Maestri di vita (3) -- Boldrini e il caso Edward Cook. Continua da ieri
...Per qualche settimana vivacchiammo, copiando un po' qua e un po' là, ma il Kaiser non ci lasciava respiro. Finché non avvenne qualcosa di inatteso: una nostra compagna si ammalò e fu assente per un paio di settimane.
Quando tornò, ovviamente non conosceva gli ultimi sviluppi della vicenda di Edward Cook – e potete immaginare quanto questo le dispiacesse.
Per consentirle di rimediare il tempo perduto, il Kaiser fece qualcosa d'inconsulto, su cui c'interroghiamo ancora a distanza di anni: le prestò il suo libro con tutti i dialoghi della fiction, chiedendole di ricopiare le ultime due puntate, a mo' di compito.
Forse non ci conosceva ancora come la Classe Peggiore di Sempre. Forse non sapeva che le nuove generazioni sapevano adoperare una fotocopiatrice con la facilità con cui lei sapeva infornare una torta di mele. Forse si credeva legata ai suoi studenti da un rapporto di rispetto che escludeva i sotterfugi e le disonestà. Chi lo sa. Fatto sta che nel giro di tre giorni avevamo tutte le fotocopie di Edward Cook in mano, comprese le puntate di là da venire. E il fatto di conoscere già il finale non rendeva certo più eccitanti le lezioni al laboratorio.
Jane Austen, dal canto suo, era raggiante. Finalmente i suoi scolari avevano preso il ritmo giusto. Eh, sì, nei primi mesi avevano un po' nicchiato, ma… tutto sommato erano bravi ragazzi. Anche quei due lavativi di Ognibene e Boldrini s'erano messi in riga.
Vennero le vacanze di Natale, con l'ultima consegna: finire di sbobinare Edward Cook. Nessun problema.
A capodanno feci le tre del mattino in casa di amici, era la prima volta. Con la chitarra riuscivo già a suonare tre pezzi degli U2. C'era una brunetta di San Lorenzo della Pioppa che mi faceva sognare. E… le fotocopie di Edward Cook, sulla mia scrivania, da copiare rigorosamente il cinque gennaio. "Edward Cook is in prison for something he didn't do!". Povero fesso. Noi, per "something we didn't do", avremmo festeggiato l'epifania con un bell'otto in inglese…
Nell'ultima puntata il povero Edward era stanco, scoglionato. Non dormiva da giorni. Aveva teso un tranello al nemico, ma la sua ragazza era perplessa. "I know", ribatteva lui, "but what can we so?"
Il senso della frase era abbastanza chiaro: Lo so, ma che altro possiamo tentare, in questa situazione?
La sintassi, invece, era un po' strana.
Io, per esempio, al posto di Edward avrei detto "What can we do?", non "what can we so".
Sì, ma io ero un quindicenne brufoloso, Edward era un testo d'inglese per insegnanti.
E se fosse stato un errore di stampa?
Bah, più probabilmente una frase idiomatica, gli inglesi ne hanno tante.
Strinsi le spalle e ricopiai, nella mia enorme calligrafia: "I know, but what can we so?"
Il sette gennaio, alle nove del mattino, la nostra zia d'America s'introdusse in aula e ci chiese gentilmente di tirare fuori il quaderno: avevamo sbobinato l'ultimo atto di Edward Cook? C'era piaciuto il finale a sorpresa? Ce l'eravamo aspettato? Leggiamolo insieme.
Camminando tra un banco e l'altro, Jane Austen osservava compiaciuta i nostri quaderni aperti. Ogni tanto gridava: "Fagioli!" E Fagioli si metteva a leggere. "Ognibene!" E Ognibene doveva riprendere dal punto esatto su cui era caduto Fagioli. Sconsigliatissimo distrarsi.
Man mano che sgranavamo i paragrafi, sentivo in me crescere l'angoscia. Perché? Tutto era ok, non ero mai stato così coperto. Ma c'era qualcosa che non andava. Cosa?
"Boldrini!"
"I know, but what can we so?"
"Come?"
"I…I know, but what can we so?"
Silenzio.
"Boldrini".
"Beh?"
"Boldrini, dove hai trovato il libro?"
