La mia prima impressione fu quella di tutte le fotografie e i filmati che avevo visto di Belsen e posti del genere, perché tutti i pazienti avevano la testa rasata. Non c'erano sedie, solo barelle. Sono dello stesso tipo di quelle usate durante la prima guerra mondiale. Non c'è un giardino, nemmeno un cortile. Niente di niente. Allora mi chiesi: che cos'è questo posto? Sono due stanze, di cui una ospita tra i cinquanta e i sessanta uomini, e l'altra tra le cinquanta e le sessanta donne. Stanno morendo. Non ricevono molte cure mediche. Praticamente non ricevono nemmeno antidolorifici oltre all'aspirina e, in pochi casi fortunati, del Brufen o cose del genere, per il tipo di dolori che accompagnano il cancro terminale e le malattie di cui stavano morendo... Non avevano un numero sufficiente di fleboclisi. Gli aghi li usavano e riusavano all'infinito e di tanto in tanto si vedeva una suora sciacquare gli aghi sotto il rubinetto dell'acqua fredda. Chiesi a una di loro perché lo faceva, e mi rispose: "Be', per pulirli". Allora le dissi: "Sì, ma perché non li sterilizzi; perché non fai bollire l'acqua e sterilizzi gli aghi?" Mi rispose: "Non ce n'è motivo. Non c'è tempo". Il mio primo giorno di lavoro, finito il turno nel reparto donne andai ad aspettare fuori dal reparto uomini il mio ragazzo, che assisteva un ragazzino di quindici anni in fin di vita, e una dottoressa americana mi disse che aveva cercato di curarlo: aveva un problema renale relativamente semplice che era andato peggiorando sempre più perché non gli avevano somministrato antibiotici. Aveva bisogno di essere operato. Non ricordo quale fosse il problema, ma la dottoressa me lo disse. Era arrabbiatissima, ma anche molto rassegnata, come capita a molte persone in quella situazione. Disse: "Be', non vogliono portarlo all'ospedale". E io: "Perché? Basterebbe chiamare un taxi e portarlo all'ospedale più vicino, e chiedere che venga curato. Farlo operare" Lei rispose: "Non lo fanno. Non vogliono. Se lo fanno per uno, devono farlo per tutti". Allora pensai: ma questo ragazzino ha quindici anni. Tenete presente che le entrate complessive di Madre Teresa bastano e avanzano per attrezzare svariati ambulatori di prim'ordine nel Bengala. (Testimonianza raccolta da Christopher Hitchens in La posizione della Missionaria, che titolo del cazzo, 1995).Prima dell'India, prima dei poveri, prima della dottrina sociale della Chiesa, prima di qualsiasi altra idea o concetto, nella nostra memoria involontaria Madre Teresa evoca un'immagine precisa: le rughe. Non c'è una Teresa di Calcutta senza rughe. Cercatela su google: non si trova. Avrete miglior fortuna digitando il nome secolare, Anjeza Gonxha Bojaxhiu (nata a Skopje, a quel tempo Kossovo ottomano, poi Regno di Jugoslavia, poi Macedonia jugoslava, oggi repubblica di Macedonia). Sin dai primi suoi timidi passi sulla ribalta mondiale (più o meno 1969: stava per compiere 60 anni), Teresa ha sempre mostrato quella faccia vizza che le persone della mia generazione erano abituati a identificare in pochi decimi di secondo. Prima di cambiare canale.
Perché nessuno guardava volentieri Madre Teresa. Di lì a poco di solito l'obiettivo si sarebbe allargato e intorno a lei sarebbero comparsi bambini denutriti o lebbrosi e mosche e tutto il resto, e da questa parte del televisore era quasi sempre ora di pranzo o cena. Madre Teresa è l'unica celebrità internazionale davanti alla quale veniva spontaneo abbassare lo sguardo. Questo, paradossalmente, potrebbe essere stato il segreto del suo straordinario successo. Senza dimenticare il velo delle missionarie della Carità, con quella banda di un bell'azzurro su bianco, sobria ed elegante, in mancanza del quale forse non avremmo mai riconosciuto davvero Madre Teresa di Calcutta. Le sue rughe in fondo non sono quelle di una qualsiasi signora di una certa età? Se oggi incontrassimo una Teresa vestita in abito civile, mentre chiede la carità in qualche luogo pubblico, la scambieremmo abbastanza facilmente per una mendicante abituale. E faremmo esattamente la stessa cosa che facevamo con la Teresa originale: scapperemmo via, magari lasciandole in mano una cifra qualsiasi, consapevoli che quello che stiamo facendo non servirebbe a nulla, né a distenderle le rughe né a salvare o cambiare la vita di qualcuno, e nemmeno ad alleviare un nostro senso di colpa o un semplice fastidio. Si tratta semplicemente di svincolare il prima possibile da una presenza sgradevole (continua sul Post...)
Commento qui che non ho voglia di registrarmi sul Post
RispondiEliminami si fa notare che nelle Opere di Misericordia non è prescitto di "curare" gli infermi, ma solo di *visitarli*
http://it.wikipedia.org/wiki/Opera_di_misericordia
:-)