), che il movimento sia un’accozzaglia di cannaioli paranoici che ce l’hanno con tutti per qualsiasi motivo.
Oddio, c’è anche gente così, specie in primo piano nelle riprese delle tv berlusconiane: ma non sono così tanti. E comunque bisognerebbe anche chiedersi perché la nostra società felice partorisce persone così. Perché non sono tutti felici alla prima della Scala, o in centro per acquisti, o al cinema a vedere Harry Potter? Colpa della propaganda comunista?
“E al posto del No cosa ci metteresti?”
Non lo so. Io sono il correttore (frustrato), non il creativo. Creativi, comunque, ne abbiamo a pacchi: che ci pensino loro.
Un’idea (modesta) ce l’ho: al posto della particella “No” metterei la particella “Altro”. È una proposta poco originale, data da un vecchio lettore di Altromercato, Altrafinanza, Altraeconomia…
Il concetto comunque è quello: noi non diciamo “no”, diciamo “proviamo in un altro modo”. Sono gli altri a dire no. Sono gli altri a caricare. Sono gli altri a pestare. A lasciarci storditi, attoniti. Perché noi tutto sommato non facciamo niente di male. Chiediamo solo un’altra possibilità.
Comunque questo non è il motivo più importante per non dire No Global (continua).
venerdì 7 dicembre 2001
Primo motivo per non dire no global
Come, Mr. Tally Mon, tally me banana...
Cominciamo dal motivo più cretino.
Che lingua è, No Global? Inglese? Gli inglesi mettono il “no” davanti ai nomi, non agli aggettivi.
Immaginarsi la perplessità della canadese Naomi Klein, autrice di No Logo (questo è ancora inglese), che sbarca a Napoli e passa in un centro sociale. Incontra Caruso che le dice: “Hello, siamo la rete No Global! we are the No Global net!”.
La poveraccia, che ha pur sempre il suo background di ex adolescente fighetta da scontare, si deve essere sentita come Jane di fronte a Tarzan. Cioè, siamo all’inglese di Harry Belafonte: questa banana è buona, questa è no buona, questa è global, questa è no global.
È storicamente accertato perlomeno che Naomi a Napoli ci passò, nell’estate del 2001, e consiglio caldamente ai ragazzi della rete No Global di cambiare nome. Nel frattempo però i giornalisti di tutt’Italia vi si erano affezionati, e non a torto: trovate voi un nome più corto, otto caratteri e uno spazio, l’ideale da sparare in qualsiasi titolo cubitale. Un logo, insomma. Scritto in un maccheronico inglese globale. Un logo globale. Con un'origine un po'... come dire... pataccara. Avete presente le cassette abusive, coi nomi sempre un po' storpiati? Ecco, quella è la figura che ci facciamo. Poi per forza ci chiamano leoncavallini ignoranti, cannaioli, drogati, lavatevi, chiaritevi le idee, fatevi una cultura, andate al cinema...
(Io faccio tanto il tuttologo, ma alla fine sono solo un piccolo correttore di bozze frustrato; lo sono dentro: se anche facessi il carrozziere o il premio Nobel di chimica resterei nell’animo un piccolo correttore di bozze frustrato; e questo è il mio contributo al movimento: un contributo da piccolo correttore di bozze frustrato).
Questo inglese global-maccheronico, che ci espone al ludibrio internazionale, si ritrova nei famosi Social Forum, nati in agosto come funghi dalla solidarietà diffusa nei confronti del Genoa Social Forum.
Ora, intendiamoci: Genoa Social Forum è ancora inglese, anche se c’è quel Forum un po’ latinizzante. Ma già di fronte a Bologna Social Forum ci troviam di fronte a un orribile mostro a tre teste: una parola italiana, una inglese, una latina; sarebbe piaciuto a Joyce, ma a me, francamente…
Finché lo scrivi, passi: ma prova un po’ a pronunciarlo. No, su, sinceramente: prova a dire “Social”, a voce alta.
Hai provato?
Ecco.
Questo è il motivo per cui bisognerebbe evitare i nomi plurilingue: perché la pronuncia ti tradisce sempre. Anche se mastichi abbastanza inglese da sapere che si pronuncia più o meno “sosc’ll”, non riuscirai mai a ricordartene proprio in quel momento – specie se la tua bocca ha appena pronunciato una parola come “Bologna”. No. Che tu sia ripetente o professore ordinario d’inglese, finirai per leggere come si scrive: bo-lò-ggna sò-ccial fò-rum.
Ma un inglese potrebbe non capire.
E – quel che è peggio – qualche bolognese potrebbe equivocare...
