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giovedì 3 ottobre 2013

Respira piano, a piccoli sorsi

Gravity (Alfonso Cuarón, 2013)


Nello spazio non esiste l'alto e il basso: ci sei soltanto tu - e le cose o ti girano intorno o ti arrivano addosso. Quando molte cose ti girano intorno, hai un problema. Non che tu possa fermarti - ameno finché non ti viene addosso qualcosa. Quando ti arriva addosso qualcosa, cerca di afferrarlo, o scansati più che puoi, perché non c'è un singolo oggetto nello spazio, non c'è un singolo frammento o pezzo di astronave o astronauta che non viaggi a una velocità mortale - sono tutte bombe, tutte pallottole, e non è colpa di nessuno. Non c'è niente di fermo nello spazio, la stessa parola "fermo" è un'astrazione con cui noi terricoli definiamo le cose blindate sulla superficie terrestre insieme a noi. Ma nello spazio si muove tutto, a velocità differenti, a traiettorie divergenti, ma sempre troppo velocemente. Nello spazio non puoi piangere, non solo perché non c'è atmosfera e non ti sentirebbe nessuno, ma soprattutto perché le tue lacrime tra milioni di anni potrebbero ancora essere in giro, asteroidi di ghiaccio e sale pronti a distruggere civiltà avanzatissime in pianetini microscopici, o bruciare come stelle cadenti. Nello spazio è complicato persino farla nel vaso, figurati scappare da una stazione spaziale distrutta verso un'altra stazione spaziale che sta bruciando in silenzio.

Nello spazio c'è tutto il silenzio che vuoi, e molto di più. Può esplodere una galassia o un'astronave alle tue spalle; se non sei voltato da quella parte non te ne accorgerai. Ma nello spazio non ti senti veramente solo, finché hai la Terra da qualche parte; finché puoi vedere albe e tramonti sullo stivale o sul delta del Nilo, e milioni di luci accendersi e specchiarsi sulle rive del Gange; non sei solo. Quindi aggrappati a qualcosa, a un'asta o a un'antenna o a un sojuz o a una frequenza a onde corte. Nello spazio davvero profondo, nel vuoto cosmico, ti senti soffocare: diventi l'astronave di te stesso e vorresti uscire, ma sei già fuori. Sei più fuori di quanto è possibile, hai infranto milioni di record che interessano soltanto a qualche abitante di una pietra che rotola a secondi luce di distanza. Nello spazio.

Non ci vuoi veramente stare. Non è il tuo posto, semplicemente. Non è colpa di nessuno, non esiste nemmeno il concetto. Nemmeno della vita esiste il concetto. È un accidente esotico causato da alcune muffe su una pietra che rotola a secondi luce di distanza. L’ossigeno nella tuta è già all’uno per cento, tra un poco inalerai soltanto co2, qualche allucinazione e poi sarai parte dello spazio, una lacrima nel vuoto; rotolerai intorno al tuo asse fino al prossimo collasso stellare. Sarai la luna di qualche rottame di stazione spaziale, o di un asteroide – tra milioni di anni non ci sarà nessuna differenza. O un meteorite che l’atmosfera accenderà come un fiammifero. Non è colpa di nessuno, anzi è giusto sia così, questo è lo spazio.

Ma tu ti ostini a respirare. Non hai niente da perdere, ma vuoi tornare indietro. Vuoi sentire il guaito di un cane, vuoi prendere fuoco o annegare, qualsiasi cosa sarà meglio di orbitare per sempre. Qualsiasi modulo russo o cinese ti è caro come l’utero di mamma. Carezzare l’atmosfera, a migliaia di chilometri l’ora, è come sfregarsi su una parete di cemento; ma ti sta bene, non c’è una cosa più bella di vedere finalmente un cielo azzurro dall’oblò che si sta incendiando.

E forse ce la farai, forse arriverai sulla terra e la bacerai; e un attimo dopo ti sentirai così pesante, ti ricorderai di come funziona su questa pietra la gravità, e per un istante solo rimpiangerai quel momento in cui eri un pianeta libero di ruotare sul suo asse.

Gravity è da vedere. È il più bello e verosimile e struggente film di astronauti mai realizzato – perlomeno James Cameron la pensa così, e chi siamo noi per contraddirlo. Forse non vi piace il genere, e l’idea di 90 minuti di astronauti che sbattono contro a relitti di stazioni spaziali vi terrorizza. Ma non dovete aver paura. Anche quando la lancetta dell’ossigeno segnerà lo zero – ce n’è ancora un poco nella tuta, ma mi raccomando, a piccoli sorsi. Da qualche parte c’è un sojuz caldo, una bottiglia di vodka nascosta sotto il quadro dei comandi. Gli occhiali 3d non sono indispensabili, ma vi aiuteranno a nascondere le lacrime. Forse Gravity non sarà il vostro film, ma è comunque la vostra natura: siete corpi gravi che girano all’impazzata, impattando ogni tanto, aggrappati a una speranza o a un’onda che suona del country o a un cane che abbaia, qualcosa che sopravviva a tutto quel silenzio.

Gravity è in 2D ai Portici di Fossano alle 20:30 e 22:30; in 3d al Cine4 di Alba (20:00; 22:15), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20; 22:40), al Multisala Impero di Bra (20:20; 22:30), al Multilanghe di Dogliani (21:30), al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Se tutto va bene avrete una storia pazzesca da raccontare.

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