"Eh? Come? Cosa?"
La temperatura in classe stava calando in verticale, ma io non potevo accorgermene. Avvampavo.
"Boldrini, sul libro che io ho in mano c'è scritto: "what can we so"".
"What can we so, è quello che ho detto io…"
"È un errore di stampa. Sulla cassetta che tu hai – che tu avresti dovuto sbobonare per le vacanze – si sente forte e chiaro: 'what can we do'.".
"What can we so".
"No, what can we do. Chi ti ha dato il libro, Boldrini?"
"Eh? Che libro?"
"Boldrini!"
Eravamo venticinque in classe, e ventiquattro sudavano freddo. Questo era qualcosa di più di una marachella, era uno scandalo, un traffico di fotocopie, da rimetterci la gita scolastica. Io, seduto tre file dietro Boldrini, non osavo respirare, non osavo alzare gli occhi sul quaderno davanti a me, dove si leggeva nella mia enorme calligrafia: "I know, but what can we so?". Pure, la tentazione di trasformare quella s in d con un segnaccio era intollerabile. Ma…no! Il Kaiser ha mille occhi, e non resterà certo a lungo su Boldrini…
"Boldrini, quello che hai fatto è molto grave. Voglio da te una risposta, ora".
"Beh, io…".
Per quanto tempo potesse prendere, non faceva che complicare la sua situazione. E comunque non poteva fare altro che tradire tutti i suoi compagni, a partire dalla povera convalescente che aveva universalmente diffuso il libro di Edward Cook. Per nulla al mondo avrei voluto trovarmi nei panni di Boldrini, eppure era chiaro che mi ci sarei trovato di lì a breve. Ma almeno sarei stato in buona compagnia…
"Insomma, Boldrini…"
"Sì, insomma, sono andato a lezione…"
"E allora?"
"La prof che mi fa lezione ha il libro, e me l'ha dato".
"Ti rendi conto di quello che hai fatto?"
"Sì".
Se la cavò con una nota. I suoi 24 compagni tirarono il fiato, molto, molto piano. Presi il correttore e resi illeggibile la mezza pagina intorno a "I know. But what can we so?" Cos'altro potevo fare?
In gita andammo a Vetulonia (Toscana)
Sono passati 15 anni. La Classe Peggiore di Sempre si diplomò nel '92, battendo tutti i record di rendimento. La brunetta d'allora è sposata con un figlio. Io faccio il prof, ma non do molti compiti, e alle feste tiro ancora fuori la chitarra. Boldrini lavora nell'import-export, ogni tanto ci incontriamo in birreria, e se siamo dell'umore giusto (e ci vuole un po' di alcol) possiamo anche metterci a scherzare in inglese:
"And Edward Cook?"
"Edward Cook is in prison".
"For what?"
"For something he didn't do!"
"Ah, ah, ah".
A volte, invece. può capitare che io sia solo, e assolutamente sobrio, e mi rimetta a pensare a quel mattino, a quel diabolico errore di stampa, e al fatto che poteva capitare a me. E giuro, sento ancora i brividi. Come avrei reagito?
"I know, but what can we so?"
"Come?"
"Ehm… I know, but what can we do?"
"Mi era sembrato di sentire so"
"No, no, volevo dire do"
"Fammi vedere il quaderno".
"Ehm… posso uscire?"
"No. Fammi vedere il quaderno".
Non c'è il minimo dubbio. Mi sarei messo a piangere – una scena indecorosa. E avrei tradito tutti i miei compagni. Non tanto per fifa: semplicemente perché in quel momento non mi sarebbe venuto in mente nient'altro da fare.
Ma Boldrini no.
Boldrini, quel mattino, prima ancora di capire cosa avesse sbagliato, col gelido alito del Kaiser addosso, fu in grado in pochi secondi d'inventarsi una storia plausibile, di prendersi tutta la colpa e salvare i compagni. Ci voleva del coraggio, dell'abnegazione, della faccia tosta, ma anche qualcosa di più. Della fantasia. Un lampo di genio nel momento del pericolo. Ogni tanto ci ripenso: meno male che quel giorno toccava a Boldrini. Ma se domani toccasse a me?
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