Questo fine settimana c’è un vertice G8. Ci avete fatto caso?
Almeno, avete fatto caso a quanto poco se ne parla? Perché, secondo voi? Cos’è successo al G8? Cos’è successo a tante persone che hanno fatto di tutto per essere a Genova due anni fa e oggi non si pongono nemmeno il problema di raggiungere Evian, a poche cenitnaia di chilometri di distanza? Alcune ipotesi:
1. Il Movimento è in crisi.
Qualche segno di crisi c’è.
Basta guardare che fine hanno fatto i nomi più in vista – nessuna fine, in realtà, ma ormai procedono in ordine sparso. Casarini, dopo un’avventura bolognese dagli esiti deludenti, ha fatto notizia per essersi preso una torta in faccia a Londra. Agnoletto si considera ormai sciolto da qualsiasi ruolo rappresentativo, e ha scritto un libro in cui finalmente può dire cosa pensa (e togliersi qualche sasso dalle scarpe). Zanotelli batte la campagna, accolto ovunque da torme di proseliti, in una sua personale interpretazione dell’Apocalisse. I Wu Ming coltivano il loro giardino narrativo. Gino Strada è in Iraq a esercitare, presumo. E così via.
E i militanti? Più o meno sono quelli di due anni fa, defezioni vere e proprie non ce ne sono. (Il Movimento non è dogmatico, non esistono espulsioni o radiazioni: ci sono tanti gruppetti e ognuno sceglie il più congeniale). Si fanno vedere sempre meno alle assemblee, anche se alla fine non si perdono un corteo. È un problema di motivazione, o meglio è un problema di stanchezza.
Se una crisi c’è, insomma, è la solita crisi stagionale di maggio e giugno. I motivi sono semplici, fin banali: in questi mesi chi studia e chi lavora ha poco tempo a disposizione. L’anno scorso la crisi è finita il pomeriggio del 21 luglio, quando le strade di Genova si sono improvvisamente riempite di una folla di giovani che aveva finito gli esami o si era presa le ferie. Il Movimento si fa nel tempo libero, ed è dura dover contrastare nel tempo libero chi di mestiere fa il Potente a tempo pieno (coi soldi nostri, sia detto per inciso).
2. Il G8 è passato di moda.
Senza dubbio oggi il G8 non è più percepito come l’odioso consesso dei potenti della Terra. A due anni da Genova è più difficile vedere Bush, Chirac, Schroeder e Putin come un blocco compatto. Dall’11 settembre in poi, il Movimento ha progressivamente messo a fuoco un obiettivo diverso: l’imperialismo americano. George W. Bush, due anni fa niente di più che una simpatica macchietta che stringe le mani ai colleghi chiamandoli col nome sbagliato, è diventato il demiurgo del Medio Oriente. Siamo passati dal fumoso Impero di Toni Negri all’Impero Americano dei Neocons o di Vidal. Magari cominciamo a provare qualche remota simpatia per quella canaglia di Chirac. Beh, ci sbagliamo.
Il G8 non è solo una passerella per l’imperatore e i suoi amici più potenti: continua a essere un vertice serio, dove si prendono le decisioni importanti alle spalle dei Paesi non rappresentati. Decisioni che gli USA non possono prendere da soli: due anni di vittorie militari non li hanno reso molto più potenti di quanto non fossero prima; nel frattempo l’economia interna non tira, e l’euro forte comincia a dare preoccupazioni.
E allora forse varrebbe la pena di stare attenti a quello che succede a Evian: non alle contestazioni fuori, quanto ai contrasti dentro. Secondo Tricarico più di G8 si tratterà di un G2, una trattativa tra USA ed Europa, più che due grandi potenze, due grandi mercati dagli interessi ormai contrastanti. Chi abbia il coltello dal manico, sembra fuori discussione: gli USA hanno preso Bagdad anche per ricordare a tutti che il petrolio va calcolato in dollari, non in euro.
