Quando sui giornali sarà finita l'ennesima ondata di pezzi di colore sui livornesi che sfottono i pisani, sui brianzoli che non si rassegnano all'essere milanesi, sul dolore di Chieti per l'annessione a Pescara, eccetera, sarebbe bello finalmente leggere qualcosa di sensato sulla più grande e drastica opera di ridefinizione delle entità amministrative locali dall'Unità a oggi. Sarebbe bello riuscire a parlarne seriamente, dell'accorpamento delle province; sarebbe giusto leggere sui quotidiani qualche riflessione sensata su cosa significa diminuire gli enti provinciali e aumentarne la grandezza (e quindi anche il potere contrattuale?) Invece di leggere del sindaco di Prato che riceve i giornalisti sul gabinetto, delle diffidenze tra padovani e trevigiani eccetera.
Una provincia non è un campanile. La nuova riforma non impedirà certo a modenesi e reggiani di prendersi in giro, così come massesi e carraresi fanno da un secolo anche se molti sono convinti che siano un solo capoluogo. Forse la provincia è l'esatto contrario del campanile: il luogo in cui le esigenze dei centri si armonizzavano con quelle del territorio circostante. Le province sono state, dall'Unità a oggi, le maglie di un tessuto complesso, avvinto a un territorio eterogeneo. Non a caso le loro competenze riguardano quasi esclusivamente la tutela delle terre e delle acque (e delle strade, non meno importanti). La retorica populista che in questi anni ci ha voluto convincere che le province "non servono a niente" nasconde il nostro progressivo scollamento da un territorio che non capiamo, attirati come siamo dai Centri. Non lo vediamo nemmeno più, il territorio, dai finestrini di treni sempre più veloci; salvo spaventarci e indignarci quando lo stesso territorio si ribella, e frana o smotta. In quei casi ci accorgiamo che avrebbe dovuto essere amministrato meglio - ma da chi? (continua sull'Unita.it - H1t#152).
Una provincia ben gestita è una provincia che ha una rete viaria efficiente; che conosce le necessità del suo territorio; sa dove rimboschire per evitare le frane a valle; sa dove intervenire per evitare le alluvioni; sa interpretare il pericolo sismico regolamentando l’edilizia di conseguenza. Tutto questo i comuni non lo possono fare: hanno un orizzonte più corto, ogni comunità vede solo il tratto di fiume che l’attraversa. Né possono farlo le regioni, enti troppo grandi, portati per forza di cose a privilegiare le esigenze dei centri più popolati (che portano più voti) e accantonare il resto. È ben triste che molti sedicenti federalisti italiani abbiano predicato, negli ultimi vent’anni, niente più che un accentramento a livello regionale, quasi un ritorno alle vecchie signorie e alle loro capitali, Torino Milano Venezia…
Che le province fossero troppe, che alcune fossero assolutamente inutili, è abbastanza indiscutibile. Un accorpamento era inevitabile, ma con che criteri? Che senso ha mettere assieme Lodi Cremona e Mantova, o Verona e Rovigo? Prendiamo quest’ultimo esempio. Unire a una grande provincia, come quella di Verona, un territorio molto diverso e assai meno popolato, come il Polesine, significa creare un ente geograficamente bizzarro come forse non si era mai visto, sulla carta d’Italia, dall’Unità in poi. Non è semplicemente la stranezza di una lingua di terra che va dal Lago di Garda al mare. La rappresentanza in consiglio non potrà che premiare i comuni della parte più popolosa; costoro, per quanto illuminati, se vogliono far fede agli impegni presi coi loro elettori (ed essere riconfermati) non potranno che anteporre gli interessi del territorio più abitato. È la democrazia, funziona così.
