Per una Sana Inquisizione
Santità, Le scrivo per farLe umilmente sapere che nel 2007 mi ha molto deluso. Come del resto nel 2006. In verità aveva iniziato a deludermi nel 2005, ma al tempo ero propenso a considerarLa con la benevolenza che si riserva agli esordienti.
Santità, chi le scrive è uno dei tanti cristiani – senz'altro uno dei peggiori – che non può più soffrire di sentirsi minoranza in casa sua. Non è forse l'Italia un Paese di salde radici cristiane? Non è Roma la capitale della Cristianità? E allora perché noi cristiani dobbiamo sentirci, giorno dopo giorno, una minoranza sotto assedio? E perché i nostri pastori non fanno nulla di concreto per difenderci? E perché Colui che dovrebbe guidarli, il Vicario di Cristo in terra, sembra piuttosto assorto in preoccupazioni mondane, come ripassare le declinazioni del latino o provarsi le nuove frangette rosse che piacciono tanto a quella vecchia zia di Zeffirelli? Eh? Sto parlando di lei, Santità: crede che ci basti un'enciclica, mentre qui fuori i barbari ci inquinano le sorgenti?
Santità, la prego, volga uno sguardo al suo povero gregge italico, che come ogni trentun dicembre si ritrova sbalordito davanti alla televisione e constata una volta di più l'amara verità: la Chiesa ha perso. L'Italia è pagana. Forse non ha mai smesso di esserlo, in ogni caso negli ultimi anni ha smesso di vergognarsene e lo proclama a testa alta. Fino a qualche tempo fa gli oroscopi erano un passatempo da parrucchiere, ora ormai sono una presenza istituzionale in tutti i canali. Compreso quelli di Stato. Compreso quello in quota CEI, e Lei che fa? Cosa ne pensa? Niente, lei continua a prendersela con gli atei. Ma Santità, si può sapere dove li ha visti tutti questi atei in Italia? Magari ce ne fossero. Almeno gli atei sono razionalisti, ci si può discutere. In fondo gli atei e i monoteisti hanno centinaia di cose in comune, basti pensare a tutti gli Dei a cui non credono. Ma in Italia non ce n'è, si fidi, hanno tutti almeno un cornetto al collo, e cosa vuoi discutere con qualcuno che crede ai poteri invisibili del corallo? O ai poteri di Venere nello Scorpione? O nella sfiga? O nel malocchio? O nei maghi che conoscono in anticipo i numeri del lotto, e invece di giocarseli te li vendono in offerta speciale? Ci vuoi anche discutere, con questi qui? L'unica è bruciarne un po'. Potremmo cominciare con gli stregoni – gli indirizzi sono sulle pagine gialle.
Santità, i suoi uomini continuano a prendersela con Odifreddi, e intanto Wanna Marchi è a piede libero. Si rende conto? Magari nessuno le ha mai parlato di Wanna Marchi, mentre le hanno raccontato che Odifreddi è una grave minaccia; è possibile essere così mal consigliati? Odifreddi non è che un cane sciolto, sconosciuto ai più, mentre la Marchi rappresenta l'Italia profonda, l'Italia crapulona e bottegaia, l'Italia credulona e felice d'esserlo, l'Italia pagana, la Babilonia, la Grande Meretrice! E Lei, Santità, vive al centro di tutto questo e... di cosa si preoccupa? Delle radici cristiane dell'Europa, mentre qua fuori i santoni ancora ci curano con gli estratti di mandragola? Contro gente come questa, andrebbe rifatto un tribunale della Santa Inquisizione, e subito. E Odifreddi, lo si potrebbe cooptare come membro esterno. C'è tanto da imparare dagli scettici come lui.
Santità, all'inizio del 2008 vogliamo finalmente porci il problema delle cosiddette “previsioni astrali”? Vogliamo dire che è un rito pagano e repellente, e che nessun editore o responsabile di rete cristiano dovrebbe averci a che fare? Se lei va al balcone a ordinare di bruciare tutte le riviste astrologiche nei chioschi, io son pronto; soltanto, è meglio se me lo dice un po' per tempo, così mi tengo da parte la benzina, con quel che costa. Perché anche in questo 2007 mi è capitato di vedere in tv persone sorridenti dichiarare che loro non assumerebbero mai un Ariete o un Sagittario o un vattelapesca; e sono sicuro che non scherzano. Ne vogliamo parlare? Se le stesse persone dicessero che non assumono neri, o musulmani, o circoncisi, cascherebbe giustamente il mondo; in quest'Italia hypocritally correct la segregazione razziale è proibita e la segregazione religiosa un'eresia; invece la segregazione zodiacale è perfettamente tollerata. Andate poi a lamentarvi della fuga dei cervelli – se la selezione del personale la fanno coi tarocchi, di cosa vi stupite? In Italia, nel 2007, c'è gente che perde opportunità di lavoro perché è Scorpione. Nessuno dice niente, e intanto tutti si toccano le parti basse. È uno schifo, Santità, uno schifo.
Santità, prima ancora di essere cristiano, io sono un monoteista. E so cosa significa. Banalmente: c'è un solo Dio, e il resto sono stronzate. Idoli. Vanno bruciati, e va bruciato chi si ostina ad adorarli: perché chi è tanto stupido da adorare pezzi di legno, o addobbi dorati, o astri lontani anni luce, o è in malafede o ignorante senza redenzione.
Prima della sua elezione avevo udito mirabilie sul suo conto. Mi aspettavo dunque da lei lo zelo del vero Monoteista. Il Mosè che fonde il vitello d'oro e lo fa bere agli ignoranti. O il Maometto che torna alla Mecca e spazza via tutta la chincaglieria pagana intorno alla Ka'ba. O almeno il Gesù che frusta i mercanti al Tempio. Invece lei si preoccupa degli... aborti. Ma Santità, col dovuto rispetto, che problema saranno mai gli aborti? Non ci sono più, forse non ci sono mai stati, e comunque se esistono non possono più essere nel Limbo e quindi probabilmente stanno in Paradiso. Problema risolto, direi. Vogliamo dunque cominciare a preoccuparci anche dei poveri cristiani post-partum, bambini e adulti, costretti a destreggiarsi in un mondo di ignoranza e superstizione? Non si vive di soli feti, Santità. Suo devoto
Leonardo
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi.
Noi no. Donate all'UNRWA.
Pages - Menu
lunedì 31 dicembre 2007
giovedì 27 dicembre 2007
la leggenda di San Giuliano il digiunatore
Un giorno da leone
Caro Gesù Bambino, che vedi tutto: non ti sarà sfuggita l'ultima iniziativa di Giuliano Ferrara.
Da qualche giorno sta facendo una dieta di soli liquidi, che probabilmente gli gioverà. Il pretesto è una specie di moratoria contro l'aborto, bla bla. Il vero motivo per cui Ferrara si sottopone a questa innocua privazione è chiaro a ogni povero di Spirito: Ferrara ha intenzione di vedere Dio entro la fine dell'anno, e metter fine alla manfrina dell'“ateo devoto”, che oggettivamente fa ridere. Ormai lo dice a chiare lettere: “E' un mezzo di contatto subliminale”; e chi dovrebbe contattare, se non Tuo Padre? Bene, sono abbastanza sicuro che durante un calo di zuccheri ci riuscirà (è il vecchio trucco degli anacoreti), e sono altrettanto certo che da quel momento le porte di Santa Romana Chiesa si spalancheranno definitivamente per questo figliol prodigo. Del resto sono fatte per questo, quelle benedette porte, no? Per spalancarsi. Bene, molto bene. Salvo che io non vorrei esserci, in quel momento. Per questo ti scrivo, Gesù Bambino. Ti saluto. Mi prendo un po' di ferie.
Caro Gesù, mio Buon Pastore: io sono uno delle 99 pecorelle che non hanno mai dato pensieri ai tuoi cagnoloni – a parte quando schitarravo i salmi in chiesa con una certa foga, ai bei tempi del Vaticano II. Per il resto ho frequentato con profitto anni di catechismo, arrivando puntuale a ogni sacramento. Ho pregato, sin da bambino, e ho letto le Scritture. Tutte. Senza smettere di credere in te, il che è già un miracolo della fede. Proprio per questo motivo so bene che c'è più gioia in cielo per una pecorella smarrita e ritrovata che per 99 come me, che beeelano beeelano la loro devozione da una vita. Proprio per questo motivo so che nelle cucine pontificie sono già indaffarati a condire il vitello grasso. Tutto giustissimo, ma io stavolta non ne assaggerò. Il mio amore per il prossimo ha evidentemente un grosso difetto: se domani entrasse da quella porta Bin Laden, sinceramente pentito, me ne rallegrerei. Ma Giuliano Ferrara, Santo Dio, no. C'è incompatibilità.
Caro Gesù, che tornerai sulla terra per giudicare i vivi e i morti, mi rendo conto che il motivo del mio traviamento è sciocco e gretto, però Ferrara veramente non lo reggo. Non so neanch'io il perché. Probabilmente l'insofferenza nasce dall'averlo visto sempre in cattedra. È da quando sono al mondo che me lo trovo in una posizione di privilegio, a farmi lezioni d'ogni tipo.
Quando ho cominciato a pensare d'essere di sinistra, lui era già là, nella foto di famiglia, senz'altro merito fuorché un cognome illustre. Poi si è convertito alla socialdemocrazia e ha voluto insegnarla a tutta una generazione. Siccome è stata la stessa generazione che ha tirato le monetine a Craxi e ancora ne va fiera, forse il maestro non era così buono, ma che importa? Il tempo di fiutare il vento, e si è fatto liberale. È stato il cervello dietro a Berlusconi, e in quanto cervello si è trovato ad avere molto tempo libero. Allora si è messo in testa d'essere un giornalista, e a molte persone perbene e ragazzi ambiziosi è convenuto credergli. Nell'anno in cui il capo del governo poteva contare su due canali nazionali filogovernativi ed era proprietario privato di altri tre, Ferrara ha occupato stabilmente la prima serata del settimo. Nel frattempo scrive un giornale a spese mie, in cui ha insegnato il laicismo ai laici, il radicalismo ai radicali, l'America agli americani, il conservatorismo ai conservatori, la democrazia ai fondatori del PD e... e adesso è venuto il momento di spiegare il catechismo ai chierichetti. Mi pare giusto, ma non ci sto.
Caro Gesù, ti rendi conto? Lui che non sa distinguere una virtù cardinale da una teologale, gli Efesini dai Tessalonicesi, Sant'Antonio da Padova da Sant'Antonio Abate, domani salirà in cattedra e m'intimerà di convertirmi e credere al Vangelo! A me, cresciuto a Vespri e Lodi mattutine! Fino a questo momento tu eri l'unico con cui potevo parlare senza che lui ci si mettesse in mezzo. Ma da domani sarà diverso. Domani, quando proverò a dirti le preghiere, sentirò la sua presenza non discreta. Probabilmente disapproverà il modo in cui m'inginocchio o incrocio le mani, mi darà dell'ingenuo o del fighetto, o del gnégnegne... le solite cose. Non mi dirà nulla che non so già, e lo dirà con un sacco di parole brutte e strane, annoiandomi come un qualunque prete di campagna, ma con un sacco di ammiccamenti a cose e persone che non conosco e non m'interessano. Non m'insegnerà niente.
E dire che nella mia vita ho imparato da tutti: meccanici, casalinghe, venditori porta a porta. Addirittura qualche volta persino dagli insegnanti. Tutti mi hanno detto qualcosa che ancora non sapevo. Tranne lui. Lui in fin dei conti parla solo e sempre di sé, perché dovrebbe interessarmi?
D'altro canto, caro Gesù, io so che quando dicevi “Beati gli ultimi perché saranno i primi” ti riferivi anche a quelli come lui, che arrivando all'ultimo momento all'appuntamento con la Fede, ci sopravanzano, proprio come i velocisti nello sprint. Dunque Ferrara, già burocrate PCI e fonte riservata CIA, giunto al Vangelo in zona Cesarini, sarà uno dei primi nel tuo Regno...c'è una scandalosa giustizia in tutto questo, te lo riconosco. Ma d'altro canto devi pur immaginare che la prospettiva di un paradiso dove ogni sera alle otto e mezza c'è lui che mi spiega come stare all'Altro Mondo non mi sembra un'alternativa così interessante al fuoco eterno.
Per questo pensavo di andarmene un po'. Non so neanche dove. Da Maometto no, a meno che non venga lui. Budda, con quella storia delle respirazioni, mi spaventa. Probabile che me ne resti qua fuori nel parcheggio, come fanno tanti. Giusto il tempo di sbollire. Sono la 99ma pecorella, non ho diritto anch'io almeno a un giorno da leone?
Caro Gesù Bambino, che vedi tutto: non ti sarà sfuggita l'ultima iniziativa di Giuliano Ferrara.
Da qualche giorno sta facendo una dieta di soli liquidi, che probabilmente gli gioverà. Il pretesto è una specie di moratoria contro l'aborto, bla bla. Il vero motivo per cui Ferrara si sottopone a questa innocua privazione è chiaro a ogni povero di Spirito: Ferrara ha intenzione di vedere Dio entro la fine dell'anno, e metter fine alla manfrina dell'“ateo devoto”, che oggettivamente fa ridere. Ormai lo dice a chiare lettere: “E' un mezzo di contatto subliminale”; e chi dovrebbe contattare, se non Tuo Padre? Bene, sono abbastanza sicuro che durante un calo di zuccheri ci riuscirà (è il vecchio trucco degli anacoreti), e sono altrettanto certo che da quel momento le porte di Santa Romana Chiesa si spalancheranno definitivamente per questo figliol prodigo. Del resto sono fatte per questo, quelle benedette porte, no? Per spalancarsi. Bene, molto bene. Salvo che io non vorrei esserci, in quel momento. Per questo ti scrivo, Gesù Bambino. Ti saluto. Mi prendo un po' di ferie.
Caro Gesù, mio Buon Pastore: io sono uno delle 99 pecorelle che non hanno mai dato pensieri ai tuoi cagnoloni – a parte quando schitarravo i salmi in chiesa con una certa foga, ai bei tempi del Vaticano II. Per il resto ho frequentato con profitto anni di catechismo, arrivando puntuale a ogni sacramento. Ho pregato, sin da bambino, e ho letto le Scritture. Tutte. Senza smettere di credere in te, il che è già un miracolo della fede. Proprio per questo motivo so bene che c'è più gioia in cielo per una pecorella smarrita e ritrovata che per 99 come me, che beeelano beeelano la loro devozione da una vita. Proprio per questo motivo so che nelle cucine pontificie sono già indaffarati a condire il vitello grasso. Tutto giustissimo, ma io stavolta non ne assaggerò. Il mio amore per il prossimo ha evidentemente un grosso difetto: se domani entrasse da quella porta Bin Laden, sinceramente pentito, me ne rallegrerei. Ma Giuliano Ferrara, Santo Dio, no. C'è incompatibilità.
Caro Gesù, che tornerai sulla terra per giudicare i vivi e i morti, mi rendo conto che il motivo del mio traviamento è sciocco e gretto, però Ferrara veramente non lo reggo. Non so neanch'io il perché. Probabilmente l'insofferenza nasce dall'averlo visto sempre in cattedra. È da quando sono al mondo che me lo trovo in una posizione di privilegio, a farmi lezioni d'ogni tipo.
Quando ho cominciato a pensare d'essere di sinistra, lui era già là, nella foto di famiglia, senz'altro merito fuorché un cognome illustre. Poi si è convertito alla socialdemocrazia e ha voluto insegnarla a tutta una generazione. Siccome è stata la stessa generazione che ha tirato le monetine a Craxi e ancora ne va fiera, forse il maestro non era così buono, ma che importa? Il tempo di fiutare il vento, e si è fatto liberale. È stato il cervello dietro a Berlusconi, e in quanto cervello si è trovato ad avere molto tempo libero. Allora si è messo in testa d'essere un giornalista, e a molte persone perbene e ragazzi ambiziosi è convenuto credergli. Nell'anno in cui il capo del governo poteva contare su due canali nazionali filogovernativi ed era proprietario privato di altri tre, Ferrara ha occupato stabilmente la prima serata del settimo. Nel frattempo scrive un giornale a spese mie, in cui ha insegnato il laicismo ai laici, il radicalismo ai radicali, l'America agli americani, il conservatorismo ai conservatori, la democrazia ai fondatori del PD e... e adesso è venuto il momento di spiegare il catechismo ai chierichetti. Mi pare giusto, ma non ci sto.
Caro Gesù, ti rendi conto? Lui che non sa distinguere una virtù cardinale da una teologale, gli Efesini dai Tessalonicesi, Sant'Antonio da Padova da Sant'Antonio Abate, domani salirà in cattedra e m'intimerà di convertirmi e credere al Vangelo! A me, cresciuto a Vespri e Lodi mattutine! Fino a questo momento tu eri l'unico con cui potevo parlare senza che lui ci si mettesse in mezzo. Ma da domani sarà diverso. Domani, quando proverò a dirti le preghiere, sentirò la sua presenza non discreta. Probabilmente disapproverà il modo in cui m'inginocchio o incrocio le mani, mi darà dell'ingenuo o del fighetto, o del gnégnegne... le solite cose. Non mi dirà nulla che non so già, e lo dirà con un sacco di parole brutte e strane, annoiandomi come un qualunque prete di campagna, ma con un sacco di ammiccamenti a cose e persone che non conosco e non m'interessano. Non m'insegnerà niente.
E dire che nella mia vita ho imparato da tutti: meccanici, casalinghe, venditori porta a porta. Addirittura qualche volta persino dagli insegnanti. Tutti mi hanno detto qualcosa che ancora non sapevo. Tranne lui. Lui in fin dei conti parla solo e sempre di sé, perché dovrebbe interessarmi?
D'altro canto, caro Gesù, io so che quando dicevi “Beati gli ultimi perché saranno i primi” ti riferivi anche a quelli come lui, che arrivando all'ultimo momento all'appuntamento con la Fede, ci sopravanzano, proprio come i velocisti nello sprint. Dunque Ferrara, già burocrate PCI e fonte riservata CIA, giunto al Vangelo in zona Cesarini, sarà uno dei primi nel tuo Regno...c'è una scandalosa giustizia in tutto questo, te lo riconosco. Ma d'altro canto devi pur immaginare che la prospettiva di un paradiso dove ogni sera alle otto e mezza c'è lui che mi spiega come stare all'Altro Mondo non mi sembra un'alternativa così interessante al fuoco eterno.