3. Il Movimento ha vinto
come dice sempre Agnoletto. Ma c'è poco da esser trionfali. Non si può dire che il mondo sia molto migliorato da due anni in qui. Ma qualcosa è cambiato. Prendiamo il G8: due anni fa era ancora una grande cerimonia in stile Excelsior: la città di turno aveva l’onore di essere rimessa a nuovo per l’occasione. Oggi è una riunione di capi di Stato costretti a complicati trasferimenti tra le montagne e le frontiere (il vertice è in terra francese, ma gli alberghi sono in Svizzera). Continuano a incontrarsi, certo. Ma hanno dovuto rinunciare alla pompa magna, alle transenne nei Centri Storici, al sequestro dei cittadini. Il G8 “anni Novanta” non esiste più, è sepolto con l’ottimismo della New Economy e dei processi di pace di Clinton. È una vittoria simbolica. Poco più di niente. Ma è già qualcosa. A Genova gli Otto Grandi non ci andranno più. E forse è inutile tallonarli fino a Evian.
Anche perché il Movimento non ha più bisogno di infiltrarsi nei Vertici ufficiali per far sentire la sua voce. Ha i suoi appuntamenti, i suoi forum, ha tutto lo spazio che vuole per costruire le sue idee. E questo è tutto quello che conta: le idee. Non il numero di manifestanti a questo o quel corteo, non i fermati alla frontiera, non i titoli di giornale. È sulle idee che il Movimento sta vincendo. Basti pensare a quello di cui si sta parlando in Italia, da un mese: l’opportunità di concedere l’immunità a una manciata di politici. Nel frattempo il Movimento parla dell’acqua, del petrolio, dei diritti ai migranti: di quello che sta cambiando ogni giorno intorno a noi. Mentre tutti fuori giocano alla piccola campagna elettorale, il Movimento parla di privatizzazioni: di come sia passata nel silenzio generale la legge che obbliga a svendere le aziende municipali, una legge che viene da molto lontano, attraverso l’Europa direttamente dal WTO.
Il Movimento parla del WTO, la più fantomatica delle Organizzazioni Internazionali, che in settembre a Cancun cercherà una volta per tutte di svuotare il guscio delle nostre democrazie. Nel disinteresse di tutti, ma non del nostro. Possiamo essere in pochi, stanchi e accaldati, ma siamo svegli: possiamo non essere d’accordo su tutto, ma almeno sappiamo cosa ci sta succedendo. Senza bisogno di andare a Evian. Sarà per la prossima volta (a Parigi?)
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi.
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venerdì 30 maggio 2003
giovedì 29 maggio 2003
Piccolo Mondo Blog
(piccolo mondo antico?)
Non è poi così facile, sapete.
Mettiamola così: se conoscete La Pizia, se vi piace come scrive e quel che scrive, se vi piacciono i blog all’antica, minimalisti eppure enciclopedici, pudici ma senza vergogna, questo libro dovreste leggerlo, possibilmente comprandolo. Non costa tanto (11 euro e 90) – tenete conto di tutte le volte che avete letto la Pizia gratis. Il libro è scritto molto bene... bella scoperta, lo sappiamo da anni che Eloisa scrive bene: ma a sfogliarla in un libro fa tutt’un’altra impressione. Più o meno lo ha già detto Matteo: Eloisa sarebbe in grado di commuoverci o divertirci anche scrivendo un manuale d’istruzioni per la fotocopiatrice. Buona lettura.
Se invece la Pizia non vi entusiasma, se trovate che i blog all’antica vivano di rendita senza grandi idee, e che in Rete non si sentiva nessun bisogno di un’altra comunità autoreferenziale che cerca di emergere a furia di applausi reciproci (altre comunità più grandi e professionali le chiamano marchette), forse è meglio se ripassate un’altra volta. Così vi risparmiate la scena di Leonardo che parla bene del libro della Pizia, libro in cui ovviamente la Pizia parla bene di Leonardo e di tanti altri blog (che stanno già per pubblicare un altro libro in simpatica ammucchiata; libro che poi ci autorecensiremo, ecc., ecc.). Molto meglio per voi leggervi i pareri di Georg o Mantellini, che sono fuori dal giro, senza conflitti d’interessi.
Infine, può darsi, chissà, che qualcuno arrivi qui senza sapere chi è questa Pizia, e di cosa parla il suo libro.
Dunque.
