[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Battiato, oggi con due classiche di cui una è veramente molto più classica dell'altra].
1981: Cuccurucucù (Battiato/Pio, #4)
Ahi ahi ahi ahi ahi cantava. Chi è che cantava? È ovvio, Francesco Battiato. È lui che faceva le serenate all'istituto magistrale nelle ore di ginnastica e religione (nella realtà le faceva in un liceo, ma quanto è crepuscolare ed efficace "istituto magistrale", per come sottende un pubblico di sognanti, aspiranti maestrine). È lui che cantava sui carri in maschera, è lui che per cantare ha indossato mille travestimenti, compreso il pellerossa con gli Osage Tribe. E cosa cantava? Per tante volte che ha raccontato come dai 18 ai 24 anni il suo lavoro sia stato la balera, non si è mai soffermato molto sul repertorio, che doveva variare molto col pubblico e col contesto. Il mare nel cassetto? Le mille bolle blu? Lady Madonna? Ruby Tuesday? Tre quarti dei ricordi appiccicati nel testo sono frasi di canzoni: evidentemente Cuccurucucù parla di questo. Di come canzoni e ricordi possano coincidere nella memoria di chi sin da ragazzino le ha cantare, per amore, per soldi e per piacere. Se siamo fatti di ricordi, siamo fatti di oggetti: di penne stilografiche, rasoi elettrici e soprattutto di dischi che girano. È questo che Battiato ci canta, prima di bloccarsi proprio come un vecchio disco su quell'ultimo like a rolling stone, stone, stone, stone, stone.
1983: Un'altra vita (Battiato/Pio, #29)
Un'altra vita fa parte del nucleo tematico di Orizzonti perduti, un disco piuttosto compatto. Scartando i due brani più eccentrici (il più amato, La stagione dell'amore e e il più odiato: La musica è stanca), ne restano sei: tre di ambientazione siciliana (Zone depresse, Mal d'Africa, Campane tibetane) e tre milanese (Tramonto occidentale, Un'altra vita, Gente in progresso). I titoli sono alternati, dando la sensazione di un pendolarismo tra Sud e Nord, mal di vivere e memorie famigliari. Dei tre brani milanesi, Un'altra vita è il più cupo e rivela una vera e propria ossessione per il traffico urbano (qui descritto con toni assai più depressivi che in Temporary Road). E poi c'è la tv, le "storie di sottofondo", di cui Battiato non omette i titoli: Dallas e [Anche i] ricchi piangono. Faceva uno strano effetto sentirlo declamare non più titoli di canzoni del passato, ma brandelli del paesaggio linguistico presente, quello che noi ascoltatori condividevamo con lui sulle stesse guide tv. Per noi più giovani – che molte di quelle canzoni le avevamo sentite soltanto declamate da lui, sentirlo ora cantare di Dallas, Viks Vaporoub, e Idrolitina sembrava la fine della poesia, del mistero. Ora, con un po' di distanza, anche queste schegge sembrano aver trattenuto un po' d'incanto crepuscolare (se vi chiedete cos'è, è uno dei motivi per cui non riuscite mai a vuotare i vostri cassetti)..
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