Maestri di vita (3) – Boldrini e il caso Edward Cook.
Eravamo al liceo.
Il Linguistico Maxi-sperimentale, di solito, accettava solo studenti licenziati dalle Medie con Ottimo, ma nel 1987 qualche genitore trovò gli argomenti per fare ricorso, e il campione sociale cambiò radicalmente.
Finora si era trattato di una buona scuola per figli di professionisti e classe dirigente; alla fine degli Anni Ottanta cominciavano a farsi sotto i figli dei padroncini di provincia. Padroncini in senso lato: a Sassuolo e dintorni c'era gente che aveva fatto i miliardi vendendo piastrelle fino a Kyoto, e poteva ben pretendere di mandare suo figlio a un linguistico decente. Che imparasse, se non c'era il giapponese, almeno il tedesco.
I prof non capivano. I professori tendono sempre a considerare la svogliatezza degli alunni, in primis, come un'offesa personale. Ma la svogliatezza non è sempre indizio di scarsa intelligenza o scarso impegno. Chi si farà strada nella vita: l'ottuso compilatore di versioni dal latino che passa pomeriggi a sfogliare il dizionario per trovare proprio quella maledetta frase di Tacito… o non piuttosto il ragazzo vivace, dinamico, che dopo due settimane ha già capito chi sono i migliori produttori di versioni nella classe, come e quando corromperli?
I prof non la vedevano in questo modo. "Trovate che il latino sia inutile? Benissimo, facciamo un funerale politico al latino, come ai miei tempi". Ma noi non avevamo nessuna consapevolezza politica: ci consideravamo svogliati e basta. E ci tenevamo anche, alla nostra fama di Classe Peggiore di Sempre.
Non eravamo mica tutti figli di miliardari, naturalmente. La stragrande maggioranza era gente che si era trovata lì per caso, come me e il mio compagno Boldrini.
Quest'ultimo non era neanche uno di provincia: veniva dal quartiere musicisti, che è ridosso dal Centro, e non è un posto di cui ci si possa vantare o vergognare. Ma a suo modo esprimeva una modenesità riconoscibile, sapeva un po' il fumo dei bar sport, canticchiava i cori di stadio. Non era prepotente (aveva più o meno la mia statura) ma un po' discolo. Ogni tanto mi disegnava un pisello sul diario. All'inizio era una cosa innocente, ma quando capì che mia madre non lo sopportava (e che quindi mia madre aveva libero accesso al mio diario) iniziò a disegnarli con regolarità, uno per pagina, per quanto io cercassi di spiegare che la cosa m'imbarazzava profondamente.
Mi sentivo messo in mezzo tra mia madre e Boldrini, due persone con due sistemi di valori entrambi rispettabili, ed era pure accettabile che non andassero d'accordo: ma perché il terreno del loro scontro doveva essere proprio il mio povero diario, ormai ridotto a uno straccio di cesso pubblico? Boldrini disegnava e mia madre strappava. Col tempo smisi di tenere un diario. Non mi ci sono più abituato, e se una sera mi date un appuntamento e non vengo, sappiate che un po' è colpa anche di mia madre e di Boldrini.
Non potendo gestire il mio diario come meglio credevo, s'insinuò il me il diabolico tarlo della svogliatezza: che compiti ci sono per domani? Mboh. Li copierò da qualcuno. Il pomeriggio trascorreva beato (stavo imparando a suonare la chitarra) in questa sicurezza. Ma il mattino era l'angoscia. Copiare cosa, da chi, perché? E certi prof, che nel pomeriggio erano sembrati minacce lontane, la mattina incutevano un vero terrore.
Darei qualcosa per capire – oggi che faccio più o meno lo stesso mestiere – come facevano certe signore sulla cinquantina, dall'aspetto gioviale, a tramutarsi di colpo in arpie e a saper suscitare il panico nei cuori di robusti quindicenni come noi.
La palma dell'angoscia spettava senz'altro alla prof d'inglese, in ragione della sua assoluta imprevedibilità. Quando era di buon umore era la nostra zia d'oltremanica, una simpatica Jane Austen che tutto capiva e comprendeva. E poteva andare avanti così per settimane – ma se qualcosa la contrariava poteva farsi di ghiaccio in un minuto secondo. Ghiaccio acuminato. Ti cavava gli occhi, ti forava il cervello, ti sezionava l'emisfero destro e mandava il referto ai genitori. Io tremavo, come nessun uomo mi ha fatto tremare più, per questa signora che nel tempo libero immaginavo dedita a sfornare torte di mele e mirtilli. La chiamavamo: Frigo, Mastino, Menopausa, Kaiser, e tutta questa serie di nomi che un vero prof sfoggia come medaglie.
Inglese è una bella materia; ma scrivere riassunti in inglese, lettere in inglese (sempre a questi banalissimi corrispondenti immaginari inglesi) alla lunga stanca. Il compito più vessante era per martedì, quando andavamo nel Laboratorio ad ascoltare la puntata di "Edward Cook", fiction sonora a puntate.
"Edward Cook" era un tale che era stato arrestato ed era in prigione "for something he didn't do": dicono tutti così, ma nel suo caso era vero. Una notte di pioggia evadeva, tornava a Londra, individuava i veri colpevoli del misfatto e li consegnava alla polizia. Sarebbe stato anche avvincente… se il Kaiser non avesse preteso da noi la sbobinatura integrale di tutte le puntate. Ripensandoci (oggi che so quanto costa uno sbobinatore a cartella), era incredibile. Avevamo quindici anni! Sbobinarsi dieci minuti di dialoghi in inglese è una cosa che mi metterebbe in difficoltà anche a trenta. Avremmo dovuto protestare, fare la rivoluzione!
Ma non lo sapevamo. Per noi era normale che un prof pretendesse. Com'era normale cercare di sottrarsi alle sue pretese.
Per qualche settimana vivacchiammo, copiando un po' qua e un po' là, ma il Kaiser non ci lasciava respiro. Finché non avvenne qualcosa di inatteso: (continua domani)
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