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venerdì 5 marzo 2004

Tempo rubato

Caro Sindbad,

mi chiedi dove trovo il tempo, anzi, a chi lo rubo.

Io di solito preferisco calcolare quello che il blog mi ha dato, non quello che mi ha tolto. Ma non posso fingere che esistano voci in perdita: il tempo, prima di tutto. Un sacco di tempo perso, che avrei potuto usare per… per cosa? Vediamo.

– Guardare la tv: in effetti non ne guardo quasi più, da due anni in qua. E credo che sia un bene, visto che si tratta di tv italiana. Ho anche smesso di credere nel talkshow come forma di produzione di senso. (Ero scettico già da prima).
– Uscire di casa, andare a bere delle cose e vedere gente in posti pieni di fumo e casino. Una serie di attività sociali che i maschi tra venti e trentacinque anni compiono con scarsa convinzione, e inconfessata speranza che qualcuno finalmente se li fili. Problema risolto (grazie al blog…).
– Scrivere poesie, racconti, lunghe mail ad amici imbarazzati, e tutta quella letteratura personale che nessuno, comunque, si filava (mentre invece il blog un suo pubblico lo ha trovato).
– Suonare la chitarra. In effetti è da un sacco che non la tiro fuori. Addirittura il basso l’ho prestato e non mi ricordo più a chi. Da non credere.
– Dormire. Sì, forse dovrei dormire di più.

Come vedi, la maggior parte del tempo che il blog mi ha succhiato è tempo libero. E attenzione: non ha smesso di essere tempo libero. Prima mi divertivo (o cercavo di divertirmi) guardando la tv, uscendo di casa, etc. Oggi mi diverto (o cerco di divertirmi) gestendo un blog. Il blog è il mio gioco preferito. Ma secondo te io lo sto trasformando in un mestiere.

in fondo esiste in tutti i blogger un punto di non ritorno, un momento in cui il senso ludico del blog perde la sua forza e si trasforma in professione …lavoro…sudore

Non so se hai ragione, ma in questi anni ho fatto caso ad alcune cose:

– Io non voglio fare soldi con quello che scrivo. Non con quello che scrivo qui. Ma non ho niente contro chi ci riesce.
A volte ci ho anche provato anch’io, e mi è successo questo: i piedi cominciavano a ballare sotto il tavolo, la fronte avvampava, e la pelle mi si copriva di chiazze rosse. Giuro. Quindi ho pensato di trovarmi un altro mestiere. Forse devo ancora trovarlo, ma nel mio curriculum non metterò mai questo sito. Questo è un gioco, davvero. Nel puro senso del termine.

– Questo gioco ha avuto, sin dall’inizio, una componente maniacale. Questo non è affatto strano. È una cosa che succede a molti maschietti: se hanno a disposizione uno spazio libero, amano strutturarlo, darsi delle regole come sei si trattasse di un’attività professionale, o peggio (ho trovato anche qualche esempio: Clutcher, Gaspar). Perché facciamo così? Credo che si tratti di una specie di fobia del vuoto. A certe persone l’ozio dà l’angoscia: hanno bisogno di organizzarlo, trasformarlo in qualcosa di quantificabile e rassicurante. Io sono fatto così. Per esempio: per me è importante postare cinque volte alla settimana. È una specie di regola auto-imposta. Un’altra regola, è che dovrei sempre cercare di interessare lettori nuovi. Per questo motivo guardo spesso il contatore. Quando va bene, sono contento. Quando va male, mi chiedo perché. Ma me lo chiedevo già nell’autunno del 2001, quando gli accessi scesero da trenta a venti al giorno. Il contatore ha fatto subito parte del gioco. In realtà non so quanta gente mi legge: ma so che, grosso modo, ogni tanto il numero di lettori aumenta, e ogni tanto diminuisce. E in ogni caso, non è mai stato un numero particolarmente alto (il contatore mi serve anche per restare coi piedi per terra)

– C’è una componente esistenziale da non sottovalutare: io sono precario. Negli ultimi tre anni ho cambiato parecchie cose: mestiere (più volte), abitazione, eccetera. In mezzo a tanto caos, il blog è restato una delle cose più stabili. E allora forse io ho bisogno di un blog che somiglia a una “professione” perché le mie vere “professioni” assomigliano a tanti hobby: le faccio per un po’ di mesi, imparo quel che c’è da sapere, e poi passo ad altro. Alla lunga la cosa dà anche un vago senso d’angoscia. Ma so che la sera posso sempre scrivere qualcosa sul solito blog. È una delle poche certezze: cerco di coltivarla.

– Non è sempre divertente avere un blog, non sempre quello che scrivo mi piace (figurarsi se piace ad altri). Ma per me scrivere è importante. Non come professione: come libertà. Quando scrivo mi sento libero. Non so se sono libero davvero, ma sento la mia libertà. E ho questa idea (paranoide?) che sia una libertà da difendere coi denti. Se lunedì non scrivessi, non succederebbe niente di particolare. Ma martedì sarebbe più difficile rimettersi a scrivere. Il silenzio, la stanchezza, sono sempre in agguato. Ma se perdo la voglia di scrivere, per me è finita.

Devo lottare. Non solo per avere, tutti i giorni, un lavoro dignitoso: ma anche per avere, tutte le sere, uno spazio di libertà: senza il quale non avrebbe senso tirare a campare. Scrivere è il modo in cui mi respira il cervello. Ma è anche la mia stanza dei giochi privata. Ma è anche la mia libertà.

Naturalmente io so che non posso resistere più di tanto. Un giorno succederà: un giorno non avrò più niente da dire, oppure non avrò tempo per dirlo perché nella mia giornata non ci sarà più spazio per il gioco. Quel giorno comincerò ad arrendermi. Ma deve passare ancora un po’ di tempo, spero.

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