Sul serio, se ne potrebbe scrivere a lungo, e bene, di un film così coraggioso. Ma non lo farò, e un po' mi dispiace.
Qui sotto invece vorrei spiegare, spero senza offendere nessuno, perché malgrado tutto io a scuola non lo userò. Naturalmente, oltre a non essere un esperto di cinema, non sono nemmeno un luminare di didattica audiovisiva. Sono un praticone, come tutti gli insegnanti italiani: ho avuto parecchie classi, ho proiettato diversi film, e credo di aver capito perché coi miei ragazzi certi film funzionano e altri no. Magari è un discorso che funziona solo al mio paese. Ma potrebbe anche avere qualche utilità per chi i film li fa, o li produce, e non vorrebbe rinunciare al pubblico scolastico; che di sicuro non è quello che riempie le sale i primi giorni, ma che sulla distanza si fa sentire, e magari può trasformare un insuccesso ai botteghini in un long seller tra i dvd. Un film risorgimentale che non funziona a scuola, per quanto pregevole, non è un'occasione sprecata?
Perché Noi credevamo non funzionerebbe nella (mia) scuola media
Premessa: noi il Risorgimento lo facciamo ancora in terza (adesso). Tra un po' lo sposteremo in seconda, con le semplificazioni del caso. Quindi no, non mi lamenterò perché Mazzini non è filologicamente Mazzini; col poco tempo che abbiamo va già grassa se riusciamo ad abbinare al volto di Mazzini alcuni contenuti basilari (Giovine Italia, Repubblica romana 1848, l'Italia si fa ma lui muore clandestino).
1) Troppo veloce
Lo so, i ragazzini sono tutti iperattivi, nintendo, playstation, ritalin. Sì, ma proprio per questo poi li metti davanti all'Odissea di Rossi e vanno in trip lisergico. Le riprese statiche li ipnotizzano. A essere onesti anche Noi credevamo prende fiato, ogni tanto, soprattutto nella parte carceraria. Ma è già passata un'ora serratissima di gente che va e viene dal Cilento, Parigi, Torino, Ginevra; non c'è il tempo di parlare di un'insurrezione che l'insurrezione si fa e fallisce. In tutta questa cavalcata la narrazione va avanti dando per scontato centinaia di nozioni che lo spettatore medio conosce già (ad es., cos'è un “giacobino”), ma appunto: le conosce perché le ha imparate a scuola. E a scuola, appunto, gliele devi spiegare. Il più delle volte con il fermo immagine (durante il quale c'è sempre qualcuno che sbuffa, la spiega del prof non essendo molto meno indigesta di una televendita). Ecco, il grado di 'scolasticità' di un film si potrebbe misurare dalla quantità di fermo immagine a cui ti costringe. Un film che puoi vedere senza telecomando in mano è un film scolastico. Spesso sono film come l'Odissea o Allonsanfan, col fermo immagine incorporato. Noi credevamo è un film che comincia con una corsa a perdifiato, e chiede allo spettatore di inseguirlo. Nel ritmo forsennato della prima parte mi sembra di riconoscere la tipica sintassi del film condensato: quello che era stato progettato per quattro ore e poi è arrivato alle tre della versione nelle sale attraverso una serie di tagli meditati e, immagino, dolorosissimi. Il risultato, a vederlo nelle sale, è più che degno; ma a scuola no. A scuola, più un film è veloce, più ti tocca perdere tempo a spiegarlo. Conosco già l'obiezione: aspetta la versione televisiva, avrà tempi sicuramente più rilassati. E arriviamo al punto (2)
Signori, non li faccio io i programmi: quel che vi posso dire è che se parti a settembre con la Restaurazione e a giugno devi far crollare il muro di Berlino, e hai solo due ore alla settimana, 66 ore l'anno; e hai 25 alunni in media; e li devi interrogare – quante volte a quadrimestre? Quanti minuti l'uno? Insomma, fate i vostri conti. Un film di tre-quattro ore è una botta al calendario che non mi posso permettere. Due ore sì, tre no. Anche se...
3) Troppo collaterale.
