Sparring partner, ovvero
L'uomo a rimorchio
Ogni giorno è buono per imparare qualcosa su sé stessi. Così chissà, forse stasera D'Alema sta imparando. Chi lo sa.
Sto parlando di D'Alema, l'uomo che quattro anni fa fece un grave errore.
No, non dico la bicamerale. Quella fu una colossale sciocchezza, ma risale al 1997.
Non dico neanche l'idea di subentrare a Prodi coi voti di Cossiga e Mastella – quella di primo acchito sembrava una cazzata, ma chissà, col senno del poi avrebbe anche potuto rivelarsi un magistrale colpo di genio.
(Invece era proprio una cazzata, ma nel 1998 come faceva a saperlo?)
La cosa veramente grave, invece, fu nel 2000, durante una campagna elettorale europea, proprio come quella in cui siamo oggi. Berlusconi diceva male del governo in carica – e che altro poteva far? Oltre ad aver pessimamente governato (secondo lui), non aveva nemmeno il consenso degli italiani. Perciò sfidava D'Alema a vincere le Europee: altrimenti si sarebbe dovuto dimettere.
Si trattava, naturalmente, di un colpo basso da campagna elettorale: se dici "no" puoi sembrare timoroso di perdere; se dici "sì", poi rischi davvero di perdere. Cosa avrebbe dovuto fare D'Alema? Probabilmente avrebbe dovuto ignorare la cosa, ricordando che le elezioni europee non sono elezioni parlamentari, che non bisogna confondere i ruoli e ridurre ogni consultazione in un sondaggio, ecc.
Invece D'Alema accettò.
Questo fu molto grave, per vari motivi.
– Fu molto grave, perché trasformando le elezioni europee in un sondaggio sulla popolarità del governo, D'Alema incoraggiò gli elettori italiani a curarsi poco dei candidati che mandavano a Bruxelles. Vecchio equivoco duro a morire, che Bruxelles non conti niente: mentre negli ultimi anni Bruxelles sta diventando più importante di Roma. È a Bruxelles che si scrivono le normative che a Roma diventano progetti di legge e poi subito leggi, perché "ci si deve adeguare alla normativa europea". Se mangiamo o no mais OGM, è a Bruxelles che si decide. Se privatizziamo o no acqua e servizi, è perché a Bruxelles se ne discute. Per cui, quando si vota per Bruxelles, si dovrebbe pensare a Bruxelles. Non alla popolarità di Massimo D'Alema.
– Fu molto grave, perché D'Alema dimostrò di avere più o meno la stessa idea di democrazia di Berlusconi, e cioè: la democrazia è una sfida tra due o tre personaggi importanti che una volta ogni due o tre anni sondano la propria popolarità mediante "elezioni". Incidentalmente, queste "elezioni" eleggono anche deputati, senatori, sindaci, europarlamentari, ma questo è un effetto collaterale. L'essenziale è il dato sulla popolarità del boss di destra o del boss di sinistra.
– Fu molto grave, infine, perché quelle elezioni D'Alema le perse. Le avesse vinte, almeno. Con una bella vittoria si sarebbe forse guadagnato quella "investitura popolare" che secondo alcuni non aveva. In politica a volte il fine giustifica i mezzi… ma non vinse.
Perse, e anche male.
E uno si chiede anche: perché? Qualche sondaggista ce l'avrai anche tu, no? E te l'avrà detto, che rischiavi di perdere, no? Ti avrà almeno detto che qualche rischio c'era, che insomma non valeva la pena di accettare una sfida, no? No?
Tutto questo è grave, ma non è la cosa gravissima.
D'Alema aveva fatto una scommessa, e aveva perso. Poteva fregarsene. Poteva ostentare la più bella faccia tosta del mondo e dire che non si dimetteva, perché le elezioni europee non sono elezioni parlamentari, e non bisogna confondere i ruoli e ridurre ogni consultazione in un sondaggio, ecc.
Invece D'Alema si dimise. Sportivamente. Il popolo l'aveva mandato a casa? Aveva votato per mandarlo a casa? No. Il popolo aveva votato per Bruxelles. Ma D'Alema aveva fatto una scommessa con Berlusconi, e aveva perso, perciò andava a casa. Un grande sportivo, D'Alema. Un pessimo politico. Ma lui non lo sa.
Non l'ha mai capito – e chi sono io, tutto sommato, per spiegarglielo.
Però chissà, stasera mi illudo che potrebbe essere la sera giusta…
Stamattina era probabilmente di ottimo umore, D'Alema. Mettiamo che abbia sfogliato un quotidiano a colazione, uno solo perché oggi è festa. L'Unità no, perché mangiarsi il fegato. Il Riformista no, perché gli spiega che pensa e lui non ne ha bisogno. Mettiamo la Repubblica. Lo hanno messo a pagina 2, che è pur sempre una bella soddisfazione:
"Siamo al 33 per cento". Ma non basta . L'ha detto dal palco della Fiera lanciando l'allarme: questa lista e questo simbolo non sono ancora al centro della campagna elettorale". […] Sulla carta il centrosinistra vince dappertutto. […] "Guardate Bari, persino qui prendiamo il sindaco". Poi piega i fogli. "basta, altrimenti mi monto la testa". Anche perché il voto locale non è in cima ai suoi pensieri, la partita più grande si gioca alle Europee, il "referendum" sul listone e tutti i suoi leader, primi fra tutti Romano Prodi e lo stesso D'Alema. Il loro asse s'indebolisce o si rafforza in base a quel risultato.