Per questo pensavo di andarmene un po'. Non so neanche dove. Da Maometto no, a meno che non venga lui. Budda, con quella storia delle respirazioni, mi spaventa. Probabile che me ne resti qua fuori nel parcheggio, come fanno tanti. Giusto il tempo di sbollire. Sono la 99ma pecorella, non ho diritto anch'io almeno a un giorno da leone?
lunedì 24 dicembre 2007
just one of my favourite things
(Ho pensato che se in tv continuano a dare Angeli con la Pistola, o Tutti Insieme Appassionatamente, io posso anche postare il pezzo di Natale del 2006, che è ancora buono):
Gli spettri dei Natali passati
Tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole. (Cardinale Biffi)
1) Publio Plinio a Domizio Rufo:
3) Ing. Taddei Barnaba a Dott. Taddei Luciano
(Un buon Natale di Sole a tutti quanti).
Gli spettri dei Natali passati
Tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole. (Cardinale Biffi)
1) Publio Plinio a Domizio Rufo:
"Carissimo, ti auguro con questa epistola di trascorrere un buon Natale del Sole. Non so da voi, ma qui a Mediolanum ormai lo festeggiano tutti: persino i cristiani! Sì, anche quella setta di santoni pseudoebrei, gli adoratori dei crocefissi, dopo qualche resistenza ormai si sono decisi a festeggiare come tutti gli altri.
Non c’è che da apprezzare la saggezza del nostro grande imperatore Aureliano, che volle rendere ufficiale la festa, l’ottavo giorno prima delle Calende di Gennaio. Noi cittadini dell’impero siamo diversi per lingua, razza e religione, ma tutti siamo scaldati dallo stesso Sole, che dopo il freddissimo Solstizio d’Inverno ora ricomincia timidamente a riallungare le giornate. Né Aureliano volle inventarsi una Festa di sana pianta, ma lungamente studiò il problema coi suoi collaboratori, scoprendo che la festa della Rinascita del Sole è la più universale; anche se alcuni lo chiamano Mitra, altri Elagabal, altri Helios: in fin dei conti è sempre lo stesso per tutti, e tutti ugualmente ci riscalda.
Solo i cristiani, nella loro superstizione, sono convinti di non adorarlo. Ho appreso da un mio servo, che partecipa alle loro riunioni, che pure loro mangiano gli stessi dolci impastati con frutta candita e miele: ma non per festeggiare il Sole a cui devono la frutta e i fiori, bensì la nascita del loro Dio, o profeta (essi non hanno chiara la distinzione tra i termini), Gesù Cristo.
Confesso di essere affascinato dall’ignoranza che nutrono per la loro stessa religione. Avendo dato un’occhiata, per curiosità, ai loro libri sacri, so bene che in nessun giorno del calendario è fissata la data di nascita del loro eroe. Stavo quasi per dirlo al mio servo, ma a che pro? Non sa leggere. Ma lasciamolo pure mangiare il suo pane dolce e i suoi canditi, anche se ignora l’autentico significato di ciò che fa".
2) Ebrhardt a Kwenghjil
"Gran figlio di vacca visigota e padre ignoto, come va? Spero che in Hispania faccia meno freddo che qui. Tra un po’, grazie al cielo, le giornate si riallungheranno. Nel frattempo io me ne resto accampato in questa nebbiosa valle padana. E mi si gelano i coglioni.
Mi gelano anche perché la mia Orda ha deciso di convertirsi in blocco a quella religione del menga, il Cristianesimo.
Dicono che conviene farsi amici i vescovi, che sono i veri capi delle città. Mah. Fosse per me avrei giù brindato coi loro teschi disossati, ma forse hanno ragione. Ci vuole gente che sappia amministrare tutto questo casino.
Del resto mi conosci, io di religione mi sono sempre interessato quanto bastava per portare le fanciulle alle orge. Però, boia d’un Thor, non toccatemi Odino! Te lo ricordi, Kwenghjil, quando eravamo bambini e la mamma ci diceva di mettere fuori gli stivali pieni di carote per il cavallo del dio Odino?
Era due giorni dopo il solstizio d’inverno, come oggi. Nella notte lunghissima il dio con la barba bianca portava gli eroi caduti a una battuta di caccia. E quando si fermava alla nostra stalla, dovevamo essere a letto e non fiatare, se volevamo che ci riempisse gli stivali di nocciole al miele e altre leccornie.
E adesso mi spieghi, Kwenghjil? Se mi converto al cristianesimo, cosa ci racconto al mio nipotino? Ha il diritto di credere in Odino anche lui, o no?
Ieri sera l’ho preso davanti al fuoco e ho attaccato con la storia del dio che cavalca nella notte. Si è messo a piangere come un puledrino! Ben ti sta, mi ha detto mia moglie. Basta con queste storie di Dei barbari a cavallo, mi dice, sei vecchio, aggiornati! Se non fossi il vecchione che sono l’avrei impalata lì dov’era! E invece l’ho lasciata fare: ha preso in braccio il marmocchio e (non credevo alle mie orecchie) ha completato il racconto spiegando che Odino era un dio cattivo e feroce, che abitava nei boschi, ma poi ha incontrato un tale San Nikolao, Santa Nicola, non so, che ha convertito pure lui, e da allora è buono e porta i dolci dal camino!
...E poi dimmi se a uno non devono gelarsi le palle. Dove sono finite le tradizioni dei nostri padri? È tutta una schifezza. Meno male che posso mangiarmi ancora le mie nocciole al miele. Le mangio alla tua salute, vecchio scannagalline".
3) Ing. Taddei Barnaba a Dott. Taddei Luciano
"Ciao dutùr, spero che ti passi un buon Natale. Qui a Milano è un freddo cane come sempre (e poi dicono il riscaldamento globale, bah). Ma se Dio vuole, da qui in poi ci si riallungheranno le giornate.
Ti saluta anche tuo nipote – perlomeno ti saluterebbe, se riuscissimo a staccarlo da quella plaistescion rivoluzionaria che gli hai regalato. Che sia l’ultima volta: siamo seriamente preoccupati. Da mezzanotte alle nove del mattino è rimasto lì impalato a dimenarsi davanti al televisore. Al che mia moglie gli ha detto: “Ma devi proprio giocarci da solo? Perché non inviti i tuoi amici?”
Gli amici di mio figlio: un cinese, un turco e un Di Gennaro. Tre ore chiusi nella stanza a dar di matto con quell’affare. A un certo punto blocco mia moglie nel corridoio con in mano un vassoio di panettone: ma sei sicura? Le ho detto io. E se è contro la loro religione?
Ma che religione e religione, fa lei. È un dolce, non lo proibisce nessuno. Appunto, faccio io, è un dolce di Natale, cosa vuoi che sappiano in Cina? Loro mica ci credono, in Babbo Natale. E poi c’è un turco, figurati.
Proprio in quel momento dal bagno salta fuori Giampiero, e alza le spalle: Papà, dice, veramente Babbo Natale viene dalla Turchia. Ma che Turchia e Turchia, dico io, chi te le racconta queste cose? La prof di religione, dice lui. Ci ha spiegato che Babbo Natale è San Nicola, e San Nicola è nato in una città che adesso è in Turchia. Ah, sì? Vorrà dire che l’anno prossimo ti esentiamo dalla materia, visto che la tua prof non sa nemmeno che San Nicola sta a Bari!
E vai!, ha detto lui. Che stronzetto ho messo al mondo.
Alla fine se lo sono sbafato, il panettone. Glie n’è fregato assai, di sapere perché lo mangiano. Che mondo. Che mondo.
Speriamo soltanto che torni un po’ di sole".
(Un buon Natale di Sole a tutti quanti).
sabato 22 dicembre 2007
Save Private Berlusconi
E al vostro funerale, applaudiremo
Questo Santo Natale non voglio che arrivi senza che io abbia sciolto almeno un cantico per i veri liberali, i difensori della privacy, gli eroi che ci hanno difeso, per un anno intero, dalla morbosità impicciona della stampa schifosa e dei blog maldicenti.
Sto pensando ai politici, agli opinionisti, che quando un cronista bavoso ha provato ad appoggiare un microfono al citofono della vedova e dell'orfano, hanno fermamente protestato, hanno scritto e detto parole di fuoco, ottenendo così che i nostri tg si liberassero di quel pietismo da terzo mondo.
Sto pensando a chi ha avuto il coraggio di non intervistare più Azouz quando lui stesso stava cercando di defilarsi, a chi ha subito cancellato le foto delle gemelline di Garlasco da ogni archivio, evitando loro, in un momento delicato della loro crescita, una brutta figura molto difficile da metabolizzare.
Sto pensando a chi ha fatto il possibile, in tv e sui giornali, per difendere l'immagine di privati cittadini come Meredith, Amanda, Raffaele, Rudy, evitando che ai loro nomi fossero associate le immagini goliardiche che pure erano reperibilissime su Internet.
Grazie, veramente. Senza di voi Azouz, Amanda, le gemelle Cappa, oggi non sarebbero più privati cittadini, ma involute celebrità. Il vostro impegno quotidiano ha migliorato sensibilmente l'opinione pubblica italiana. E anche voi ne avete guadagnato in credibilità.
E oggi che difendete Berlusconi, barbaramente attaccato nella sua privacy, sappiamo che lo fate senza secondi fini, esattamente come avete difeso Azouz, Meredith, Sollecito. Perché per voi non c'è differenza tra uno studente sfigato e il proprietario di tre canali televisivi. Che tu sia leader dell'opposizione o magrebino con precedenti penali, che tu stia facendo boccacce alla webcam o mercanteggiando favori sessuali in cambio di un voto di sfiducia, la tua privacy è sacra, e santo, santo, santo è chi la difende.
Buon Natale, piccoli grandi eroi. Io mi sento veramente al sicuro, con gente come voi su tutti i canali e i giornali. So che posso scrivere quel che voglio, e che nessuno lo userà contro di me. So che se, un indomani, io fossi indagato per una cosa che non ho commesso, voi vegliereste sulla cache di google, affinché qualcuno non ci peschi cose che imbarazzerebbero un innocente. So che qualora saltasse fuori un'intercettazone piccante di una mia telefonata, voi mi difendereste con la stessa olimpica serenità con cui difendete Berlusconi, perché dopotutto c'è una cosa in cui io e Berlusconi siamo veramente uguali, e non è la statura, no, ma è la legge. Che è incredibile, se ci pensi, eppure è così. Io e lui, davanti al giudice, uguali. Che sensazione strana.
Vien voglia di non pagare più le multe. Andranno bene in prescrizione, prima o poi.
Questo Santo Natale non voglio che arrivi senza che io abbia sciolto almeno un cantico per i veri liberali, i difensori della privacy, gli eroi che ci hanno difeso, per un anno intero, dalla morbosità impicciona della stampa schifosa e dei blog maldicenti.
Sto pensando ai politici, agli opinionisti, che quando un cronista bavoso ha provato ad appoggiare un microfono al citofono della vedova e dell'orfano, hanno fermamente protestato, hanno scritto e detto parole di fuoco, ottenendo così che i nostri tg si liberassero di quel pietismo da terzo mondo.
Sto pensando a chi ha avuto il coraggio di non intervistare più Azouz quando lui stesso stava cercando di defilarsi, a chi ha subito cancellato le foto delle gemelline di Garlasco da ogni archivio, evitando loro, in un momento delicato della loro crescita, una brutta figura molto difficile da metabolizzare.
Sto pensando a chi ha fatto il possibile, in tv e sui giornali, per difendere l'immagine di privati cittadini come Meredith, Amanda, Raffaele, Rudy, evitando che ai loro nomi fossero associate le immagini goliardiche che pure erano reperibilissime su Internet.
Grazie, veramente. Senza di voi Azouz, Amanda, le gemelle Cappa, oggi non sarebbero più privati cittadini, ma involute celebrità. Il vostro impegno quotidiano ha migliorato sensibilmente l'opinione pubblica italiana. E anche voi ne avete guadagnato in credibilità.
E oggi che difendete Berlusconi, barbaramente attaccato nella sua privacy, sappiamo che lo fate senza secondi fini, esattamente come avete difeso Azouz, Meredith, Sollecito. Perché per voi non c'è differenza tra uno studente sfigato e il proprietario di tre canali televisivi. Che tu sia leader dell'opposizione o magrebino con precedenti penali, che tu stia facendo boccacce alla webcam o mercanteggiando favori sessuali in cambio di un voto di sfiducia, la tua privacy è sacra, e santo, santo, santo è chi la difende.
Buon Natale, piccoli grandi eroi. Io mi sento veramente al sicuro, con gente come voi su tutti i canali e i giornali. So che posso scrivere quel che voglio, e che nessuno lo userà contro di me. So che se, un indomani, io fossi indagato per una cosa che non ho commesso, voi vegliereste sulla cache di google, affinché qualcuno non ci peschi cose che imbarazzerebbero un innocente. So che qualora saltasse fuori un'intercettazone piccante di una mia telefonata, voi mi difendereste con la stessa olimpica serenità con cui difendete Berlusconi, perché dopotutto c'è una cosa in cui io e Berlusconi siamo veramente uguali, e non è la statura, no, ma è la legge. Che è incredibile, se ci pensi, eppure è così. Io e lui, davanti al giudice, uguali. Che sensazione strana.
Vien voglia di non pagare più le multe. Andranno bene in prescrizione, prima o poi.
venerdì 21 dicembre 2007
Sexa Rubra
Tovarisc Bruno Vespa
La differenza tra me e Berlusconi è soprattutto questa: a lui una signorina così interessa principalmente perché può farci cascare il governo, e questo lo eccita. A me non succede. Di eccitarmi. Perlomeno, di eccitarmi con le crisi di governo. Per il resto siamo più o meno alti uguale, e diciamo sciocchezze al telefono, chiamando i migliori amici "stronzi" alle spalle se lo meritano.
Invece coi giornalisti bisognerebbe avere un po' cautela. Per dire, una dichiarazione come
potrebbe prestare il destro ad alcune polemiche. Anche se lo pensiamo entrambi: cioè, veramente io credevo che si prostituissero un po' anche a sinistra, ma non me ne intendo parecchio.
E' proprio questa discriminazione (o di sinistra o troie), che secondo me rischia di infiammare Saxa Rubra. Mettetevi nei panni di tutti quegli stimati professionisti che servono l'azienda da decenni e non sono mai sembrati molto di sinistra. Ieri Berlusconi gli ha dato delle puttane, davanti a tutti. Come reagiranno? Tre scenari:
1) Molti di loro, volendo dimostrare che non si prostituiscono, cominceranno ad assumere plateali atteggiamenti de sinistra. Es.:
2) Molti di loro, volendo assolutamente dimostrare che non sono de sinistra, cominceranno ad assumere plateali atteggiamenti troieschi. Es.:
3) Molti di loro protesteranno formalmente contro l'inciviltà di quel cafone di Berlusconi che non si può permettere, ma scherziamo? Es.:
La differenza tra me e Berlusconi è soprattutto questa: a lui una signorina così interessa principalmente perché può farci cascare il governo, e questo lo eccita. A me non succede. Di eccitarmi. Perlomeno, di eccitarmi con le crisi di governo. Per il resto siamo più o meno alti uguale, e diciamo sciocchezze al telefono, chiamando i migliori amici "stronzi" alle spalle se lo meritano.
Invece coi giornalisti bisognerebbe avere un po' cautela. Per dire, una dichiarazione come
"Lo sanno tutti, in Rai lavori solo se sei di sinistra o se ti prostituisci"
potrebbe prestare il destro ad alcune polemiche. Anche se lo pensiamo entrambi: cioè, veramente io credevo che si prostituissero un po' anche a sinistra, ma non me ne intendo parecchio.
E' proprio questa discriminazione (o di sinistra o troie), che secondo me rischia di infiammare Saxa Rubra. Mettetevi nei panni di tutti quegli stimati professionisti che servono l'azienda da decenni e non sono mai sembrati molto di sinistra. Ieri Berlusconi gli ha dato delle puttane, davanti a tutti. Come reagiranno? Tre scenari:
1) Molti di loro, volendo dimostrare che non si prostituiscono, cominceranno ad assumere plateali atteggiamenti de sinistra. Es.:
BRUNO VESPA (in colbacco): Compagni e compagne, benvenuti a Porta a Porta. Il tema della serata è: Omicidio di Erba, razzismo o lotta di classe?
2) Molti di loro, volendo assolutamente dimostrare che non sono de sinistra, cominceranno ad assumere plateali atteggiamenti troieschi. Es.:
BRUNO VESPA (roteando il borsettino, schiaccia il mozzicone col tacco 12): E diamo il benvenuto a - ding dong! - Giulio Andreotti! Aaaah, caro Giulio, ricordi i bei tempi in cui rimorchiavi in Via Veneto? Ma se non fosse per te, oggi dove sarei?
3) Molti di loro protesteranno formalmente contro l'inciviltà di quel cafone di Berlusconi che non si può permettere, ma scherziamo? Es.:
BRUNO VESPA: Buonasera. A nome di tutti i miei colleghi di Rai1, 2 e 3, desidero protestare formalmente contro l'inciviltà di Berlusconi, che(no, dai, ma come mi viene in mente? Vespa che protesta? Ma ho veramente una fantasia malata).
giovedì 20 dicembre 2007
the orange button refuses to die
Invenzioni senza futuro
Pare che il blog abbia compiuto dieci anni. Io non li ho vissuti tutti, e comunque di solito stavo guardando da un'altra parte.
2001
“Cosa fai, scrivi?”
“Sì, sto provando un sistema per realizzare siti testuali, si chiama... blogger”.
“Fa vedere. Fa schifo”.
“Beh, sì, è molto semplice”.
“Niente flash, niente gif animate, niente di niente. A cosa ti serve?”
“Beh, mi basta scrivere, poi premo il bottone arancione, e pubblica subito. È facile”.
“Sì, ma cosa ci scrivi, i fatti tuoi?”
“Non necessariamente. Ma perché no. Se mi viene in mente qualcosa d'interessante la scrivo”.
“Insomma, un diario personale. Su internet. Hai pensato che potrebbe anche entrare per caso uno che sa l'italiano e leggertelo?”
“Perché no? Magari ci trova qualcosa d'interessante”.
“Seh, come no”.
2003
“Toh, ma chi c'è! Il nostro pioniere dei blog! Ma hai visto che battendo il tuo nome su google ed eri il primo risultato? Come ci si sente?"
"Mah, fa un po' impressione".
"A proposito, l'ultimo post sul Berlusca era il massimo”.
“Grazie”.
