Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

venerdì 29 giugno 2007

e comunque

...io sono felice se con Veltroni la Precarietà diventa l'Emergenza.
Peccato che non sono più Precario.
Da oggi.

giovedì 28 giugno 2007

pelato e spettinato


Arriva Walter (appunti)

Gli applausi
Troppo pochi. Allora è meglio niente. Oppure oceanici. Vedrete che Fede li monterà continuamente.

La testa.
La testa è tutto Veltroni. Sono magro e rigoroso come Fassino, però ho anche il doppio mento bonario alla Prodi. Sono pelato come Phil Collins, però ho anche i capelli sbarazzini da eterno giovincello. La chierica di Veltroni è un vero mistero: allo stesso tempo pelato e spettinato, com’è possibile? Sembrano due teste assemblate.

Gli occhi.
Dietro gli occhiali s’indovinano rughe secolari. È uno stanco cronico, lavora molto. Però in occasioni come queste ci vorrebbero una palpebra più alzata.

Il discorso.
Troppo lungo! Ma cosa pretendi, chi è che dovrebbe starti a sentire dalle cinque alle sei? Se almeno avesse avuto tantissime cose da dire, ma si è ripetuto spesso. A un certo punto ha anche detto: “Mi ripeto, e so di farlo”. Mi ripeto e so di farlo. Sembra una frase da innamorato all’ultima spiaggia.

Si muoveva molto
Gli hanno spiegato di non stare fermo impalato, e di guardare a destra e a sinistra. Lui, diligente, si mette a guardare a sinistra e a destra e intanto ondeggia in senso inverso: bascula a sinistra e guarda a destra, dà un colpo a destra e guarda a sinistra. Il risultato di questa strategia comunicativa è simile a quello di Funari quando cercava i testi di Jack Folla sui gobbi incrociati (se non ha i gobbi, tanto peggio: sembrava ne avesse tre mescolati nel pubblico). In quella trasmissione che hanno chiuso dopo tre puntate, esatto.

Il confronto con Berlusconi ’94 è significativo: lui stava seduto e guardava fisso in camera: “Ciao, sono l’uomo della Provvidenza e sto parlando solo a te, a te, a te!”. Veltroni ’07 sembra piuttosto voler dire: “Ehi, sto dicendo tante cose, qualcuna vi interessa? potrebbe interessare al signore laggiù a sinistra? O a quello laggiù a destra? Eh? Qualche scatto laterale, come se udisse rumori improvvisi. Io lo avrei tenuto bello fermo, invece, con tanto di leggio e microfono fisso come a un congresso, e il dinamismo lo avrei reso con movimenti da una macchina e dall’altra, però io non capisco niente di comunicazione.

All along the watchtowers
Gli hanno detto “per carità niente santini sullo sfondo, piuttosto tanti bei paesaggi rassicuranti, tante torri, l’Italia è tutta torri, siamo tutti a nostro agio sotto le torri”. Mah. Boh. Le torri sono un’arma difensiva, tanto per cominciare. E poi sono l’emblema di una classe dirigente miope e arroccata al suo particulare: nel tardo Duecento, invece di re-investire in welfare, ogni famiglia si costruiva la torre più alta di quella del vicino, e nel Trecento sappiamo tutti com’è andata a finire. Non lo sapete? Beh, recessione, crisi, carestie, pestilenze (si salvò solo l’industria del lusso, ricorda qualcosa?) Ecco. Le Torri ci ricordano che l’ignoranza e la stupidità della nostra classe imprenditoriale e dirigente hanno radici millenarie. Molto bene. Io avrei fatto senza diapositive, ma non sono mica un consulente.

I contenuti
Buoni, per carità. La cosa che mi è parsa più impegnativa è il sì al TAV, ma d’altro canto chi non è d’accordo ha a disposizione un sacco di partiti più a sinistra del Pd. Buono il risalto dato all’emergenza clima, un po’ noiosa la digressione sulla previdenza, ridondante il ritornello “lotta alla precarietà”, ma ha fatto bene a ricordare che i precari inglesi hanno più sicurezze dei nostri, è una cosa che i Blair alle vongole non sanno.
Io avrei lasciato perdere Prodi. Sono e resto un prodiano, mi sembra che in una situazione difficile si stia difendendo bene, ma cosa c’entra? Politicamente è fregato, bisogna dare l’impressione che cambi tutto. Come Sarkozy, il chiracchiano che ha cambiato l’etichetta sul chiracchismo ed è riuscito a venderlo ai francesi come roba nuovissima. E gli italiani non sono più furbi dei francesi, proprio no.

A whiter shade of pale.
Veltronismo puro. Voglio farvi sentire gli anni Sessanta, ma anche Johann Sebastian Bach. Potremmo essere al rinfresco della Prima Comunione di Pinuccia o in un film impegnato di Tullio Giordana, o anche in tutti e due simultaneamente.

La ragazza morta.
Il colpo basso alla fine ci voleva, e una lacrima non avrebbe guastato. Anche se c’è una terribile ironia in tutto ciò. I nostri ragazzi di oggi non sono tutti bulli e oche, io ho conosciuto una quindicenne saggia e consapevole. Ed è morta!

mercoledì 27 giugno 2007

a un'ora dal Secondo Avvento

Tra un'ora Veltroni scende in campo, e il mondo non sarà più lo stesso. Se - come me - non state più nella pelle, potete cominciare a ripassare.
La pietra di paragone è sempre questa.

martedì 26 giugno 2007

martiri del management

Si chiama Catania, risolve i problemi

Ora io mi rendo conto che un Paese dove bastano 200 pendolari in una stazione a bloccare tutta la circolazione ferroviaria è una vergogna.
E non è certo colpa di Trenitalia o delle Ferrovie: è colpa dei pendolari, quei perfidi, che profittando di una intrinseca debolezza del tracciato ferroviario organizzano i loro maledetti scioperi fiscali. Che non sono belli, perché vengono fatti davanti a tutti, creando molto disagio.
Diciamola tutta, gli scioperi fiscali non sono roba da pezzenti, ma da professionisti, che sanno farli di nascosto, dal commercialista, senza disturbare giornalisti e tv.

Del resto è anche vero che a 'sti poveracci hanno aumentato il biglietto da 15 euro a 60. Se non sbaglio è un aumento del 400%. Io comunque una soluzione ai loro problemi ce l’ho. Non so come. Di solito non trovo le soluzioni ai problemi, ma stamattina è diverso.

La mia soluzione ha di buono che è rapida e quasi indolore. Consiste in questo: una pattuglia di finanzieri, o carabinieri, o poliziotti (ma vanno bene anche i vigili del fuoco) va da Elio Catania e gli chiede 5 milioni di Euro. Lui cinque da darci ce ne ha di sicuro: quando era amministratore delegato di Trenitalia ne prendeva due all’anno di stipendio; anche se li avesse spesi tutti (e non si capisce come) l’anno scorso licenziandosi dovrebbe averne pigliati cinque di liquidazione. I casi sono due: o ha un pozzo in giardino e passa il tempo a buttarci le mazzette da cinquanta, oppure dovrebbe averne parecchi da parte. Magari investiti. Beh, li disinvestiamo. Siamo lo Stato sovrano, dopotutto.

Io poi non sono un ignorante, sapete, mi rendo conto che per fare una cosa del genere ci vuole un habeas corpus. Però secondo me non è difficile trovarne uno: le zecche e i pidocchi sui vagoni ci sono ancora o no? le linee sono aumentate o diminuite? Ed esiste o no in Trenitalia un buco da un miliardo e settecento milioni di Euro? Sì? Chi avevano chiamato a risanare? Elio Catania? Ha risanato? No? E si è pigliato pure la liquidazione? E vabbè, noi gliela chiediamo indietro. Secondo me non fa una grinza.
...anziché puntare al risanamento e al contenimento degli sprechi, ha fatto letteralmente esplodere i costi operativi, con una proliferazione dell’apparato dirigente e un incremento delle spese per appalti e forniture pari al 22 per cento. A causa della carenza di materiale rotabile e di personale è diminuito il numero di treni, sbagliando clamorosamente la programmazione degli orari offerti al pubblico. A una domanda crescente di servizi adeguati si è risposto con il raddoppio degli spot pubblicitari e una qualità largamente approssimativa. Tutto questo evidenzia il fallimento delle politiche aziendali. (Franco Nasso, Filt, via wikipedia).

Dovrebbe anzi ringraziare che non gli facciamo fare neanche una mezza giornata di galera. Ci mancherebbe: non ha fatto mica niente di male, a parte contribuire allo sfascio ferroviario italiano, che non è un reato in sé.
E siccome già sento qualcuno commuoversi per il povero ex consigliere d’amministrazione sul lastrico, un altro martire del management, vi rassicuro: no, sul lastrico per ora non ci va, considerato che attualmente è

- Membro del Consiglio di Gestione di Banca Intesa-San Paolo.
- Vice Presidente Assonime,
- membro di giunta Confindustria
- Vice Presidente del Consiglio per le Relazioni Italia Stati Uniti.
- Dal 26 aprile 2007, presidente dell'Azienda Trasporti di Milano su proposta del sindaco di Milano Letizia Moratti. E si capisce, uno così bravo a sfasciare le ferrovie vuoi che la Moratti se lo lasci sfuggire?