...anche se in realtà si potrebbe trattare. Dammi un film di tre ore che mi sostituisca efficacemente una trentina di pagine di manuale. Dammi una spolverata di moti carbonari; dammi la vita e le idee di Mazzini con tutte le didascalie al posto giusto;
dammi il '48 in tutto il suo furore, un bel condensato di Garibaldi, e una mezz'ora onesta con la questione meridionale e il brigantaggio. Se nel finale riesci pure a infilare la breccia a Porta Pia, te lo compro a scatola chiusa. Ma Martone non ha voluto fare un film così (ammesso che sia fattibile). Ha preferito prendere le storie molto personali di due giovani che, per una serie di concause e di sfortune, si perdono tutti gli snodi che stanno sui libri di Storia. Non solo snobba l'impresa dei Mille, ma si sofferma sul suo sequel fallito, la marcia su Roma da sud abortita sul nascere in Aspromonte, che sui manuali occupa giusto due o tre righe imbarazzate. In una prospettiva adulta l'intento è più che lodevole. Mostrare Garibaldi come un'ombra lontana, raccontare l'attentato a Napoleone III che nei manuali di solito non c'è. In questo modo intorno agli schemini memorizzati a scuola prende forma negli spettatori qualcosa di più corposo, la Storia dei libri diventa il groviglio delle storie dei viventi. Tutto molto bello, ma funzionerebbe senza gli schemini che abbiamo imparato da piccoli? Se non sapessimo nulla di Napoleone e di Napoleone III, nulla di Garibaldi e nulla di Francischiello, riusciremmo a orientarci in Noi credevamo? È un film per adulti. Nel più nobile senso del termine.
4) Nessuna qualità agli eroi
Anche nella sua prospettiva totalmente antieroica. È un film senza personaggi simpatici: ce n'è uno che [spoiler] muore dopo mezz'ora, e il resto del film prosegue con adulti sempre più mesti e delusi. Invece ai ragazzi devi dare l'entusiasmo, l'ansia e l'allegria di crescere, la scoperta di sé, almeno un amorazzo decente. Qualcosa del genere c'è nell'ultima parte, dove troviamo finalmente un ragazzo un po' entusiasta. Però non è uscito molto simpatico, devo dire. Ora io non è che voglio crescere dei piccoli garibaldini, anzi: la retorica risorgimentale è stata uno degli ingredienti che Mussolini ha trovato nei refettori delle scuole del Regno quando si è trattato di impastare il fascismo. Però non puoi mettere i ragazzini davanti a tre ore di disillusioni e fucilazioni, è un crimine contro il futuro. Persino Allonsanfan, col suo umor nero, aveva qualche scorcio di follia vitale che riscattava tutto il pessimismo. Noi credevamo no, è una lunghissima elegia che riesce a non addormentarti per tre ore: onore al merito, ma ai ragazzini no, non hanno fatto niente di male.
5) Poche ragazze
E qui non c'è niente da fare. Le classi sono miste, i ragazzi hanno gli ormoni, le ragazze hanno bisogno di modelli di riferimento; l'Inaudi fa quel che può. Provateci voi a dar vita a un'ereditiera filo-proletaria nei salotti di Parigi, in piena età romantica, con tutte le svenevolezze del caso: poteva essere molto, molto più ridicola di così. Buono, ma non basta: su tre ore, due e mezza sono totalmente occupate da guerre, galere e attentati. Le donne sono comparse, troppo spesso destinate a fini ricreativi (qualcosa del genere accade in un altro film diversissimo che è nelle sale in questo momento, The Social Network: non un buon segno). Per carità, meglio così che inventarsi pasionarie che non ci sono state, però... un bel fumettone Giuseppe & Anita no, eh? Quello lo proietterei.
6) Cose che se me le chiedono, non saprei rispondere nemmeno io.
Il che è sommamente imbarazzante. Come funziona il trucco per alienare l'olio ai contadini? Come esce Lo Cascio di prigione? Quando i piemontesi arrestano i garibaldini, come fanno a riconoscere i disertori? Quella bomba che Orsini regala a Crispi, cosa sta a significare? Ma davvero nel bel mezzo della repressione del brigantaggio puoi andare in giro per la Calabria con un fucile a tracolla e nessuno ti dice niente?
