Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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venerdì 29 ottobre 2004

Se tu fossi la Finlandia
(E invece sei la Palestina, ahitè)

Avevo una lunga serie di pareri, sul ritiro unilaterale da Gaza votato dal parlamento israeliano e sulla leucemia di Arafat, ma non sono riusciti a metterli insieme. La Palestina è troppo per me, decisamente.

Credo di fare cosa più utile a tradurre un pezzettino di una lunga rivista del quotidiano israeliano Haaretz a Dov Weisglass, avvocato personale di Ariel Sharon e suo tramite ufficiale nei rapporti con la Casa Bianca. Attraverso il suo un filo diretto con Condoleezza Rice (lui la chiama "Condi"), Weisglass ha condotto le trattative che hanno portato prima alla Road Map, e poi al ritiro unilaterale. La mia è una traduzione di lavoro: un tentativo di invogliarvi a leggere il pezzo intero in lingua originale.

Il pezzo (trovato grazie a Rat Race, sempre ottimo) è di più di due settimane fa (8/10/2004), quando il voto favorevole era tutt'altro che sicuro, ma è rimasto in mente anche a Sandro Viola, che commentando la vittoria di Sharon lo ha ritirato fuori qui, l'altro ieri. I toni di Weisglass possono parere un po' troppo immediati, se non brutali a chi (come me) non è abituato alle interviste anglosassoni (gli israeliani sono ancora più immediati degli anglosassoni, da questo punto di vista).
Quello che però lascia di stucco è la sostanza.

In controluce, l'eterno paradosso: il conflitto israelo-palestinese è una guerra, sì o no? Ci sono due popoli che lottano per un territorio, ci sono morti da entrambe le parti, dunque è una guerra. Ora Sharon – caso più unico che raro – vorrebbe ritirarsi dal conflitto senza venire a patti con l'avversario. L'avversario, infatti, non è ritenuto affidabile in nessun modo. Weisglass torna ossessivamente su questo concetto: "there is no one to talk to, no one to negotiate with". Dall'intervista lascia intendere di essere in qualche modo responsabile della definitiva "morte politica" di Arafat agli occhi di Bush (si riferisce a un "certo documento di intelligence che gli consegnai, che mostrava chiaramente quanto Arafat fosse coinvolto negli aspetti finanziari relativi all'organizzazione di atti di terrorismo. Quando emersero queste prove, a carico di una persona che aveva giurato 16.000 volte agli americani che avrebbe in ogni modo combattuto il terrorismo, Arafat fu cancellato. Da quel momento in poi fu come un morto").

Se l'avversario è inaffidabile, non si può venire a un compromesso con lui. Sharon (e prima di lui Barak), hanno sempre preteso la "fine del terrorismo" come premessa per cominciare un negoziato. Dove per "terrorismo" si indicano gli odiosi eccidi perpetrati da terroristi suicidi di Hamas, martiri di Al-Aqsa e Jihad islamica, ma anche la guerriglia interna dei territori. Come in Iraq, la parola "terrorismo" va incontro a una deriva semantica. In Iraq, più di un anno fa, Bush ha dichiarato la fine della guerra. Da allora ogni atto di violenza non è "guerra" (e tantomeno "resistenza", ci mancherebbe), ma solo e unicamente "terrorismo". E coi terroristi, si sa, non si può parlare. Israele insegna. E infatti, dopo aver preteso per anni il disarmo del nemico come premessa necessaria e non sufficiente al negoziato, Israele si trova costretta ad arrendersi a sé stessa, perché "non c'è nessuno con cui parlare". Si arrende comunque a condizioni molto buone: cederà Gaza (forse), ma terrà gli insediamenti in Cisgiordania. Mentre la proclamazione dello Stato di Nessuno slitta in data da definirsi.

Nel pezzo che ho tradotto, compare per due volte una formula che ha catturato da subito la mia fantasia, benché la trovassi assolutamente incomprensibile: "until the Palestinians turn into Finns": "finché i palestinesi non diventano finlandesi". L'idea che mi sono fatto, è che Weisglass preferirebbe trattare con un nemico ordinato e ragionevole come i finlandesi (?), piuttosto che con quei confusionari e arruffati palestinesi. A parte che i finlandesi, in guerra, sono tutt'altro che simpatici e remissivi (e i sovietici ne sapevano qualcosa): se io, per descrivere i paradossi della politica unilaterale di Sharon, avessi trovato un'immagine del genere, mi sarei attirato almeno una mezza dozzina di accuse di antisemitismo a mezzo link, con annesse foto di dittatori sanguinari, mail di insulti, etc.. Beh, stavolta è tutta farina del sacco del collaboratore di Sharon. Ho guardato e riguardato, ma non c'è niente da fare: "when Palestine becomes Finland" vuole proprio dire quello che sembra voler dire. O magari c'è un'ironia che il traduttore non ha colto (e continua a non coglierla).