Ho fatto un rapido conto. Cinque milioni di euro divisi per i duecento pendolari che hanno bloccato i treni ieri fanno 25.000 € a testa, una media vincita ad Affari Tuoi. I pendolari pidocchiosi potrebbero comprarci una macchina a metano o GPL per andare a lavorare a nord e non rompere più le scatole alle ferrovie, che così potranno concentrarsi sulla loro mission: far viaggiare i businessmen in pendolino. Oppure possono investirli in qualcosa, diventare professionisti, dopodiché gli scioperi fiscali li faranno come tutti gli altri, privatamente e senza dirlo in giro. E saremo tutti contenti. Persino Catania, secondo me.

Sono convinto che lui quei cinque milioni di euro non li ha nemmeno toccati. Probabilmente gli fa schifo solo pensarci. Ma come, un professionista come lui sfascia le ferrovie e si fa dare una montagna di soldi in liquidazione? No, nessuno riuscirebbe a intascarli a cuor leggero. Allora forse non servono i carabinieri, basta un appello accorato: Catania, risolvi un problema, per una volta nella tua vita. Dai, smolla il grano. Lo sappiamo che ti vergogni. E non c’è niente di male. È anzi una cosa che ti fa onore. Smolla, su. È l’Italia che te lo chiede.

lunedì 25 giugno 2007

I am a dream

Mentre Prodi non è niente di più né di meno di un onesto funzionario di Stato sposato e non divorziato (comunque merce rara), Veltroni è molto di più, e di meno.

Veltroni è un Sogno: e i sogni aiutano a vivere meglio.
Prodi era rassicurante, ma a un certo livello le rassicurazioni non bastano più. Per rassicurare servono spiegazioni, statistiche, proiezioni, yawn. Gli italiani non vogliono essere rassicurati: vogliono essere sedati. Veltroni è l’unico che fa sognare il Trenta per Cento. No, riflettendo bene ce n’era un altro: Berlusconi.
Perciò non dirci più “I have a dream”, che sarebbe un po’ banale: di’ la verità: “I am a dream”. Il sogno che la tua generazione ce la farà, metterà d’accordo tutti, i neri con i bianchi e i padani coi mafiosi; Luxuria si fidanzerà con Ratzinger e tu celebrerai le nozze durante la Notte Bianca, al Colosseo, prima di uno spettacolo di gladiatori per la pace nel mondo.
Nel sogno veltroniano il futuro è una mescolanza di ricordi del passato, tutti virati in rosa: Kennedy e Che Guevara forse erano nemici, eppure nessuno mi proibisce di appendere i poster nella stessa cameretta. Il Novecento è principalmente un bello spettacolo, ma anche molto culturale. C’era Martin Luther King e c’erano le figurine Panini. E c’era anche Don Milani, anzi Veltroni si considera un allievo di Don Milani. Cresciuto a crostini e Lettera a una professoressa. C’è un piccolo problema.
Nel sogno veltroniano, tutto è ridotto a figurina. Se Che Guevara si riduce a un simpatico guerrigliero, Don Milani probabilmente ce lo ricordiamo come un simpatico prete che si arrabbiava perché le maestre borghesi bocciavano i figli dei contadini. Cattivone, le maestre borghesi! La lezione che Veltroni e i suoi coetanei hanno capito, leggiucchiando Don Milani, è che Bocciare È Cattivo. Una perfida usanza borghese.
Basta scavare un po’, mettersi a leggere neanche tanto, per rendersi conto che Don Milani era un personaggio molto più complesso e più ruvido. Per esempio: non sopportava la Ricreazione. Nel suo primo libro, Esperienze pastorali, scrisse proprio un capitolo "Contro la ricreazione" che a suo parere era tempo sottratto allo studio e al lavoro. L’arcivescovo lo esiliò a Barbiana e lui ne approfittò per creare un esperimento educativo irripetibile, anche perché se qualcuno riprovasse a ripeterlo al giorno d’oggi finirebbe in galera per plagio o sequestro di persona: gli alunni di Barbiana studiavano dodici ore al giorno senza giorni festivi e senza ricreazione.
Se il piccolo Walter avesse veramente studiato a Barbiana, se avesse provato a introdurre illegalmente un album di figurine, Don Milani probabilmente glielo avrebbe strappato di mano e lo avrebbe segregato in una stanzetta con compiti extra di matematica. Vaglielo a spiegare, al simpatico prete, che anche la figurina Panini “è cultura”. Milani aveva un’idea arcigna e guerrigliera della cultura. Quando seppe che alcune ragazzine del paese scendevano a valle a ballare, attaccò una predica che non finiva più. Le ragazze proletarie non devono ballare! Devono partecipare alle riunioni sindacali e di partito, altroché. A quindici anni.
UNA RAGAZZINA: Alle riunioni sindacali e politiche non si capisce nulla.
DON LORENZO: A fare quelle mossettine in sala da ballo ti riesce e a seguire una riunione politica e sindacale che ti prepara a essere più capace, più sovrana, ti pare di non essere capace? Eppure probabilmente l’anno prossimo andrai a lavorare e avrai davanti responsabilità immense: licenzieranno una tua compagna di lavoro e dovrai decidere se scioperi o no per lei, se difenderla o no, se sacrificarti o non sacrificarti per lei, se andare in corteo davanti alla prefettura o davanti alla direzione, se rovesciare le macchine e rompere i vetri oppure se tu dovrai zitta zitta chinare la tesata e permettere che la tua compagna sia cacciata fuori a pedate dalla fabbrica. Tu queste cose le dovrai decidere l’anno prossimo e per ora ti prepari twistando in una sala da ballo?[…]
La preparazione alla vita sociale e politica, o oggi o mai. L’età giusta è questa.
(Don Lorenzo Milani, Anche le oche sanno sgambettare (1965), Edizioni Stampa Alternativa, 1995, pagg. 16-17).

Veltroni è la formula alchemica per trasformare ogni Passatempo in Fatto Culturale, e poi, con procedimento inverso, ogni Fatto Culturale in Divertimento. Una parola che Don Milani odiava: divertirsi è scantonare, scordarsi dei propri problemi. Molto meglio rovesciar macchine e rompere vetri. Don Milani sarebbe il profeta dei Black Block, se i BB leggessero e non indulgessero anche loro alle danze e al divertimento. Diciamo allora che Don Milani è un po' troppo tosto per i Black Block - figurarsi per Veltroni.
Veltroni invece è, definitivamente, il Sindaco di Roma, l’erede di una lunghissima tradizione di questori la cui principale preoccupazione era Divertire il popolo sotto-occupato, sedarlo a furia di Circenses. Pensate alla Notte Bianca. Pensate cosa ne scriverebbe Don Milani, se potesse parlare con la lingua sua. Per lui, innanzi tutto, il mondo si divideva in oppressori e oppressi, una distinzione che Veltroni non saprebbe applicare correttamente. Lui stava con gli oppressi e li esortava a bere caffè, a stare in piedi di notte per studiare, per leggere un libro in più, per recuperare la distanza culturale dai padroni. Veltroni invece li tiene alzati per far festa, tutti in fila col bicchiere in mano mentre i padroni si allungano in tribuna vip. E non ci sarebbe niente di male: ma deve anche prendersi Don Milani, deve scrivere “I care” sui manifesti. Ci metterà anche la foto di Don Milani, il prete buono che non voleva bocciare gli asini. Ci stamperanno pure le magliette.
Veltroni è la trasformazione della Storia in Sedativo, e il bello è che funziona: il Passato è roba forte, avvolgente, e ciascuno di noi ha almeno un punto debole. Nessuno è indenne.
Guardate Wittgenstein: quanto si è dato da fare in queste settimane per ringiovanire la classe dirigente. Bene, bravo, non fosse che nel frattempo Veltroni ti organizza al Circo Massimo un concerto dei Genesis. I Genesis. Un gruppo di pelati tronfi che erano già pelati tronfi quando io portavo le braghette. E lui va in sollucchero. Si può rinnovare la classe dirigente e andare ai concerti dei Genesis? Non c’è una contraddizione? No. Non c’è mai una contraddizione, se in città c’è Veltroni.
Io lo voto anche subito. In un mondo di sognatori, stare svegli è fighissimo.

venerdì 22 giugno 2007

e manco mi pagano


Domenica provano a riaprire il Mattatoio (già Mattatoyo, quando andavano di moda le Y), in via Rodolfo Pio 4 a Carpi, antico luogo deputato all'assassinio di suini di cui noi indigeni andiamo ghiotti, in era postmoderna riconvertito in locale Arci fighettoide ma mai abbastanza per decollare. E cos'ha stavolta di diverso, direte voi?
Per esempio c'è Enzo in cartellone (c'è anche Anais). C'è il personale dello juta cafe'.
E c'è anche il concerto degli Ex-Otago.
Io avrei migliaia di cose più interessanti da fare a Carps la domenica, figuratevi. Invece ci vado.

mercoledì 20 giugno 2007

iMac, iPod, iMille...