La Pizia in realtà è un sito internet che viene aggiornato più volte alla settimana, un blog. Da un anno a questa parte su internet si parla molto di questi blog: se n’è parlato un po’ anche sui giornali e in tv. In Italia a tutt’oggi ci saranno più o meno diecimila blog attivi: la Pizia è uno dei primi. Non tanto per età anagrafica, ma per il suo stile, che ha fatto scuola.
La Pizia è il blog di una ragazza, Eloisa Di Rocco, che ha cominciato a scriverlo due anni fa (sembra ieri) quando lavorava a Chicago (sembra un secolo). A quel tempo non conosceva nessun blog italiano. Lentamente ha iniziato a notare gli altri, e gli altri hanno iniziato a notare lei. A un certo punto è diventata un punto di riferimento per tutti quelli che avevano un sito simile al suo. Attraverso lei – che stava a Chicago – io ho conosciuto alcuni blog della mia stessa (piccola) città.
Oltre a essere una scrittrice di blog, Eloisa era anche una buona lettrice dei blog altrui: ma non è mai stata una grande smistatrice di link. Parlava – parla – soprattutto dei fatti suoi. Cosa faceva di lei una lettura obbligata? Me lo sono chiesto spesso.
Credo che il suo grande segreto sia l’equilibrio: Eloisa non lo sa, ma è da due anni che il suo blog cammina su un filo. Non è da tutti parlare di sé senza cadere nell’egocentrismo, nella notazione criptica, nel sentimentalismo, nell’invettiva, nell’autoglorificazione, nella noia. Io, per esempio, mi accontento di cadere in una buca diversa al giorno. Invece Eloisa non casca mai, non so come. È… leggera (eh, la leggerezza di Calvino).
Uscendo con questo libro, Eloisa ha corso più rischi del solito. All’inizio doveva essere un manuale su come gestire un blog. Una cosa piuttosto semplice (infatti si risolve in una dozzina di pagine). Lei lo ha trasformato in qualcosa di diverso: un libro sul “mondo blog” italiano. Un racconto vivace, con tanti personaggi (ci sono anch’io, in un paio di gag: a un certo punto mi addormento su un cesso aziendale), e una protagonista: lei.
Beh, ci credereste? Ha vinto la scommessa. Mondo blog è un bel libro. La protagonista non ruba la scena a nessuno. I personaggi stanno tutti al loro posto. C’è perfino una dichiarazione di poetica limpida e orgogliosa: il blog non è un diario, il blog è un’arte. L’arte di dare ai propri pensieri una forma condivisibile. Sottoscrivo. Personalmente, leggo più spesso blog di cui non condivido le idee, ma di cui apprezzo lo stile.
Se questi blog hanno destato il vostro interesse, il mio consiglio (interessato) è di comprare il libro della Pizia e leggerlo. Non solo imparerete ad aprire un blog (non ci voleva molto): ma scoprirete anche cosa vi succederà aprendolo. Troverete un universo di piccoli scrittori e piccoli lettori, che si selezionano tra loro in base a interessi comuni: imparerete a conoscere nuove persone non dalla figura o dall’abbigliamento, ma dalla scrittura. Finirete per affezionarvi a un avverbio o a un gerundio a tal punto da infilarsi in treni a lunga percorrenza per poterlo conoscere. Alcuni avverbi o gerundi li perderete di vista, con altri litigherete e poi farete pace. Tutto molto umano, perfino un po’ banale, se mi metto a raccontarlo io. Leggetevi la Pizia.
Con un’avvertenza:
non fatevi impressionare quando, proprio a metà del libro, si comincia a parlare di “Fenomeno Blog”. È successo che improvvisamente, l’inverno scorso, la piccola comunità dei blog italiani è esplosa. Per rendersi conto di quello che è successo, basti dire che prima era possibile leggersi tutti i blog italiani nell’arco di una giornata lavorativa (non ci si ammazzava esattamente di lavoro, nel 2001). Oggi una tale impresa sarebbe impossibile, ancorché folle. Prima il Mondo Blog era composto di poche persone diverse per estrazione sociale, opinioni, età, ecc., che per il solo fatto di avere un hobby in comune (il blog) trovavano naturale scriversi, scambiarsi opinioni, considerarsi 'alla pari' Oggi questa comunità non esiste più: esistono gruppi più o meno interconnessi tra di loro (blog giornalistici, blog letterari, blog musicali, blog di un determinato orientamento politico, blog di una determinata piattaforma, ecc.).