“Solo non riesco a capire: perché usi ancora Blogger?”
“Sai, ormai ci sono abituato e...”
“Ma adesso c'è la piattaforma italiana, che fa molti più community, e la community porta più accessi! E puoi anche implementare i commenti! Perché non implementi i commenti?”
“Poi va a finire che litigo per delle cretinate... meglio di no”.
“Senti, da' retta a un cretino: se metti i commenti, il blog ti si aggiorna praticamente da solo. Quelli che prima venivano una volta al giorno, verranno tre volte al giorno”.
“Capirai, tanto mica mi pagano”.
“Loro no. Ma appena si sblocca il mercato pubblicitario, vedrai”.
“Vedrò cosa?”
“Vedrai, vedrai. Certo, negli ultimi tempi c'è una certa inflazione di fuffa in giro”
“Effettivamente”.
“Ma non sarà mica sempre così, no no. Tra un po' ci sarà la scrematura. Non ce la faranno mica tutti. A proposito, senti... tu li fai gli scambi di link?”
“Veramente sono un po' in arretrato con la colonnina. Anzi, stavo pensando di toglierla: un pensiero in meno. Cosa ne pensi?”
“Stai sbagliando tutto”.
“Grazie. Buon Natale”.
2005
“Toh, guarda chi c'è!”
“Ciao”
“Ma senti, è da un bel po' che non vado a vedere... ce l'hai ancora quel blog?”
“Sì”.
“E i feed, ce li ha i feed?”
“Credo di sì”.
“E adesso cosa ci metti? Podcasting, streaming, filmati...”
“Macché. La solita fuffa in corpo dieci”.
“Un blog testuale! Nel 2005! Peeerò”.
“Sai com'è, so fare solo quello”.
“C'hai messo almeno qualcosa intorno? Un myspace, un flickr, qualcosa...”
“No, troppe password da ricordare. Però ho abilitato i commenti, come mi suggerivi”.
“I commenti? Tu ancora leggi i commenti?”
“E a volte rispondo pure”.
“E quindi c'è ancora qualcuno che legge”.
“Qualcuno ancora c'è”.
“Te, comunque, hai sbagliato tutto. Dovevi approfittare del periodo in cui ti leggevano tutti ed eri ben indicizzato, farti fare un contratto come nanopublisher...”
“Meglio così, un lavoro onesto ce l'ho già. Quelle cose lì... non mi danno tanto affidamento”.
“E hai ragione. Del resto ormai i blog sono morti”.
“Sì?”
“Ma sì. C'è troppa gente che cerca di guadagnarci, troppi wannabe...”
“Wannache?”
“Wannabe”.
“Ah. Già. Beh, devo andare. Buone feste”.
2007
“Ehilà, il vecchio blogger! Hai visto che sei tornato nella top 40? Come ci si sente?”
“Più o meno pirla uguale a prima”.
“Ahah, che sagoma! Ma senti, mi daresti il tuo twitter?”
“Non... Non credo di avercelo”.
“Già, dimenticavo, tu sei uno di quegli integralisti uno punto zero”.
“No, è solo che ho poco tempo, e poi...”
“Senti, gran pezzo sul Berlusca ieri. Hai visto che te l'ho anche tumblerato?”
“Eh?”
“Tumblerato, ti ho linkato dal mio tumblr! A proposito, quand'è che ne apri uno anche tu?”
“Mah, credo mai... voglio dire, cos'hanno di nuovo esattamente?”
“Sono fighissimi! Come i blog ma senza tutto il peso dei blog! Niente commenti! Niente archivi! Nessuno che ti disturba con le stronzate! Sono leggeri, hai presente la leggerezza di Calvino?”
“Eh, già, Calvino. Oddio, che ora è. Devo proprio andare. Buone vacanze”.
2009
“Ehilà! Vecchio Blogger! Come andiamo?”
“Benone”.
“Ma sul serio ancora lo usi?”
“Qualche volta sì. Sai com'è...”
“...L'abitudine, sì, lo so, ma di' la verità. L'avrai almeno provato, il nuovo Dr-prsnl?”
“Drpr-che?”
“Il Dr-prsnl! Il nuovo sistema press-button publishing per aggiornare i tuoi pensieri on line!”
“Aspetta. Mi sembra di averne già sentito parlare, effettivamente”.
“E' una specie di tumblr espanso. Puoi ordinare i post secondo le categorie, organizzare un archivio cronologico, pubblicare i commenti dei tuoi lettori... c'è tutto. È fighissimo. Provalo, da' retta”.
“Cioè, in pratica è un sistema per pubblicare on line i miei pensieri, è così?”
“E' così!”
“E se qualcuno per caso passa e li legge?”
“Perché no? E' questo il senso, la filosofia del nxt web”.
“Che sarebbe il tre punto zero”.
“Ma no, stpd. Il tre punto zero è roba dell'anno scorso. E poi era solo un modo di dire. Il nxt web è una cosa seria”.
“Scusa”.
“Certo che voialtri di blogger, non cambiate mai, eh? Quel tasto là, è sempre arancione?”
“Mi piace, l'arancione”.
“Sei un caso disperato”.
“Mi dispiace. Buon anno”.
Il blog ne compie dieci, questo anche meno. Per i bilanci è un po' presto... aspettiamo di averne 18. Buone feste a tutti.
Pare che il blog abbia compiuto dieci anni. Io non li ho vissuti tutti, e comunque di solito stavo guardando da un'altra parte.
2001
“Cosa fai, scrivi?”
“Sì, sto provando un sistema per realizzare siti testuali, si chiama... blogger”.
“Fa vedere. Fa schifo”.
“Beh, sì, è molto semplice”.
“Niente flash, niente gif animate, niente di niente. A cosa ti serve?”
“Beh, mi basta scrivere, poi premo il bottone arancione, e pubblica subito. È facile”.
“Sì, ma cosa ci scrivi, i fatti tuoi?”
“Non necessariamente. Ma perché no. Se mi viene in mente qualcosa d'interessante la scrivo”.
“Insomma, un diario personale. Su internet. Hai pensato che potrebbe anche entrare per caso uno che sa l'italiano e leggertelo?”
“Perché no? Magari ci trova qualcosa d'interessante”.
“Seh, come no”.
2003
“Toh, ma chi c'è! Il nostro pioniere dei blog! Ma hai visto che battendo il tuo nome su google ed eri il primo risultato? Come ci si sente?"
"Mah, fa un po' impressione".
"A proposito, l'ultimo post sul Berlusca era il massimo”.
“Grazie”.
“Solo non riesco a capire: perché usi ancora Blogger?”
“Sai, ormai ci sono abituato e...”
“Ma adesso c'è la piattaforma italiana, che fa molti più community, e la community porta più accessi! E puoi anche implementare i commenti! Perché non implementi i commenti?”
“Poi va a finire che litigo per delle cretinate... meglio di no”.
“Senti, da' retta a un cretino: se metti i commenti, il blog ti si aggiorna praticamente da solo. Quelli che prima venivano una volta al giorno, verranno tre volte al giorno”.
“Capirai, tanto mica mi pagano”.
“Loro no. Ma appena si sblocca il mercato pubblicitario, vedrai”.
“Vedrò cosa?”
“Vedrai, vedrai. Certo, negli ultimi tempi c'è una certa inflazione di fuffa in giro”
“Effettivamente”.
“Ma non sarà mica sempre così, no no. Tra un po' ci sarà la scrematura. Non ce la faranno mica tutti. A proposito, senti... tu li fai gli scambi di link?”
“Veramente sono un po' in arretrato con la colonnina. Anzi, stavo pensando di toglierla: un pensiero in meno. Cosa ne pensi?”
“Stai sbagliando tutto”.
“Grazie. Buon Natale”.
2005
“Toh, guarda chi c'è!”
“Ciao”
“Ma senti, è da un bel po' che non vado a vedere... ce l'hai ancora quel blog?”
“Sì”.
“E i feed, ce li ha i feed?”
“Credo di sì”.
“E adesso cosa ci metti? Podcasting, streaming, filmati...”
“Macché. La solita fuffa in corpo dieci”.
“Un blog testuale! Nel 2005! Peeerò”.
“Sai com'è, so fare solo quello”.
“C'hai messo almeno qualcosa intorno? Un myspace, un flickr, qualcosa...”
“No, troppe password da ricordare. Però ho abilitato i commenti, come mi suggerivi”.
“I commenti? Tu ancora leggi i commenti?”
“E a volte rispondo pure”.
“E quindi c'è ancora qualcuno che legge”.
“Qualcuno ancora c'è”.
“Te, comunque, hai sbagliato tutto. Dovevi approfittare del periodo in cui ti leggevano tutti ed eri ben indicizzato, farti fare un contratto come nanopublisher...”
“Meglio così, un lavoro onesto ce l'ho già. Quelle cose lì... non mi danno tanto affidamento”.
“E hai ragione. Del resto ormai i blog sono morti”.
“Sì?”
“Ma sì. C'è troppa gente che cerca di guadagnarci, troppi wannabe...”
“Wannache?”
“Wannabe”.
“Ah. Già. Beh, devo andare. Buone feste”.
2007
“Ehilà, il vecchio blogger! Hai visto che sei tornato nella top 40? Come ci si sente?”
“Più o meno pirla uguale a prima”.
“Ahah, che sagoma! Ma senti, mi daresti il tuo twitter?”
“Non... Non credo di avercelo”.
“Già, dimenticavo, tu sei uno di quegli integralisti uno punto zero”.
“No, è solo che ho poco tempo, e poi...”
“Senti, gran pezzo sul Berlusca ieri. Hai visto che te l'ho anche tumblerato?”
“Eh?”
“Tumblerato, ti ho linkato dal mio tumblr! A proposito, quand'è che ne apri uno anche tu?”
“Mah, credo mai... voglio dire, cos'hanno di nuovo esattamente?”
“Sono fighissimi! Come i blog ma senza tutto il peso dei blog! Niente commenti! Niente archivi! Nessuno che ti disturba con le stronzate! Sono leggeri, hai presente la leggerezza di Calvino?”
“Eh, già, Calvino. Oddio, che ora è. Devo proprio andare. Buone vacanze”.
2009
“Ehilà! Vecchio Blogger! Come andiamo?”
“Benone”.
“Ma sul serio ancora lo usi?”
“Qualche volta sì. Sai com'è...”
“...L'abitudine, sì, lo so, ma di' la verità. L'avrai almeno provato, il nuovo Dr-prsnl?”
“Drpr-che?”
“Il Dr-prsnl! Il nuovo sistema press-button publishing per aggiornare i tuoi pensieri on line!”
“Aspetta. Mi sembra di averne già sentito parlare, effettivamente”.
“E' una specie di tumblr espanso. Puoi ordinare i post secondo le categorie, organizzare un archivio cronologico, pubblicare i commenti dei tuoi lettori... c'è tutto. È fighissimo. Provalo, da' retta”.
“Cioè, in pratica è un sistema per pubblicare on line i miei pensieri, è così?”
“E' così!”
“E se qualcuno per caso passa e li legge?”
“Perché no? E' questo il senso, la filosofia del nxt web”.
“Che sarebbe il tre punto zero”.
“Ma no, stpd. Il tre punto zero è roba dell'anno scorso. E poi era solo un modo di dire. Il nxt web è una cosa seria”.
“Scusa”.
“Certo che voialtri di blogger, non cambiate mai, eh? Quel tasto là, è sempre arancione?”
“Mi piace, l'arancione”.
“Sei un caso disperato”.
“Mi dispiace. Buon anno”.
Il blog ne compie dieci, questo anche meno. Per i bilanci è un po' presto... aspettiamo di averne 18. Buone feste a tutti.
lunedì 17 dicembre 2007
Scatenarsi
Per un www migliore
din-dong, c'è posta per te!
Seh, figurati.
Ti ha scritto Piripacchio!
Maddai, Piripacchio? Ma sono anni che non mi scrive! Piripacchio! Ma che piacere! Sarà sicuramente per qualche cosa di molto importante, tra professionisti come noi due...
Cancella le mie risposte e metti le tue. Mandala subito a tutti i tuoi amici e ANCHE ALLA PERSONA CHE TE LO HA MANDATO
No!
Lo scopo è di conoscere tante piccole cose sui tuoi amici, non ti dimenticare di chi te l'ha mandata
Ma... questa è davvero quello che penso io? Una catena! Nel Duemilaesette! Quasi Otto! Dagli anti ferraginosi del WWW, dove i troll girano nelle ruote che fanno andare i rugginosi server di Arpanet, una catena! Così vecchia che a momenti arriva l'Unesco e la dichiara monumento! Una catena! E me la manda Piripacchio, un tempo amico mio! Ho finito i punti esclamativi eppure ancora sbigottisco, una catena -
Che ora è?
E' l'ora che secondto te dovrei sprecare a rispondere a questa catena del c-
Nome?
-azzo
Compleanno?
Festeggio ogni giorno che non mi mandano catene.
Segno zodiacale?
E' una costellazione poco nota, che raffigura il semidio Ercole che spezza le catene in testa al Sagittario che gliene aveva inviata una molto divertente, secondo lui.
Tatuaggi?
Il mio segno zodiacale, ovviamente.
Doccia o bagno?
Non ho tempo per lavarmi, sai, tutte queste catene a cui rispondere.
Come ti vedi nel futuro?
Sempre qui, a rispondere a queste catene del c-
Cosa cambieresti nella tua vita?
La lista di contatti, togliendo anche il tuo, dal momento che mi hai spedito una catena.
Sei felice?
Lo ero prima di ricevere questa catena, grazie.
Timido o estroverso?
Timido. Timidissimo. Non mandatemi catene.
Proverbio preferito?
E' uno sconosciuto proverbio inuit che recita: chi spedisce catene marcirà nel luogo più profondo dell'inferno, soffrendo distintamente di ogni malalattia conosciuta e sconosciuta, e ascoltando con le cuffie l'opera omnia dei pooh.
Libro preferito?
Una volta leggevo libri. Poi ho cominciato a ricevere catene.
Di cosa hai paura?
Di aprire la posta e trovare una c-
La prima cosa a cui pensi quando ti svegli?
Bastacatene bastacatene bastacatene bastacatene bastacatene
Film preferito?
Matrix, quando nei contenuti speciali Neo sodomizza il server che continuava a spedirgli le catene.
Hai già amato al punto di piangere per qualcuno?
Lei era carina, simpatica, gentile. Mi mandò una catena. Dovetti farla a pezzi e mangiarla. Piansi per l'indigestione.
Hai mai fatto un incidente con la macchina?
Ho messo sotto una persona che mi aveva spedito una catena, non so se si possa definire "incidente".
Hai mai avuto una frattura?
Mi sono spezzato una falange mentre spiegavo la netiquette a un tale che mi mandava delle catene.
Pepsi o Coca-Cola?
Non c'è niente di meglio di un Coca-Mentos-Aspirina, amorevolmente offerta al tale che cinque anni prima ti ha mandato una catena.
Ti fidi dei tuoi amici?
Non ho più amici. Tendevano a spedirmi le catene.
Colore preferito per l'intimo?
Bianco. Fa più effetto quando lo faccio mangiare a chi mi manda una catena.
Misura di scarpe?
Calzo il 42, ma ho sempre un 50 a portata di mano per darlo in testa a chi mi manda una catena.
Numero preferito?
Zero, come le catene che vorrei ricevere da qui in poi.
Cosa odi?
Mah, adesso come adesso non mi viene... ce l'ho sulla punta della lingua, eppure...
Cosa c'è appeso al muro della tua camera?
L'ultimo che ha provato a spedirmi una catena
Cosa c'è sotto il tuo letto?
Il penultimo.
Un posto dove ti piacerebbe andare?
A casa tua, con una catena vera.
Pensi che qualcuno risponderà a questa e-mail?
Penso che non mi risponderà mai più nessuno, ahahaha
Profumo preferito?
Il sudore misto al sangue di chi mi aveva spedito una catena
Sport preferito?
Bocce. Con la testa di chi mi manda le catene. Mi mancava giusto il boccino, e ora, grazie a te...
Soprannomi?
Colui-che-è-gentile-simpatico-affabile-finché-non-gli-mandate-una-catena-dopodiché-si-salvi-chi-può
Mare o montagna?
Mare, perché in montagna servono le... bah, che stronzata.
Hai paura della morte?
Garantitemi che non le catene non arrivano anche là.
Cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa mail?
Magari hanno capito già.
din-dong, c'è posta per te!
Seh, figurati.
Ti ha scritto Piripacchio!
Maddai, Piripacchio? Ma sono anni che non mi scrive! Piripacchio! Ma che piacere! Sarà sicuramente per qualche cosa di molto importante, tra professionisti come noi due...
Cancella le mie risposte e metti le tue. Mandala subito a tutti i tuoi amici e ANCHE ALLA PERSONA CHE TE LO HA MANDATO
No!
Lo scopo è di conoscere tante piccole cose sui tuoi amici, non ti dimenticare di chi te l'ha mandata
Ma... questa è davvero quello che penso io? Una catena! Nel Duemilaesette! Quasi Otto! Dagli anti ferraginosi del WWW, dove i troll girano nelle ruote che fanno andare i rugginosi server di Arpanet, una catena! Così vecchia che a momenti arriva l'Unesco e la dichiara monumento! Una catena! E me la manda Piripacchio, un tempo amico mio! Ho finito i punti esclamativi eppure ancora sbigottisco, una catena -
Che ora è?
E' l'ora che secondto te dovrei sprecare a rispondere a questa catena del c-
Nome?
-azzo
Compleanno?
Festeggio ogni giorno che non mi mandano catene.
Segno zodiacale?
E' una costellazione poco nota, che raffigura il semidio Ercole che spezza le catene in testa al Sagittario che gliene aveva inviata una molto divertente, secondo lui.
Tatuaggi?
Il mio segno zodiacale, ovviamente.
Doccia o bagno?
Non ho tempo per lavarmi, sai, tutte queste catene a cui rispondere.
Come ti vedi nel futuro?
Sempre qui, a rispondere a queste catene del c-
Cosa cambieresti nella tua vita?
La lista di contatti, togliendo anche il tuo, dal momento che mi hai spedito una catena.
Sei felice?
Lo ero prima di ricevere questa catena, grazie.
Timido o estroverso?
Timido. Timidissimo. Non mandatemi catene.
Proverbio preferito?
E' uno sconosciuto proverbio inuit che recita: chi spedisce catene marcirà nel luogo più profondo dell'inferno, soffrendo distintamente di ogni malalattia conosciuta e sconosciuta, e ascoltando con le cuffie l'opera omnia dei pooh.