Il titolo non è mio, non sono così bravo: l'ho copiato da un commentatore di Scalfarotto.
E comunque è inutile star seduti qui sulla panchina a criticar qualunque cosa passi: io stamattina già inviato ad Adinolfi la mia timida adesione. Un passo avanti rispetto ad altre proposte precedenti mi sembra che ci sia: non vengono più proposte liste di cooptati e l'enfasi un po' sospetta sui "giovani" è stata stemperata. Mal che vada, avrò altre storie da raccontare.

Ora, per favore, evitate commenti stile "ti facevo più di sinistra", ecc. A parte che forse non è vero, per come la vedo le opzioni ora sono due: o faccio l'estrema destra nel partito di Mussi & co., o mi pianto nell'estrema sinistra del Pd. Ditemi voi qual è la più divertente.

(Grazie a Umarells per la foto).

martedì 19 giugno 2007

"da poveri eravate più allegri"

Not so gay anymore

Io sono convinto che per gli omosessuali italiani, negli anni Ottanta, ci fosse poco da stare allegri. Una buona parte di provincia, tanto per cominciare, non era ancora ben uscita dal medioevo. I brutti scherzi erano più brutti, le violenze più violente, i silenzi erano veramente silenzi. E poi c’era ancora il servizio di leva – oppure venti mesi di civile. Non solo, ma a un certo punto i tuoi amici cominciavano a morire come mosche, e i preti a suggerire che te l’eri meritato. A pensarci, dieci anni d’inferno.

Eppure sono stati gli anni in cui abbiamo davvero cominciato a chiamarli gay. Che in italiano voleva proprio dire gai, felici, spensierati. Cosa avessero da ridere, in effetti non si sa. Però me li ricordo così.
Mi ricordo la musica, che per molti anni è stato l’unico mio approccio alla cultura gay. Quella di metà anni 80 sembrava in mano a un cartello di gay – per carità non tutta, soltanto quella divertente. Quel pop di plastica che sembrava non dover durare e invece oggi riempie le piste di gente nata in seguito, quei pezzi sciocchi e irriverenti che adeguavano il punk alla festa delle medie. E poi la moda. Anche quella a suo modo irriverente, innovativa – gay.

È un luogo comune, anzi un sistema di luoghi comuni. I gay e gli anni Ottanta – gli spensierati anni Ottanta – la spensieratezza dei gay. Mi rendo conto che tutto questo è illusorio, che molti omosessuali nello stesso periodo non ballavano Baltimora né indossavano Versace, ma stavano nascosti e soffrivano molto. Ma da qualche parte nel mio cervello si è annodato questo concetto: Gay=Felice. Tom Robinson ai concerti cantava Sing, if you’re glad to be gay. Sing if you’re happy that way. Sembrava allegro e sardonico. A rileggerla, la canzone è una sequela di violenze, censure, repressioni poliziesche. Ma Tom sembrava ancora allegro di ballare sulle rovine.

Oggi le cose vanno un po’ meglio. Non tanto, lo so: appena un po’ meglio. C’è persino una quota di personaggi gay nelle fiction Rai. A scuola si fanno ancora brutti scherzi; la differenza è che se ne parla, che esistono le parole per parlarne. Non c’è più il sevizio di leva. E non si muore più così tanto. E i gay non sono più così gai. Sono tristi. Musoni e incazzati.

A loro discolpa, non sono i soli. Se gli 80 sono stati gli ultimi anni della Maggioranza Silenziosa, che aveva bisogno di minoranze strane come un’enorme massa di pastasciutta insipida che implora almeno una spezia piccante, gli anni Zero sono quelli delle Minoranze Petulanti. Apparteniamo tutti almeno a una di queste minoranze oppresse, senza diritti, senza futuro. Abbiamo tutti un motivo per marciare su Roma. Ci sono i padani e gli stranieri. I giovani precari e i giovani industriali – poveri giovani industriali! I no-tav, i no-nato, i no-monnezza, e hanno tutti la loro parte di ragione. Ci sono i cattolici, fino all’altro ieri zoccolo duro della Maggioranza Silenziosa, oggi felicemente riciclati in minoranza ringhiosa pro-famiglia e anti-aborto. Perché non dovrebbero fare lo stesso i gay? Peraltro, loro sono davvero discriminati: le loro battaglie sono sacrosante.

A volte mi chiedo dove ho vissuto tutti questi anni. Per buona parte della mia vita non mi sono nemmeno reso conto che i gay lottassero per i loro diritti civili. Il gay pride del Giubileo mi era sembrata soprattutto una grande festa identitaria. Probabilmente non capisco nulla. Ma ho una sensazione.
C’è stato un momento, ed è stato recente, in cui i gay hanno definitivamente smesso i panni allegri e festaioli e la questione dei diritti civili è diventata prioritaria.
Secondo me il processo è andato di pari passo con la formazione del Partito Democratico. Lento, per molti anni sotterraneo, proprio come il PD. Voi dite: ma che c’entrano esattamente i diritti degli omosessuali con il PD? Nulla, appunto. Di tante questioni sul tavolo, quella dei diritti civili dei gay sembra fatta apposta per rendere impossibile la nascita del PD. Basta prendere due elettori-tipo della Margherita e dei DS, e fargli un po’ di domande: che ne pensi del mercato? Che ne pensi della guerra al terrore? Che ne pensi dei migranti? Le risposte saranno indistinguibili. C’è solo una domanda che permette di discriminare: pensi che i gay abbiano diritto a crescere dei figli?

Non voglio entrare nel merito della questione, che è spinosa. Voglio solo chiedere: chi l’ha detto che questa domanda sia prioritaria? Che debba venire prima delle domande sull’economia, sulla guerra, sui migranti? Davvero due persone che sono d’accordo su tutto tranne che su questo non possono militare nello stesso partito? Io posso anche sostenere che i gay siano discriminati: ma i migranti lo sono anche di più. Oggi si discute di voto agli stranieri un decimo di quanto non si chiacchieri di DiCo e laicità. A chi conviene? Chi è che continua a riaprire la questione? A chi giova continuare a parlarne?
Giova ai vescovi. Giova alle sinistre. Giova, in pratica, a tutti quelli che non hanno interesse alla nascita del PD. E agli omosessuali giova? Direi di no. La soluzione al problema non è in calendario. In calendari si sono soltanto estenuanti discussioni pro e contro, proposte di legge soffertissime destinate all’impallinamento parlamentare, cortei e controcortei, piazze e contropiazze. La questione “gay vs famiglia naturale” è semplicemente il punto scelto dai nemici del PD per farlo a pezzi. Perché proprio quel punto? Perché era il più fragile.

Dopodiché pazienza: io non so nemmeno se l’avrei votato, questo PD. Ma mi spiace vedere tante persone scegliere (in buona fede) il fronte sbagliato per combattere. Se vi dico che la battaglia per il riconoscimento di alcuni diritti elementari va spostata ancora di una generazione, non prendetemela con me. Non dipende certo da me. Io scrivo solo quel che vedo: e vedo che nessuno è in grado di risolvere la questione. La questione è sul tavolo soltanto perché serve a far saltare il tavolo. E allora?

Per una volta che riesco a non cambiare idea per qualche mese, permettetemi di citarmi addosso: “io non credo che i DiCo siano una priorità. La priorità è la cultura. In Italia non ce n’è ancora abbastanza per tutti. Ce ne deve essere di più […] D’accordo che bisogna tutelare le minoranze, ma ricordiamoci che sotto il pelo dell’acqua c’è una quantità enorme di persone che potrebbe essere gay ma non lo sa, o non lo dice, o non lo ammette, perché non ha avuto a disposizione gli strumenti per capirlo, o per accettarlo. Questi strumenti sono culturali”.

I gay della scorsa generazione avevano una vita più difficile. Ma scrivevano, disegnavano, cantavano, offrivano cultura a tutti. È stato grazie a loro che milioni di italiani hanno imparato che gli omosessuali non erano maniaci pederasti, ma persone normali, dotate e sensibili. Ed erano anni difficili. Peggiori di questi. Io credo che il loro esempio vada seguito – non solo dalla minoranza dei gay. Mi sembra una buona lezione per tutte le minoranze. Cantare, stare allegri, invitare tutti alla propria festa. Per quanti problemi noi possiamo avere, siamo ancora al mondo e siamo felici così. Non orgogliosi: felici. Com'è che si diceva una volta? Gay.

domenica 17 giugno 2007

tutti dietro ai pifferai

Mantellini sulla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione:
...il risultato finale di tutto questo sproporzionato impegno moraleggiante è complessivamente negativo e potrebbe essere così riassunto; 50000 italiani hanno fatto da testimonial pubblicitari ad un sito web olandese nel quale si fa l’apologia della pedofilia.

giovedì 14 giugno 2007

ciao Fournier, meglio tardi che mai

("Macelleria messicana" non è una frase a caso. Sono le parole dette da Ferruccio Parri, gran capo dei partigiani d'Italia, quando vide i milanesi che sparacchiavano ai cadaveri di Mussolini e dalla Petacci appesi a piazzale Loreto. Un episodio indegno e vile, che secondo Pertini aveva "disonorato" l'insurrezione poplare. Anche D'Alema, recentemente, ha espresso il suo rammarico).