Tutto questo è inevitabile e giusto: ma i reduci di quella esplosione la ricordano ancora come uno shock. Improvvisamente iniziano a ricevere mail di sconosciuti, complimenti, insulti. Se criticano un articolo di giornale (come avevano sempre fatto), ecco che il giornalista risponde sul suo blog. Altri giornalisti chiedono di intervistarti. Finisci dentro a tesi di laurea, qualcuno ti chiede di fare un libro. E poi?
E poi niente: i reduci sono ancora tutti qui. Nessuno ci ha fatto dei soldi, a parte Telecom Italia. Alcuni si sono stancati, altri no. Continuiamo a lavorare e a divertirci nei ritagli di tempo con le nostre autobiografie on line. Dopo tre interviste e due libri siamo ancora i poveracci di prima (non credete a Valido, che in una delle pagine più divertenti del libro si immagina un futuro da blogstar, (“vita sregolata, mai un minuto libero, party everywhere”).
Tutto questo è successo in pochi mesi, e non ci ha lasciato senza qualche contraccolpo emotivo. Insomma, perché a un certo punto siamo sembrati così importanti? E lo eravamo davvero o è stata solo un’illusione?
È difficile spiegare questa sensazione a chi è arrivato dopo. Anche perché si rischia il ridicolo a definirsi “blog storico” solo perché hai qualche mese di archivio in più. Ed è difficile spiegarsi senza cadere in polemiche con chi è arrivato dopo. Almeno, io non ci riesco. Ma La Pizia sì, la Pizia ci riesce, quando, nelle pagine forse più belle del libro, racconta la storia di un quartiere senza pretese e dei suoi abitanti, in una città che sembra Roma e non lo è. Basta, non dico oltre. Compratevi il libro. (No, vi garantisco, i personaggi non hanno percentuali sulle vendite).
Un tempo in questo quartiere ci si conosceva tutti. Potevo lasciare la porta aperta e parcheggiare sotto casa. Se qualcuno stava male tutti sapevano che stava male, e arrivavano letterine di auguri scritti e di pronta guarigione…
(piccolo mondo antico?)
Non è poi così facile, sapete.
Mettiamola così: se conoscete La Pizia, se vi piace come scrive e quel che scrive, se vi piacciono i blog all’antica, minimalisti eppure enciclopedici, pudici ma senza vergogna, questo libro dovreste leggerlo, possibilmente comprandolo. Non costa tanto (11 euro e 90) – tenete conto di tutte le volte che avete letto la Pizia gratis. Il libro è scritto molto bene... bella scoperta, lo sappiamo da anni che Eloisa scrive bene: ma a sfogliarla in un libro fa tutt’un’altra impressione. Più o meno lo ha già detto Matteo: Eloisa sarebbe in grado di commuoverci o divertirci anche scrivendo un manuale d’istruzioni per la fotocopiatrice. Buona lettura.
Se invece la Pizia non vi entusiasma, se trovate che i blog all’antica vivano di rendita senza grandi idee, e che in Rete non si sentiva nessun bisogno di un’altra comunità autoreferenziale che cerca di emergere a furia di applausi reciproci (altre comunità più grandi e professionali le chiamano marchette), forse è meglio se ripassate un’altra volta. Così vi risparmiate la scena di Leonardo che parla bene del libro della Pizia, libro in cui ovviamente la Pizia parla bene di Leonardo e di tanti altri blog (che stanno già per pubblicare un altro libro in simpatica ammucchiata; libro che poi ci autorecensiremo, ecc., ecc.). Molto meglio per voi leggervi i pareri di Georg o Mantellini, che sono fuori dal giro, senza conflitti d’interessi.
Infine, può darsi, chissà, che qualcuno arrivi qui senza sapere chi è questa Pizia, e di cosa parla il suo libro.
Dunque.
