[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].
Caro Leonardo,
secondo te siamo come i maiali d’allevamento,
che masticano le barre dei loro recinti?
Ma forse è meglio andare per gradi.
Devi sapere che io sono un cinefilo, di quelli
che vanno al cinema e poi ne scrivono sui
loro siti internet (quei tipi di siti amatoriali che
si aggiornano ogni tanto, non so se ne hai
mai visto uno). Amo il cinema. Almeno credo.
Mi piace ogni tipo di film, ma ho un debole
per le saghe.
Bene, ultimamente è uscito l’ultimo episodio
di una grande saga (non importa dire quale),
e io mi sono precipitato a vederlo. Ho anni
di esperienza alle spalle, per cui entrando
in sala sapevo già più o meno quello che
sarebbe successo. Sapevo che sarei
uscito vagamente insoddisfatto, deluso per
la grande occasione persa dal regista di
ravvivare una grande saga che ha incantato
due generazioni eccetera. Sapevo che avrei
messo per iscritto questa delusione sul mio
sito amatoriale, e già immaginavo per sommi
capi la discussione che ne sarebbe scaturita
coi lettori (in questi siti, se uno vuole, i lettori
possono risponderti, se uno è tanto bravo da
averne almeno un paio). Ma sapevo anche
mentre si spegnevano le luci in sala che
per 120 minuti avrei visto spade laser, orchi
e principesse, e mi sarei divertito, e avrei
tremato per le sorti della galassia. Come ai
vecchi tempi.
E invece no.
È stato verso la fine del primo tempo, credo,
durante un combattimento qualunque, che ho
avuto una sorta di illuminazione, un’epifania.
Prima ho visto baluginare una striscia verde
sulla parete laterale della sala: la luce di
sicurezza. Poi ho distinto le sagome dei sedili
davanti a me, le nuche degli spettatori. E
infine mi sono visto. Ero lì, trentaqualcosenne,
seduto in un multisala davanti a un fi lm per
ragazzini. Potevo fingere che fosse colpa
della sceneggiatura non altezza, degli attori
inespressivi, degli effetti da lunapark, ma
tutto questo non mi aveva mai impedito di
divertirmi al cinema. E invece stavolta non mi
stavo divertendo. Per quanto mi impegnassi.
Era finita.
Quello che ho provato, è paragonabile a quel
che succede ai masticatori compulsivi. Sarà
capitato anche a te, una volta, di metterti
una gomma in bocca e di non pensarci più:
finché a ora di cena, o di dormire, uno non si
accorge di aver masticato per ore qualcosa
che ha perso tutto il suo sapore nei primi
dieci minuti.
Questo è quel che mi è successo ieri: mi
sono reso conto di aver passato anni a
guardare film che non mi divertivano, come
si mastica una gomma insapore, per inerzia,
o sbadataggine, o per stress. Similmente ai
maiali nei recinti, che per stress masticano le
sbarre. E qui torniamo all’interrogativo di cui
sopra.
Vostro,
Critico in crisi ‘71
Caro critico in crisi.
Da chi hai copiato la metafora della gomma
che perde sapore? Te lo chiedo perché è
molto bella, così pensavo di fregartela: ma se
poi salta fuori che l’hai presa da Shakespeare,
che figura ci faccio? Io credo che nella tua
metafora il sapore della gomma rappresenti
il processo di semiosi, vale a dire il magico
momento in cui un oggetto (un film, una gomma
da masticare, una spada laser; ma anche un
gesto, una parola) si legano a un significato.
Il significato di una gomma è il suo sapore;
il significato di una spada laser è “sarebbe
bello esser lassù nello spazio a combattere
il Male” (o in alternativa: “sarebbe bello esser
bambini di nuovo come quando sognavamo
di esser lassù nello spazio a combattere
il Male”). Quello che con la metafora della
gomma hai inteso perfettamente, è che la
semiosi non dura in eterno, ma si consuma
con l’uso. Per quanto ci impegniamo, prima
o poi le cose perdono il loro significato. La
gomma perde il gusto, la spada laser torna a
essere un pezzo di plastica.
La maggior parte delle volte, in verità, il
significato sopravvive come un guscio vuoto,
un rimando mentale a un’esperienza del
passato. Passeggiando per il nostro quartiere,
noi non vediamo più case né alberi, ma pallidi
segni che la nostra memoria interpreta subito
come “case”, come “alberi”. Caro critico,
fumi? Bevi? E ne trai un vero piacere, o
solo una pallida eco di una sigaretta che ti
piacque, di un bicchiere che un giorno lontano
hai gustato?
Non a caso hai chiamato “epifania” la tua
brutta esperienza. L’epifania è il momento in
cui le cose ci appaiono senza significati, in
tutta la loro nudità. A certi dà la nausea, per
altri è uno sballo: per te, mi sembra di capire,
è stato solo deludente. Questo vino sa di
tappo. Questo film è una puttanata. Viene un
bel giorno in cui i ricordi non riescono più a
tenere insieme oggetto e significato. Persino
le parole, dopo un po’ non vogliono più dire
le rubriche
niente: così che restiamo a masticare parole
a vuoto. Non sapendo che altro fare, nel
recinto.
Ma questo, caro critico, non deve buttarti giù.
Perché c’è un punto in cui la metafora non
tiene. C’è una differenza sostanziale tra un
film (e una parola, uno sguardo, una casa, un
albero) e un chewing gum. Il chewing gum,
una volta perso il suo significato originario,
va gettato via.
Un film, un quartiere, un racconto, una parola,
una volta nudi del loro primo significato,
possono prenderne uno nuovo. Quale?
Dipende da te, il critico sei tu. Credo che da
questo momento in poi la tua abilità consisterà
nel trovare significati originali ai soliti fi lm che
girano. Sarai un Adamo alla rovescia: lui
se ne andava in giro nudo nell’Eden a dare
un nome agli animali; tu passeggerai per il
nostro mondo, libero di dare significati nuovi
a nude cose che non li hanno più. Semiosi
creativa: sarà divertente, forse non divertente
come quando maneggiavi una spade laser,
ma rassegnati: le spade laser, alla tua età,
non esistono più.
È un’età di pezzi di plastica, ma non ti
scoraggiare. Semiosi creativa, ricorda. E
buon divertimento
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