La morale della favola è assai nota: si nasce incendiari, si muore pompieri. L'Italia è un Paese molto anziano, il dibattito pubblico è un giardinetto ostaggio di pensionati che borbottano e inveiscono contro i giovinastri rumorosi. I giovinastri stavolta non sono nemmeno particolarmente rumorosi – non spaccano neanche più le vetrine – ma i pensionati se la prendono lo stesso. Non dico che questa spiegazione non sia soddisfacente, ma vorrei proporne ugualmente una meno banale. Ferrara, la Maglie, la Pavone, hanno un altro carattere in comune: se la sono goduta parecchio, da enfants gâtés dell'Occidente. Il 1968 fu un episodio importante, ma se allarghiamo un po' lo sguardo il movimentismo è soltanto un momento della storia di una generazione; cui seguì la tentazione della radicalizzazione, il riflusso e il ritorno al privato, l'edonismo degli anni Ottanta, eccetera. Se volessimo assegnare a una generazione un'ideologia... saremmo dei maledetti semplificatori; ma se davvero volessimo farlo, diremmo che la priorità dei babyboomers è stata la liberazione dell'individuo. Una liberazione che negli anni Sessanta prendeva le forme della protesta sociale (ma senza trovarsi più a suo agio nelle forme tradizionali dei partiti di massa e dei sindacati); negli anni Settanta corteggiava la lotta armata; negli anni Ottanta si esprimeva nel consumismo senza più freni inibitori. Una liberazione che forse oggi smette di avere senso, nel momento in cui una ragazza svedese ci ricorda che non c'è futuro per chi non riesce a riciclare carta e plastica. Sono cose che fanno incazzare i babyboomers, non perché siano anziani – ok, ormai sono anziani – ma perché per buona parte della loro vita sono stati abituati a disobbedire alle regole, dubitare delle autorità, mettere in crisi le convenzioni. È stato un momento importante, in certi casi eroico e in altri tragico, ma è finito. Il consumo sfrenato è finito. Persino il capitalismo, sì, potrebbe avere i giorni contati. Non è colpa di nessuno, ovvero è colpa di tutti: siamo troppi, il pianeta si sta scaldando, eccetera eccetera. Greta è fastidiosa perché ce lo ricorda. È inquietante perché da un volto al senso di colpa collettivo di una e più generazioni, nei confronti di quelle che verranno e assisteranno coi loro occhi alla catastrofe ambientale che gli esperti danno ormai per difficilmente evitabile.
Quando il presidente dell’Istituto superiore di Sanità ci informa del rischio che “i nostri nipoti non possano più stare all’aria aperta per gran parte dell’anno a causa dell’aumento delle temperature”, non sta parlando dei protagonisti di un romanzo distopico: i “nipoti” sono Greta e i suoi coetanei. È normale che si preoccupino molto più dei padri e dei nonni. Il benessere che i genitori hanno dato per scontato è fatto di tanti privilegi a cui devono prepararsi a rinunciare. (continua su TheVision).
Oltre a dare un ultimatum ai governi che non sono in grado di recepirli, o a diffondere buone pratiche ambientaliste che da sole non risolveranno mai il problema, le manifestazioni della prossima generazione servono anche ad abituare gli stessi manifestanti ad accettare l’idea. Certo, molti continueranno a rifiutarla, come dimostra il fatto che la lotta ambientalista non è nata ieri eppure in questi decenni i progressi sono stati pochi e lenti. Eppure la lotta di Greta è lungi dall’essere inutile. Non sarà la soluzione, ma il ruolo di un’adolescente svedese per la sua stessa generazione è fondamentale.
Qualsiasi previsione più o meno scientifica sull’aumento della temperatura degli oceani e dell’atmosfera nei prossimi anni non ha ancora tenuto conto del dato più imponderabile: a un certo punto cominceranno a scaldarsi anche gli esseri umani, forse in modo incontrollabile. I tafferugli dei giléts jaunes francesi non sono che una timida avvisaglia di quello succederà in Occidente quando la crisi ambientale busserà davvero alla porta e i governi cominceranno a varare politiche di repressione dei consumi. Il che difficilmente succederà grazie a qualche manifestazione giovanile al venerdì fin quando ben più della metà della popolazione occidentale rifiuta ancora l’evidenza, e vota per chi fa del rifiuto un manifesto politico. Ma prima o poi succederà. E così come il terrorismo islamico non era sentito come un problema fino all’undici settembre, per avere il riscaldamento globale al primo punto dell’ordine del giorno bisognerà aspettare un disastro più eclatante del solito che metta davvero in discussione la vita e la sicurezza dell’Occidente (perché in fondo uragani e alluvioni ci sono già: e l’inquinamento fa già centinaia di migliaia di morti).
Ma quando i primi disastri costringeranno i governi occidentali a varare misure di emergenza, i cittadini accetteranno la progressiva soppressione delle libertà individuali? Giuliano Ferrara sicuramente no, basti ricordare il casino che fece quando un ministro gli vietò di fumare nei locali pubblici. Pazienza per Ferrara e per Maglie, ma quanti sono come loro? Non siamo un po’ tutti come loro? Quanto siamo disposti a modificare la nostra dieta, le nostre abitudini, il nostro stile di vita, i nostri desideri? Il giorno che una coetanea di Greta ci dirà che non possiamo più mangiare carne o prendere un aeroplano, forse capiremo cosa intendeva confusamente Maglie quando confessava di volerle passare sopra con la sua macchina.
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