Comunque questo non è il motivo più importante per non dire No Global (continua).
Come, Mr. Tally Mon, tally me banana...
Cominciamo dal motivo più cretino.
Che lingua è, No Global? Inglese? Gli inglesi mettono il “no” davanti ai nomi, non agli aggettivi.
Immaginarsi la perplessità della canadese Naomi Klein, autrice di No Logo (questo è ancora inglese), che sbarca a Napoli e passa in un centro sociale. Incontra Caruso che le dice: “Hello, siamo la rete No Global! we are the No Global net!”.
La poveraccia, che ha pur sempre il suo background di ex adolescente fighetta da scontare, si deve essere sentita come Jane di fronte a Tarzan. Cioè, siamo all’inglese di Harry Belafonte: questa banana è buona, questa è no buona, questa è global, questa è no global.
È storicamente accertato perlomeno che Naomi a Napoli ci passò, nell’estate del 2001, e consiglio caldamente ai ragazzi della rete No Global di cambiare nome. Nel frattempo però i giornalisti di tutt’Italia vi si erano affezionati, e non a torto: trovate voi un nome più corto, otto caratteri e uno spazio, l’ideale da sparare in qualsiasi titolo cubitale. Un logo, insomma. Scritto in un maccheronico inglese globale. Un logo globale. Con un'origine un po'... come dire... pataccara. Avete presente le cassette abusive, coi nomi sempre un po' storpiati? Ecco, quella è la figura che ci facciamo. Poi per forza ci chiamano leoncavallini ignoranti, cannaioli, drogati, lavatevi, chiaritevi le idee, fatevi una cultura, andate al cinema...
(Io faccio tanto il tuttologo, ma alla fine sono solo un piccolo correttore di bozze frustrato; lo sono dentro: se anche facessi il carrozziere o il premio Nobel di chimica resterei nell’animo un piccolo correttore di bozze frustrato; e questo è il mio contributo al movimento: un contributo da piccolo correttore di bozze frustrato).
Questo inglese global-maccheronico, che ci espone al ludibrio internazionale, si ritrova nei famosi Social Forum, nati in agosto come funghi dalla solidarietà diffusa nei confronti del Genoa Social Forum.
Ora, intendiamoci: Genoa Social Forum è ancora inglese, anche se c’è quel Forum un po’ latinizzante. Ma già di fronte a Bologna Social Forum ci troviam di fronte a un orribile mostro a tre teste: una parola italiana, una inglese, una latina; sarebbe piaciuto a Joyce, ma a me, francamente…
Finché lo scrivi, passi: ma prova un po’ a pronunciarlo. No, su, sinceramente: prova a dire “Social”, a voce alta.
Hai provato?
Ecco.
Questo è il motivo per cui bisognerebbe evitare i nomi plurilingue: perché la pronuncia ti tradisce sempre. Anche se mastichi abbastanza inglese da sapere che si pronuncia più o meno “sosc’ll”, non riuscirai mai a ricordartene proprio in quel momento – specie se la tua bocca ha appena pronunciato una parola come “Bologna”. No. Che tu sia ripetente o professore ordinario d’inglese, finirai per leggere come si scrive: bo-lò-ggna sò-ccial fò-rum.
Ma un inglese potrebbe non capire.
E – quel che è peggio – qualche bolognese potrebbe equivocare...
Comunque questo non è il motivo più importante per non dire No Global (continua).
mercoledì 5 dicembre 2001
Le etichette sono pessime cose, e bisognerebbe evitarle finché si può.
Molte di loro nascono come dispregiativi, e poi in mancanza di meglio diventano bandiere.
Un esempio rapido: sei in giro per Roma, coi tuoi amici, un bel giorno del Seicento. Si parla d’arte, l’arte antica, l’arte moderna, le ultime tendenze, ecc.. “Per esempio, a te il Bernini piace? A me proprio per gnente, guarda”.
E tu, che magari Bernini neanche lo conosci, per cavarti d’impiccio te ne esci con la prima cosa che ti viene in mente:
“Mah… questo Bernini, per la verità… è un po’ barocco, diciamo”.
Sulle prime è solo un’offesa.
Però suona bene.
E senza volere hai dato un nome a un’artista, a un’arte e a un’epoca. Generazioni di critici e storici d’arte non riusciranno a trovare di meglio.
Passano i secoli – un paio, diciamo. Siam quasi a fine Ottocento, e il tuo direttore ti manda a un’esposizione di giovani pittori. Tu non ti aspetti niente di che: i soliti paesaggi, i soliti ritratti sognanti in punta di pennello.