Scampato alle Diaz

Stasera non avrei scritto niente, se non che prima di coricarmi, passando davanti allo specchio, ho visto la faccia di uno che ha scampato le Diaz per pura botta di culo.
Siccome un pensiero tira l'altro, mi sono anche domandato che faccia avrei. Un po' più sbattuta di certo: magari un dente in meno (qualcuno lasciò un dente sulle scale). Forse più calvo, chi lo sa, più rugoso e interessante. Io non voglio passare per un reduce – è ridicolo, Genova furono tre giorni – però capisco perfettamente la gente che va in guerra, la scampa e poi si sente in colpa per tutta la vita. È un senso di colpa strano, misto a una curiosa invidia, e alla voglia di contar balle ai ragazzini al bar.

Io alle Diaz in quel momento avrei voluto esserci. Nel senso che avevo una gran voglia di andarci, venti minuti prima che le Diaz passassero alla Storia. Suona buffo, ma era tutta una questione di blog. Volevo aggiornare il blog, che poi era un modo di avvertire una ventina di persone che l'avevano letto fino a poche ore prima che ero salvo e stavo bene. Era tutto puerile e terribilmente serio allo stesso tempo. Le scuole cablate erano due, una di fronte all'altra: la più grande aveva la Sala Stampa e i server, ma i computer giravano con un cacchio di sistema operativo alternativo che s'inchiodava continuamente. Nelle Diaz invece c'era il vecchio stramaledetto windows duemila. Io dunque, mentre stavo in fila per accedere al sospirato blogger, avevo una gran voglia di provare se lì di fianco c'era meno fila. La Diaz, fino a quel momento, la conoscevano in pochi, tra cui io; io che due sere prima mi ero coricato con le chiavi della Diaz in tasca, perché nel cosiddetto servizio d'ordine del Movimento dei Movimenti si faceva carriera rapidissimamente, bastava continuare a preoccuparsi mentre la gente andava a dormire.

Io dunque ero indeciso se restare lì o andare alle Diaz. Se ci fossi andato, forse oggi passerei i miei pomeriggi a fissare il muro o a guardare i manga, magari soffrirei la depressione e peserei 120 chili; oppure mi sarei liberato di ogni borghese inibizione, come quelli che scampano un disastro aereo e non hanno più paura di nulla, e lavorerei sulle impalcature dei grattacieli, chi lo sa. Se invece fossi rimasto lì in fila, di lì a cinque minuti i carabinieri mi avrebbero semplicemente convinto ad accucciarmi al muro con le mani alzate, mentre sequestravano i server con un sacco di immagini compromettenti (compromettenti per loro, visto che in tutti questi anni non risulta le abbiano usate per incriminare chicchessia). Ma non feci nulla di tutto questo, perché passò Glauco a dirmi che andavano a prendere una birra lì all'angolo e io dissi ma sì, chi se ne frega. Era tutto molto serio, e allo stesso tempo no.

Come Buzzati, quando la sera tornava a casa dal grande giornale e scriveva su un quadernetto il Deserto dei Tartari; come Fenoglio quando da bambino montava sui tetti e s'immaginava di sparare agli invasori, anch'io probabilmente nel mio piccolo pensavo che ci sarebbe stata una guerra prima o poi, almeno una Battaglia, e che solo la Battaglia mi avrebbe fatto uomo. La guerra però non arrivava mai e così ho provato ad arrangiarmi con Genova.
A Genova le cose erano estremamente serie, in effetti, e allo stesso tempo restare seri era spesso difficile: tutto rischiava di diventare puerile da un momento all'altro. La cosa di cui sono più fiero è il servizio d'ordine al concerto di Manu Chao, quelle quattro ore spese a sgolarsi per avvertire i ragazzini di non oltrepassare la linea rossa della corsia ambulanze, e per cortesia di non rompersi l'osso del collo sugli scogli. Mercoledì sera, prima di ritirarmi al campeggio, avevo lungamente cercato di mettere pace tra due skin francesi impasticcati che se le davano in piazzale Kennedy, e non avevano l'età di mio fratello. Poi mi ero scocciato: ero un adulto, non Madre Teresa.

In seguito ci furono le cariche di venerdì, e bamboccioni se n'erano visti molti, in uniforme e in tenuta da movimento. Noi stessi, soliti modenesi, ondeggiavamo da una piazza tematica all'altra, cercando di mantenere un distacco critico, ma anche annusando a pieni polmoni la voglia di mettersi nei guai, il profumo con cui la troia Guerra seduce tutti i ragazzini. Poi era corsa voce di un morto, anzi di due, di tre; dalla città salivano fili di fumo e tutto sembrava allo stesso tempo serio e patetico, e per quanto non fossimo allegri eravamo più che mai fieri di essere lì piuttosto che altrove. Sabato ci eravamo svegliati con la sensazione di essere più che mai nel giusto, e le cariche e la lunga anabasi per i quartieri della città scoscesa in fondo li avevamo vissuti con lo spirito giusto: che era lo spirito d'avventura. All'ora in cui Glauco mi invitò a bere una birra tutto sembrava finito, la tensione era scesa di molto; e l'ansia di aggiornare il blog (l'unico blog a Genova!) poteva sembrare una cosa puerile.

La birreria stava dietro l'angolo e faceva affari d'oro, perché era l'unica rimasta aperta in quel quadrante della città. C'incontrammo una ex compagna di classe di Glauco che si era trasferita in Belgio e faceva teatro e tornava in Italia solo per le rivoluzioni. Quella birra non l'ho mai bevuta – ma la storia credo di averla già raccontata, o no? Ma qui c'è un sacco di gente che forse non l'ha ancora sentita, e allora sedetevi ragazzuoli, che vi spiego. Ci fu un frastuono di sirene, e quando uscimmo a vedere, restammo molto stupiti che non fossero i soliti CC o PS o GdF o Forestali, ma una colonna di ambulanze e Croce Rosse. Magari le aveva chiamate proprio Fournier, che ringrazio. Ho sempre pensato che fossero state molto tempestive, come se i picchiatori delle Diaz le avessero chiamate ancora prima di irrompere.

Voi, com'è giusto, la storia la conoscete dalla A alla Z: il poliziotto che si graffia il giubbotto con un coltello e poi lancia l'allarme (hanno cercato di accoltellarmi), i carabinieri e i poliziotti che entrano, le ambulanze che arrivano, le barelle che escono, il questore il giorno dopo in conferenza stampa che mostra le prove della resistenza armata della Diaz: un piccone fregato al cantiere di fianco, le molotov che poi qualche poliziotto confessò di avere fabbricato, e che in seguito sono misteriosamente scomparse, un sacco di coltellini svizzeri e pacchetti di kleenex da non sottovalutare (se si pensa che la principale fobia dei ragazzini in uniforme da poliziotto erano i fantomatici "palloncini di sangue infetto"). A raccontarlo sembra una comica, col sangue finto e i pugni per finta che fanno saltare i denti per finta.

Quando però le vivi, certe situazioni, ti trovi come nel mezzo della battaglia: non hai la minima idea di quello che sta succedendo. Dopo esserci nascosti per un quarto d'ora dietro la saracinesca della birreria, alla fine cedemmo alla tentazione di andare a vedere cosa succedeva. Non si capiva nulla, e non c'era nessuno che ti raccontasse la stessa cosa. Siccome nessuno mi aveva spiegato che i server avevano preso il volo, io mi fiondai subito all'ufficio stampa per aggiornare il blog, che ora mi sembrava la cosa più adulta da fare; stavo inutilmente cliccando il tasto refresh quando sentii un boato d'umana indignazione che mi scaraventò di nuovo fuori, e mi fece arrampicare sulla cancellata di fronte alle Diaz. Cosa stava succedendo?
"Portano via un morto".

Il morto in realtà era una barella carica delle famose munizioni di cui sopra, ma coperte da un telo verde impermeabile, che faceva un effetto body bag orribile a vedersi. Rimasi appeso alla cancellata per un tempo che mi sembrò interminabile, fregandomi del blog e probabilmente inveendo e fischiando a poliziotti e infermieri, ben sapendo che non era la cosa più adulta da fare.