Ma non è detto che funzioni sempre bene. Ce ne accorgiamo quando un fiume straripa, e la cassa di espansione avrebbe dovuto essere costruita magari centinaia di chilometri più a monte. La regione avrebbe dovuto preoccuparsene, ma aveva altre priorità, legate a territori più popolati e più rappresentati in consiglio regionale. Non resterà che lamentarsi dell’emergenza che nessuno aveva previsto: e trovare da qualche parte i soldi per la ricostruzione. Se spenderemo più di quanto avevamo risparmiato accorpando una provincia, nessuno se ne accorgerà. Sono conti difficili, calcoli noiosi, non li farà nessuno.http://leonardo.blogspot.com
Bel pezzo. E poi non ci si chiede perché le regioni siano state l'ultimo ente amministrativo ad essere creato, quando le province esistevano già da un po'.
RispondiEliminaA proposito di campanile (anche se non è il mio): si dice Carrarini e non Carraresi.
Personalmente ritengo che il Governo abbia agito male in quanto si è limitato ad accorpare le province esistenti senza voler ridisegnare i confini come invece un tale riordino avrebbe necessitato.
RispondiEliminaL’esempio classico è la Liguria, ove ci si è limitati ad accorpare due province, mentre invece una sistemazione logica sarebbe stata creare la città metropolitana di Genova limitatamente al solo agglomerato urbano di genova ed il resto dividerlo in Riviera di Ponente e Riviera di Levante; i capoluoghi delle due Riviere? Due località relativamente centrali, ma non è molto importante.
Idem per la Toscana: se si è deciso che le province debbano essere 4 + una città metropolitana, nulla in contrario. La zona densamente popolata dell’agglomerato urbano fiorentino-pratese sarebbe stata una c.m., ritagliando via la zona appenninica che assieme a le vecchie PT e LU (esclusa la costa) avrebbero formato una meravigliosa “Toscana Appenninica”, cui avremmo potuto aggiungere un “Alto Arno, Chianti e Val di Chiana”(AR + parte di SI) , una “Maremma” (GR, parte di SI e parte meridionale di PI e LI) ed una “Costa Apuana e Basso Arno” (MS, parte costiera di LU, parte Nord di PI e LI).
Ho citato Toscana e Liguria, ma suddivisioni analoghe si sarebbero poute fare per tante altre regioni, ridefinendo i confini, penso ad esempio ad una provincia della Romagna, oppure ad una del Salento e così via. Invece si è scelto di procedere con gli inglobamenti, cosa che stuzzica da morire i campanilismi locali. Forse il Governo non lo sapeva che gli Italiani sono campanilisti? E da dove viene, dalla Luna?
Spinte dal campanilismo locale nasceranno una serie infinita di consultazioni locali tipo Piacenza che passa in Lombardia, Matera in Puglia (perché “piuttosto che essere annessi da Potenza…”), Massa che si vuole unire a La Spezia, eccetera… tutte queste diatribe avranno un loro costo, erano faclmente prevedibili, ma non sono state previste.
Infine la questione dei capiluogo: la decisione è stata quella di scegliere il comune più popoloso e stop, senza curarsi della sua centralità nella neoprovincia: il risultato è che i neocapoluoghi spesso si trovano in posizione decentrata, quando anche qui un po’ di buonsenso avrebbe aiutato. Ad esempio qual è la città in posiozione centrale nella neoprovincia MS + LU + PI + LI? Aprendo la cartina si vede che è Viareggio, che quindi sarebbe stata un ottimo capoluogo… ma invece è stata scelta Livorno, che è sicuramente il comune più popoloso, ma che non è che si raggiunga facilissimamente partendo dalla Lunigiana.
Insomma, personalmente ritengo che questa riforma montiana sia un’occasione sprecata: sarebbe stata un’ottima occasione per abbassare realmente i costi, ma la scarsa conoscenza del territorio (sia in termini di campanilismi offesi sia in termine di trasporti) farà di fatto aumentare i costi.
Ho citato Toscana e Liguria, ma credo che ragionamenti analoghi sono estendibili a tutto il territorio italiano.
Cito poi un ultimo dettaglio: in Francia le province non si chiamano con la città, ma con il fiume, in questo modo nessuno si sente “annesso”. Era una cosa semplicissima da farsi e non avrebbe scatenato campanilismi, ma evidentemente il Governo ignora che in Italia esistono i campanilismi e con essi occorre fare i conti.