Libro preferito?
Una volta leggevo libri. Poi ho cominciato a ricevere catene.
Di cosa hai paura?
Di aprire la posta e trovare una c-
La prima cosa a cui pensi quando ti svegli?
Bastacatene bastacatene bastacatene bastacatene bastacatene
Film preferito?
Matrix, quando nei contenuti speciali Neo sodomizza il server che continuava a spedirgli le catene.
Hai già amato al punto di piangere per qualcuno?
Lei era carina, simpatica, gentile. Mi mandò una catena. Dovetti farla a pezzi e mangiarla. Piansi per l'indigestione.
Hai mai fatto un incidente con la macchina?
Ho messo sotto una persona che mi aveva spedito una catena, non so se si possa definire "incidente".
Hai mai avuto una frattura?
Mi sono spezzato una falange mentre spiegavo la netiquette a un tale che mi mandava delle catene.
Pepsi o Coca-Cola?
Non c'è niente di meglio di un Coca-Mentos-Aspirina, amorevolmente offerta al tale che cinque anni prima ti ha mandato una catena.
Ti fidi dei tuoi amici?
Non ho più amici. Tendevano a spedirmi le catene.
Colore preferito per l'intimo?
Bianco. Fa più effetto quando lo faccio mangiare a chi mi manda una catena.
Misura di scarpe?
Calzo il 42, ma ho sempre un 50 a portata di mano per darlo in testa a chi mi manda una catena.
Numero preferito?
Zero, come le catene che vorrei ricevere da qui in poi.
Cosa odi?
Mah, adesso come adesso non mi viene... ce l'ho sulla punta della lingua, eppure...
Cosa c'è appeso al muro della tua camera?
L'ultimo che ha provato a spedirmi una catena
Cosa c'è sotto il tuo letto?
Il penultimo.
Un posto dove ti piacerebbe andare?
A casa tua, con una catena vera.
Pensi che qualcuno risponderà a questa e-mail?
Penso che non mi risponderà mai più nessuno, ahahaha
Profumo preferito?
Il sudore misto al sangue di chi mi aveva spedito una catena
Sport preferito?
Bocce. Con la testa di chi mi manda le catene. Mi mancava giusto il boccino, e ora, grazie a te...
Soprannomi?
Colui-che-è-gentile-simpatico-affabile-finché-non-gli-mandate-una-catena-dopodiché-si-salvi-chi-può
Mare o montagna?
Mare, perché in montagna servono le... bah, che stronzata.
Hai paura della morte?
Garantitemi che non le catene non arrivano anche là.
Cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa mail?
Magari hanno capito già.
giovedì 13 dicembre 2007
falce e martello addio
"Ma quanto dolore per quel segno sul muro"
Così come Maometto, in vita sua, non vide né disegnò mai una mezzaluna su un drappo, allo stesso modo Karl Marx non ebbe mai la possibilità di dare un’occhiata al simbolo comunista per antonomasia, l’intreccio di falce e il martello.
Probabilmente l’avrebbe trovato fuori luogo. Una falce, un martello, nel pieno della Seconda Rivoluzione Industriale? Nell’era della fabbrica, dell’ingranaggio, all’alba elettrificata della Catena di Montaggio? Mi piace immaginarlo mentre straccia i bozzetti: non va, non va. Noi siamo comunisti, lottiamo per il possesso dei mezzi di produzione: che senza dubbio non sono più questi qui. Ci vuole qualcosa di più industriale, siamo nell’Ottocento, perdio.
Non è un caso che, dopo una lunga storia separata, la falce e il martello si siano ritrovati per la prima volta intrecciati nella Russia dei Soviet. Non è nemmeno un caso che l’altra patria d’adozione sia stata l’Italia: i due Paesi industrialmente sottosviluppati sui quali Marx non avrebbe mai puntato, e che in un primo tempo erano sembrati terreni più fertili per il verbo di Bakunin. Due frontiere industriali dove a Novecento già avviato era ancora possibile descrivere il lavoro con quei due attrezzi che in Germania, in Inghilterra, erano ormai appannaggio di hobbisti eccentrici: il martello da fabbro, la falce da contadino. E persino in Italia, a dire il vero, i braccianti socialisti con la falce e il martello sulla tessera stavano già lottando intorno alla trebbiatrice. Insomma, il simbolo nasce già vecchio. Ma funziona.
Trasformare gli attrezzi di lavoro in simboli, una bella idea. Si può celebrare il lavoro senza smettere di lavorare? Quella falce non sta falciando, quel martello non inchioda: sono incrociati come le braccia di uno scioperante. È un simbolo ambiguo, e soprattutto è minaccioso. Intrinsecamente minaccioso. La svastica, prima d’incontrare il nazismo, era un semplice simbolo grafico. Poteva rappresentare il ciclo delle stagioni, il sole, e centinaia d’altre cose. Ma la falce e il martello non avevano nemmeno bisogno di essere adottate da Stalin per ispirare una certa soggezione. Una falce alzata fa paura, specie a chi non ne ha mai usata una, e col martello ci siamo tutti schiacciati almeno un dito nella vita. È un simbolo che sa di sangue e sudore, e può piacere anche per questo. Può essere il sangue e il sudore che abbiamo sopportato; oppure il sangue e il sudore che non vogliamo più sopportare; oppure il sangue e il sudore che vi faremo versare, maledetti capitalisti. In ogni caso, è difficile immaginare un simbolo più violento: mi vengono in mente solo la bandiera dei pirati, i cartelli dell’alta tensione e il Kalashnikov sulla bandiera del Mozambico. Ai capitalisti degli anni Venti doveva veramente gelarsi il sangue nelle vene.
Col tempo poi si sa cosa succede: a furia di vedere un simbolo, non ti ricordi più il significato. Inoltre, tutta questa voglia di menar martelli e falci dopo un po’ doveva stemperarsi per forza. Il razionalismo cubo-futurista diede una grossa mano, stilizzando i due arnesi in una cifra astratta, dorata sullo sfondo rosso della bandiera dell’URSS. In Italia Nenni provò a sdrammatizzare appoggiando un libro sullo sfondo. Guttuso invece geometrizzò persino il manico del falcetto, da lì in poi inimpugnabile, e coronato da una stella che lo rendeva curiosamente simile alla mezzaluna islamica. Siccome il pittore era siciliano, la tentazione di ricamare sulla citazione inconscia è irresistibile… ma attenzione, la mezzaluna non era un simbolo islamico ai tempi della dominazione araba della Sicilia: in quel periodo era ancora l’emblema di Bisanzio, adottato forse in onore della dea Artemide. Va a finire che con la scusa di difendere il simbolo del lavoro, stiamo difendendo l’ultima resistenza della dea multipopputa nel nostro inconscio collettivo. Vabbè, scherzo.
Adesso invece sono serio. L’altra mattina il ministro Ferrero, a Omnibus, spiegava che negli ultimi vent’anni i delitti sono dimezzati, mentre gli infortuni sul lavoro si sono mantenuti costanti. A questo punto l’on. Cicchitto lo ha interrotto, accusandolo di fare demagogia.
Demagogia? Ferrero stava semplicemente citando delle cifre. Cicchitto non ha sostenuto che fossero false. Per lui era demagogia semplicemente parlare di cifre. Semplicemente parlare di infortuni del lavoro. È demagogia ricordare che esistono, e che fanno più morti degli immigrati rumeni. È demagogia parlare del lavoro, semplicemente. Gli italiani non sono più un soggetto politico in quanto lavoratori, ma solo in quanto consumatori. Se lavorano, peggio per loro: lo facciano discretamente, senza lamentarsi, e ricordandosi di passare dal centro commerciale prima di rintanarsi nei piccoli bunker domestici. Pensate a come ci ha diviso la vertenza di questi giorni: da una parte un’orda di lavoratori brutti sporchi e cattivi, che blocca l’Italia ai caselli dell’autostrada; dall’altra i poveri consumatori bloccati a casa senza rifornimenti di viveri e benzina. Se siamo arrivati a questo punto, abbiamo clamorosamente perso non soltanto il bandolo del traffico nazionale, ma anche la nostra coscienza di classe.
Il motivo per cui io mi considero malgrado tutto una persona di sinistra, non ha a che fare con la bontà, o con la cultura, o con altre categorie pseudo-veltroniane (che persino il vero Veltroni non merita). Il motivo è semplicemente che io mi ostino a considerarmi per prima cosa un lavoratore, e vorrei continuare a essere un soggetto politico in quanto tale. Per me il discrimine passa di qui: tra i partiti che ti considerano prima di tutto un consumatore da imbonire e quelli che vedono ancora in te un lavoratore da difendere, io scelgo i secondi, e non saprei fare diversamente. In tutte le questioni sulle quali ci accapigliamo, compresa quella in fin dei conti trascurabile di Luttazzi, mi sembra di cogliere in controluce lo stesso problema: c’è chi sta dicendo “non potete licenziare un lavoratore di punto in bianco” e chi dice “ha sbagliato a offendere gli amici del padrone e il padrone può fare ciò che vuole”. Io sto e starò sempre coi primi, perché sono cresciuto con loro e mi trovo bene.
Mentre per molti l’articolo uno della Costituzione è ormai un mantra privo di significato, io credo di aver capito cosa vuol dire fondare una Repubblica sul lavoro, e so che è una frase molto meno rassicurante di quello che appare: significa, come minimo, che chi non lavora non dovrebbe avere voce in capitolo. Se ci pensate, non suona per nulla buono o buonista; piuttosto un po’ rivoluzionario. Più oggi che nel 1946.
Quando pronuncio quell’articolo sento di nuovo, vago ma inconfondibile, quel retrogusto di sangue e sudore, e mi ricordo che per poco il martello non è finito nell’emblema repubblicano: era in uno degli ultimissimi bozzetti. Sarebbe stato un emblema surrealista e vagamente vichingo, il martello alato: ma anche con lo stellone non ci possiamo lamentare. C’è sempre l’ulivo a fianco, che è un impegno di pace, e sotto c’è la ruota dentata, un altro simbolo del lavoro che forse sarebbe più piaciuto a Marx, e regge ancora questi tempi di meccanica di precisione.
Quello che invece non condivido coi miei compagni comunisti e verdi ed ex diessini, con o senza falce e martello, è una speranza solida di migliorare la mia e la loro condizione. È un mio grosso difetto, la disperazione, che mi rende in definitiva la persona mediocre che sono. Per quanto mi sforzi di immaginare, continuo a vedere il mercato del lavoro italiano come una piccola ampollina, che poteva carburare discretamente finché non è stata messa in comunicazione con l’enorme cisterna del lavoro asiatico. È per questo che non riesco a stupirmi se in un’ex fabbrica modello di Torino vedo comparire turni massacranti e scomparire gli estintori: è atroce e allo stesso tempo è normale, ci stiamo cinesizzando e nei tempi lunghi non ci possiamo fare niente. Il giorno in cui l’equilibrio dei vasi comunicanti sarà ripristinato, il livello della qualità delle nostre vite sarà comunque sceso di parecchio. E non tutti potranno contare sulle solite scappatoie: la cultura, l’informatica, l’industria del lusso, il turismo. Forse dobbiamo rassegnarci a vivere in un Paese un po’ più povero, in cui il pane costerà di più, la benzina costerà molto di più, e non tutti i figli degli operai potranno fare gli ingegneri. Allora dovremo raccontare ai nostri figli una favola ben diversa da quella che i nostri padri hanno raccontato a noi. E non saranno molto contenti – i nostri figli, intendo. Del resto lo si vede già, da certe facce in giro.
Se poi ho una speranza al mondo, è proprio quella di sbagliarmi. Il simbolo che preferirei lasciare alle nuove generazioni, malgrado tutto, resta sempre quel famoso Sole dell’Avvenire. Ma la vedo dura, che ci posso fare.
Così come Maometto, in vita sua, non vide né disegnò mai una mezzaluna su un drappo, allo stesso modo Karl Marx non ebbe mai la possibilità di dare un’occhiata al simbolo comunista per antonomasia, l’intreccio di falce e il martello.
Probabilmente l’avrebbe trovato fuori luogo. Una falce, un martello, nel pieno della Seconda Rivoluzione Industriale? Nell’era della fabbrica, dell’ingranaggio, all’alba elettrificata della Catena di Montaggio? Mi piace immaginarlo mentre straccia i bozzetti: non va, non va. Noi siamo comunisti, lottiamo per il possesso dei mezzi di produzione: che senza dubbio non sono più questi qui. Ci vuole qualcosa di più industriale, siamo nell’Ottocento, perdio.
Non è un caso che, dopo una lunga storia separata, la falce e il martello si siano ritrovati per la prima volta intrecciati nella Russia dei Soviet. Non è nemmeno un caso che l’altra patria d’adozione sia stata l’Italia: i due Paesi industrialmente sottosviluppati sui quali Marx non avrebbe mai puntato, e che in un primo tempo erano sembrati terreni più fertili per il verbo di Bakunin. Due frontiere industriali dove a Novecento già avviato era ancora possibile descrivere il lavoro con quei due attrezzi che in Germania, in Inghilterra, erano ormai appannaggio di hobbisti eccentrici: il martello da fabbro, la falce da contadino. E persino in Italia, a dire il vero, i braccianti socialisti con la falce e il martello sulla tessera stavano già lottando intorno alla trebbiatrice. Insomma, il simbolo nasce già vecchio. Ma funziona.
Trasformare gli attrezzi di lavoro in simboli, una bella idea. Si può celebrare il lavoro senza smettere di lavorare? Quella falce non sta falciando, quel martello non inchioda: sono incrociati come le braccia di uno scioperante. È un simbolo ambiguo, e soprattutto è minaccioso. Intrinsecamente minaccioso. La svastica, prima d’incontrare il nazismo, era un semplice simbolo grafico. Poteva rappresentare il ciclo delle stagioni, il sole, e centinaia d’altre cose. Ma la falce e il martello non avevano nemmeno bisogno di essere adottate da Stalin per ispirare una certa soggezione. Una falce alzata fa paura, specie a chi non ne ha mai usata una, e col martello ci siamo tutti schiacciati almeno un dito nella vita. È un simbolo che sa di sangue e sudore, e può piacere anche per questo. Può essere il sangue e il sudore che abbiamo sopportato; oppure il sangue e il sudore che non vogliamo più sopportare; oppure il sangue e il sudore che vi faremo versare, maledetti capitalisti. In ogni caso, è difficile immaginare un simbolo più violento: mi vengono in mente solo la bandiera dei pirati, i cartelli dell’alta tensione e il Kalashnikov sulla bandiera del Mozambico. Ai capitalisti degli anni Venti doveva veramente gelarsi il sangue nelle vene.
Col tempo poi si sa cosa succede: a furia di vedere un simbolo, non ti ricordi più il significato. Inoltre, tutta questa voglia di menar martelli e falci dopo un po’ doveva stemperarsi per forza. Il razionalismo cubo-futurista diede una grossa mano, stilizzando i due arnesi in una cifra astratta, dorata sullo sfondo rosso della bandiera dell’URSS. In Italia Nenni provò a sdrammatizzare appoggiando un libro sullo sfondo. Guttuso invece geometrizzò persino il manico del falcetto, da lì in poi inimpugnabile, e coronato da una stella che lo rendeva curiosamente simile alla mezzaluna islamica. Siccome il pittore era siciliano, la tentazione di ricamare sulla citazione inconscia è irresistibile… ma attenzione, la mezzaluna non era un simbolo islamico ai tempi della dominazione araba della Sicilia: in quel periodo era ancora l’emblema di Bisanzio, adottato forse in onore della dea Artemide. Va a finire che con la scusa di difendere il simbolo del lavoro, stiamo difendendo l’ultima resistenza della dea multipopputa nel nostro inconscio collettivo. Vabbè, scherzo.
Adesso invece sono serio. L’altra mattina il ministro Ferrero, a Omnibus, spiegava che negli ultimi vent’anni i delitti sono dimezzati, mentre gli infortuni sul lavoro si sono mantenuti costanti. A questo punto l’on. Cicchitto lo ha interrotto, accusandolo di fare demagogia.
Demagogia? Ferrero stava semplicemente citando delle cifre. Cicchitto non ha sostenuto che fossero false. Per lui era demagogia semplicemente parlare di cifre. Semplicemente parlare di infortuni del lavoro. È demagogia ricordare che esistono, e che fanno più morti degli immigrati rumeni. È demagogia parlare del lavoro, semplicemente. Gli italiani non sono più un soggetto politico in quanto lavoratori, ma solo in quanto consumatori. Se lavorano, peggio per loro: lo facciano discretamente, senza lamentarsi, e ricordandosi di passare dal centro commerciale prima di rintanarsi nei piccoli bunker domestici. Pensate a come ci ha diviso la vertenza di questi giorni: da una parte un’orda di lavoratori brutti sporchi e cattivi, che blocca l’Italia ai caselli dell’autostrada; dall’altra i poveri consumatori bloccati a casa senza rifornimenti di viveri e benzina. Se siamo arrivati a questo punto, abbiamo clamorosamente perso non soltanto il bandolo del traffico nazionale, ma anche la nostra coscienza di classe.
Il motivo per cui io mi considero malgrado tutto una persona di sinistra, non ha a che fare con la bontà, o con la cultura, o con altre categorie pseudo-veltroniane (che persino il vero Veltroni non merita). Il motivo è semplicemente che io mi ostino a considerarmi per prima cosa un lavoratore, e vorrei continuare a essere un soggetto politico in quanto tale. Per me il discrimine passa di qui: tra i partiti che ti considerano prima di tutto un consumatore da imbonire e quelli che vedono ancora in te un lavoratore da difendere, io scelgo i secondi, e non saprei fare diversamente. In tutte le questioni sulle quali ci accapigliamo, compresa quella in fin dei conti trascurabile di Luttazzi, mi sembra di cogliere in controluce lo stesso problema: c’è chi sta dicendo “non potete licenziare un lavoratore di punto in bianco” e chi dice “ha sbagliato a offendere gli amici del padrone e il padrone può fare ciò che vuole”. Io sto e starò sempre coi primi, perché sono cresciuto con loro e mi trovo bene.
Mentre per molti l’articolo uno della Costituzione è ormai un mantra privo di significato, io credo di aver capito cosa vuol dire fondare una Repubblica sul lavoro, e so che è una frase molto meno rassicurante di quello che appare: significa, come minimo, che chi non lavora non dovrebbe avere voce in capitolo. Se ci pensate, non suona per nulla buono o buonista; piuttosto un po’ rivoluzionario. Più oggi che nel 1946.