La Pizia in realtà è un sito internet che viene aggiornato più volte alla settimana, un blog. Da un anno a questa parte su internet si parla molto di questi blog: se n’è parlato un po’ anche sui giornali e in tv. In Italia a tutt’oggi ci saranno più o meno diecimila blog attivi: la Pizia è uno dei primi. Non tanto per età anagrafica, ma per il suo stile, che ha fatto scuola.
La Pizia è il blog di una ragazza, Eloisa Di Rocco, che ha cominciato a scriverlo due anni fa (sembra ieri) quando lavorava a Chicago (sembra un secolo). A quel tempo non conosceva nessun blog italiano. Lentamente ha iniziato a notare gli altri, e gli altri hanno iniziato a notare lei. A un certo punto è diventata un punto di riferimento per tutti quelli che avevano un sito simile al suo. Attraverso lei – che stava a Chicago – io ho conosciuto alcuni blog della mia stessa (piccola) città.
Oltre a essere una scrittrice di blog, Eloisa era anche una buona lettrice dei blog altrui: ma non è mai stata una grande smistatrice di link. Parlava – parla – soprattutto dei fatti suoi. Cosa faceva di lei una lettura obbligata? Me lo sono chiesto spesso.
Credo che il suo grande segreto sia l’equilibrio: Eloisa non lo sa, ma è da due anni che il suo blog cammina su un filo. Non è da tutti parlare di sé senza cadere nell’egocentrismo, nella notazione criptica, nel sentimentalismo, nell’invettiva, nell’autoglorificazione, nella noia. Io, per esempio, mi accontento di cadere in una buca diversa al giorno. Invece Eloisa non casca mai, non so come. È… leggera (eh, la leggerezza di Calvino).
Uscendo con questo libro, Eloisa ha corso più rischi del solito. All’inizio doveva essere un manuale su come gestire un blog. Una cosa piuttosto semplice (infatti si risolve in una dozzina di pagine). Lei lo ha trasformato in qualcosa di diverso: un libro sul “mondo blog” italiano. Un racconto vivace, con tanti personaggi (ci sono anch’io, in un paio di gag: a un certo punto mi addormento su un cesso aziendale), e una protagonista: lei.
Beh, ci credereste? Ha vinto la scommessa. Mondo blog è un bel libro. La protagonista non ruba la scena a nessuno. I personaggi stanno tutti al loro posto. C’è perfino una dichiarazione di poetica limpida e orgogliosa: il blog non è un diario, il blog è un’arte. L’arte di dare ai propri pensieri una forma condivisibile. Sottoscrivo. Personalmente, leggo più spesso blog di cui non condivido le idee, ma di cui apprezzo lo stile.
Se questi blog hanno destato il vostro interesse, il mio consiglio (interessato) è di comprare il libro della Pizia e leggerlo. Non solo imparerete ad aprire un blog (non ci voleva molto): ma scoprirete anche cosa vi succederà aprendolo. Troverete un universo di piccoli scrittori e piccoli lettori, che si selezionano tra loro in base a interessi comuni: imparerete a conoscere nuove persone non dalla figura o dall’abbigliamento, ma dalla scrittura. Finirete per affezionarvi a un avverbio o a un gerundio a tal punto da infilarsi in treni a lunga percorrenza per poterlo conoscere. Alcuni avverbi o gerundi li perderete di vista, con altri litigherete e poi farete pace. Tutto molto umano, perfino un po’ banale, se mi metto a raccontarlo io. Leggetevi la Pizia.
Con un’avvertenza:
non fatevi impressionare quando, proprio a metà del libro, si comincia a parlare di “Fenomeno Blog”. È successo che improvvisamente, l’inverno scorso, la piccola comunità dei blog italiani è esplosa. Per rendersi conto di quello che è successo, basti dire che prima era possibile leggersi tutti i blog italiani nell’arco di una giornata lavorativa (non ci si ammazzava esattamente di lavoro, nel 2001). Oggi una tale impresa sarebbe impossibile, ancorché folle. Prima il Mondo Blog era composto di poche persone diverse per estrazione sociale, opinioni, età, ecc., che per il solo fatto di avere un hobby in comune (il blog) trovavano naturale scriversi, scambiarsi opinioni, considerarsi 'alla pari' Oggi questa comunità non esiste più: esistono gruppi più o meno interconnessi tra di loro (blog giornalistici, blog letterari, blog musicali, blog di un determinato orientamento politico, blog di una determinata piattaforma, ecc.).