Avete capito bene che cosa sono le europee, nel 2004, per D'Alema? L'occasione di scegliere europarlamentari capaci e competenti? Chissà, può darsi. Ma prima di tutto, le europee sono un "referendum" sul listone. Cioè su di lui, perché lui è uno dei leader (a proposito, perché leader? Perché uno che di solito vince le elezioni? Ne ha mai vinta una in vita sua?)
E poi, avete capito quali sono gli strumenti di D'Alema, nel 2004? Quattro anni dopo il suo grande errore, D'Alema va alla Convention dell'Ulivo a sbandierare sondaggi. Ma chi glieli ha fatti? Spero non sia stato lo stesso sondaggista che lo ha incoraggiato a giocarsi Palazzo Chigi alle Europee nel 2000. Spero che almeno abbia cambiato sondaggista, perché il resto non è affatto cambiato. Sempre una fiducia cieca nei sondaggi, sia quelli che paga (e che di solito gli dicono quello che piacerebbe a lui), sia quelli che si fanno su tutti gli italiani, e che in gergo si chiamano "elezioni" (in questo caso, "amministrative" ed "europee").
È talmente sicuro dei suoi numeri e dei suoi sondaggi, D'Alema, che addirittura provoca:
D'Alema provoca l'avversario, sventola un ipotetico 38% del listone che contrapposto a un virtuale 19% di Forza Italia provocherebbe una crisi di governo, "è chiaro che Berlusconi cade".
Chiaro a chi? A ma, per esempio, no. C'è una qualche norma che ha stabilito che se Forza Italia perde tot alle europee, "Berlusconi cade"? Oppure è Berlusconi che decide di cadere per questioni di opportunità – ve l'immaginate? Berlusconi che decide di abbandonare qualcosa per ragioni d'opportunità? Ha mai abbandonato Mediaset? Ha mai rinunciato a qualche cosa? Oppure… è una sfida? È questo, Massimo? Stai lanciando una sfida a Berlusconi? Perché si sa, Berlusconi è uno sportivo, uno che sta alle regole, uno che sa perdere (uno come te, insomma)…
A questo punto D'Alema si è letto, si è piaciuto, ed è arrivato a pagina 5, dove ci sono le "reazioni". Qui deve avere avuto un soprassalto. Pare proprio che Berlusconi non ci stia. Non ha risposto niente. Ha mandato avanti il maggiordomo, quell'antipatico, che detta ai giornalisti questa cosa:
"Si illude la sinistra se pensa che dopo il 13 giugno si interrompa la legislatura", detta Gianfranco Fini, "a parte che le elezioni andranno bene, il problema non me lo pongo […]. Questo è un governo di legislatura, devono aspettare altri due anni per andare alle urne".
Ma che antipatici. E per niente sportivi. E così supponenti. E allora a cosa serve, scusa? A cosa serve giocare, se gli altri non ci stanno? A che serve scoprirsi pacifisti senza sé e senza ma (dopo aver votato, qualche mese fa, il rifinanziamento), visto che "i sondaggi" chiedono questo, se poi dall'altra parte c'è Berlusconi che adesso dei "sondaggi" se ne frega bellamente e fa quello che gli pare?
C'è che Berlusconi è, con tutti i suoi problemi, un animale politico che dà retta ai sondaggi solo quando i sondaggi danno in testa lui: altrimenti non li degna di uno sguardo. Adesso che Nassiryia lo ha messo al muro, ha reagito come un animale ferito, ma ha reagito bene: si è inventato funzionario dell'Onu, ha incontrato in due giorni Annan e Bush, si è "assunto le responsabilità". Tutte puttanate, e lo sappiamo: però che energia, che fantasia. Berlusconi non è uno che va a rimorchio delle esigenze della gente: è uno che se le inventa, le esigenze della gente, che indirizza, che dirige. E un leader politico dovrebbe saper far questo.
D'Alema, invece, resta l'esempio di una sinistra che si crede "moderata" solo perché va a rimorchio di qualsiasi maggioranza individuata dai sondaggi: ieri la missione di pace andava abbastanza bene, e si votava il rifinanziamento: oggi si muore, c'è la guerra, i sondaggi dicono "no", e allora che ci facciamo lì? Se il suo sondaggista scoprisse domani che l'80% degli italiani vuole instaurare la dittatura del proletariato, D'Alema si precipiterebbe da Bertinotti a pianificare l'assalto al palazzo d'Inverno.
("Massimo, ma questa idea della vivoluzione… ma sei sicuvo?"
"Sicuro… ho fatto un sondaggio, diciamo".
"Non so… non mi sembva una cosa molto democvatica…"
"Ma sì che è democratica, la democrazia è la maggioranza, e la maggioranza sono i sondaggi, per cui…"
"Ma se poi pevdiamo?"
"Noi? Perdiamo? Mi hai mai visto perdere?")
D'Alema è così. Schiavo dei sondaggi. Peggio di Berlusconi (che è padrone dei sondaggi). In effetti, D'Alema è un prodotto di Berlusconi e del berlusconismo. Il miglior avversario che B. poteva augurarsi: pensa esattamente come lui, ma è meno ricco e ha sondaggisti meno bravi. Perciò non può che perdere.
Questo, Berlusconi lo sa. Lo sappiamo un po' tutti. D'Alema no. Ed è inutile spiegarglielo, chi siamo noi per spiegarglielo? Deve arrivarci da solo.
Ma chissà, stasera ha tutti gli elementi: ha gettato il guanto della sfida, e gli hanno riso in faccia. Era pronto a gustarsi la sua vendetta, tenuta in fresco per quattro anni… e ci hanno sputato sopra. Così m'illudo che chissà, potrebbe essere la sera giusta.
Ogni sera è buona per imparare qualcosa su sé stessi, dopotutto.
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