Però... questi giovani qua sono pure peggio del previsto! Sono stati a Parigi? Bella roba s’impara lassù. Questi non sanno tenere il pennello in mano, sbavano i colori, non tengono i contorni, non sfumano…
“Non son mica pittori cotesti”, riferisci indispettito al direttore, “son… son macchiaioli, ecco”.
“Ch’ài detto? Non ho capito”.
“Macchiaioli. È un’offesa”.
“Però suona bene. Fa’ così, scrivi che sei stato alla mostra dei macchiaioli. Alla gente piacerà”.
E senza volere hai dato un altro nome al mondo. Ancora qualche anno e circoleranno pittori fieri di chiamarsi “macchiaioli”. Chi l’avrebbe detto mai.
Arriva il Novecento, anzi Novecentosettanta e qualcosa, ma tu hai capito l’antifona e non spari più giudizi affrettati. Quando fuori il mondo accenna a cambiare tu ti ritiri nella tua stanza londinese e metti su qualcosa di tranquillo, qualcosa di rilassante, magari i Genesis, o i King Crimson, i Pink Floyd, perché no… ma a volume basso.
Improvvisamente irrompe tuo fratello minore con un’assurda giacca chiodata (dove l’ha tirata fuori)? “Ciao stronzo! Ti faccio sentire una cosa che ho qui in cassetta, sei pronto?”
“Piano però… ho un po’ di emicrania e…”
SBRANG! Sulle prime pensi a un’esplosione in cucina: qualcuno ha lasciato aperto il gas? Poi ti rendi conto: è la cassetta di tuo fratello, sono le prove del suo nuovo complesso. Ma tuo fratello non sa suonare nulla, e infatti tutto quello che fa è gridare come un ossesso offese alla Regina, minacce al Papa e… qualcosa sul muro di Berlino… per fortuna il barbaro batterista copre tutto con un gran rullare di piatti e tamburi. Mai sentito un obbrobrio simile! Mai…
“Ti piace, stronzo?”
"Cosa posso dirti, fratellino, questa è… è merda! Spazzatura!”
“Eh? Cos’hai detto?”
“Ho detto spazzatura, ecco cos’è”.
Soltanto che l’hai detto in inglese, e in inglese suona “This is punk”.
“Però”, esclama il fratellino, “suona bene”.
E tu hai già capito che non c’è più niente da fare. Da quel momento tuo fratello suona in una punk band. Ancora qualche anno e migliaia di giovani in tutto il mondo si travestiranno da spazzatura e scriveranno sui muri Punk not dead.
Ancora un piccolo sforzo.
È l’alba di un nuovo secolo. È la sera di un sabato lunghissimo, a Genova, dove eri venuto a osservare i lavori di un importante vertice internazionale. Che alla fine hai snobbato, perché qualche isolato più in là è scoppiata una specie di guerra civile ed è durata due giorni.
Adesso stai dettando un pezzo al telefono, hai poco tempo e pochi caratteri a disposizione.
“…Eppure possiamo dire che oggi, malgrado questa repressione, è nato un nuovo soggetto politico. Un movimento di giovani, adulti, pensionati, migranti, suore, che lotta contro le aberrazioni della globalizzazione e… quanti caratteri ho ancora?”
“Hai già sforato di una riga”.
“Oddio”.
“Dai, tanto poi tagliamo noi”.
“Voi non tagliate niente che stasera non mi fido di nessuno. Allora. Un movimento che lotta contro le aberrazioni della globaliz…”
“Sforato”.
“Mph. Un movimento che lotta contro la global…”
“Sforato”.
“Un movimento che dice no alla global…”
“Dai che ormai ci siamo”-
“Un movimento… no... global…”
“Perfetto”.
“Come perfetto, rileggi per favore”.
“Un movimento No Global”.
"È ridicolo. Sembra un’offesa”.
“Dici? Invece io trovo che suoni bene. Movimento No Global. Ok. Il pezzo è pronto. Alla prossima”
Click
“Mio Dio”, dici, “che ho fatto”.
Hai creato un nuovo mostro. Ancora qualche giorno e… a proposito, questa è fresca: c’è una cittadina in provincia di Napoli che sta per proclamarsi Primo comune No Global d’Italia.
Io comunque resto convinto che le etichette siano pessime cose, e che bisognerebbe evitarle finché si può. Nei prossimi giorni inizierò a metterò in fila tutta una serie di motivi per cui sarebbe meglio non dire No Global.
Oppure vi parlerò del ruolo del kungfu nella moderna cinematografia francese, non so. Ci devo ancora pensare.