Ultima avvertenza: a un certo punto Weisglass parla di "Management of the world", riferendosi, credo, all'Amministrazione USA. Ho deciso di non tradurre l'espressione: è comprensibile ed efficace.

L'evacuazione degli insediamenti a Gaza rafforza o indebolisce la posizione dei coloni in Cisgiordania?

"Non nuoce in nessun modo gli insediamenti più remoti e isolati: per loro non è rilevante. Il futuro di questi insediamenti sarà definito tra molti anni, quando troveremo un accordo finale. Non è detto che proprio tutti questi insediamenti continueranno a esistere.
Ma d'altro canto, se si guarda ai grandi insediamenti, grazie a questo piano di ritiro abbiamo in mano la prima dichiarazione scritta dagli americani che essi saranno parte di Israele. Negli anni a venire, forse nei decenni, quando ci saranno negoziati tra israeliani e palestinesi, il padrone [master] del mondo batterà sul tavolo e dirà: "abbiamo già affermato dieci anni fa che quegli insediamenti sono parte di Israele".

Allora Sharon può dire ai leader dei coloni che sta evacuando 10.000 coloni, e che nel futuro ne evacuerà altri 10.000, ma che nel frattempo sta rafforzando la posizione degli altri 200.000, rafforzando la loro presa al terreno.

"Arik [Sharon] può serenamente affermare che questa è una svolta importante, grazie alla quale, di 240.000 coloni, 190.000 non saranno spostati dal loro posto. Non saranno spostati.
[…]

Dal suo punto di vista, quindi, lei considera come suo massimo successo l'aver congelato legittimamente il processo politico?

"È esattamente quello che è successo. Il termine "processo politico" è un groviglio di concetti e di concessioni. Il processo politico significa anche la creazione di uno Stato palestinese, con tutti i rischi che questo comporterebbe per la sicurezza. Significa lo sgombero dei coloni, il ritorno dei profughi, la divisione di Gerusalemme. Tutto questo, ora, è stato congelato".

Insomma, lei ha portato a termine la manovra del secolo? E il tutto con piena autorità?


Non mi piace la parola "manovra". Suona come se il risultato fosse alla fine diverso da quello che avevamo detto all'inizio. Invece abbiamo fatto tutto quello che avevamo detto. Dopotutto, da un anno a questa parte, ho ripetuto fino a sgolarmi che avevo trovato un sistema – in collaborazione con il Management del Mondo – per evitare che ci fossero imposte delle scadenze. Per evitare che l'incubo dei coloni fosse messo in agenda. Quell'incubo, io l'ho posposto a data da definirsi. Perché l'argomento su cui mi sono trovato d'accordo con gli americani è che una parte degli insediamenti non sarà mai sgomberata, mentre il resto degli insediamenti non sarà mai ceduto finché i palestinesi non si trasformano in finlandesi. È questo il senso di quello che ho fatto. Il senso è il congelamento del processo politico. Congelando questo processo, tu eviti la creazione di uno Stato palestinese, ed eviti qualsiasi discussione sui profughi, sui confini e su Gerusalemme. In effetti, tutto il pacchetto di cose che chiamiamo "Stato palestinese", con tutto quel che implica, è stato cancellato dalla nostra agenda per un tempo indefinito. E tutto questo in piena autorità: con la benedizione del Presidente e con la ratifica di entrambe le camere del Congresso. Cos'altro avremmo potuto ottenere in questo momento? Cos'altro avrebbero potuto chiedere ancora per i coloni?"

Le ripeto una domanda che le avevo già fatto: cedendo Gaza, voi avete salvato lo status quo in Giudea e Samaria?

"Continua a insistere su un concetto sbagliato. Il punto è questo: noi abbiamo creato una nuova situazione di fatto nei confronti dei palestinesi. C'era tutta un pacchetto di impegni che Israele avrebbe dovuto accettare. Questo pacchetto si chiamava "processo politico". Esso includeva una serie di elementi che non avremmo mai potuto accettare, e altri elementi che non potevamo accettare in questo momento. Ma siamo riusciti a prendere tutto il pacchetto e scagliarlo nel futuro più remoto. Abbiamo gestito la situazione nel modo migliore e siamo riusciti a rimuovere la voce "processo politico" dall'agenda. Stiamo educando il mondo a capire che non c'è nessuno dall'altra parte con cui parlare, e ora abbiamo ricevuto un certificato che dice proprio questo. Il certificato dice: (1) Non c'è nessuno con cui parlare; (2) Siccome non c'è nessuno con cui parlare, l'attuale situazione geografica rimane intatta; (3) Il presente certificato sarà revocato soltanto quando accadrà questo e questo – insomma, quando la Palestina diventerà una Finlandia; (4) Quando succederà, ci vedremo: per allora, Shalom.

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