Più tardi sono entrato, come altri cento, e ho visto le cose che avevano già visto altri cento: ma le ho viste male, in fretta, sicché quando le rifanno vedere in tv (molto di rado) non le riconosco, oppure confondo ricordi televisivi e reali, e mi vergogno. La sensazione di trovarsi al centro delle cose, che ci aveva aiutato a drizzare le antenne per tre giorni, stava svanendo. Ricordo sempre quella porta dei bagni forata da un colpo secco di manganello: m'immagino sempre di trovarmi lì, di chiudermi in bagno, di sentire le botte di manganello e poi di vedere la mano del poliziotto che si sbuca dal foro, trova la maniglia e la apre. Ma non ero lì, per cui in fondo il mio è solo un film come un altro.

Genova mi ha fatto paura, bisogna dirlo: quando tornai a casa continuavo a sentire le sirene, di giorno, di notte, per una settimana. Poi mi è passata.
Genova mi ha dato la scossa, e per alcuni mesi mi ha spinto a fare cose serie; ma in mezzo alle cose serie continuavano a esserci molte storie buffe, ridicole e apparentemente inadeguate, che col tempo hanno preso il sopravvento. Ho concluso che la vita è così, seria e ridicola insieme, che il bambino egotico e curioso che mi porto dentro non deve per forza morire in seguito a una battaglia: può restarsene lì, a patto che non rompa troppo.
Adesso vivo in una città ancora più piccola, davvero una miniatura; continuo ad aggiornare il blog per un motivo o per un altro e non racconto balle da reduce ai ragazzini, perché un reduce non sono.
I ragazzini poi sono terribili, perché ogni anno ne arrivano di nuovi, e non c'è cura migliore alle nostalgie sciocche di una nuova infornata di allegri ignoranti. Questi che stamattina han fatto l'esame sono del Novantatré, cosa vuoi che gli freghi di un tafferuglio che scoppiò a 9 anni? Quello che gli fa drizzare le antenne sono gli argentini torturati sotto lo stadio e lanciati dagli aeroplani senza paracadute. Il desaparecido volante è un enigma che coinvolge Storia, Geografia e Scienze: da che altezza venivano lanciati? Che velocità raggiungevano durante la caduta? Cadevano in moto uniforme o con un'accelerazione costante? Morivano asfissiati, inceneriti come le meteore, o annegavano? Questi sono misteri intriganti per un ragazzino.

Io non vorrei dover aggiungere misteri alla Storia del dopoguerra, che già ne sovrabbonda. Crescendo i miei ragazzini dovranno prendere appunti sull'Italicus, sulla Stazione di Bologna, su Ustica, Piazza Fontana... io vorrei che almeno si risparmiassero le Diaz. In fondo sono un mistero minore, che con un piccolo sforzo da parte dei carabinieri e dei poliziotti onesti si potrebbe archiviare in breve. Non era mica la guerra, anche se "Diaz" ha sempre avuto un suono sinistro (i giornalisti non avrebbero potuto inventarsi di meglio). Si disse subito che era l'Argentina, il Cile. No: erano le Diaz, nemmeno una scuola vera, una piccola palestra in cui le forze dell'ordine dello Stato repubblicano persero del tutto l'autocontrollo, e ancora aspettiamo che ci spieghino il perché.
Dovrebbero farlo. Sarebbe un bene per loro, per il Senso dello Stato dei nostri ragazzini, e anche per me. Personalmente non ho voglia di rivedermi tra cinque o dieci anni in un documentario sgranato, mentre mi appendo all'inferriata come un deficiente. Non vorrei perdere tempo a spiegare a mio figlio perché ero lì. Ero lì perché in quel momento non avrei sopportato di essere altrove: fine.

lunedì 11 giugno 2007

forever young, reprise

Quando non so a cosa pensare, penso a Rutelli.

Qualche tempo fa la Repubblica ha fatto un sondaggio sul leader del Partito Democratico – ho perso il link, ma fidatevi. Veltroni ha preso il 30% e rotti. Il secondo mi pareva fosse Bersani – poi tutta una pletora di personaggi al cinque, al tre, al due. E in fondo, al termine di una coda lunga di uno virgola, Rutelli. Forse perché, alfabeticamente, Rutelli è un po' svantaggiato. Già. Sarà l'alfabeto.

Quando penso a Rutelli, non so bene a cosa pensare.
Di trasformisti ne ho conosciuti, li ho studiati: ai tempi della guerra di Libia Mussolini andava a fermare i treni, Bocca era nel GUF, Ferrara uscì dal PCI dopo una rissa da filopalestinese intransigente. E via e via. Ma Rutelli, ancora relativamente giovane, chissà come mi stupisce di più: veramente uno si chiede cosa si potrà inventare ancora. L'unica ideologia che non ha ancora vagamente costeggiato è il fascismo, e la cosa gli fa onore – ma aspettiamo, non si sa mai.

Badate bene: il trasformismo, in sé, non è un problema. Una persona può cambiare idea. Solo i cretini non le cambiano mai. Il punto è che Rutelli, tutte queste idee, non le veste proprio. Ve lo immaginate, Rutelli verde? Rutelli ai convegni ecologisti? È stato segretario nazionale dei Verdi Arcobaleno. E Rutelli che si fa le canne? Nel periodo radicale fu incarcerato per essersi fatto una canna in corteo. E Rutelli cattolico? Rutelli che va in Chiesa, s'inginocchia, si segna, si batte il cuore al Mea Culpa, ve lo immaginate Rutelli che intona il Gloria? Ecco, appunto. Il physique c'è, ma non è il physique du rôle. Volete mettere, per dire, con un Ferrara? Se una mattina Ferrara si sveglia teocon, come prima cosa si mette a compulsare le encicliche. Si documenta, e poi si atteggia – in fondo è un guitto, il basso del melodramma. Rutelli invece è manichino, alla gente non va giù.

Altrimenti non si spiega questo mistero: dai radicali, con tutte le loro eroiche battaglie, ai teodemocratici, con tutta la loro fede incrollabile nella Vita e in Cristo, passando dai Verdi (che sono quelli che dovrebbero salvare il mondo) e dal Municipio di Roma (che ha amministrato neanche male), Rutelli dovrebbe avere collezionato qualche umana simpatia, o no? E invece no! non lo sopporta nessuno. Ormai è un uomo d'apparato, lui che andava in giro coi cartelli davanti a Montecitorio, lui che augurava il rancio di San Vittore a Bettino Craxi, lui! ormai parla solo a nome dei quadri di partito. Se chiedi all'uomo della strada un leader del PD, a quello gli verrà in mente prima un paio di pelati, come Bersani o Letta, o di donne, come la Finocchiaro e… la Bindi! Persino la Bindi è più popolare di Rutelli. Su un altro sondaggio, di Excite, lo ha sorpassato Scalfarotto, un gay con le orecchie a sventola. Se ci pensate è incredibile. Rutelli in teoria dovrebbe essere quello col fascino.

Quando vi lamentate che ci sono pochi giovani tra gli aspiranti leader del PD, mi viene in mente Rutelli. Cioè niente.
Ma voi c'eravate, nel 2001? Perché io c'ero, e mi ricordo che l'Ulivo schierava contro Berlusconi un leader giovane, fascinoso, carismatico: Rutelli. E perse. Difendendosi bene, però. Ricordo che a quel tempo si parlava di "effetto Rutelli", che aveva avvantaggiato la Margherita rispetto agli altri partiti della coalizione. Si diceva che gli elettori di sinistra fossero già molto più uninominalisti dei loro rappresentanti. Non votavano più per un partito o per una coalizione di partiti, ma per un leader, per una faccia: e magari proprio quella faccia lì, a metà tra Kennedy e Albertone.

A quel punto cos'è successo? Da qualche parte qualcuno avrà spiegato come Rutelli dilapidò il suo capitale di leader dell'opposizione. Io non ricordo bene. Ma mi sembra che al termine dell'investimento emotivo della campagna elettorale, Rutelli smise per sempre di essermi in qualche modo simpatico. Tra Prodi e lui, nessun dubbio. Ne è prova che nessuno valutò mai seriamente una sua candidatura alle Primarie.

Ne è prova l'enorme credito che diamo a Veltroni, un politico che coi DS non ha poi dimostrato tutte queste meraviglie. Porta in dote l'amministrazione del Municipio di Roma, dove non mi pare abbia fatto molto meglio del suo predecessore. E allora cos'è che lo rende così popolare?
Potrò sbagliare, ma secondo me il segreto del successo di Veltroni è il gran vuoto che c'è intorno. Gli elettori volentieri eleggerebbero un leader relativamente giovane, con idee nuove e una cultura del Fare, e siccome non c'è, si arrangiano con Veltroni. Ma in teoria doveva esserci. In teoria doveva essere Rutelli. Più smarcato dai partiti tradizionali, più giovane, più bello. Ma nessuno lo considera più. Che ha combinato?