Quando pronuncio quell’articolo sento di nuovo, vago ma inconfondibile, quel retrogusto di sangue e sudore, e mi ricordo che per poco il martello non è finito nell’emblema repubblicano: era in uno degli ultimissimi bozzetti. Sarebbe stato un emblema surrealista e vagamente vichingo, il martello alato: ma anche con lo stellone non ci possiamo lamentare. C’è sempre l’ulivo a fianco, che è un impegno di pace, e sotto c’è la ruota dentata, un altro simbolo del lavoro che forse sarebbe più piaciuto a Marx, e regge ancora questi tempi di meccanica di precisione.
Quello che invece non condivido coi miei compagni comunisti e verdi ed ex diessini, con o senza falce e martello, è una speranza solida di migliorare la mia e la loro condizione. È un mio grosso difetto, la disperazione, che mi rende in definitiva la persona mediocre che sono. Per quanto mi sforzi di immaginare, continuo a vedere il mercato del lavoro italiano come una piccola ampollina, che poteva carburare discretamente finché non è stata messa in comunicazione con l’enorme cisterna del lavoro asiatico. È per questo che non riesco a stupirmi se in un’ex fabbrica modello di Torino vedo comparire turni massacranti e scomparire gli estintori: è atroce e allo stesso tempo è normale, ci stiamo cinesizzando e nei tempi lunghi non ci possiamo fare niente. Il giorno in cui l’equilibrio dei vasi comunicanti sarà ripristinato, il livello della qualità delle nostre vite sarà comunque sceso di parecchio. E non tutti potranno contare sulle solite scappatoie: la cultura, l’informatica, l’industria del lusso, il turismo. Forse dobbiamo rassegnarci a vivere in un Paese un po’ più povero, in cui il pane costerà di più, la benzina costerà molto di più, e non tutti i figli degli operai potranno fare gli ingegneri. Allora dovremo raccontare ai nostri figli una favola ben diversa da quella che i nostri padri hanno raccontato a noi. E non saranno molto contenti – i nostri figli, intendo. Del resto lo si vede già, da certe facce in giro.
Se poi ho una speranza al mondo, è proprio quella di sbagliarmi. Il simbolo che preferirei lasciare alle nuove generazioni, malgrado tutto, resta sempre quel famoso Sole dell’Avvenire. Ma la vedo dura, che ci posso fare.
lunedì 10 dicembre 2007
scoprire che Luttazzi è volgare
Se ha da esser merda, ridateci Luttazzi!
Rincasando presto, sabato sera speravo di vedermi un po’ di Luttazzi. Non che mi piaccia sempre, questo Decameron, eh. Però è pur sempre Luttazzi.
Invece c’era una replica di una replica di Sex in the city, con le solite tre eleganti sciamannate che maneggiavano falli di gomma in un bar californiano. Del resto alle undici e mezzo di sera i bambini non dovrebbero stare davanti alla tv, per cui una scenetta con falli di gomma in un luogo pubblico non fa una grinza. Non faceva neanche molto ridere, ma se per questo a volte nemmeno Decameron.
Il giorno dopo ho visto altra tv: quel tipo di tv domenicale che si guarda di sguincio mentre si visitano i parenti. Tutta roba che i bambini – per fortuna – evitano come la peste, ed è per questo che Dio o un suo profeta ha creato la playstation, i Gameboy, le carte di Dragonball, o qualsiasi altro passatempo che ti impedisca di stare davanti al televisore mentre la Ventura urla che se il Torino va in Uefa si farà un altro tatuaggetto… e poi fa vedere il suo sexy car wash. Il sexy car wash di Simona Ventura, su un canale di servizio pubblico, più o meno alle 4 del pomeriggio, non è molto divertente (ma se per questo neanche a volte neanche Luttazzi). Non è neanche molto sexy (non più di un paio di falli di gomma branditi in un bar).
Potrei andare avanti a lungo con una serie di cose diseducative e volgari che mi capita di vedere al pomeriggio, o nel prime time. È un discorso che di solito evito, perché poi mi date del bacchettone, e non è vero. È solo che lavoro coi ragazzini, per cui se gli tarpate la pre-adolescenza con il sexy-car-wash di Simona Ventura, poi le loro turbe interiori me le sgrugno io.
Verso sera ho scoperto che Luttazzi era stato licenziato da La7. Mi è dispiaciuto. Ma non ditemi che lo hanno licenziato perché era volgare. La tv italiana è volgare, ormai, per costituzione. Se Simona Ventura alle 4 della sera può fare un sexy car wash, cosa vi aspettate da un Luttazzi confinato alle 11.30, con un contratto che prevedeva totale libertà artistica?
C'è chi dice che alla 7 possano fare quello che gli pare, perché è un canale privato e i privati son padroni a casa loro. Probabilmente si sentono anche spiriti liberali, mentre lo dicono. Per la verità, quando metti sotto contratto un artista, sei vincolato dallo stesso contratto che vincola lui. Non mi stupirei se alla fine della fiera Luttazzi dovesse intascare una congrua penale. Buon per lui - anche se io preferirei vederlo in tv.
A me Luttazzi piace, tranne quando si mette a fare l’artista contemporaneo. Lo sapete più o meno cosa intendo per artista contemporaneo, vero? Un bambino viziato che cerca attenzione gridando ai quattro venti cacca piscia sperma. Ecco, quando fa così non mi sembra di stare più sul divano di casa mia, ma al Guggenheim di Bilbao mentre guardo una videoinstallazione, e mi annoio. Detto questo, mica pretendo che chiudano il Guggenheim di Bilbao. C’è gente che viene a vedere le videoinstallazioni da tutto il mondo, e beati loro. Allo stesso modo c’è gente che quando Luttazzi dice cacca e piscia si diverte. Che problema c’è? Ripeto, alle 11 e mezza i bambini dovrebbero stare a letto. Onestamente non capisco perché tre sexy-sciamannate possano brandire falli di gomma in una sit-com sofisticata, e Luttazzi non possa dire cacca e piscia in un programma di satira un po' artistica. In Italia ci sono sette canali in chiaro, dovrebbe esserci spazio per tutti.
Un teoria molto avallata ieri è che Luttazzi non abbia detto semplicemente 'cacca piscia', ma ‘cacca piscia Giuliano Ferrara’. La cosa ha spinto per esempio Luca Sofri a scrivere una difesa un po’ contorta del direttore di rete che lo ha licenziato. Lui trova “eticamente apprezzabile e nobile difendere qualcuno della propria "famiglia" nel momento in cui viene attaccato, per di più da un altro della famiglia con l'atteggiamento del bambino che umilia il nonno”.
La metafora familista è indicativa – e un po’ fastidiosa. Ferrara non è un nonno, Luttazzi non è un bambino. Sono due professionisti, e solo uno dei due è intoccabile, qualsiasi cosa faccia o dica.
“Luttazzi fa leva sull’aggressività”, continua Sofri. Embè? Da quando in qua nella tv italiana è vietato far leva sull’aggressività? Nessuno ne parla mai, ma Criminal Minds, il telefilm che in questo momento ha due prime serate su Rai2, è violentissimo. Arti staccati, giocattoli realizzati in costolette umane: con la scusa di dare la caccia ai serial killer immaginari, gli autori della serie danno fondo a un immaginario da serial killer. Se ora io facessi una raccolta di firme sostenendo che Criminal Minds in prima serata è diseducativo, probabilmente Sofri mi riderebbe dietro, come a un vecchio arnese del Moige. Un telefilm americano in prima serata non fa leva sull’aggressività, ma dai. Sono cose che si dicevano negli anni Ottanta. Solo Daniele Luttazzi, in terza serata, fa leva sull’aggressività. Solo lui – ah, e forse Sabina Guzzanti quando girava con la sciabola.
Insomma, in un mondo in cui la volgarità e l'aggressività sono la moneta comune, sembra che solo a Luttazzi non sia concesso di essere aggressivo, o volgare. Sarebbe, dice Sofri, come se Giannelli disegnasse domani in prima pagina sul Corriere una vignetta in cui il vicedirettore del Corriere sodomizza una delle commentatrici del Corriere, e lei dice "dai, che divento caposervizio!".
Che dire? La prima pagina del Corriere è esposta in tutti i chioschi d'Italia, mentre Luttazzi faceva un programma alle undici e mezza: non mi sembra la stessa cosa. Ma questo non è nemmeno così importante. Probabilmente Sofri si è lasciato sfuggire quella prima pagina di Libero in cui, all’indomani delle dimissioni di Prodi, un Berlusconi-tappo-di-sughero si dirigeva verso le chiappe-mortadella di Prodi, con un chiaro intento sodomita: il tutto in bella vista in tutte le edicole della Repubblica. Però si sa, Feltri è Feltri. E meno male. Perché se invece fosse Luttazzi, sarebbe insopportabilmente volgare. Istigherebbe alla violenza contro Prodi, Berlusconi e probabilmente anche contro i sodomiti.
All’indomani si è tutto schiarito: la battuta anti-Ferrara era solo un pretesto, il vero problema è che la puntata in onda sabato sera avrebbe parlato di Ratzinger. Evidentemente anche Ratzinger fa parte di quella “famiglia” un po’ allargata di cui parlava Sofri. Poco male, non resta che trovare qualcuno ancora non imparentato con la grande famiglia di La7. Giuliano Ferrara no, Ratzinger no, chi resta? Ne restano pochi, a dire il vero. Pochi ma buoni, per esempio... Maometto! Ecco, non ci resta che disegnare vignette con la barba del profeta e ridere a crepapelle.
Ahah, la bomba nel turbante, che ironia. E mentre rido, mi gusto anche tutta la libertà di questo Occidente senza censure. Sperando che nessun nipote del cugino dei dirigenti di La7 non sia… aspetta, c’è Afef.
Neanche Maometto, insomma.
Oh, beh.
Ci terremo i falli in gomma.
Rincasando presto, sabato sera speravo di vedermi un po’ di Luttazzi. Non che mi piaccia sempre, questo Decameron, eh. Però è pur sempre Luttazzi.
Invece c’era una replica di una replica di Sex in the city, con le solite tre eleganti sciamannate che maneggiavano falli di gomma in un bar californiano. Del resto alle undici e mezzo di sera i bambini non dovrebbero stare davanti alla tv, per cui una scenetta con falli di gomma in un luogo pubblico non fa una grinza. Non faceva neanche molto ridere, ma se per questo a volte nemmeno Decameron.
Il giorno dopo ho visto altra tv: quel tipo di tv domenicale che si guarda di sguincio mentre si visitano i parenti. Tutta roba che i bambini – per fortuna – evitano come la peste, ed è per questo che Dio o un suo profeta ha creato la playstation, i Gameboy, le carte di Dragonball, o qualsiasi altro passatempo che ti impedisca di stare davanti al televisore mentre la Ventura urla che se il Torino va in Uefa si farà un altro tatuaggetto… e poi fa vedere il suo sexy car wash. Il sexy car wash di Simona Ventura, su un canale di servizio pubblico, più o meno alle 4 del pomeriggio, non è molto divertente (ma se per questo neanche a volte neanche Luttazzi). Non è neanche molto sexy (non più di un paio di falli di gomma branditi in un bar).
Potrei andare avanti a lungo con una serie di cose diseducative e volgari che mi capita di vedere al pomeriggio, o nel prime time. È un discorso che di solito evito, perché poi mi date del bacchettone, e non è vero. È solo che lavoro coi ragazzini, per cui se gli tarpate la pre-adolescenza con il sexy-car-wash di Simona Ventura, poi le loro turbe interiori me le sgrugno io.
Verso sera ho scoperto che Luttazzi era stato licenziato da La7. Mi è dispiaciuto. Ma non ditemi che lo hanno licenziato perché era volgare. La tv italiana è volgare, ormai, per costituzione. Se Simona Ventura alle 4 della sera può fare un sexy car wash, cosa vi aspettate da un Luttazzi confinato alle 11.30, con un contratto che prevedeva totale libertà artistica?
C'è chi dice che alla 7 possano fare quello che gli pare, perché è un canale privato e i privati son padroni a casa loro. Probabilmente si sentono anche spiriti liberali, mentre lo dicono. Per la verità, quando metti sotto contratto un artista, sei vincolato dallo stesso contratto che vincola lui. Non mi stupirei se alla fine della fiera Luttazzi dovesse intascare una congrua penale. Buon per lui - anche se io preferirei vederlo in tv.
A me Luttazzi piace, tranne quando si mette a fare l’artista contemporaneo. Lo sapete più o meno cosa intendo per artista contemporaneo, vero? Un bambino viziato che cerca attenzione gridando ai quattro venti cacca piscia sperma. Ecco, quando fa così non mi sembra di stare più sul divano di casa mia, ma al Guggenheim di Bilbao mentre guardo una videoinstallazione, e mi annoio. Detto questo, mica pretendo che chiudano il Guggenheim di Bilbao. C’è gente che viene a vedere le videoinstallazioni da tutto il mondo, e beati loro. Allo stesso modo c’è gente che quando Luttazzi dice cacca e piscia si diverte. Che problema c’è? Ripeto, alle 11 e mezza i bambini dovrebbero stare a letto. Onestamente non capisco perché tre sexy-sciamannate possano brandire falli di gomma in una sit-com sofisticata, e Luttazzi non possa dire cacca e piscia in un programma di satira un po' artistica. In Italia ci sono sette canali in chiaro, dovrebbe esserci spazio per tutti.
Un teoria molto avallata ieri è che Luttazzi non abbia detto semplicemente 'cacca piscia', ma ‘cacca piscia Giuliano Ferrara’. La cosa ha spinto per esempio Luca Sofri a scrivere una difesa un po’ contorta del direttore di rete che lo ha licenziato. Lui trova “eticamente apprezzabile e nobile difendere qualcuno della propria "famiglia" nel momento in cui viene attaccato, per di più da un altro della famiglia con l'atteggiamento del bambino che umilia il nonno”.
La metafora familista è indicativa – e un po’ fastidiosa. Ferrara non è un nonno, Luttazzi non è un bambino. Sono due professionisti, e solo uno dei due è intoccabile, qualsiasi cosa faccia o dica.
La sua decisione di arrivare in una casa nuova (dove hanno scelto di invitarti quando non ti invitava nessun altro) e sputare in faccia a uno degli ospiti è provocatoria e aggressiva nei confronti dei padroni di casa prima che degli ospiti.Ancora: La7 non è una casa ospitale, ma un canale tv con le sue regole. Ferrara non è un ospite (né tantomeno un nonno saggio), ma un contrattista: e anche Luttazzi. Quest’ultimo è provocatorio e aggressivo per mestiere, e se non ti piacciono le provocazioni e le aggressività, si può sempre cambiare canale, no? qual è il problema?
“Luttazzi fa leva sull’aggressività”, continua Sofri. Embè? Da quando in qua nella tv italiana è vietato far leva sull’aggressività? Nessuno ne parla mai, ma Criminal Minds, il telefilm che in questo momento ha due prime serate su Rai2, è violentissimo. Arti staccati, giocattoli realizzati in costolette umane: con la scusa di dare la caccia ai serial killer immaginari, gli autori della serie danno fondo a un immaginario da serial killer. Se ora io facessi una raccolta di firme sostenendo che Criminal Minds in prima serata è diseducativo, probabilmente Sofri mi riderebbe dietro, come a un vecchio arnese del Moige. Un telefilm americano in prima serata non fa leva sull’aggressività, ma dai. Sono cose che si dicevano negli anni Ottanta. Solo Daniele Luttazzi, in terza serata, fa leva sull’aggressività. Solo lui – ah, e forse Sabina Guzzanti quando girava con la sciabola.
Insomma, in un mondo in cui la volgarità e l'aggressività sono la moneta comune, sembra che solo a Luttazzi non sia concesso di essere aggressivo, o volgare. Sarebbe, dice Sofri, come se Giannelli disegnasse domani in prima pagina sul Corriere una vignetta in cui il vicedirettore del Corriere sodomizza una delle commentatrici del Corriere, e lei dice "dai, che divento caposervizio!".
Che dire? La prima pagina del Corriere è esposta in tutti i chioschi d'Italia, mentre Luttazzi faceva un programma alle undici e mezza: non mi sembra la stessa cosa. Ma questo non è nemmeno così importante. Probabilmente Sofri si è lasciato sfuggire quella prima pagina di Libero in cui, all’indomani delle dimissioni di Prodi, un Berlusconi-tappo-di-sughero si dirigeva verso le chiappe-mortadella di Prodi, con un chiaro intento sodomita: il tutto in bella vista in tutte le edicole della Repubblica. Però si sa, Feltri è Feltri. E meno male. Perché se invece fosse Luttazzi, sarebbe insopportabilmente volgare. Istigherebbe alla violenza contro Prodi, Berlusconi e probabilmente anche contro i sodomiti.
All’indomani si è tutto schiarito: la battuta anti-Ferrara era solo un pretesto, il vero problema è che la puntata in onda sabato sera avrebbe parlato di Ratzinger. Evidentemente anche Ratzinger fa parte di quella “famiglia” un po’ allargata di cui parlava Sofri. Poco male, non resta che trovare qualcuno ancora non imparentato con la grande famiglia di La7. Giuliano Ferrara no, Ratzinger no, chi resta? Ne restano pochi, a dire il vero. Pochi ma buoni, per esempio... Maometto! Ecco, non ci resta che disegnare vignette con la barba del profeta e ridere a crepapelle.
Ahah, la bomba nel turbante, che ironia. E mentre rido, mi gusto anche tutta la libertà di questo Occidente senza censure. Sperando che nessun nipote del cugino dei dirigenti di La7 non sia… aspetta, c’è Afef.
Neanche Maometto, insomma.
Oh, beh.
Ci terremo i falli in gomma.
giovedì 6 dicembre 2007
the midnight picnic once upon a time
Da dove venivamo, dove andavamo
Succede che mentre dicembre precipita, la mia vecchia casella di posta si riempie di re:re:re: di fantasmi del passato che senza alcun ragionevole pretesto si mettono ad evocare un vecchio raduno internettiano, il BlogRodeo di Rozzano, maggio 2004. La spiega meglio Livefast:
E se Chieravamo non è riuscito a essere questo, non è senz'altro colpa di Effe, quanto dell'alcol, che brucia ricordi che è un piacere. Sul serio, vien la vertigine a tastare quanto sono grandi i buchi tre anni dopo. Ma intanto Effe è riuscito non dico a resuscitare, ma a riportare on line alcune voci che almeno a me mancano parecchio: La Pizia, Marquant, eccetera. Ragazzi, come state? perché non vi fate vivi più? ma si stava così male qua dentro? In altre parole: è davvero così interessante là fuori?