Tutto questo è inevitabile e giusto: ma i reduci di quella esplosione la ricordano ancora come uno shock. Improvvisamente iniziano a ricevere mail di sconosciuti, complimenti, insulti. Se criticano un articolo di giornale (come avevano sempre fatto), ecco che il giornalista risponde sul suo blog. Altri giornalisti chiedono di intervistarti. Finisci dentro a tesi di laurea, qualcuno ti chiede di fare un libro. E poi?
E poi niente: i reduci sono ancora tutti qui. Nessuno ci ha fatto dei soldi, a parte Telecom Italia. Alcuni si sono stancati, altri no. Continuiamo a lavorare e a divertirci nei ritagli di tempo con le nostre autobiografie on line. Dopo tre interviste e due libri siamo ancora i poveracci di prima (non credete a Valido, che in una delle pagine più divertenti del libro si immagina un futuro da blogstar, (“vita sregolata, mai un minuto libero, party everywhere”).
Tutto questo è successo in pochi mesi, e non ci ha lasciato senza qualche contraccolpo emotivo. Insomma, perché a un certo punto siamo sembrati così importanti? E lo eravamo davvero o è stata solo un’illusione?
È difficile spiegare questa sensazione a chi è arrivato dopo. Anche perché si rischia il ridicolo a definirsi “blog storico” solo perché hai qualche mese di archivio in più. Ed è difficile spiegarsi senza cadere in polemiche con chi è arrivato dopo. Almeno, io non ci riesco. Ma La Pizia sì, la Pizia ci riesce, quando, nelle pagine forse più belle del libro, racconta la storia di un quartiere senza pretese e dei suoi abitanti, in una città che sembra Roma e non lo è. Basta, non dico oltre. Compratevi il libro. (No, vi garantisco, i personaggi non hanno percentuali sulle vendite).
Un tempo in questo quartiere ci si conosceva tutti. Potevo lasciare la porta aperta e parcheggiare sotto casa. Se qualcuno stava male tutti sapevano che stava male, e arrivavano letterine di auguri scritti e di pronta guarigione…
mercoledì 28 maggio 2003
Quale mente insana, in quale condizione di stress psicofisico, ha partorito la pur lodevole iniziativa musicale nota nel mondo come Pavarotti & Friends?
La redazione di Leonardo tentò di fornire una risposta due anni fa.
Prendetela con le molle. Del resto noi, snob come siamo, abbiamo smesso di presenziare da molti anni, e andiamo in giro dicendo che le edizioni migliori restano quelle dei primi anni Ottanta. A quei tempi la diretta tv non c’era, il Maestro era già celebre ma meno pingue, e la Carlucci ancora studiava dizione. Ma erano anni di fermento per la musica, e in piazza Novi Sad non passavano i dinosauri imbalsamati d’oggi, bensì i nomi più in vista del nuovo pop internazionale. Come possiamo dimenticarci il primo duetto con George Michael?
George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you
Luciano: Oimé, e non danzerò mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi un amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Come danzai con te
E quello con Serge Gaisburg? Qui Luciano prendeva il posto di Jane Birkin o Brigitte Bardot, riuscendo nell’impossibile impresa di non far rimpiangere né l’una né l’altra:
Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!
Gainsbourg: Moi non plus
Pavarotti: O mio divino!
Gainsbourg: L'amour physique est sans issue
Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai
Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…
Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)
Il primo incontro con Bono… era l’84, mi pare, e il ragazzo aveva ancora quell’aria da scaricatore dei docks di Dublino con l’hobby del rock. Forse fu proprio l’accorata interpretazione del Maestro a conferire a Domenica, trista domenica lo status di inno internazionale.
Pavarotti: Non posso credere alle nuove
Né chiuder gli occhi miei e fingermi altrove
Ahi, quanto / dureremo in questo pianto?
Ahi quanto/ ahi qua… a … a… a… nto
Bono: Tonight we can be as one,
tonight, tonight
Insieme: Domenica trista, domenica trista.