Molte di loro nascono come dispregiativi, e poi in mancanza di meglio diventano bandiere.
Un esempio rapido: sei in giro per Roma, coi tuoi amici, un bel giorno del Seicento. Si parla d’arte, l’arte antica, l’arte moderna, le ultime tendenze, ecc.. “Per esempio, a te il Bernini piace? A me proprio per gnente, guarda”.
E tu, che magari Bernini neanche lo conosci, per cavarti d’impiccio te ne esci con la prima cosa che ti viene in mente:
“Mah… questo Bernini, per la verità… è un po’ barocco, diciamo”.
Sulle prime è solo un’offesa.
Però suona bene.
E senza volere hai dato un nome a un’artista, a un’arte e a un’epoca. Generazioni di critici e storici d’arte non riusciranno a trovare di meglio.
Passano i secoli – un paio, diciamo. Siam quasi a fine Ottocento, e il tuo direttore ti manda a un’esposizione di giovani pittori. Tu non ti aspetti niente di che: i soliti paesaggi, i soliti ritratti sognanti in punta di pennello.
Però... questi giovani qua sono pure peggio del previsto! Sono stati a Parigi? Bella roba s’impara lassù. Questi non sanno tenere il pennello in mano, sbavano i colori, non tengono i contorni, non sfumano…
“Non son mica pittori cotesti”, riferisci indispettito al direttore, “son… son macchiaioli, ecco”.
“Ch’ài detto? Non ho capito”.
“Macchiaioli. È un’offesa”.
“Però suona bene. Fa’ così, scrivi che sei stato alla mostra dei macchiaioli. Alla gente piacerà”.
E senza volere hai dato un altro nome al mondo. Ancora qualche anno e circoleranno pittori fieri di chiamarsi “macchiaioli”. Chi l’avrebbe detto mai.
Arriva il Novecento, anzi Novecentosettanta e qualcosa, ma tu hai capito l’antifona e non spari più giudizi affrettati. Quando fuori il mondo accenna a cambiare tu ti ritiri nella tua stanza londinese e metti su qualcosa di tranquillo, qualcosa di rilassante, magari i Genesis, o i King Crimson, i Pink Floyd, perché no… ma a volume basso.
Improvvisamente irrompe tuo fratello minore con un’assurda giacca chiodata (dove l’ha tirata fuori)? “Ciao stronzo! Ti faccio sentire una cosa che ho qui in cassetta, sei pronto?”
“Piano però… ho un po’ di emicrania e…”
SBRANG! Sulle prime pensi a un’esplosione in cucina: qualcuno ha lasciato aperto il gas? Poi ti rendi conto: è la cassetta di tuo fratello, sono le prove del suo nuovo complesso. Ma tuo fratello non sa suonare nulla, e infatti tutto quello che fa è gridare come un ossesso offese alla Regina, minacce al Papa e… qualcosa sul muro di Berlino… per fortuna il barbaro batterista copre tutto con un gran rullare di piatti e tamburi. Mai sentito un obbrobrio simile! Mai…
“Ti piace, stronzo?”
"Cosa posso dirti, fratellino, questa è… è merda! Spazzatura!”
“Eh? Cos’hai detto?”
“Ho detto spazzatura, ecco cos’è”.
Soltanto che l’hai detto in inglese, e in inglese suona “This is punk”.
“Però”, esclama il fratellino, “suona bene”.
E tu hai già capito che non c’è più niente da fare. Da quel momento tuo fratello suona in una punk band. Ancora qualche anno e migliaia di giovani in tutto il mondo si travestiranno da spazzatura e scriveranno sui muri Punk not dead.
Ancora un piccolo sforzo.
È l’alba di un nuovo secolo. È la sera di un sabato lunghissimo, a Genova, dove eri venuto a osservare i lavori di un importante vertice internazionale. Che alla fine hai snobbato, perché qualche isolato più in là è scoppiata una specie di guerra civile ed è durata due giorni.
Adesso stai dettando un pezzo al telefono, hai poco tempo e pochi caratteri a disposizione.
“…Eppure possiamo dire che oggi, malgrado questa repressione, è nato un nuovo soggetto politico. Un movimento di giovani, adulti, pensionati, migranti, suore, che lotta contro le aberrazioni della globalizzazione e… quanti caratteri ho ancora?”
“Hai già sforato di una riga”.
“Oddio”.
“Dai, tanto poi tagliamo noi”.
“Voi non tagliate niente che stasera non mi fido di nessuno. Allora. Un movimento che lotta contro le aberrazioni della globaliz…”
“Sforato”.