(Dall'archivio, i due pezzi scritti all'epoca del blogRodeo: Sono schizzato e non mi piaccio così, e King David Objectively. E' strano, mi sembra di essere più bravo adesso).
Succede che mentre dicembre precipita, la mia vecchia casella di posta si riempie di re:re:re: di fantasmi del passato che senza alcun ragionevole pretesto si mettono ad evocare un vecchio raduno internettiano, il BlogRodeo di Rozzano, maggio 2004. La spiega meglio Livefast:
A chi non c'era un'iniziativa come Chieravamo potrebbe apparire inutile come la nostalgia altrui, ma riflettete. Quella sera tra rodeo, bar, e ampio parcheggio, c'erano in zona almeno quaranta scrittori (laddove per scrittori intendasi "gente che sa scrivere quel che vede e vive in modo interessante"). Se tutti e quaranta riuscissero a produrre un ricordo coerente, parlando anche semplicemente dei fatti loro, avremmo un meraviglioso romanzo collettivo su quaranta persone, con una scena centrale in cui la stessa serata viene vista da quaranta punti di vista diversi. Come i telefilm complicati di adesso, per intenderci.Succede questo: Effe fa un post, io scrivo un commento, Effe scrive una mail a tutti quelli che si ricorda che c’erano, tutti raccontano il proprio ricordo (tranne me, che resto fermo al fetentissimo commento originale), ne nasce un instant-blog ed è solo l’inizio: la Mondadori vuole farci un libro, la Paramount un film, il Pentagono un bombardamento all’Iran e la Russia una pasticca al polonio. La gente dovrebbe stare più attenta a quello che scrive.
E se Chieravamo non è riuscito a essere questo, non è senz'altro colpa di Effe, quanto dell'alcol, che brucia ricordi che è un piacere. Sul serio, vien la vertigine a tastare quanto sono grandi i buchi tre anni dopo. Ma intanto Effe è riuscito non dico a resuscitare, ma a riportare on line alcune voci che almeno a me mancano parecchio: La Pizia, Marquant, eccetera. Ragazzi, come state? perché non vi fate vivi più? ma si stava così male qua dentro? In altre parole: è davvero così interessante là fuori?
(Dall'archivio, i due pezzi scritti all'epoca del blogRodeo: Sono schizzato e non mi piaccio così, e King David Objectively. E' strano, mi sembra di essere più bravo adesso).
- Io al Blogrodeo ci arrivai molto stanco.
Se mi ricordo bene: in quel periodo stavo lavorando in due scuole a 40 km. di distanza, e proprio in quel maggio traslocavo in una casa a 40 km. da entrambe. Al pomeriggio traducevo un lunghissimo libro sul calcio. Di notte scrivevo sul blog. Scrivevo molto, dormivo poco, bevevo parecchio succo di pompelmo, ero spossato. Ero sotto antistaminici. Come ogni maggio odoroso, tiravo su col naso quando non smoccolavo sangue, suggerendo un’impressione di cocainomane che non meritavo. La stanchezza e gli antistaminici mi ispiravano cose molto stupide: per esempio, ricordo che quando Livefast venne a prendermi, gli chiesi di passare un attimo dal Provveditorato, perché avevo probabilmente dimenticato la mia borsa là dentro, al venerdì pomeriggio. Vi immaginate, la borsa con dentro i compiti da correggere, il nuovo contratto d’affitto, e poi chissà cos’altro, blindate al provveditorato per tutto il fine settimana... la storia era in realtà molto complessa e probabilmente divertente da raccontare su uno di quei diari on line che vanno adesso, ma ho dimenticato quasi tutto. Dalla stanchezza. Ma quanto ero stanco esattamente? C’è una definizione abbastanza precisa: ero così stanco che mi sono addormentato con Livefast al volante, da Modena a Milano. Erano i tempi pre-patente a punti, quando ancora non si era convertito alla corsia di mezzo; credo che ci mise una mezz´ora da casello a casello, durante la quale dormii profondamente, svegliandomi solo di soprassalto ogni volta che un’improvvisa decelerazione ci riportava per qualche attimo al di qua della barriera del suono.
Se mi ricordo bene: in quel periodo stavo lavorando in due scuole a 40 km. di distanza, e proprio in quel maggio traslocavo in una casa a 40 km. da entrambe. Al pomeriggio traducevo un lunghissimo libro sul calcio. Di notte scrivevo sul blog. Scrivevo molto, dormivo poco, bevevo parecchio succo di pompelmo, ero spossato. Ero sotto antistaminici. Come ogni maggio odoroso, tiravo su col naso quando non smoccolavo sangue, suggerendo un’impressione di cocainomane che non meritavo. La stanchezza e gli antistaminici mi ispiravano cose molto stupide: per esempio, ricordo che quando Livefast venne a prendermi, gli chiesi di passare un attimo dal Provveditorato, perché avevo probabilmente dimenticato la mia borsa là dentro, al venerdì pomeriggio. Vi immaginate, la borsa con dentro i compiti da correggere, il nuovo contratto d’affitto, e poi chissà cos’altro, blindate al provveditorato per tutto il fine settimana... la storia era in realtà molto complessa e probabilmente divertente da raccontare su uno di quei diari on line che vanno adesso, ma ho dimenticato quasi tutto. Dalla stanchezza. Ma quanto ero stanco esattamente? C’è una definizione abbastanza precisa: ero così stanco che mi sono addormentato con Livefast al volante, da Modena a Milano. Erano i tempi pre-patente a punti, quando ancora non si era convertito alla corsia di mezzo; credo che ci mise una mezz´ora da casello a casello, durante la quale dormii profondamente, svegliandomi solo di soprassalto ogni volta che un’improvvisa decelerazione ci riportava per qualche attimo al di qua della barriera del suono.
- Io al Blogrodeo ero un po´ imbarazzato.
Mi capitava sempre, per due motivi. Il primo motivo è che, in quel periodo, si dava per scontato che i blog fossero tutti amici, o magari anche nemici, ma pur sempre parte di una stessa comunità: e che insomma ci si leggesse tutti. Per cui ogni volta che incrociavo qualcuno avevo il terrore di confessargli che non avevo letto il suo ultimo post, e magari neanche il penultimo, anzi, in effetti era da un mese che non leggevo il suo blog, di cui magari ignoravo persino l’indirizzo, e insomma, grazie per i complimenti, ma chi cazzo sei? Anche quando in realtà salutavo qualcuno che leggevo davvero, avevo sempre paura di essermi perso qualcosa d’importante, appena scritto o sepolto nella cronologia.
Il secondo motivo è che gli altri sapevano fingere meglio di me, e mi facevano sempre grandi feste. La cosa mi faceva piacere, ovviamente, ma mi complicava anche la vita, perché tutti sembravano dare per scontato che l´autore del mio blog fosse una persona intelligente, brillante, eccetera, ma io mi ero già reso conto che dal vivo non riuscivo a interpretare questo personaggio molto bene. Questa Odissea nell’Imbarazzo ha avuto il suo climax proprio a Rozzano, credo nel momento in cui fui introdotto ufficialmente nientemeno che da Tommaso Labranca:
Mi capitava sempre, per due motivi. Il primo motivo è che, in quel periodo, si dava per scontato che i blog fossero tutti amici, o magari anche nemici, ma pur sempre parte di una stessa comunità: e che insomma ci si leggesse tutti. Per cui ogni volta che incrociavo qualcuno avevo il terrore di confessargli che non avevo letto il suo ultimo post, e magari neanche il penultimo, anzi, in effetti era da un mese che non leggevo il suo blog, di cui magari ignoravo persino l’indirizzo, e insomma, grazie per i complimenti, ma chi cazzo sei? Anche quando in realtà salutavo qualcuno che leggevo davvero, avevo sempre paura di essermi perso qualcosa d’importante, appena scritto o sepolto nella cronologia.
Il secondo motivo è che gli altri sapevano fingere meglio di me, e mi facevano sempre grandi feste. La cosa mi faceva piacere, ovviamente, ma mi complicava anche la vita, perché tutti sembravano dare per scontato che l´autore del mio blog fosse una persona intelligente, brillante, eccetera, ma io mi ero già reso conto che dal vivo non riuscivo a interpretare questo personaggio molto bene. Questa Odissea nell’Imbarazzo ha avuto il suo climax proprio a Rozzano, credo nel momento in cui fui introdotto ufficialmente nientemeno che da Tommaso Labranca:
LABRANCA: "E nella squadra dei [non mi ricordo più] c’è anche... ehm..."
PUBBLICO: "È lui! Proprio lui! Woooow!"
LABRANCA: "C’è insomma, questo qui, che sarebbe..."
PUBBLICO: "Grande! È proprio lui! Yahooo!"
LEONARDO: "Sono io, in effetti".
LABRANCA: "Sì, ma si può sapere chi sei? Cioè, come ti chiami?"
LEONARDO: "Leonardo"
LABRANCA: "Leonardo chi?"
PUBBLICO: "È lui! Proprio lui! Woooow!"
LABRANCA: "C’è insomma, questo qui, che sarebbe..."
PUBBLICO: "Grande! È proprio lui! Yahooo!"
LEONARDO: "Sono io, in effetti".
LABRANCA: "Sì, ma si può sapere chi sei? Cioè, come ti chiami?"
LEONARDO: "Leonardo"
LABRANCA: "Leonardo chi?"
Forse il dialogo non è andato esattamente così, ma più o meno. A tre abbondanti anni di distanza, quell’interrogativo echeggia ancora nei parcheggi di Rozzano e di tutte le periferie del mio cuore: Leonardo chi? La cosa interessante è che, ieri come oggi, non ho la minima risposta pronta da fornire a Labranca: e mi spiace, sul serio, mi rincresce non poterglielo dire semplicemente: Leonardo è un blog di xxxxxxx, che qualche volta fa anche xyyyyvvv e wwwwwxxxk, e che ha un piccolo ma affezionato seguito di lettori pronti ad acclamarlo e a spellarsi le mani. Vorrei trovare la definizione più semplice possibile. Vorrei poterlo dire senza dare l’impressione di tirarmela, ma non c´è verso, perché in effetti è tutto inutile: me la sto tirando già così, e tirarsela per un blog è patetico.
- Io al Blogrodeo, da un certo momento in poi, ero ubriaco.
Che è il sistema meno originale al mondo, ne convengo, per risolvere l’imbarazzo. Di positivo c’è che funzionò, e mi permise di sciogliermi parecchio, di parlare con un sacco di gente, di ballare persino. Di negativo c’è che di tutti i balli e i discorsi mi ricordo poco. Alcool, antistamina, trasloco, un pubblico che acclama e Labranca che chiede chi sono, ce n’era abbastanza per stendere una persona già molto precaria. E poi ho dormito di nuovo, mentre Livefast e la sua futura moglie mi riportavano a casa, e colgo l’occasione per ringraziarli di tutto: so di non essere stato un passeggero molto brillante.
Che è il sistema meno originale al mondo, ne convengo, per risolvere l’imbarazzo. Di positivo c’è che funzionò, e mi permise di sciogliermi parecchio, di parlare con un sacco di gente, di ballare persino. Di negativo c’è che di tutti i balli e i discorsi mi ricordo poco. Alcool, antistamina, trasloco, un pubblico che acclama e Labranca che chiede chi sono, ce n’era abbastanza per stendere una persona già molto precaria. E poi ho dormito di nuovo, mentre Livefast e la sua futura moglie mi riportavano a casa, e colgo l’occasione per ringraziarli di tutto: so di non essere stato un passeggero molto brillante.
- Io al Blogrodeo devo essermi divertito.
Non ho prove materiali, ma ogni volta che vado a una riunione o a una cena, o a un camp, come si chiamano adesso, spero sempre che sia divertente come il blogrodeo, e ci rimango sempre un po’ male quando mi rendo conto che non lo è.
Adesso mi chiedete ricordi sul blogrodeo. Ahimé, ne ho pochi. Inoltre sono allergico alla nostalgia, come al polline. Non c’è stata un’età dell’oro dei blog italiani, al massimo un bel gruppo di persone molto diverse tra loro che aveva trovato un modo di divertirsi insieme. Il 2003 era stato l’anno del boom, quando i contatori si impennavano e non c’era modo di capire quando si sarebbero fermati; ma per la verità nel 2004 il mio s’era fermato da un pezzo. Di lì a poche settimane interruppi la cadenza quotidiana e le sedute notturne a base di pompelmo: era chiaro che non c'era nessun contratto con una major dietro l'angolo, e avevo bisogno di più tempo per le traduzioni. In autunno ci fu la seconda blogfest a Milano e ci andai: presentavano un libro in cui non c’ero. Risolto l’imbarazzo per la gente che mi acclamava: non mi filava praticamente più nessuno. Probabilmente mi ero distratto un attimo e non andavo più di moda, chi lo sa? In fondo ne avevo sempre capito poco. Tornare a casa fu un po’ difficile, l´A1 era sbarrata tra Piacenza e Reggio, Rozzano già una vaga nostalgia. Avevo la netta sensazione di avere investito troppe energie in un giochino, il blog, che dopo un po’ come tutti i giochini stanca. Potevo prendermela con questo o con quello, ma la prima responsabilità era mia: probabilmente avevo avuto delle chances, ma ero troppo stupido, o imbarazzato, o ubriaco, o semplicemente stanco per accorgermene. Se solo al momento giusto avessi saputo rispondere all’unica domanda decisiva: Leonardo chi? E invece no, Leonardo niente. Di tanta fatica notturna in breve tempo non sarebbe rimasto nulla, solo un po’ di cache su google. Se non trovavo alla svelta un posteggio dove accostare e accasciarmi.
Non ho prove materiali, ma ogni volta che vado a una riunione o a una cena, o a un camp, come si chiamano adesso, spero sempre che sia divertente come il blogrodeo, e ci rimango sempre un po’ male quando mi rendo conto che non lo è.
Adesso mi chiedete ricordi sul blogrodeo. Ahimé, ne ho pochi. Inoltre sono allergico alla nostalgia, come al polline. Non c’è stata un’età dell’oro dei blog italiani, al massimo un bel gruppo di persone molto diverse tra loro che aveva trovato un modo di divertirsi insieme. Il 2003 era stato l’anno del boom, quando i contatori si impennavano e non c’era modo di capire quando si sarebbero fermati; ma per la verità nel 2004 il mio s’era fermato da un pezzo. Di lì a poche settimane interruppi la cadenza quotidiana e le sedute notturne a base di pompelmo: era chiaro che non c'era nessun contratto con una major dietro l'angolo, e avevo bisogno di più tempo per le traduzioni. In autunno ci fu la seconda blogfest a Milano e ci andai: presentavano un libro in cui non c’ero. Risolto l’imbarazzo per la gente che mi acclamava: non mi filava praticamente più nessuno. Probabilmente mi ero distratto un attimo e non andavo più di moda, chi lo sa? In fondo ne avevo sempre capito poco. Tornare a casa fu un po’ difficile, l´A1 era sbarrata tra Piacenza e Reggio, Rozzano già una vaga nostalgia. Avevo la netta sensazione di avere investito troppe energie in un giochino, il blog, che dopo un po’ come tutti i giochini stanca. Potevo prendermela con questo o con quello, ma la prima responsabilità era mia: probabilmente avevo avuto delle chances, ma ero troppo stupido, o imbarazzato, o ubriaco, o semplicemente stanco per accorgermene. Se solo al momento giusto avessi saputo rispondere all’unica domanda decisiva: Leonardo chi? E invece no, Leonardo niente. Di tanta fatica notturna in breve tempo non sarebbe rimasto nulla, solo un po’ di cache su google. Se non trovavo alla svelta un posteggio dove accostare e accasciarmi.
Presi sonno in un distributore a Fidenza, coi fanali ancora accesi; l´autoradio mandava Tom´s diner. I am thinking of your voice, and of the midnight picnic once upon a time before the rain began, eccetera.
mercoledì 5 dicembre 2007
pensieri di dicembre
La K che piace ai giovani
A volte penso a quel che accadrà a questo sito, tra dieci o cento anni. Sono i classici pensieri di dicembre. Verrà qualcuno a leggere? Uno studioso del costume ci troverebbe pure qualcosa d’interessante. In effetti se avessimo i blog degli antichi Romani capiremmo un sacco di cose che in realtà non sappiamo.
Naturalmente occorre dare per scontate varie cose (tra cui, per dire, la sopravvivenza di internet e della civiltà occidentale), eppure mi capita, sul serio, di rileggere pezzi di blog fingendomi un antropologo del duemilatrecento. Di solito faccio il possibile per renderlo il più chiaro possibile anche a chi capita qui per caso, ma c’è un problema. Il solito problema. L’italiano.
È difficile pensare che nel 2300 ancora qualcuno lo parlerà. Certo, ci sarà qualcuno che lo studierà perché il corso di spagnolo aveva già completato le iscrizioni, ma saranno in pochi e concentreranno le loro ricerche su Alighieri e Buonarroti, difficile che si mettano a leggere i blog.
È un pensiero che sconsola. Grama generazione, la mia: siamo gli ultimi o i penultimi che scrivono in italiano, che senso ha farlo bene?
Questa lingua italiana che mi va stretta, questa lingua che pure è l’unico straccio che riesco a vestire decentemente, io la detesto come il secondino la prigione. Voi lettori potete andarvene, io no.
E insomma mi sono fregato con le mie mani, ho fatto della lingua il mio mestiere: passerò la vita a correggere le h al verbo avere, gli accenti sulla e, e cento altre ottuserie ortodattilografiche; nel frattempo vedrò lentamente svanire le già rare virgole, svaporare la sintassi; consapevole che tutta la fatica di correggervi i congiuntivi sarà comunque vana. Sono i pensieri di dicembre: tanto vale andarsene a letto.
Un ultimo viaggio nel tempo. Mentre provo a prender sonno mi assale una domanda: se l’italiano ha gli anni contati, quale sarà il suo ultimo respiro? L’ultima frase in lingua italiana, chi la scriverà? E cosa vorrà dire?
Sarà una frase sgrammaticata e insulsa, eppure necessaria. C’entrerà in qualche modo un passato da liquidare. Un passaggio di proprietà, perché no.
Potrebbe essere – anzi sarà - un sms. Qualcosa del tipo: Ciaooooo! O sentito il teste. Mi a detto ke kelle terre li possette per kelli anni parte Santi Benedikti. TVTB, amen.