Qui, se ci riflettete, c'è un errore. Forse noi viviamo in un universo parallelo. Nell'universo in cui le cose vanno secondo logica, l'anziano e rassicurante Prodi è diventato il segretario del rassicurante partito della Margherita, mentre l'ex candidato della coalizione, giovane e rampante, ha continuato a fare il capo della coalizione, forte del suo carisma trasversale. Doveva andare così. Perché non è andata così?

Forse perché Prodi, con quell'aria di fessacchiotto, s'è letteralmente mangiato Rutelli? Nel lungo confronto ai vertici lo ha fiaccato, l'ha svuotato di tutto il suo fascino e l'ha trasformato in un'ameba reazionaria. E Rutelli è stato al gioco. S'è fatto svuotare. Perché? Forse non era abbastanza furbo. Bravo abbastanza per fare carriera coi radicali (capirai). Bravo abbastanza per vincere a Roma. Ma Prodi è su un altro livello.

Questa è dura da mandare giù, lo so. Mi rendo conto che Prodi non ha l'aria di un grande stratega, che sembrava e sembra uno scartino della Prima Repubblica. Tuttavia lo scartino della Prima Repubblica alla fine ha fatto fuori il giovane rampante. Il popolo che premiò la Margherita di Rutelli nel 2001 è solo una parte di quello che plebiscitò Prodi alle primarie del 2005. È un popolo che ha voglia di un leader, questo è sicuro. Se gliene proponi uno, anche usato, lo incorona di buon grado. E l'età non è un fattore importante. Mi dispiace. Non fu decisiva quando Rutelli sfidò Berlusconi, non lo è nemmeno oggi.

***

Quando vi lamentate dei pochi giovani in politica, e mi proponete una lista di giovani in politica, io penso a Diaco. Cioè a poco.
Perché lo conosco poco, davvero, di solito quando arriva cambio stazione o canale. In fondo non ho nulla contro di lui, tranne un'epidermica antipatia, ma nemmeno capisco perché debba dirigere il mio partito.
Qualche sera fa l'ho visto un attimo da Chiambretti: se non sbaglio è riuscito in pochi minuti a esprimere simpatia per Papa Ratzinger ("che non piace a nessuno") e a fare un coming out bisessuale. Cioè, capite, a lui non basta stare simpatico ai gay: deve stare simpatico simultaneamente a donne e uomini, gay ed etero, ma anche al Papa, "che non piace a nessuno"! come no, il problema del Papa è appunto che nessuno lo ascolta, nessuno gli vuole bene. E a quel punto ho cambiato canale, altrimenti faceva in tempo a esprimere ammirazione anche per Bin Laden. Lui stesso avverte che essendo cresciuto senza padre tende a cercarlo dappertutto: va bene, capisco, ma cercane almeno uno alla volta. Non puoi fare il bisessuale e il papaboy simultaneamente, non è serio, e anche se tu ci credi ugualmente non ti crederà nessuno.

Neanche Rutelli era arrivato a quel punto. Forse non ci aveva pensato, forse si sta mordendo le mani dal dispetto. So anche che in seguito Diaco è stato da Biagi a parlare della droga; sono sicuro che ne avrà parlato male, e tuttavia a questo punto non mi fido: secondo me vuole stare simpatico sia a chi si droga, sia a chi ha smesso, sia a chi non si drogherà mai; oltre naturalmente agli omosessuali, agli eterosessuali, ai bisessuali e al Papa. In teoria ormai Diaco dovrebbe essere simpatico a chiunque, in Italia; in realtà non lo regge nessuno. Come si spiega? Credo che sia l'effetto Rutelli: il giovane piacione in Italia non funziona. Tutti questi giovani rampanti che si credono Tony Blair, più in là di tanto non vanno. Se hanno costanza e un po' di fortuna possono anche metter radici in Parlamento, ma il cuore degli italiani è un'altra cosa.

L'obiezione la conosco: anche Berlusconi è un piacione. Come no. Ma lui conosce i suoi limiti. C'è gente che non lo amerà mai, e lui lo sa: li chiama comunisti, li considera coglioni, li disprezza e li provoca. Questo gli italiani lo capiscono, e lo apprezzano. Un politico che ti dà del coglione è la fantasia proibita di ogni democratico: stimola e divide. Rutelli e i simil-rutelli vorrebbero invece piacere a tutti. Appena si apre una nuova categoria sociale, una nuova idea politica, un nuovo genere sessuale, una novità su internet, ci si fiondano, e si mettono a stringere le mani. Ma l'italiano non abbocca. Stringere le mani in Italia non basta. Bisogna anche far gestacci all'avversario. Berlusconi è credibile, perché fa le corna. Prodi già un po' meno. Rutelli e simil-rutelli non s'azzarderebbero mai. Stanno ancora a cercare il padre, e gli anni passano. Datevi pace. Non potete piacere a tutti. In realtà per ora non piacete a nessuno.

mercoledì 6 giugno 2007

le petit guignol

Il blog di marzapane

L'inchiesta di Rignano va avanti (avanti?) e io continuo a non saperne nulla. Ma una volta ho scritto che Massimiliano Frassi meritava un discorso a parte. Questo discorso avevo poi preferito lasciarlo perdere: in fondo chi sono io per mettere in dubbio la serietà e la professionalità di uno che in questo settore ci opera da anni? Ho letto i suoi libri (uno prefato addirittura da Costanzo)? No. E allora, basta. Oltretutto pare abbia la querela facile. Chi me lo fa fare?

Il problema è che ha un blog.
E io – che non sono esperto di pedofilia, né di sociologia, né di pedagogia dell'età evolutiva – in effetti non posso dirmi esperto di nulla, tranne di blog. Di questi ho una certa esperienza, e di questo mi limiterò a parlare. Non del Frassi scrittore, del Frassi studioso, o del Frassi consulente, ma unicamente del suo blog. Che è interessante come oggetto in sé.

Probabilmente non è, come scrisse Frassi una volta, "l secondo blog più letto in Italia, dietro all’inarrivabile Beppe Grillo" (fonte?) Senz'altro è, come recita l'occhiello, "il Blog più letto nel campo della lotta alla pedofilia". Ed è un oggetto sconcertante, che meriterebbe di essere studiato dalle teste d'uovo del settore.

Se non l'avete mai visto, non cliccate subito. Vi chiedo prima un piccolo sforzo: voi come lo immaginate il blog di uno studioso serio del fenomeno pedofilia? Testi asciutti e senza fronzoli, data la gravità del tema? Una certa sobrietà nell'uso di immagini? E magari un corredo bibliografico di un certo spessore, visto che l'autorevolezza è una cosa che non s'improvvisa?

Ecco, il blog di Frassi è l'esatto opposto. Zero bibliografia, testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione "cinici"), e immagini prese di pacca dai film dell'orrore (dracula, zombies, eccetera). Ne risulta un effetto "Cronaca Vera" che stride non poco coi contenuti, eppure… conquista.

Attenzione: non sto dicendo che Massimiliano Frassi non sia un professionista serio. Sto dicendo che su internet ha deciso – consapevolmente, direi – di non giocare il ruolo del professionista serio, ma del cronista di nera. È una scelta curiosa, ma in fin dei conti legittima. C'è solo un limite, a mio parere: e adesso lo spiego.

Forse è una mia idiosincrasia, ma non mi fido di chi mostra foto di bambini picchiati o uccisi. È una vecchia polemica che facevo una volta coi neoconi: perché questa fregola di mostrare le piccole vittime della Jihad? Forse che i bambini palestinesi non muoiono allo stesso modo, e talvolta in numero maggiore? Ma soprattutto, che bisogno c'è di esibire la violenza? Dove finisce il diritto di cronaca e comincia il morboso? C'è chi è convinto che solo in questo modo io possa capire che la Jihad fa male. Le parole non bastano, figuriamoci i ragionamenti. Solo le foto, i filmati, le immagini. Solo l'occhio capisce: il cervello è troppo lento. A quei tempi mi pareva che i neoconi mi prendessero per fesso: se sono adulto, non ho bisogno di assistere a una decapitazione per capire che la decapitazione è una cosa orribile.

Frassi, purtroppo (per me), mi suggerisce la stessa sensazione. È chiaro che se parli di violenze sui bambini, non hai bisogno di mostrarmi nulla per farmi inorridire. O non è chiaro? Ad ogni buon conto, qualche volta Frassi preferisce farmi vedere le immagini. Tra un dracula, uno zombie, la magliettina dedicata al suo cane (peraltro simpatica), Frassi mi fa vedere foto di bambini piccoli neri e rossi di lividi. Ne trovate (ma vi sconsiglio di farlo) il 3 giugno e il 26 aprile.