“Mph. Un movimento che lotta contro la global…”
“Sforato”.
“Un movimento che dice no alla global…”
“Dai che ormai ci siamo”-
“Un movimento… no... global…”
“Perfetto”.
“Come perfetto, rileggi per favore”.
“Un movimento No Global”.
"È ridicolo. Sembra un’offesa”.
“Dici? Invece io trovo che suoni bene. Movimento No Global. Ok. Il pezzo è pronto. Alla prossima”
Click
“Mio Dio”, dici, “che ho fatto”.
Hai creato un nuovo mostro. Ancora qualche giorno e… a proposito, questa è fresca: c’è una cittadina in provincia di Napoli che sta per proclamarsi Primo comune No Global d’Italia.
Io comunque resto convinto che le etichette siano pessime cose, e che bisognerebbe evitarle finché si può. Nei prossimi giorni inizierò a metterò in fila tutta una serie di motivi per cui sarebbe meglio non dire No Global.
Oppure vi parlerò del ruolo del kungfu nella moderna cinematografia francese, non so. Ci devo ancora pensare.
martedì 4 dicembre 2001
Scherzo scemo
Perché io alla mamma ci voglio bene, e mai e poi mai vorrei che si mettesse in pensiero. Così ogni tanto la chiamo.
“Ciao, stai bene?, ti chiamo perché…”
“Vieni a trovarci domenica?”
“Ecco, no appunto, non posso, sono via, sono a Frosinone”.
“A Frosinonone?”
“Sì, una città… in Ciociaria, sai… sotto Roma”.
“Lo so da me dov’è Frosinone, ma cosa ci fai lì tu?”
“…storia lunga”.
"È un’altra delle tue associazioni?”
“Ecco, sì”.
“Ma non è che vi mettete dei guai, eh?”
“Ma no, è una cosa tranquilla… e poi siamo molto ben organizzati”.
“Ma che gente c’è, insomma”.
“Gente splendida, viene da tutt’Italia, ma il bello è che la struttura esiste a livello mondiale, pensa, abbiamo sedi in Argentina, in Marocco, in Tunisia, dappertutto…”.
“E come vi chiamate?”
“Ma dai mamma, te l’avevo anche detto”.
“Ah sì?”
“Ne ha parlato anche la televisione”.
“Ah… è vero… qualcosa che iniziava per A… A… A…”.
“Al Qaeda, mamma. Sono a una riunione di Al Qaeda”.
“Mò sgnòr!!”
“Mamma… sto scherzando”.
“Spero bene… ma di’ su, ma se ci controllano il telefono? Eh?”
“Dai mamma, non cominciare anche tu. Sto bene. Si mangia bene. Poi ti racconto”.
Perché io alla mamma ci voglio bene, e mai e poi mai vorrei che pensando a me si annoiasse. Così le faccio questi scherzi scemi.
Perché io alla mamma ci voglio bene, e mai e poi mai vorrei che si mettesse in pensiero. Così ogni tanto la chiamo.
“Ciao, stai bene?, ti chiamo perché…”
“Vieni a trovarci domenica?”
“Ecco, no appunto, non posso, sono via, sono a Frosinone”.
“A Frosinonone?”
“Sì, una città… in Ciociaria, sai… sotto Roma”.
“Lo so da me dov’è Frosinone, ma cosa ci fai lì tu?”
“…storia lunga”.
"È un’altra delle tue associazioni?”
“Ecco, sì”.
“Ma non è che vi mettete dei guai, eh?”
“Ma no, è una cosa tranquilla… e poi siamo molto ben organizzati”.
“Ma che gente c’è, insomma”.
“Gente splendida, viene da tutt’Italia, ma il bello è che la struttura esiste a livello mondiale, pensa, abbiamo sedi in Argentina, in Marocco, in Tunisia, dappertutto…”.
“E come vi chiamate?”
“Ma dai mamma, te l’avevo anche detto”.
“Ah sì?”
“Ne ha parlato anche la televisione”.
“Ah… è vero… qualcosa che iniziava per A… A… A…”.
“Al Qaeda, mamma. Sono a una riunione di Al Qaeda”.
“Mò sgnòr!!”
“Mamma… sto scherzando”.
“Spero bene… ma di’ su, ma se ci controllano il telefono? Eh?”
“Dai mamma, non cominciare anche tu. Sto bene. Si mangia bene. Poi ti racconto”.
Perché io alla mamma ci voglio bene, e mai e poi mai vorrei che pensando a me si annoiasse. Così le faccio questi scherzi scemi.
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