A volte penso a quel che accadrà a questo sito, tra dieci o cento anni. Sono i classici pensieri di dicembre. Verrà qualcuno a leggere? Uno studioso del costume ci troverebbe pure qualcosa d’interessante. In effetti se avessimo i blog degli antichi Romani capiremmo un sacco di cose che in realtà non sappiamo.
Naturalmente occorre dare per scontate varie cose (tra cui, per dire, la sopravvivenza di internet e della civiltà occidentale), eppure mi capita, sul serio, di rileggere pezzi di blog fingendomi un antropologo del duemilatrecento. Di solito faccio il possibile per renderlo il più chiaro possibile anche a chi capita qui per caso, ma c’è un problema. Il solito problema. L’italiano.
È difficile pensare che nel 2300 ancora qualcuno lo parlerà. Certo, ci sarà qualcuno che lo studierà perché il corso di spagnolo aveva già completato le iscrizioni, ma saranno in pochi e concentreranno le loro ricerche su Alighieri e Buonarroti, difficile che si mettano a leggere i blog.
È un pensiero che sconsola. Grama generazione, la mia: siamo gli ultimi o i penultimi che scrivono in italiano, che senso ha farlo bene?
Questa lingua italiana che mi va stretta, questa lingua che pure è l’unico straccio che riesco a vestire decentemente, io la detesto come il secondino la prigione. Voi lettori potete andarvene, io no.
E insomma mi sono fregato con le mie mani, ho fatto della lingua il mio mestiere: passerò la vita a correggere le h al verbo avere, gli accenti sulla e, e cento altre ottuserie ortodattilografiche; nel frattempo vedrò lentamente svanire le già rare virgole, svaporare la sintassi; consapevole che tutta la fatica di correggervi i congiuntivi sarà comunque vana. Sono i pensieri di dicembre: tanto vale andarsene a letto.
Un ultimo viaggio nel tempo. Mentre provo a prender sonno mi assale una domanda: se l’italiano ha gli anni contati, quale sarà il suo ultimo respiro? L’ultima frase in lingua italiana, chi la scriverà? E cosa vorrà dire?
Sarà una frase sgrammaticata e insulsa, eppure necessaria. C’entrerà in qualche modo un passato da liquidare. Un passaggio di proprietà, perché no.
Potrebbe essere – anzi sarà - un sms. Qualcosa del tipo: Ciaooooo! O sentito il teste. Mi a detto ke kelle terre li possette per kelli anni parte Santi Benedikti. TVTB, amen.
domenica 2 dicembre 2007
naso grosso, gambe corte
E cosa vuoi che sia un milione
Ma come fai a dire che hanno firmato "un milione e centomila"?
Ma scusa, com'è possibile che due settimane fa abbiano firmato sette milioni, e oggi soltanto uno? E agli altri sei milioni cos'è successo? Si sono distratti? Erano a far shopping? Ma per i regali di Natale c'è tempo, invece oggi c'era da fare il nuovo Partito del Popolo della Libertà (PdPdL).
Due settimane fa aveva firmato un italiano su dieci. Oggi uno su sessanta. Insomma, non è proprio la stessa cosa.
Tu togli i leghisti, e vabbè. Togli Storace. Togli i fedelissimi di Fini e Casini che una firmetta per le dimissioni a Prodi l'avevano pur messa. Togli i mastelliani e i diniani che avevano voluto togliersi lo sfizio proibito. E vabbè, togli qui e togli là, ma non arrivi a sei milioni. Che fine han fatto, si può sapere?
Cambiamo argomento. Voi raccontate mai bugie? E' stimolante. Le bugie presentano diversi vantaggi rispetto alla verità, ma hanno un difetto. Tendono a instaurare un circolo vizioso. Se ne dico una un po' troppo grossa, la prossima volta dovrò raccontarla più grossa ancora. Ma c'è un limite oltre il quale nessuno, nemmeno un italiano, vorrà più credermi, e allora come faccio? Prima o poi dovrò tornare a terra, ridimensionare l'universo di palle che mi sono costruito attorno. Tutto sta nello scegliere il momento giusto.
Ecco, se fosse stato per me, avrei aspettato ancora un po'. Avrei detto quattro, tre milioni e mezzo, vah. Tanto che differenza fa. Però forse è vero che non capisco niente di comunicazione politica.
Ma come fai a dire che hanno firmato "un milione e centomila"?
Ma scusa, com'è possibile che due settimane fa abbiano firmato sette milioni, e oggi soltanto uno? E agli altri sei milioni cos'è successo? Si sono distratti? Erano a far shopping? Ma per i regali di Natale c'è tempo, invece oggi c'era da fare il nuovo Partito del Popolo della Libertà (PdPdL).
Due settimane fa aveva firmato un italiano su dieci. Oggi uno su sessanta. Insomma, non è proprio la stessa cosa.
Tu togli i leghisti, e vabbè. Togli Storace. Togli i fedelissimi di Fini e Casini che una firmetta per le dimissioni a Prodi l'avevano pur messa. Togli i mastelliani e i diniani che avevano voluto togliersi lo sfizio proibito. E vabbè, togli qui e togli là, ma non arrivi a sei milioni. Che fine han fatto, si può sapere?
Cambiamo argomento. Voi raccontate mai bugie? E' stimolante. Le bugie presentano diversi vantaggi rispetto alla verità, ma hanno un difetto. Tendono a instaurare un circolo vizioso. Se ne dico una un po' troppo grossa, la prossima volta dovrò raccontarla più grossa ancora. Ma c'è un limite oltre il quale nessuno, nemmeno un italiano, vorrà più credermi, e allora come faccio? Prima o poi dovrò tornare a terra, ridimensionare l'universo di palle che mi sono costruito attorno. Tutto sta nello scegliere il momento giusto.
Ecco, se fosse stato per me, avrei aspettato ancora un po'. Avrei detto quattro, tre milioni e mezzo, vah. Tanto che differenza fa. Però forse è vero che non capisco niente di comunicazione politica.
giovedì 29 novembre 2007
il più grande statista, finché tace
L'uomo inutile
In questi giorni di grande confusione, in cui Forza Italia si scioglie e si rifonda anche in due ore, io non saprei proprio dire chi vincerà, ma se dovessi puntare sul perdente scommetterei tranquillamente su Gianfranco Fini.
Perché proprio lui?
Perché è inutile. Anche se molto popolare. Ecco un altro mistero italiano: ogni volta che si fa un sondaggio di popolarità, quel tizio è in cima. L’impressione è che la gente si vergogni meno di lui che di Berlusconi, almeno quando parla ai sondaggisti. Poi nel segreto dell’urna fa altre cose. Fini è stato la faccia seria del centrodestra, fino a ieri. Ma poi alla fine uno cosa se ne fa, della faccia seria?
Fini è un caso di hybris, la superbia che offende gli Dei. Passare in una sola generazione dal Fronte della Gioventù a Palazzo Chigi non si può fare, spiacenti. Capisco benissimo che ti rode, con tutti questi ex partigiani al Quirinale. C’è la piccola differenza che hanno vinto la guerra, loro. Mentre tu, tu hai scelto il tuo destino un pomeriggio che volevi andare a vedere un film con John Wayne e dei comunisti non ti facevano entrare. Ora, capisci anche tu che non suona bene come la storia della via di Damasco. Se quel giorno non avessi scelto John Wayne, forse oggi saresti più presentabile. E cioè saresti un presentabilissimo Signor Nessuno, perché tutte le belle figure della vita le hai rimediate circondandoti d'imbecilli. Sei sempre stato il più furbo tra i pecoroni, il più profumato degli stronzi. Ma quanto vali veramente? Difficile dirlo.
Cosa lasci ai posteri? La legge di Bossi sui flussi? Qualunque xenofobo era in grado. Un partito post-fascista che sta per confluire in un movimento post-post-fascista che a sua volta… tre righe d’enciclopedia ti faranno giustizia. Tu dovevi dimostrare che gli ex fascisti erano diventati persone ragionevoli. Ma poi alla lunga cosa ce ne facciamo, di ex fascisti ragionevoli? Non servono a niente, è questa l’amara verità. Fanno solo arrabbiare i fascisti irragionevoli, i cui voti oggettivamente fanno gola. A Gerusalemme hai messo la kippa, e hai strappato con la Mussolini. Hai parlato di voto agli stranieri, e hai strappato con Storace. Sei un accorto politico, finché taci: appena parli cominciano i guai. Se anche riuscissi a ripulire del tutto le stalle di Augia del tuo partito, non ci servirebbero a niente, perché quello che interessava veramente non erano le stalle in sé, ma il marciume che c’era dentro.
Ora che dopo mille pulizie il tuo salotto è quasi pulito, guarda che succede: invece di venire a prendere il caffè da te, Berlusconi sta rovistando nella tua spazzatura. Esce con Storace. Se serve si metterà d’accordo anche con Forza Nuova. Perché Storace e Roberto Fiore sono quello che Gianfranco Fini era nel 1994: simpatici teppisti con tanta voglia di fare. Tu invece sei un ex teppista che hai solo parole di buon senso, e che se ne fanno a destra del buon senso? Ed è inutile alternare colpi al cerchio e alla botte: se voglio un politico che parla bene delle imprese coloniali italiane, ne trovo di più convinti di te. Se voglio un filoisraeliano, ne conosco anche di quelli che da piccoli non inneggiavano al Duce. Idem se ne cerco uno che tenda sinceramente la mano agli stranieri. Ognuno hai i suoi gusti, ma tu, tu sei uno strano cocktail di rum e olio di ricino, per quale motivo al mondo dovrei mandarti giù?
Ieri da Mentana hai osato una cosa incredibile: una battuta su Berlusconi. Hai osato insinuare che non sia molto sviluppato in altezza. Ecco, se volevi caratterizzarti come un politico serio offeso dalle ultime piazzate del padrone di casa, hai sbagliato registro. Per l’ennesima volta. Non azzecchi mai il tono giusto, questo è il problema. Finché stai zitto funzioni. Ma in politica non si può star zitti sempre, ecco il dramma.
Lo scrivo senza pietà, ma neanche compiacimento, perché alla fine credo che tu sia stato sul serio il meno peggio. Però sei anche l’anello più debole, e la catena comincia a tirare. Niente di personale, eh. Massimo rispetto, come sempre, finché taci.
In questi giorni di grande confusione, in cui Forza Italia si scioglie e si rifonda anche in due ore, io non saprei proprio dire chi vincerà, ma se dovessi puntare sul perdente scommetterei tranquillamente su Gianfranco Fini.
Perché proprio lui?
Perché è inutile. Anche se molto popolare. Ecco un altro mistero italiano: ogni volta che si fa un sondaggio di popolarità, quel tizio è in cima. L’impressione è che la gente si vergogni meno di lui che di Berlusconi, almeno quando parla ai sondaggisti. Poi nel segreto dell’urna fa altre cose. Fini è stato la faccia seria del centrodestra, fino a ieri. Ma poi alla fine uno cosa se ne fa, della faccia seria?
Fini è un caso di hybris, la superbia che offende gli Dei. Passare in una sola generazione dal Fronte della Gioventù a Palazzo Chigi non si può fare, spiacenti. Capisco benissimo che ti rode, con tutti questi ex partigiani al Quirinale. C’è la piccola differenza che hanno vinto la guerra, loro. Mentre tu, tu hai scelto il tuo destino un pomeriggio che volevi andare a vedere un film con John Wayne e dei comunisti non ti facevano entrare. Ora, capisci anche tu che non suona bene come la storia della via di Damasco. Se quel giorno non avessi scelto John Wayne, forse oggi saresti più presentabile. E cioè saresti un presentabilissimo Signor Nessuno, perché tutte le belle figure della vita le hai rimediate circondandoti d'imbecilli. Sei sempre stato il più furbo tra i pecoroni, il più profumato degli stronzi. Ma quanto vali veramente? Difficile dirlo.
Cosa lasci ai posteri? La legge di Bossi sui flussi? Qualunque xenofobo era in grado. Un partito post-fascista che sta per confluire in un movimento post-post-fascista che a sua volta… tre righe d’enciclopedia ti faranno giustizia. Tu dovevi dimostrare che gli ex fascisti erano diventati persone ragionevoli. Ma poi alla lunga cosa ce ne facciamo, di ex fascisti ragionevoli? Non servono a niente, è questa l’amara verità. Fanno solo arrabbiare i fascisti irragionevoli, i cui voti oggettivamente fanno gola. A Gerusalemme hai messo la kippa, e hai strappato con la Mussolini. Hai parlato di voto agli stranieri, e hai strappato con Storace. Sei un accorto politico, finché taci: appena parli cominciano i guai. Se anche riuscissi a ripulire del tutto le stalle di Augia del tuo partito, non ci servirebbero a niente, perché quello che interessava veramente non erano le stalle in sé, ma il marciume che c’era dentro.
Ora che dopo mille pulizie il tuo salotto è quasi pulito, guarda che succede: invece di venire a prendere il caffè da te, Berlusconi sta rovistando nella tua spazzatura. Esce con Storace. Se serve si metterà d’accordo anche con Forza Nuova. Perché Storace e Roberto Fiore sono quello che Gianfranco Fini era nel 1994: simpatici teppisti con tanta voglia di fare. Tu invece sei un ex teppista che hai solo parole di buon senso, e che se ne fanno a destra del buon senso? Ed è inutile alternare colpi al cerchio e alla botte: se voglio un politico che parla bene delle imprese coloniali italiane, ne trovo di più convinti di te. Se voglio un filoisraeliano, ne conosco anche di quelli che da piccoli non inneggiavano al Duce. Idem se ne cerco uno che tenda sinceramente la mano agli stranieri. Ognuno hai i suoi gusti, ma tu, tu sei uno strano cocktail di rum e olio di ricino, per quale motivo al mondo dovrei mandarti giù?
Ieri da Mentana hai osato una cosa incredibile: una battuta su Berlusconi. Hai osato insinuare che non sia molto sviluppato in altezza. Ecco, se volevi caratterizzarti come un politico serio offeso dalle ultime piazzate del padrone di casa, hai sbagliato registro. Per l’ennesima volta. Non azzecchi mai il tono giusto, questo è il problema. Finché stai zitto funzioni. Ma in politica non si può star zitti sempre, ecco il dramma.
Lo scrivo senza pietà, ma neanche compiacimento, perché alla fine credo che tu sia stato sul serio il meno peggio. Però sei anche l’anello più debole, e la catena comincia a tirare. Niente di personale, eh. Massimo rispetto, come sempre, finché taci.
martedì 27 novembre 2007
farsi gli affari tuoi
Deal or No Deal
Il culto del Presentatore
Per molto tempo il successo italiano di Affari Tuoi è stato attribuito unicamente a Bonolis, alle sue doti d’imbonitore di piazza. Non è bastato che se ne andasse; occorreva sostituirlo con una mezza calza perché ci si rendesse conto che le sue piazzate occultavano il vero fulcro della trasmissione: il format.
La conduzione di Pupo fu uno psicodramma. Sostanzialmente Affari Tuoi è la cosa più simile a un giuoco d’azzardo che si possa trasmettere sui canali in chiaro: mettere in cabina di comando una persona che aveva un problema di dipendenza dal gioco era la scelta più dissennata che si potesse fare: non basta essere incompetenti, bisogna anche essere un poco criminali. Come affidare a un ex eroinomane la distribuzione del metadone, se mi spiego. Che poi come conduttore, oggettivamente, facesse schifo, pazienza: è già miracoloso che non si sia rimesso a giocare immediatamente. Io al suo posto l’avrei fatto. Massimo rispetto a Pupo.
Con Insinna finalmente la versione italiana ha trovato un suo equilibrio; ancora un po’ sbilanciato sul presentatore (che suda, soffre e impiega il tempo sparando sequenze randomizzate di aforismi) mentre all’estero il protagonista è piuttosto il concorrente. Ma che ci vuoi fare. Se la tv è una pandemia mondiale, il Culto del Presentatore è la variante specifica italiana. E chissà, se ci fosse stata concessa, anche solo una volta nella Storia della Repubblica, la possibilità di votare Mike Bongiorno, ci saremmo finalmente tolti questo maledetto sfizio. E invece la nostra passione frustrata per il signore che a turno domina il video ci ha portato a cercare sulla scheda elettorale i surrogati più pittoreschi. Ma in fondo è lui che volevamo. L’ossessione italiana per l’uomo che conduce i telequiz è forse quel che resta dell’antica attrazione per il Tribuno, il Capo-popolo, l’oratore da balcone. Sì, in un certo senso è ancora fascismo, ma in una forma, come dire, benigna: non è un complimento, si dice la stessa cosa di certi tumori.
Matematica pratica
Resta da capire cos’ha questo format di irresistibile, più o meno in tutto il mondo. Ciò che lo rende diverso da ogni altro gioco a premi è il fatto che mancano le domande. Quindi la cultura generale non serve più. In questo modo è finalmente abolito il vantaggio che di solito godono gli enigmisti enciclopedici, gli antenati dei geek: quel tipo di persone che quando vengono a cena corri a nascondere il Trivial Pursuit.
Affari Tuoi sostituisce l’enciclopedia con le cifre; ma anche la sua matematica è la più pratica e universale che si possa immaginare: il linguaggio dei soldi. Se non vi è capitato di insegnarla a scuola, non avete idea di come diventi più intuitiva e facile la matematica appena aggiungiamo alle cifre il simbolo €. Bambini assolutamente refrattari all’idea astratta di “frazione”, non esiteranno a sommare due mezzi euro per ottenerne un intero. In questo senso la macchinetta delle merendine, arnese diabolico sotto quasi tutti gli aspetti, assolve una funzione pedagogica da non sottovalutare.
La cultura è di chi se l’è potuta permettere, ma l’aritmetica degli € è alla portata di tutti. Ciò rende, in teoria, Affari Tuoi il gioco veramente democratico: un verduraio ha più possibilità di vincere di un laureato per il semplice motivo che sa fare meglio i conti.
Il problema in Italia è che persino l’accorto verduraio, quando va ad Affari Tuoi lascia i suoi istintivi algoritmi a casa e si gioca i numeri come se fosse il lotto, col pretesto che tanto è un…
…gioco d’azzardo
E senz’altro lo è. Però, attenzione.
La fortuna è importante. Ma non è l’unico fattore, e non è poi molto più determinante che in tanti altri giochi a premi. In realtà Affari Tuoi non è che una forma semplificata del poker. A poker la fortuna conta; ma quante possibilità avremmo noi di vincere una mano col campione del mondo in carica?