La cosa sarebbe già di per sé discutibile: in dieci anni di Internet, queste sono le prime foto di bambini molestati in cui m'imbatto. Ma diventa assolutamente fuorviante dal momento che Frassi non sta parlando dei bambini delle foto, ma di Rignano Flaminio. E i bambini nelle foto non sono senz'altro quelli di Rignano, visto che le perizie non hanno fino a questo momento trovato prove di violenza fisica.
Questo, però, gli utenti del blog di Frassi non è detto che lo sappiano. Sul serio. Alcuni sono esperti e si sanno districare nel bailamme mediatico di questi giorni. Altri no: altri si fidano semplicemente dell'esperto. E Frassi in effetti un curriculum di esperto ce l'ha. Ma quando scrive il blog, più che un esperto somiglia davvero a un consumato redattore di nera: uno che da qualche parte del suo pc ha una galleria di foto di bambini picchiati, e freddamente decide ogni tanto di associare qualcuna di queste foto a un caso ancora aperto. Per quale motivo, se non quello di alzare un polverone intorno al lettore?

Potrebbe fare una cosa del genere su un giornale – una pubblicazione qualsiasi, Cronaca Vera inclusa? No, non potrebbe. Ma su un blog si può. Nessuno gli può obiettare niente. Non gli è imposto nessun criterio nella scelta e nell'abbinamento delle immagini. Può fare quel che vuole, e lo fa. Ecco un argomento interessante contro i blog, per chi dopo anni non riuscisse più a trovarne.

Tutto questo sarebbe già abbastanza inquietante se Frassi, con la sua Onlus, non fosse il consulente dei genitori dei bambini di Rignano; dopo essere stato ugualmente consulente dei genitori nel caso di Brescia. Le testimonianze nei due casi sono molto simili. A Brescia solo un indagato non è stato scagionato e sta scontando la pena.

Io continuo a non sapere se i bambini di Rignano siano stati molestati o no, ma sono sicuro che non sono quelli nelle foto. Se dovessi formulare un giudizio su Frassi unicamente dai contenuti e dai toni del suo blog, dal criterio con cui sceglie le immagini e le associa ai contenuti e dalle fonti (quasi mai citate), non avrei molti dubbi. Ma non devo farlo e non lo faccio.

Finisco con un'amplissima citazione dal giustiziere, che mi scuserà.

Il presidente deve far vivere una onlus, e per farlo deve trovare un campo “nuovo” di lotta agli abusi sull’infanzia.
Nel settore (l’ambiente) esiste già chi si occupa di combattere la pedofilia online, associazione Meter di Don Fortunato di Noto. Non si può neanche creare un telefono di segnalazione per i bimbi abusati (Telefono Azzurro Di Caffo).
Cosa rimane????
L’assistenza ai genitori degli abusati.
Nessuno ci aveva mai pensato. Anche perché il settore presente un piccolo problema intrinseco.
Quale?
Che, come sanno oramai anche i sassi, il 70% degli abusi avviene, purtroppo, in famiglia.
Problema non da poco…
Affatto. Basta dire l’esatto opposto.
Che il 70% degli abusi avviene fuori le mura domestiche ed il gioco è fatto!!!!
Ma non è vero!
Certo che no, ma chi se ne frega!!!!!
Non commetta lo stesso errore degli studiosi che combattono l'associazione, e nel farlo la controbattono con argomenti scientifici.
E come sperare di colpire una mosca con un bazooka; uno strumento inadatto.
Questi non fanno scienza, non gli importa di dire cose esatte. Non citano fonti.[…]
Il loro scopo è un altro.
Devono costruire un Panteon di esoterismo satanico.
Devono costruire allarme e diffidenza.
Devono alimentare paura.
Guardi il loro blog, che è il vero sito dell'associazione, tutto è analizzato sull’architettura del terrore.
Stupri, sangue e perversione.
Ogni ansa che parla di questo viene riportata.
Se in giornata non vi è nulla di pedofilia i nostri non demordono, spaziano ad altro. Donne violentate, uccise, banditi che escono dal carcere con permessi, animali torturati.
Tutto fa brodo, basta che sia Grand Guignol. Bisogna convincere la gente che il mondo è pieno di orchi cosicché i più sospettosi verranno da loro a far vedere i propri figli.


Anche del giustiziere so molto poco: e quel poco che so l'ho desunto dal suo blog, dai suoi toni, dalla scelta delle immagini, dal suo uso delle fonti. Resta un modo molto pericoloso di formulare i propri giudizi: voi non fidatevi. Fate un giro qui e là, confrontate, cercate. E non fidatevi di chi vi spaccia foto di bambini. In generale.

martedì 5 giugno 2007

"fango e vergogna"

S'io fossi Papa (sarei allor giocondo?)

Ora spiego come risolverei l’emergenza pedofilia, se fossi il Papa. La cosa è ridicola, ma su un blog si può fare.

E dunque, se fossi un Papa mi metterei a chiedere scusa. Una cosa che noi Papi sappiamo fare bene, come ha scoperto il penultimo, e invece di indebolirci ci dà forza: un Papa che chiede scusa è coraggioso e moderno, senza smettere di essere il Capo; perché solo il Capo ha diritto di chiedere scusa, ed anzi è proprio chiedendo scusa che dimostra a tutti di essere il capo. Abbiamo coperto decine di casi di pedofilia? Centinaia? Migliaia? E io vi subisso di decine, centinaia, migliaia di scuse. E non farei passare quattro o cinque secoli, come con Galileo. Cercherei di portare le vittime in sala Nervi e m’inginocchierei ai loro piedi.

Se fossi il Papa, lascerei perdere la questione del diritto canonico: come se le pecorelle della mia chiesa s’intendessero di latinorum. Sì, è vero, è stato bravo Monsignor Fisichella da Santoro giovedì scorso: ma pensate che spiegando al popolo la crimen sollicitationis abbia convinto qualcuno? E metterei a tacere i rispettabili studiosi che si sono autonominati difensori della mia Santa Madre Chiesa su un tema delicato come questo: è inutile perdere tempo a verificare se quel programma della BBC sia autorevole o no. Il programma mostra casi di pedofilia che sono stati coperti: questo nessun cardinale, nessuno avvocato lo ha potuto oppugnare. La Chiesa a volte ha coperto dei sacerdoti colpevoli di atti di pedofilia: punto. E scusa, scusa, scusa.

Se poi ci fosse davvero qualcuno di questi sacerdoti latitanti rifugiato nel perimetro del Vaticano, valuterei la possibilità di estradarlo, a mo’ di vittima sacrificale. Perché sono il Papa, e di sacrifici me ne intendo. È il mio mestiere.
Perché se fossi il Papa saprei che questo non è solo uno spiacevole episodio: la campagna della pedofilia è la battaglia finale ordita dai nemici della Chiesa cattolica. O la vinciamo o ci spazzano via. Dobbiamo dimostrare che è un problema di mele marce, e quindi via le mele marce. E se qualche mela buona si perde nel procedimento, mi dispiace: sono il Papa, ho un miliardo d’anime da salvare e altri cinque da evangelizzare.

Sì, è vero che sono le stesse accuse che ci faceva Goebbels. Ma questo non è un punto a favore. Da Goebbels in poi avremmo dovuto attrezzarsi per evitare scandali di questo tipo: se non l’abbiamo fatto, abbiamo reso un pessimo servizio a Dio; che è il nostro datore di lavoro, ricordo.

Se fossi il Papa, sarei consapevole della mia parziale responsabilità. Nel penultimo secolo la civiltà del Crocefisso si è trasformata in civiltà del Bambino. La piramide sociale si è invertita: all’inizio del Novecento l’adulto e l’anziano stavano in cima: oggi è il Bambino il re. Basta dare un’occhiata a qualsiasi famiglia. Il Bambino siede in trono, è il consumatore ideale che sa solo chiedere Ancora. Ogni suo desiderio è consumo. Nessuno può toccarlo.
Crescendo perderà parte delle sue prerogative, ma rimarrà una figura regale fino all’adolescenza. Manterrà il diritto di molestare compagni ed educatori; questi ultimi continueranno a non poterlo sfiorare.
La Chiesa ha forse osteggiato questa rivoluzione copernicana? Al contrario: l’ha cavalcata alla grande. Si è trasformata da religione dell’Aldilà a religione della Vita. Ha perso interesse per gli adulti e gli anziani e si è concentrata sugli Embrioni, i bambini perfetti. Abbiamo persino abolito il limbo, espandendo il Paradiso a dismisura perché contenesse tutti gli aborti del mondo – perché abbiamo fatto tutto questo? Se fossi un Papa lo saprei. Probabilmente abbiamo colto degli spunti che erano nell’aria e abbiamo pensato che valesse la pena interpretarli. Meglio noi di molti altri, tutto sommato.

La pedofilia probabilmente è sempre esistita, in quei luoghi di cattività che sono i collegi religiosi o i seminari. Era, per così dire, un difetto sistemico di una gerarchia fondata sul celibato. Ma nella nuova civiltà del Bambino il difetto si è trasformato nel virus che può annichilire l’organismo della Chiesa da un momento all’altro. Non c’è un minuto da perdere: troppi minuti sono stati già persi.

La Chiesa ha molti nemici, e se fossi Papa saprei che non sono tutti a sinistra. Anzi, con quelli tutto sommato si ragiona. Se i nostri nemici fossero tutti gentiluomini come Santoro & co.: è chiaro che in questo periodo, col pressing che abbiamo fatto sulla politica italiana, non potevano che buttarsi sul fronte pedofilia. Ma l’hanno fatto con correttezza ed equilibrio, i soliti difetti dei liberi pensatori. Il vero problema non sono loro. Il problema sono i nostri diretti concorrenti nell’amministrazione delle coscienze: le sette protestanti che ci stanno buttando fuori dagli USA e che ci attaccano anche in Brasile. Le confraternite od ONLUS che anche in Italia trasformano i casi di cronaca in emergenze sociali. È tutta gente che vuole rubarci le pecorelle, e loro non hanno che continuare a soffiare sul caso pedofilia. Oggi già succhiano il cinque per mille, domani l’otto, dopodomani affitteranno San Pietro! Cosa vuoi che importi se anche i pentecostali hanno la loro quota rilevante di indagati per pedofilia? se in tv comincia a passare il messaggio Chiesa Romana = Chiesa pedofila, possiamo ribattere con tutte le statistiche del mondo: avremo perso. E noi non possiamo permetterci di perdere, perché lavoriamo per Dio.

Se fossi il Papa la penserei così, ma non lo sono.
Il Papa è Joseph Ratzinger, che qualche mese prima di essere nominato, in un’intervista alla tv italiana, accusò “il clima post-conciliare” di aver favorito la diffusione di una certa tendenza alla pedofilia tra i sacerdoti. È chiaro il pensiero dell’ex cardinale Ratzinger? Semplifico: per duemila anni non ci sono praticamente stati preti pedofili, poi hanno smesso di dire la messa in latino, si sono messi i pantaloni, e hanno cominciato a toccare i bambini. E a uno così tocca salvar la Chiesa? Naturalmente lo Spirito Santo ha le sue ragioni, che non posso conoscere.

Però così, a occhio e croce, direi che con questa gestione la Chiesa di Roma è spacciata. E mi dispiace: perché quello che viene dopo è anche peggio. Il Cattolicesimo ha i suoi difetti, ma non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli del cristianesimo born again e fai-da-te di chi prenderà il suo posto. Quella è gente buona solo a plagiare il prossimo, senza controllo, senza gerarchia. Quando avranno loro il controllo del quartiere o della scuola, chi gli impedirà di toccare i bambini?

domenica 3 giugno 2007

il noioso Paese che è il mio

Io non mi sento italiano
(ma per fortuna, o purtroppo, lo sono)

A me Tarantino, quando dice che il cinema italiano non gli piace più, ricorda una comparsa di un vecchio film di Scola, una vecchietta inglese in un ristorante che dice: "quando eravate poveri eravate più allegri". O dice simpatici? Non mi ricordo nemmeno il nome del film.

Quando eravamo poveri in effetti avevamo una delle cinematografie migliori al mondo. Poi siamo diventati un po' meno poveri, ma eravamo ancora abbastanza pitorèschi, e facevamo buoni film di genere. Quelli che piacciono a Tarantino spesso sono stati girati da registi psicopatici, o comunque sensibili alle psicopatie degli spettatori, che pagando il biglietto volevano donne nude appese ai lampadari, donne in pasto ai cannibali, donne straziate dai coltelli, donne colate nella soda caustica, insomma donne nude e pronte da ammazzare. È vero che questi film non li facciamo più. Avremmo anche pudore ad andare alla cassa a pagare il biglietto. Per cui a Tarantino non interessiamo. Ma fosse solo Tarantino. È allo spettatore moderno, è al mangiatore di popcorn globale che interessiamo sempre meno. Anche se continuassimo a sfornare capolavori – che, bisogna dire, non sforniamo.

Poi c'è un altro problema, che non riguarda Tarantino, ma lo spettatore del circuito d'essai globale. Noi italiano che non sappiamo più fare B-film (non siamo più abbastanza poveri, o psicopatici), in teoria dovremmo essere ancora in grado d'interessare almeno lui. Abbiamo in effetti ottimi registi, anche giovani. Questa stagione, pure molto scarsa, come minimo ci ha dato un buon Crialese e buon Amelio, e scusate se è poco. E invece no. Lo spettatore d'essai preferisce i filmoni cinesi cappa-e-spada o quelli statici cielo-mi-s'è-allagata-la-vallata. O i picchiaduro coreani. O quei film immobili iraniani. O i musical indiani. Insomma, qualunque cosa che sappia un po' d'oriente, al limite un po' di meridione, in una parola: esotico. E noi non siamo esotici. Nemmeno un po'.

A un certo punto – decidete voi quale – ci siamo bloccati. Abbiamo smesso di essere un Terzo Mondo allegro e pittoresco, senza diventare quel famoso Paese Normale.
Non siamo abbastanza normali per fare da location neutra ai film moderni, che parlano delle cose che succedono oggi agli spettatori moderni e globalizzati. Quei film vengono bene negli USA, che sono il Grande Dovunque. Con qualche aggiustamento si possono ambientare anche in Francia, o in Inghilterra. Al limite in Germania. La Spagna, fateci caso, è ancora una location vagamente esotica. L'Italia no.

Si possono raccontare in Italia storie "esportabili", che parlino al mangiatore di popcorn tedesco, o francese, o USA, dei suoi precisi problemi? Si può fare, per esempio Muccino lo faceva (ed è anche riuscito ad esportarsi). Ma è difficile farlo bene, e probabilmente il mangiatore preferirà il prodotto di un altro Paese.
Quanto all'esotismo, capirai. L'ultima cosa che c'è rimasta è la criminalità, e tutti i dibattiti sul cinema o la letteratura "di genere" che si fanno ormai da 15 anni a questa parte sottointendono questo: i cineasti e gli scrittori italiani, se vogliono sopravvivere alla globalizzazione, devono riconvertirsi alle storie di malavita, l'unico prodotto ancora esportabile. Con ovvi rischi d'inflazionare il prodotto.

La nostra bella Repubblica ha tanti problemi. Uno di questi, evidenziato da Tarantino, è che è poco interessante. Non è abbastanza normale e non è più esotica. È una nazione con un grande passato. Gli americani, quando vengono a farci i film, vorrebbero ancora mettere la scena in cui un macchinone viene bloccato dalle pecore su una stradina appena asfaltata (c'è in un film del '94!). Probabilmente lo sanno, che l'Italia non è più così. Ma dal loro punto di vista è un peccato: quella scena è un classico, funziona, forse valeva la pena mantenerci nel sottosviluppo per continuare a girare scene così.

Io a volte scrivo dialoghi, e ho sempre paura che mi escano americani. Sin da bambino m'è parso di parlare un po' troppo come nelle sitcom americane, e di aspettarmi risate in sottofondo. Le situazioni delle sitcom sono universali. Tutto il mondo ci si specchia. Ma lo specchio è americano: le versioni italiane suonano sempre false, stanche, distorte, prevedibili.
Allora provo a metterci un po' di vernacolo. E plof! Cado nell'eterno bozzettismo italiano, buono per gli spot alimentari: l'emiliano bonaccione, il romano sarcastico, il napoletano pigro, il toscanaccio eccetera. Non se ne può più di queste cose, ma altre all'orizzonte non ce ne sono.

Io in effetti ieri avevo in mente di scrivere il mio temino sul fatto che non mi sento italiano, non perché disprezzi il mio Paese, ma perché lo trovo un'entità astratta, che mette insieme cose che non conosco e vorrei non conoscere, e tiene fuori cose che invece sento appartenermi: che senza aver nulla contro nessuno, mi sento molto più a mio agio a Lione che Caserta.

Poi mi sono sentito falso, perché non è vero che non ce l'ho con nessuno, io, io, io in realtà ce l'ho con tutti. Ce l'ho coi meridionali, coi settentrionali e col centro. Con la plebe, con gli operai, con gli artigiani. Ce l'ho con gli industriali. Con gli sportivi e gli intellettuali. Coi giornalisti. Con la Scuola, l'Università e la Ricerca. Con l'arredo urbano. Mi danno anche un po' sui nervi gli appennini.

Tutto questo per ovvi motivi: il malgoverno, la corruzione, l'emergenza rifiuti, eccetera eccetera. Ma forse c'è una ragione più privata. Vorrei scrivere storie, e qui non ci riesco. È l'unico Paese che conosco veramente. Ma è un Paese poco interessante.

Poi mi riscuoto e cambio idea: non è vero. L'Italia è un'avanguardia di tutti i guai che verranno. Quando nacque il totalitarismo moderno, nacque proprio qui, dalle mie parti. Se c'è stato il rischio di una telecrazia in Europa, è partito dalla Brianza. La frontiera tra il Sud e il Nord del mondo passa da qui, è la frontiera mobile di tutte le facce scure che vedo in giro. Persino l'eventuale diluvio comincerà da qui. E io sono in prima fila.

Forse è vero che non mi sento italiano; pure l'Italia m'interessa. Come problema. È complicato, e io amo i problemi complicati. Viva l'Italia.

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