beh, i borbone qualche amnistia la davano, l'olio immagino si accumulasse in qualche deposito segreto durante la spremitura, ma è vero che non si capisce. la storia della bomba , dev'essere un accenno alla vocemai chiarita secondo cui crispi aveva partecipato all'attentato (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Di_Rudio), ma forse è stata tagliata nella riduzione a tre ore; certo è del tutto incomprensibile, io ne so qualcosa solo perché è citata in una delle mille sottotrame di A che punto è la notte di fruttero e lucentini, un romanzo che so a memoria. sulle fucilazioni ad aspromonte ho immaginato il tenente che si collega al terminale del ministero della guerra e controlla i nomi dei disertori. e però non è un brutto film. in realtà mi ha dato fastidio solo il finale che precipita in un semplicismo piagnone fino a quel momento non così esplicito: noi credevamo, ci hanno traditi, vincono sempre loro, è tutto un magnamagna, eccetera, tra il qualunquismo e il solito reducismo sessantottino. poteva metterla giù meno pesante, ecco.
RispondiElimina"sulle fucilazioni ad aspromonte ho immaginato il tenente che si collega al terminale del ministero della guerra e controlla i nomi dei disertori."
RispondiEliminaPerché dare false generalità, nell'Ottocento, era un disonore a cui nessun Gentiluomo si sarebbe prestato.
No, io pensavo più a una banca dati di dagherrotipi, oppure Fattori e Hayez erano stati arruolati per dipingere migliaia di quadri segnaletici.
Penso che tu sia un insegnante fantastico...
RispondiEliminaPosso rifare le Medie nella tua classe?
Irma Riedler
Io sarò strano ma il risorgimento mi piace veramente assai sentirmelo raccontare. E, se lo devo dire, questo amore deve essere iniziato proprio a scuola. Mi sarò fatto fregare dal racconto epico dei combattenti per la libertà in tenera età, caggiafà.
RispondiEliminaIo l'ho sempre immaginato un film italiano cinico e violento ambientato a quei tempi, come fosse un western italiano, e non solo all'italiana. E per colpa tua mo tengo Allosanfan scaricato che me lo voglio proprio vedere.
Però se dovessi fare vedere qualcosa a scuola non mi scorderei di Luigi Magni. "In nome del popolo sovrano" ero piccolo e l'ho amato. E gli altri pure, ma di recente. Tu dici che non funzionano?
La questione sollevata è intrigante. Per 150 anni falsi miti sul Risorgimento sono stati dati in pasto a bambini ora divenuti adulti ignari della reale natura di quegli eventi, e della profonda portata sull'Italia moderna.
RispondiEliminaCosa facciamo ora? Continuiamo a somministrare le classiche favole rassicuranti confidando che da adulti abbiano la fortuna di poter leggere un buon libro o di vedere un buon film che li illumini?
In questa ottica hai ragione. C'è bisogno di un film che pur svelando il triste esito dei moti repubblicani, ed il truce massacro dell'invasione del Regno borbonico, mostri l'entusiasmo, la passione e la bontà di cih si è immolato per ideali repubblicani, liberali, laici, moderni. Ma credo ci voglia piuttosto uno sceneggiato a puntate.
Se invece fosse già la scuola, nelle poche ore a disposizione, ad abbandonare la retorica di un fantomatico "risorgimento", dando risalto a quelli che furono davvero moti liberali, in opposizione alle stragi post-annessione, allora anche "Noi credevamo" sarebbe un buon sussidio di approfondimento. Sicuramente non perfetto, ma la filmografia storicamente corretta su quel periodo è davvero piuttosto scarna, e non abbiamo molta scelta.
Tutto condivisibile, tranne il punto 5 di cui non mi è ben chiaro il motivo per cui le ragazze sarebbero refrattarie a scene di guerra.
RispondiEliminaHo solo visto la pubblicità. Ma mi è bastato per considerarlo la solita solfa retorica che non dice nulla di nuovo e di vero su quel periodo storico. Peccato che in Italia la critica del Risorgimento l'abbiamo appaltata alla Lega.
RispondiEliminaNon è tanto la refrattarietà (che comunque c'è: i film di guerra li vedono meno volentieri dei compagni), ma è il fatto che non ci siano figure femminili con cui identificarsi.
RispondiEliminaNC non l'ho visto, qui non è uscito. Sul risorgimento c'è anche Le 5 giornate di Lizzani, con fumettone (più d'uno), bildungsroman, ribellione alla patria e alla famiglia, scelta di una nuova patria, entusiasmo e così via. Certo è lungo, ma si può tagliare, il problema è che è su un episodio solo del risorgimento, ma è applicabile a tante ribellioni.
RispondiEliminaC'è una scena, mi pare ambientata su una spiaggia, nella quale compaiono quattro piloni di cemento armato. E' proprio cemento armato, si vede con chiarezza l'anima metallica che spunta dall'interno.
RispondiEliminaE' un evidente anacronismo, ma non può essere un blooper. I piloni non sono scivolati per sbaglio nell'inquadatura: sono in primo piano, il regista ha scelto deliberatamente di mostrarli. Ed è una cosa così palese che non è possibile non notarla.
Ma allora, che senso ha? Perché un senso ce lo deve pur avere.
Ora che ci penso, a un certo punto sono inquadrate da sotto alcune guardie che marciano su una scala metallica, e la scala è chiaramente un moderno prodotto industriale di metallo pressofuso. Anche qui, il dettaglio è così insistito che non può essere un errore; ma perché?
Gli anacronismi: Martone ne aveva parlato da Fazio, come di una scelta voluta. Tanto che me ne aspettavo molti di più, in realtà l'unica scena è quella dell'abuso edilizio in Aspromonte (con le case illuminate all'orizzonte).
RispondiEliminaCredo che sia un modo per ribadire che è la nostra Storia, che parla di noi, non sono marziani su un pianeta diverso. Poi magari stavano semplicemente finendo i soldi e hanno girato una scena nel primo angolo che han trovato.
Rilancio la domanda di più sopra, è interessante: i Magni e quel Le 5 Giornate, cosa ne pensi?
RispondiEliminaDi Magni ho provato In nome del Papa Re, addirittura con un gruppo scelto (volontari al pomeriggio). Dopo un quarto d'ora mi sono reso conto che non stavano capendo nulla. Il primo scoglio era il romanesco (ovviamente è un discorso che a Roma non vale); poi la trama non era affatto semplice. Peccato, perché a me piaceva molto (stavo pensando che anche qui, nel finale, si vede Piazza del Popolo negli anni Sessanta trasformata in un parcheggio).
RispondiEliminaLe 5 giornate l'ho visto sullo scaffale della videoteca comunale, ma non ho mai avuto il coraggio. Il vhs che andava per la maggiore tra i colleghi era Bronte: didascalico, ma amarissimo. Per cui siamo passati dalla fase in cui la Storia del Risorgimento rimuoveva le stragi come Bronte, alla fase in cui di tutto il Risorgimento gli studenti rischiano (sì, rischiano) di ricordare soltanto fatti come Bronte.
anacronismi: ci sono anche le scale in ringhiera d'acciaio, nella scena della ghigliottina.
RispondiEliminaGrazie!
RispondiEliminaQuello delle 23:55
Non ho visto il film ancora (purtroppo), però posso dirti da subito che la parte più macellata è proprio la prima. L'affanno in quel capitolo (che mi è stato descritto anche da altre fonti) dovrebbe essere molto ridotto nella versione integrale del film.
RispondiEliminaStanding ovation per il commento a latere su "The Social Network", ovviamente. Spero che quella ciofeca rimanga a bocca asciutta ovunque quanto a premi.
in realtà a me è piaciuto
RispondiEliminabeh fondamentalmente è un film velleitario, dal ritmo a volte televisivo, senza unità stilistica, confuso in alcune parti (vedi capitolo secondo). però a martone va dato il riconoscimento di aver scelto attori perfetti e bravissimi (angelo da vecchio) e di non aver fatto troppa agiografia. spostare il baricentro a sud, ma senza troppi luoghi comuni. Luiz
RispondiEliminaCi ho provato. Niente da fare, mi sono addormentato in prigione. Mi è parso paranoico e claustrofobico (va bé che son carbonari ma alle volte cospirare alla luce del sole!?) e mancava solo gli mettessero la targhetta con su scritto "ANGELO (però è invecchiato)". E sono d'accordo con miic, un reducismo che dà sui nervi. E ne avrei ancora...
RispondiEliminaSe non sapessi che di cinema non ne sanno niente (come han dimostrato con Barbarossa) crederei che sia stato commissionato dai leghisti per far venire due palle così ai curiosi.
Gary B