Ciò che rende Affari Tuoi un vero gioco di azzardo non è tanto il caso, quanto la funzione assegnata ai soldi: ad Affari Tuoi si possono perdere. Dopo decenni di quiz che attiravano l’attenzione degli spettatori erogando soldi a pioggia sui vincitori, qualcuno ha capito che la medesima attenzione si può ottenere anche con la sottrazione. Naturalmente, la pruderie del ventunesimo secolo ci impedisce di saccheggiare i risparmi dei concorrenti (anche quelli che per condotta di gioco lo meriterebbero ampiamente); il colpo di genio sta appunto nel regalare in un primo momento i soldi al concorrente, soltanto per lo spettacolo di toglierglieli in un secondo momento. Il successo di questa innovazione è stato tale da contagiare altre produzioni; per esempio da due anni a questa parte un quiz molto più tradizionale, come L’eredità, funziona in una maniera simile: prima ti fanno vincere cifre nominali molto alte, e alla fine te le tolgono, per il gusto del sadico telespettatore.
La messa in scena
Se dunque per vincere mezzo milione occorre una notevole dose di fortuna, per uscire da Affari Tuoi con meno di ventimila euro in tasca bisogna essere un imbecille. Il fatto è che tutto è messo in scena appositamente per farti fare una figura da imbecille.
Il gioco in sé è molto semplice. Il tuo avversario ha una carta in mano, e tu devi scartarne altre 19. Quelle blu sono brutte, quelle rosse sono buone. Ogni tre carte l’avversario ti fa un’offerta. È chiaro che scartando le blu l’offerta sale, viceversa scende. Se te la spiego in questo modo, ti ho già suggerito la strategia di gioco ottimale: quando vedi che hai scartato più rosse che blu, accetti l’offerta. Se ti offre di cambiare carta, rifiuti, perché le possibilità di cambiare un rosso con un blu sarebbero aumentate (se invece avessi già scartato molte blu, dovresti accettare). Non c’è nient’altro che tu possa fare, razionalmente.
Questo discorso razionale va invece a farsi benedire nel momento in cui alle carte sostituisco i famigerati pacchi. Tutto l’inganno sta nell’ultimo pacco: è la carta in mano all’avversario, eppure è il “mio” pacco, ce l’ho davanti a me, mi è stato consegnato dalla Dea Fortuna, dal destino, dal povero nonno buonanima, da Padre Pio, da Rai1. Il risultato di questa messa in scena è che, invece di prestare attenzione al numero di pacchi rossi e blu ancora in gioco, e a cogliere i segnali impliciti nelle offerte dell’avversario, la maggior parte dei concorrenti va semplicemente avanti a testa bassa, come al bingo. L’errore è credere che tu abbia già vinto qualcosa, e che qualcosa sia nel tuo pacco, e che tutto quello che sta in mezzo sia solo un’agonia in attesa di scartare finalmente il tuo pacco. Mentre invece il premio finale dipende semplicemente dalla tua contrattazione col nemico. Di solito i concorrenti se ne rendono conto soltanto verso la fine della partita. E piangono. Quelli che alla fine del match hanno preso di più della prima offerta rifiutata sono veramente pochi.
La cabala
Nel frattempo, piuttosto di piegarsi a un vile compromesso, hanno sciorinato tutte le cabale possibili e immaginabili. L’anniversario di matrimonio. Il numero fortunato. L’oroscopo, la smorfia, i ritardatari. E intanto lo spettatore da casa oscilla tra la pietà e il cinismo. Quest’ultimo scatta di fronte a conclamati casi umani, come quel tizio che si ritrovò all’ultima scelta tra un euro e centomila. È chiaro che qualsiasi animale razionale avrebbe preferito un’offerta intermedia piuttosto che ritrovarsi in questa situazione. Ma il concorrente preferiva giocarsi il compleanno della madre. E perse. Insinna, diabolico, lo congedò con un pistolotto che in sostanza diceva: hai perso i soldi, ma hai salvato l’affetto di tua mamma. Nel frattempo probabilmente mamma sua lo diseredava e malediva.
Mort aux cons (Vaste programme)
Veramente, quando certi fessi piangono, non sai se piangere con loro o ridergli in faccia.
Personalmente ammetto un pregiudizio: per me vincere soldi in un gioco a premi è moralmente ingiusto; e probabilmente c’è anche un po’ d’invidia, perché se non lo trovassi moralmente ingiusto anch’io parteciperei, e siccome conosco l’abc del calcolo delle probabilità, sicuramente porterei a casa qualcosa di più del fesso di turno. Ma insomma, la mia è la vita del pigro razionalista nel paese in cui la religione di Stato è l’oroscopo: un po’ li odio, i miei simili, un po’ vorrei salvarli, ma di fronte a spettacoli del genere mi rendo conto che non ce la farò mai, e allora ripasso all’odio. Se fossi un po’ meno Pigro diventerei semplicemente Cattivo, ed entrerei a far parte in una di quelle entità che distribuiscono i pacchi e si prendono gioco della povera gente superstiziosa. Siccome lavoro nella scuola di Stato, non è detto che io non l’abbia già fatto senza accorgermene.
Il pacco mondiale
Quando mi sono messo a scrivere, volevo usare i pacchi come un pretesto per scrivere degli italiani e di certi loro vizi (irrazionalità, fatalismo, culto del presentatore). Strada facendo mi sono ricordato che Affari Tuoi è un format internazionale, che funziona bene in un sacco di Paesi. Anche se dovunque è un po’ diverso. Per cui un discorso serio sull’italianità dei pacchi dovrebbe passare attraverso uno studio comparato delle versioni nazionali; una cosa che non ho tempo di fare, ma se fossi laureando di Scienze della Comunicazione ci farei un pensiero (non esistono solo le tesi sui blog. Faccina ironica). L’unica cosa che posso dire è che la versione francese è molto più glamour, con flash e lustrini che confrontati al calore del nostro legno e del nostro cartone ondulato danno comunque un’impressione ospedaliera; che in Francia colui che Bonolis battezzò l’“infame” si chiama “banque” ed è persino fuggevolmente inquadrato, ma solo di spalle; tutt’un altro rispetto per le autorità, come si vede; e che almeno l’anno scorso c’era una cassaforte con davanti un figo pazzesco. Non faceva niente, stava lì nell'uniforme di guardia giurata: in confronto la Gregoraci si guadagna il pane. E mi è venuto in mente che Affari Tuoi è l’unico gioco italiano senza vallette. I pacchi italiani non hanno bisogno nemmeno del sesso. Notevole.
Non si patteggia
Mettiamola così: Affari Tuoi è un gioco che insegna ai cittadini del mondo l’importanza di contrattare, di venire a patti col destino. Ciò che rende la versione italiana uno spettacolo struggente, drammatico, irresistibile, è che gli italiani non imparano mai. Sono convinti che ci sia qualcosa di eroico nel rifiutare le offerte e andare avanti. Il pubblico applaude e loro si convincono vieppiù di stringere tra le mani il Pacco Finale, nel quale ci sono Meno Tasse per Tutti, o le Riforme, o le 35 Ore, o la Commissione d’Inchiesta, eccetera eccetera. Vanno verso la rovina tra gli applausi, e si credono anche dei grandi personaggi. Invece sono dei poveri cristi ai quali, se solo avessi più coraggio, dovrei semplicemente ridere in faccia.
Il culto del Presentatore
Per molto tempo il successo italiano di Affari Tuoi è stato attribuito unicamente a Bonolis, alle sue doti d’imbonitore di piazza. Non è bastato che se ne andasse; occorreva sostituirlo con una mezza calza perché ci si rendesse conto che le sue piazzate occultavano il vero fulcro della trasmissione: il format.
La conduzione di Pupo fu uno psicodramma. Sostanzialmente Affari Tuoi è la cosa più simile a un giuoco d’azzardo che si possa trasmettere sui canali in chiaro: mettere in cabina di comando una persona che aveva un problema di dipendenza dal gioco era la scelta più dissennata che si potesse fare: non basta essere incompetenti, bisogna anche essere un poco criminali. Come affidare a un ex eroinomane la distribuzione del metadone, se mi spiego. Che poi come conduttore, oggettivamente, facesse schifo, pazienza: è già miracoloso che non si sia rimesso a giocare immediatamente. Io al suo posto l’avrei fatto. Massimo rispetto a Pupo.
Con Insinna finalmente la versione italiana ha trovato un suo equilibrio; ancora un po’ sbilanciato sul presentatore (che suda, soffre e impiega il tempo sparando sequenze randomizzate di aforismi) mentre all’estero il protagonista è piuttosto il concorrente. Ma che ci vuoi fare. Se la tv è una pandemia mondiale, il Culto del Presentatore è la variante specifica italiana. E chissà, se ci fosse stata concessa, anche solo una volta nella Storia della Repubblica, la possibilità di votare Mike Bongiorno, ci saremmo finalmente tolti questo maledetto sfizio. E invece la nostra passione frustrata per il signore che a turno domina il video ci ha portato a cercare sulla scheda elettorale i surrogati più pittoreschi. Ma in fondo è lui che volevamo. L’ossessione italiana per l’uomo che conduce i telequiz è forse quel che resta dell’antica attrazione per il Tribuno, il Capo-popolo, l’oratore da balcone. Sì, in un certo senso è ancora fascismo, ma in una forma, come dire, benigna: non è un complimento, si dice la stessa cosa di certi tumori.
Matematica pratica
Resta da capire cos’ha questo format di irresistibile, più o meno in tutto il mondo. Ciò che lo rende diverso da ogni altro gioco a premi è il fatto che mancano le domande. Quindi la cultura generale non serve più. In questo modo è finalmente abolito il vantaggio che di solito godono gli enigmisti enciclopedici, gli antenati dei geek: quel tipo di persone che quando vengono a cena corri a nascondere il Trivial Pursuit.
Affari Tuoi sostituisce l’enciclopedia con le cifre; ma anche la sua matematica è la più pratica e universale che si possa immaginare: il linguaggio dei soldi. Se non vi è capitato di insegnarla a scuola, non avete idea di come diventi più intuitiva e facile la matematica appena aggiungiamo alle cifre il simbolo €. Bambini assolutamente refrattari all’idea astratta di “frazione”, non esiteranno a sommare due mezzi euro per ottenerne un intero. In questo senso la macchinetta delle merendine, arnese diabolico sotto quasi tutti gli aspetti, assolve una funzione pedagogica da non sottovalutare.
La cultura è di chi se l’è potuta permettere, ma l’aritmetica degli € è alla portata di tutti. Ciò rende, in teoria, Affari Tuoi il gioco veramente democratico: un verduraio ha più possibilità di vincere di un laureato per il semplice motivo che sa fare meglio i conti.
Il problema in Italia è che persino l’accorto verduraio, quando va ad Affari Tuoi lascia i suoi istintivi algoritmi a casa e si gioca i numeri come se fosse il lotto, col pretesto che tanto è un…
…gioco d’azzardo
E senz’altro lo è. Però, attenzione.
La fortuna è importante. Ma non è l’unico fattore, e non è poi molto più determinante che in tanti altri giochi a premi. In realtà Affari Tuoi non è che una forma semplificata del poker. A poker la fortuna conta; ma quante possibilità avremmo noi di vincere una mano col campione del mondo in carica?
Ciò che rende Affari Tuoi un vero gioco di azzardo non è tanto il caso, quanto la funzione assegnata ai soldi: ad Affari Tuoi si possono perdere. Dopo decenni di quiz che attiravano l’attenzione degli spettatori erogando soldi a pioggia sui vincitori, qualcuno ha capito che la medesima attenzione si può ottenere anche con la sottrazione. Naturalmente, la pruderie del ventunesimo secolo ci impedisce di saccheggiare i risparmi dei concorrenti (anche quelli che per condotta di gioco lo meriterebbero ampiamente); il colpo di genio sta appunto nel regalare in un primo momento i soldi al concorrente, soltanto per lo spettacolo di toglierglieli in un secondo momento. Il successo di questa innovazione è stato tale da contagiare altre produzioni; per esempio da due anni a questa parte un quiz molto più tradizionale, come L’eredità, funziona in una maniera simile: prima ti fanno vincere cifre nominali molto alte, e alla fine te le tolgono, per il gusto del sadico telespettatore.
La messa in scena
Se dunque per vincere mezzo milione occorre una notevole dose di fortuna, per uscire da Affari Tuoi con meno di ventimila euro in tasca bisogna essere un imbecille. Il fatto è che tutto è messo in scena appositamente per farti fare una figura da imbecille.
Il gioco in sé è molto semplice. Il tuo avversario ha una carta in mano, e tu devi scartarne altre 19. Quelle blu sono brutte, quelle rosse sono buone. Ogni tre carte l’avversario ti fa un’offerta. È chiaro che scartando le blu l’offerta sale, viceversa scende. Se te la spiego in questo modo, ti ho già suggerito la strategia di gioco ottimale: quando vedi che hai scartato più rosse che blu, accetti l’offerta. Se ti offre di cambiare carta, rifiuti, perché le possibilità di cambiare un rosso con un blu sarebbero aumentate (se invece avessi già scartato molte blu, dovresti accettare). Non c’è nient’altro che tu possa fare, razionalmente.
Questo discorso razionale va invece a farsi benedire nel momento in cui alle carte sostituisco i famigerati pacchi. Tutto l’inganno sta nell’ultimo pacco: è la carta in mano all’avversario, eppure è il “mio” pacco, ce l’ho davanti a me, mi è stato consegnato dalla Dea Fortuna, dal destino, dal povero nonno buonanima, da Padre Pio, da Rai1. Il risultato di questa messa in scena è che, invece di prestare attenzione al numero di pacchi rossi e blu ancora in gioco, e a cogliere i segnali impliciti nelle offerte dell’avversario, la maggior parte dei concorrenti va semplicemente avanti a testa bassa, come al bingo. L’errore è credere che tu abbia già vinto qualcosa, e che qualcosa sia nel tuo pacco, e che tutto quello che sta in mezzo sia solo un’agonia in attesa di scartare finalmente il tuo pacco. Mentre invece il premio finale dipende semplicemente dalla tua contrattazione col nemico. Di solito i concorrenti se ne rendono conto soltanto verso la fine della partita. E piangono. Quelli che alla fine del match hanno preso di più della prima offerta rifiutata sono veramente pochi.
La cabala
Nel frattempo, piuttosto di piegarsi a un vile compromesso, hanno sciorinato tutte le cabale possibili e immaginabili. L’anniversario di matrimonio. Il numero fortunato. L’oroscopo, la smorfia, i ritardatari. E intanto lo spettatore da casa oscilla tra la pietà e il cinismo. Quest’ultimo scatta di fronte a conclamati casi umani, come quel tizio che si ritrovò all’ultima scelta tra un euro e centomila. È chiaro che qualsiasi animale razionale avrebbe preferito un’offerta intermedia piuttosto che ritrovarsi in questa situazione. Ma il concorrente preferiva giocarsi il compleanno della madre. E perse. Insinna, diabolico, lo congedò con un pistolotto che in sostanza diceva: hai perso i soldi, ma hai salvato l’affetto di tua mamma. Nel frattempo probabilmente mamma sua lo diseredava e malediva.
Mort aux cons (Vaste programme)
Veramente, quando certi fessi piangono, non sai se piangere con loro o ridergli in faccia.
Personalmente ammetto un pregiudizio: per me vincere soldi in un gioco a premi è moralmente ingiusto; e probabilmente c’è anche un po’ d’invidia, perché se non lo trovassi moralmente ingiusto anch’io parteciperei, e siccome conosco l’abc del calcolo delle probabilità, sicuramente porterei a casa qualcosa di più del fesso di turno. Ma insomma, la mia è la vita del pigro razionalista nel paese in cui la religione di Stato è l’oroscopo: un po’ li odio, i miei simili, un po’ vorrei salvarli, ma di fronte a spettacoli del genere mi rendo conto che non ce la farò mai, e allora ripasso all’odio. Se fossi un po’ meno Pigro diventerei semplicemente Cattivo, ed entrerei a far parte in una di quelle entità che distribuiscono i pacchi e si prendono gioco della povera gente superstiziosa. Siccome lavoro nella scuola di Stato, non è detto che io non l’abbia già fatto senza accorgermene.
Il pacco mondiale
Quando mi sono messo a scrivere, volevo usare i pacchi come un pretesto per scrivere degli italiani e di certi loro vizi (irrazionalità, fatalismo, culto del presentatore). Strada facendo mi sono ricordato che Affari Tuoi è un format internazionale, che funziona bene in un sacco di Paesi. Anche se dovunque è un po’ diverso. Per cui un discorso serio sull’italianità dei pacchi dovrebbe passare attraverso uno studio comparato delle versioni nazionali; una cosa che non ho tempo di fare, ma se fossi laureando di Scienze della Comunicazione ci farei un pensiero (non esistono solo le tesi sui blog. Faccina ironica). L’unica cosa che posso dire è che la versione francese è molto più glamour, con flash e lustrini che confrontati al calore del nostro legno e del nostro cartone ondulato danno comunque un’impressione ospedaliera; che in Francia colui che Bonolis battezzò l’“infame” si chiama “banque” ed è persino fuggevolmente inquadrato, ma solo di spalle; tutt’un altro rispetto per le autorità, come si vede; e che almeno l’anno scorso c’era una cassaforte con davanti un figo pazzesco. Non faceva niente, stava lì nell'uniforme di guardia giurata: in confronto la Gregoraci si guadagna il pane. E mi è venuto in mente che Affari Tuoi è l’unico gioco italiano senza vallette. I pacchi italiani non hanno bisogno nemmeno del sesso. Notevole.
Non si patteggia
Mettiamola così: Affari Tuoi è un gioco che insegna ai cittadini del mondo l’importanza di contrattare, di venire a patti col destino. Ciò che rende la versione italiana uno spettacolo struggente, drammatico, irresistibile, è che gli italiani non imparano mai. Sono convinti che ci sia qualcosa di eroico nel rifiutare le offerte e andare avanti. Il pubblico applaude e loro si convincono vieppiù di stringere tra le mani il Pacco Finale, nel quale ci sono Meno Tasse per Tutti, o le Riforme, o le 35 Ore, o la Commissione d’Inchiesta, eccetera eccetera. Vanno verso la rovina tra gli applausi, e si credono anche dei grandi personaggi. Invece sono dei poveri cristi ai quali, se solo avessi più coraggio, dovrei semplicemente ridere in faccia.
Iscriviti a:
Post (Atom)