Si parlava di valori (appunti)
– Ieri si parlava di "valori", si notava come la parola si sia imposta soltanto verso la fine degli anni Ottanta (subentrando a "ideali") e si proponeva questa definizione: i valori sono ciò che abbiamo la paura di avere già perso. (Nelle vicinanze di valori però si trovano spesso verbi col prefisso ri-: "riappropiarsi", "riscoprire"…). Gli "ideali", invece, si "tradivano", si "rinnegavano".
– Si parla di valori sempre al plurale: li si proclama per enumerazione, con coordinazioni copulative: mai avversative o disgiuntive. Non si sceglie un valore piuttosto di un altro. Non esistono valori contrapposti (a differenza degli ideali). I valori sono tanti (il plurale è fondamentale) e vanno presi tutti in blocco.
– Il primo è quasi sempre la famiglia. A volte non si sa andare avanti.
– La radice economica della parola è fuori discussione: talmente evidente da passare inosservata. Anni fa Rai Uno fece un programma sull'argomento (Frajese conduttore) e lo intitolò: "Borsa Valori": voleva essere un simpatico gioco di parole, era un lapsus colossale. Tipico esempio di una parola che torna su sé stessa e non si riconosce. Crediamo di parlare di famiglia, fraternità, amore... in realtà parliamo di soldi. Oppure: vorremmo parlare di famiglia, maternità, e amore... ma le uniche parole che ci sono rimaste sono le parole dei soldi.
– Per acquisire i suoi ideali, l'idealista (che non era una persona qualunque) doveva apprenderli da qualche parte: da un buon/cattivo maestro, a scuola, in chiesa, in strada, in guerra, in fabbrica, leggendo libri. Non esiste invece una vera e propria letteratura sui valori. Un po' come un certo concetto di cultura, di cui parlavamo qualche settimana fa, i valori sono probabilmente acquisiti alla nascita: infatti, a differenza degli ideali, tutti avevamo in partenza i nostri bravi valori - o se non noi, i nostri genitori e nonni. E qui casca l'asino: se nasco italiano, avrò determinati valori; se invece nasco in Birmania… ecc.. Ma siccome io i miei valori li sto perdendo (per definizione), sto anche perdendo la mia identità, la mia cultura. (Ma per fortuna posso riscoprirla, riappropriarmene).
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