Notevole anche la Non ti (scordare di me) in coppia con Jim Kerr. Ma le vere scintille, Pavarotti le provocava a contatto col pop elettronico. Ricordate la voce del Tenore impastarsi a meraviglia col falsetto di Jimmy Sommerville in Tell me why? (Io e te insieme pugnam pel nostro amor…). La sua versione di Just can’t get enough dei Depeche Mode mantiene a distanza di anni tutta la sua carica vitalistica e trasgressiva:
Luciano: Ognor ti penso, e cresce in me il desio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: Soltanto in te trova conforto il pensier mio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: D’amor io brucio, siccome pira ardente
E bruciando pur non ne ho bastante – mai.
Qualche concessione al passato il Maestro doveva pur farla. Memorabile la sua versione di Light my fire, supportata dai tre Doors superstiti:
Sai ch’io non sarei sincero
Sai ch’io sarei ben bugiardo
Se or io ti dicessi, invero
Che non possiam salir più in alto
Orsù amor appicca il foco
Orsù amor appicca il foco
Di quella pira orrendo… foco!.
Passato e moderno. Sulla passerella i fantasmi dei Doors lasciavano lo spazio ai Clash all’apice della fama:
Diletta mia, mi devi dir
Debbo partirmene o restar?
S’io vado, vi saranno guai?
S’io resto, un doppio amante avrai?
Deh dimmi, mia diletta, inver:
debb’io partirmene o restar?.
E i Police:
Pavarotti: Ogni tuo sospir
Ogni tuo pensier
Ogni tuo piacer, ogni tuo voler
Io ti scruterò
Sting: Every single day
Every word you say
Every game you play
Every night you stay
I'll be watching you
Pavarotti: Che, non lo sai?
Ti posseggo, ormai,
e reclamo inver
ogni tuo pensier.
Purtroppo tutto quello che ci resta di quegli anni felici sono un pugno di ricordi. Niente registrazioni, mp3, foto, niente. Dobbiamo affidarci alla nostra memoria, lacunosa e non sempre degna di fiducia. Ma saremmo grati se qualcuno ci volesse segnalare altri duetti storici del Maestro. A maggior gloria sua e dei suoi amici, la cittadinanza riconoscente.
La redazione di Leonardo tentò di fornire una risposta due anni fa.
Prendetela con le molle. Del resto noi, snob come siamo, abbiamo smesso di presenziare da molti anni, e andiamo in giro dicendo che le edizioni migliori restano quelle dei primi anni Ottanta. A quei tempi la diretta tv non c’era, il Maestro era già celebre ma meno pingue, e la Carlucci ancora studiava dizione. Ma erano anni di fermento per la musica, e in piazza Novi Sad non passavano i dinosauri imbalsamati d’oggi, bensì i nomi più in vista del nuovo pop internazionale. Come possiamo dimenticarci il primo duetto con George Michael?
George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you
Luciano: Oimé, e non danzerò mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi un amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Come danzai con te
E quello con Serge Gaisburg? Qui Luciano prendeva il posto di Jane Birkin o Brigitte Bardot, riuscendo nell’impossibile impresa di non far rimpiangere né l’una né l’altra:
Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!
Gainsbourg: Moi non plus
Pavarotti: O mio divino!
Gainsbourg: L'amour physique est sans issue
Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai
Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…
Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)
Il primo incontro con Bono… era l’84, mi pare, e il ragazzo aveva ancora quell’aria da scaricatore dei docks di Dublino con l’hobby del rock. Forse fu proprio l’accorata interpretazione del Maestro a conferire a Domenica, trista domenica lo status di inno internazionale.
Pavarotti: Non posso credere alle nuove
Né chiuder gli occhi miei e fingermi altrove
Ahi, quanto / dureremo in questo pianto?
Ahi quanto/ ahi qua… a … a… a… nto
Bono: Tonight we can be as one,
tonight, tonight
Insieme: Domenica trista, domenica trista.
Notevole anche la Non ti (scordare di me) in coppia con Jim Kerr. Ma le vere scintille, Pavarotti le provocava a contatto col pop elettronico. