Ecco, io ho questa teoria (#55): dietro tante parole, SB voleva dirci che è stanco, e che se non lo disturbiamo, se lo lasciamo dormire per altri due anni, lui nel 2013 potrebbe anche decidere di andarsene in pensione.
Un affare, insomma. (La fine di Berlusconi è on line sull'Unità.it e si commenta, per ora, qui. Buon anno!)
Possiamo prendere la conferenza-fiume di Berlusconi come l'ennesima prova della sua megalomania, oltre che del suo buonumore, ora che le nuvole del 14 dicembre sembrano essersi aperte. Ma dal momento che sono gli ultimi giorni dell'anno, e abbiamo quanto mai bisogno di sperare in un 2011 migliore, possiamo anche vederla in un altro modo: con il discorso di giovedì, Berlusconi ha annunciato nientemeno che la sua fine. Sì. Il suo ritiro dalla politica. Sembra impossibile, eppure è successo.
Certo, questa fine occorre leggerla tra le righe (centinaia di righe). Però, giovedì scorso Berlusconi si è lasciato scappare due o tre dettagli che, messi insieme, tracciano una exit strategy per il berlusconismo. Primo: B. ha smentito di essere interessato al Quirinale nel 2013. I più smaliziati osservatori ci ricorderanno che ogni serio aspirante al colle passa gli ultimi anni a schermirsi e smentire. Ma è stato un anno duro per tutti (anche per lui), proviamo a credergli. Secondo: dopo il 2013 B. non sembra nemmeno interessato a restare a Palazzo Chigi. Naturalmente il successore dovrà essere un uomo di fiducia: qualcuno che attualmente è già nella squadra di governo. Ma non sarà più lui, è già qualcosa. Terzo: ha intenzione di impedire a sua figlia Marina un eventuale ingresso in politica, e quella parola (“impedire”) è una delle più pesanti adoperate in più di due ore di diretta.
Se ne deduce che, se tutto va in un certo modo, a partire dal 2013 la famiglia Berlusconi potrebbe essere fuori dalla politica – forse semplicemente perché non ne avrà più bisogno: gli ultimi processi dovrebbero essere andati in prescrizione, e comunque amici di famiglia siederanno a Palazzo Chigi, al Quirinale, e su buona parte degli scranni parlamentari. Tuttavia tutti questi signori, una volta miracolati, non avrebbero a parte la gratitudine nessun motivo per anteporre gli interessi di Mediaset a quelli della repubblica. Gli stessi figli di B., qualora decidessero malgrado tutto di scendere in campo, non raccoglierebbero l'intera eredità politica del padre. Il centrodestra si dividerebbe tra postberlusconiani di stretta osservanza e personaggi alternativi al berlusconismo, come Fini (vien da sorridere, ma ormai è così); da una divisione del genere potrebbe persino avvalersi la sinistra. In un modo o nell'altro, la transizione dal berlusconismo alla democrazia potrebbe cominciare. Sarebbe un percorso ancora lungo, e irto di ostacoli: ma quello più ingombrante (Berlusconi stesso) non dovrebbe esserci più. Magari sarà su uno sdraio di Antigua ad abbronzarsi davvero. Basta aspettare il 2013. In fondo il senso del lungo discorso è tutto qui. Perché non vogliamo aspettare il 2013?
Perché ci ostiniamo a parlare di alleanze anti-berlusconiane, addirittura di CLN, perché continuiamo a immaginare un fronte unito da Vendola a Fini? Perché continuiamo a ragionare sulle eventuali elezioni anticipate come se si trattasse di un referendum su Berlusconi? È una domanda retorica: lo facciamo perché lui stesso ha deciso così, quando ci diede questa legge elettorale. È soprattutto il premio di maggioranza alla Camera a rendere indispensabili le grandi ammucchiate. Quando la legge passò, Berlusconi era sicuro che sarebbe sempre riuscito ad affascinare almeno una metà degli italiani. Ora non ne è più così sicuro. Sotto il cerone è stanco, senza prospettive. Nel momento più lucido della conferenza ha ammesso di non avere nessuna idea su come guidare l'Italia fuori da una crisi strutturale che mette in discussione il benessere raggiunto nel secondo dopoguerra. È una crisi che considera inevitabile, causata dall'immissione nel mercato mondiale di milioni di lavoratori asiatici sottopagati, di cui non vuole e non può sentirsi responsabile. Quello che intende fare, da qui al 2013, è sorridere sulle macerie e suggerire a tutti un bagno di ottimismo: stringere le mani ai capi di Stato e organizzare per loro meravigliose feste, con fondali di cartone e statue ricostruite per l'occasione. Quello che gli serve sono altri due anni di passerella: due anni per dimostrare a tutti che, senza essere l'unto del signore, è comunque un politico instancabile con un grande senso dell'umorismo. E poi promette che se ne andrà, senza farci altro male.
In pratica ci sta chiedendo l'onore delle armi: sa di essere mortale (e questa è una notizia), ma vuole andarsene invitto. Sui libri di Storia ha intenzione di lasciare il suo sorriso, non la smorfia di dispetto degli sconfitti. Dunque non abbiamo che lasciarlo governare ancora un po', magari con qualche transfuga di Casini, o Casini stesso. Il messaggio della conferenza, più o meno consapevole, era questo.
In profondità ce n'è un altro: se invece abbiamo intenzione di sfidarlo, se vogliamo davvero la campagna di primavera, lui non avrà nessuna pietà. Le sfide lo ricaricano, è cosa nota. Ha già in mente il nuovo nome del nuovo partito, il nuovo slogan. Sfodererà tutti i vecchi trucchi e ne inventerà di nuovi: sorriderà da milioni di manifesti, si pianterà davanti alle telecamere e nessun Minzolini avrà più il coraggio di sfumarlo. E a quel punto addio 2013: ce lo terremo finché campa, e forse anche un po' di più. Non c'è dubbio che possa succedere. Ma per ora lui stesso sembra scongiurarci di non farlo, di non provocarlo, di lasciarlo sfumare lentamente. Vuole che lo amiamo, o almeno che facciamo finta – per altri due anni. Altri due anni di non governo, di riforme che distruggono, di tagli senza prospettive. Ce la possiamo fare? Buon 2011. Il peggio magari è alle spalle. http://leonardo.blogspot.com