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lunedì 3 giugno 2002

Vincere sì, ma soffrendo

Va bene, siamo tutti contenti perché la Francia ha preso un gol dal Senegal nella partita inaugurale, e in più anche stavolta l'Italia è tra le favorite. Io onestamente non me ne intendo, ma a questo punto un pronostico voglio farlo: e dico che la Francia andrà lontano, mentre l'Italia oggi potrebbe benissimo pareggiare o perdere, anzi, forse sarebbe meglio così.
Non sto remando contro: tifo Italia, come tutti. Non è una questione politica, Berlusconi non c'entra nulla, o forse sì. È una storia lunga e complicata che adesso cercherò di raccontare.

Parte da quando ero piccolo, e non sapevo di vivere nella quinta potenza mondiale: nessuno me l'aveva insegnato a scuola perché probabilmente nessuno lo sapeva. Dando uno sguardo al mappamondo era molto chiaro come l'Italia, che pure aveva un passato importante, gli antichi romani, ecc., era solo una penisola tra tante, assai meno visibile del Cile, poniamo, o dell'Arabia Saudita, per non parlare del Canada e di quell'altra nazione talmente grande da permettersi di chiamarsi con un nome lunghissimo: U n i o n e d e l l e R e p u b b l i c h e S o c i a l i s t e S o v i e t i c h e.

D'un tratto tutto cambiò, forse perché cominciavo a capire il telegiornale, o forse perché, in un pomeriggio del luglio 1982 la nostra nazionale vinse 3 a 2 contro il Brasile, con tre gol di Paolo Rossi. Quei giocatori italiani di vent'anni fa, dai nomi leggendari, in realtà fino a quel momento erano stati molto criticati, dai giornalisti giù giù sino al più umile cameriere di Bar dello Sport. Era una squadretta difensivista e smorta, che aveva rimediato tre mediocri pareggi con Polonia, Peru e… Camerun (ricordo un funebre titolo della Gazzetta: IL CAMERUN CI FA PAURA). Ad ogni modi una squadra tra tante, destinata a essere macellata tra i grandi nomi del torneo: Argentina e Brasile, per esempio.

Poi, all'improvviso, accadde qualcosa che ricordiamo tutti: la stessa squadretta, senza nulla cambiare, sconfisse Argentina e Brasile, e da quel momento fu a tutti chiaro che avrebbe vinto il mondiale, e infatti lo vinse, e vent'anni da allora mi sembra di che non abbiamo smesso di festeggiare quella vittoria inattesa, indiscutibile, che metteva la nostra penisola sopra a tante altre figure del mappamondo. Da quel momento il calcio, fino ad allora passione tutto sommato innocua, diventò una mania. La gazzetta dello sport incominciò a vendere più del corriere della sera, anche d'estate, e siccome d'estate non succedeva niente, i presidenti cominciarono a far parlare di sé comprando tutti i stranieri che trovavano sul mercato. Il nostro campionato divenne Il Più Bello Del Mondo, perché ci giocavano Zico e Maradona. Coincidenza, proprio negli stessi anni i nostri governanti cominciarono a dirci che sì, d'accordo, la mafia, la corruzione, il mezzogiorno, però malgrado tutto eravamo pur sempre la quinta potenza economica del mondo: i nostri alleati iniziarono a invitarci al G7, Craxi si mise a fare la voce grossa, e così via.

Però attenzione, io non sto dando la colpa a Paolo Rossi, che tornato al calcio dopo un anno di squalifica, tutti davano per cotto e mandò a casa i brasiliani con tre goal: la colpa è nostra, gli italiani hanno ogni tanto questi sussulti di grandeur. Ma la vittoria in Spagna è qualcosa di più: per me è sempre stato il simbolo della riscossa, dell'ottimismo della volontà, del "tu-mi-credi-finito-e-adesso-te-la-faccio-vedere". Ho un debole per le vittorie sofferte, per quel 3 a 2 che l'anno dopo il Torino inferse alla Juventus segnando tre gol in due minuti. Secondo me tutte le vittorie dovrebbero essere sofferte, altrimenti non vale.

Otto anni dopo (dopo una figuraccia in Messico che nessuno rammenta) tutto il mondo fu ospite dell'Italia-quinta-potenza, in un campionato del mondo che non sembrava poter essere vinto da altri. La squadra, intanto, era fortissima, poteva permettersi il lusso di non far giocare Vialli. C'era l'uomo del destino, un tale Schillaci che come lo mettevi su segnava, e partita dopo partita gli avversari iniziavano a scansarlo terrorizzati. C'era una difesa imbattibile, Zenga non prese un gol in cinque partite, record. E soprattutto non c'erano avversari: la Germania era il solito squadrone tutto muscoli, il Brasile stava sperimentando un nuovo ruolo, il difensore, e soprattutto, l'Argentina era inguardabile, figuratevi che aveva perso la partita inaugurale uno a zero col… col Camerun! Tutto il mondo aveva riso di lei.

C'è bisogno di ricordare come andò a finire? (il resto domani)

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