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lunedì 2 gennaio 2006

Lettere Vitruviane #3: sui corsi di scrittura creativa

[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].

Ciao e complimenti. Volevo chiederti una cosa per un mio amico. Lui è fissato con questa cosa, che da grande vuole diventare uno scrittore, e naturalmente uno grande. Hai qualche consiglio da dargli? Non so, un corso da frequentare? Grazie in anticipo. 


No.

Perdona la franchezza, ma quando mi è stata affidata la rubrica, ho fatto giuramento solenne di non scrivere mai nient’altro che la nuda e brutale verità, che è questa: io non ho nessun consiglio da dare al tuo amico, se non quello banale e sempre valido di fuggire, più in fretta che può, da consigli del genere e chi li dispensa.

Vale anche in questo caso, infatti, l’Obiezione a Wanna Marchi, un semplice principio logicoesistenziale che recita così: se qualcuno è in grado di prevedere i numeri del lotto, perché invece di venderteli non se li gioca lui? Per il gusto di abbassare il montepremi? Allo stesso modo: se io conoscessi qualche buon numero per diventare scrittore (uno grande), credi che in questo momento me ne starei qui, sulla pur pregevole rivista sacripante!, a dare consigli a chicchessia? Col rischio che poi chicchessia se ne esca con un Grande Romanzo prima di me? Crede, il tuo amico, che il Genio sia altruista e ben disposto nei confronti del prossimo? Non lo è. Dia un’occhiata alle quarte di copertina: più sono grandi più sono pazzi e solitari, e quasi mai campano tanto da godersi il copyright. C’è da stupirsi che tanta gente sogni per sé un simile destino: tanto più oggi, che non si legge poi molto. Certo, mica tutti possono sognare di fare i calciatori. Certo, i libri restano i soprammobili più a buon mercato, eleganti e comodi da spolverare; e su nessun altro oggetto viene dato tanto risalto al nome dell’autore, a parte forse alcune felpe e mutande. Tutto questo è vero. E però.

E però, caro amico del tuo amico, è vero anche che le lettere non danno il pane. Io te la dico così, in volgare, ma avrei potuto usare anche una lingua di duemila anni fa: segno che il problema è un po’ tignoso. Negli ultimi tempi alcuni scrittori, (mica per forza mediocri) hanno trovato questa ingegnosa soluzione: i corsi di scrittura creativa. Non solo vendono i libri (pochi), ma anche i trucchi del mestiere. È una cosa che mi riesce difficile capire, ma del resto io sono sempre quello che non riesce a capire Wanna Marchi e l’oroscopo, forse è un problema mio e della mia testa medievale. Per me Mestiere vuole ancora dire Mistero: qualcosa che nel borgo so fare solo io, e peste a chi cerca di rubarmi i segreti. Il mio vecchio Maestro me li spiegò in un orecchio, e io forse li passerò a mio figlio, ma per adesso zitti: il Cantastorie sono io, e se ce ne fosse anche solo un altro in piazza, ci sarebbe già troppa confusione.

Oppure, se il medioevo non ti piace, pensa al bravo scrittore come a un chimico: può spiegarti come usare le ampolline, ma quello che ha scoperto il principio della coca cola non è che si sia subito messo a organizzare un ciclo di seminari per divulgare la formula, no. Non è così che funziona. E non mi si parli di democrazia, il Genio non c’entra: è un tiranno nato, il suo sogno è di conquistarci tutti, e non si fa certo scrupolo della nostra ingenuità.

Infatti, se io fossi davvero un grande scrittore, ecco cosa organizzerei: seminari fasulli, in cui spillo denaro ai gonzi spiegando che i grandi romanzi vanno scritti on the road, su una Remington Portative del ‘52, bevendo tot litri di gin tra un autogrill e l’altro. Mi aggirerei tra i banchi suggerendo cazzate del tipo: “Partite sempre dai vostri problemi, c’è tutto un mondo nella vostra cameretta”, o anche “Il protagonista del noir-all’italianatipo è un ex movimentista con qualcosa da rimproverarsi”; “usate molta carta carbone”; “mi raccomando, frasi lunghe e contorte”; “più avverbi, più avverbi perdio! E meno vocali tra quelle consonanti!”; “partite dalla fine e risalite dall’inizio passando dalla prefazione”, eccetera.

In questo modo, oltre a divertirmi molto, avrei la possibilità di strangolare nella culla tutti i miei giovani potenziali rivali, avviandoli su sentieri inconcludenti, oppure già battuti e strabattuti, verso un’esistenza umiliante di malesseri epatici, frustrazioni e incidenti stradali. Ecco il tipo di consigli che darei al tuo amico. Se fossi davvero uno scrittore, uno grande. Nessuna pietà per i mediocri; le rubriche e ai bravini, merda. Ma è evidente che tanto grande non sono.

Sono invece piuttosto piccolo, e tutto quello che ho imparato dopo tanti sforzi, e tentativi, e frustrazioni, e manoscritti persi, e consigli ricevuti e rimandati al mittente, è tanto piccola cosa che non perdo nulla a condividerla con te: e decidi tu poi se passarla al tuo amico. Scrivere serve a poco, e quasi mai vale la pena: difficile e ingrata è la via al successo, non c’è pensione né ferie pagate. D’altronde, ci sono persone che non potrebbero fare altro. Io li chiamo individui S. Non sono necessariamente i più bravi, i più ispirati. Ma se non scrivono, soffrono. Se il tuo amico è un individuo S, non ha bisogno di consigli. Continui a scrivere per le persone che lo apprezzano, o al limite per sé.

Per capire se il tuo amico è un individuo S, attenda la prossima crisi di emicrania, o di colite, e provi a mettersi a scrivere. Se non ce la fa, è sano, e può trovarsi un hobby meno frustrante. Ma se di colpo l’emicrania svanisce, e la colite si interrompe, almeno fino al punto fermo, ecco: il tuo amico è un individuo S. E che gli posso dire, in bocca al lupo. Questo è tutto quello che so, e non ha prezzo. Nel senso che non ho ancora trovato qualcuno che me le paghi, queste stronzate. Ma se smetto sto peggio. È un problema mio, scusate.

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