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mercoledì 5 maggio 2004
Discorso sul metodo
Quello che colpisce nelle foto da Abu Ghraib non sono i corpi torturati – a quelli purtroppo ci ha già abituato la frequentazione di televisori e altre scatole elettroniche. Quello che fa davvero notizia sono i sorrisi, le smorfie di soddisfazione, i pollici alzati, tutto il corredo di beffe che rendono ancora più insopportabile il danno. Essere torturati è orribile – ma essere torturati da degli imbecilli.
Così, insensibilmente, inesorabilmente, il messaggio cambia oggetto. Non si comunica più la tortura, ma l’idiozia dei torturatori. Sì, è successo, ad Abu Ghraib sono stati torturati (e uccisi?) prigionieri iracheni, ma la responsabilità è di un gruppetto di devianti, irresponsabili, che abbiamo identificato (e infatti ve li mostriamo), e che puniremo, perché siamo democratici, noi. Noi mostriamo. Noi esibiamo. Noi ridicolizziamo. La democrazia consisterebbe in questo.
Io, se avessi la facoltà di scegliere il mio aguzzino, opterei per una persona seria e responsabile, che sa che la tortura non è un festino, ma un momento necessario della guerra: guerra moderna, razionale, poliziesca, mediatica. Uno come il colonnello Mathieu.
Sembra proprio un americano, il colonnello Mathieu, quando sfila in testa ai parà in quella scena de la Battaglia di Algeri. Biondo, marziale, mentre il narratore snocciola il suo curriculum: Seconda guerra mondiale, Resisistenza, Indocina… e ora Algeria. È solo quando si toglie gli occhiali scuri, al primo briefing, che ti rendi davvero conto di averlo già visto. (È l’ufficiale che tranquillizzava quel povero infame, torturato all’inizio del film: su, è tutto finito, nessuno ti farà più niente, hai la mia parola d’onore).
Durante il briefing, Mathieu fa proiettare sul muro un filmato, attualissimo, che mostra come non funzionano i posti di blocco nei centri urbani occupati. “Controllare i documenti”, dice, “è ridicolo: il terrorista è l’unico ad averli in regola”. E allora? Dopotutto Mathieu è un francese: razionale, cartesiano. Riaccende la luce, rimette gli occhiali, e spiega in poche parole qual è il Metodo.
Il metodo è l’interrogatorio, e l’interrogatorio diventa metodo se condotto in modo da ottenere sempre una risposta. Nella situazione attuale, dimostrare una falsa umanità non porta che al ridicolo e all’impotenza (e a questo punto uno degli ufficiali ha un sussulto, perché ha capito benissimo cos’è il metodo). Io sono certo che tutti i reparti capiranno e agiranno di conseguenza.
Più tardi, quando si ritornerà a parlare di “metodo” in una conferenza stampa, un giornalista sbotterà: ma insomma, vogliamo chiamare le cose col loro nome? Il metodo è la tortura. È con la tortura sistematica che il colonnello vuole vincere la battaglia di Algeri? È così scomoda la legalità, colonnello?
Mathieu ha la replica pronta: nemmeno chi fa esplodere bombe in luoghi pubblici rispetta la legalità. E poi, la mossa spiazzante: “Quando avete fatto questa domanda a Ben M’Hidi, ricordate come vi ha risposto”.
Ben M’Hidi era un leader dell’FLN che si era “suicidato” in carcere. Mathieu aveva appena confessato di averlo apprezzato, come si apprezza un nemico leale. Portato davanti ai giornalisti, a chi gli aveva chiesto conto delle bombe nei luoghi pubblici, aveva ricordato gli eccidi al Napalm sulle montagne: l’FLN non violava la legalità più del suo nemico. Ora Mathieu fa suo l’argomento del nemico: lui non viola la legalità più dell’FLN. E poi si toglie ancora una volta gli occhiali, e ammette davanti a tutti: “No, signori, credetemi, è un circolo vizioso…”
…Possiamo discutere per ore senza arrivare a una conclusione, perché questo non è il problema. Il problema è: l’FLN vuole mandarci via dall’Algeria, e noi vogliamo rimanerci […] Noi siamo stati mandati per questo. E noi, signori, non siamo né pazzi né sadici.
(E ancora: come vi permettete di darmi del nazista, ho fatto la Resistenza, alcuni miei uomini vengono da Dachau, etc.)…
Noi siamo soldati. Abbiamo il dovere di vincere. Quindi, per essere precisi, adesso pongo io a voi una domanda: la Francia deve restare in Algeria? Se rispondete sì, dovete accettare tutte le necessarie conseguenze.
Mathieu non è né un pazzo né un sadico: è un uomo che fa il suo mestiere con metodo. Il suo mestiere è la guerra, il metodo è la tortura. Si può combattere una guerra moderna senza tortura? Io non lo credo. Dalla metà del secolo scorso, da quando i fronti militari sono tornati nelle città e sopra le teste degli abitanti, ogni guerra è una guerra civile. Se è ammesso il bombardamento sulle città, è ammessa anche la guerriglia urbana e il terrorismo. Se è ammesso il terrorismo, è ammessa anche la tortura. ("Signori, credetemi, è un circolo vizioso"). In pratica, tutto è ammesso. Inammissibile sarebbe un esercito che non usa tutti i metodi a sua disposizione per vincere. Inammissibile sarebbe quella che Mathieu era “falsa umanità”, ridicola e impotente.
E allora la domanda non è se sia giusto o no torturare. La domanda è una sola: è giusto o no combattere questa guerra? Se abbiamo risposto di sì, perché crediamo nell’esportazione della democrazia, o perché abbiamo bisogno di petrolio, o abbiamo creduto a una fantasiosa ipotesi di pacificazione del Medio Oriente, ora dobbiamo accettare quelle che per Mathieu erano le “necessarie conseguenze”. Questo è il metodo, signori. Gli americani lo hanno capito, e da qualche mese si sono messi a riproiettare la Battaglia di Algeri. Un film italiano di mezzo secolo fa, che spiega tutto quello che oggi succede: come nasce un gruppo terroristico, come si passa dall’azione dimostrativa alla strage alla strage suicida, a cosa servono i blocchi (a esasperare la popolazione), la strategia della tensione, eccetera.
In tv, invece, va in onda il reality show ad uso del popolino. Prendere un gruppo di ragazzetti sadici, incoraggiarli, fargli scattare un po’ di foto, e poi covare lo scandalo fino al momento giusto. Immagini vergognose, vergognose, per fortuna che siamo in una democrazia. Ora si farà un bel processo, si puniranno gli imbecilli, e l’onore delle democrazie tornerà più bianco di prima. E si continuerà a fare una guerra pulita, umanitaria.
Essere contro la guerra può essere una posizione ingenua. Ma aver detto sì a questa guerra, e scandalizzarsi per qualche foto di tortura, questo mi sembra di un’ingenuità straordinaria. Dopodiché, siamo tutti adulti e consapevoli, qui. Ognuno può farsi da solo il suo palinsesto, con un tg embedded o con la Battaglia di Algeri. Scegliete.
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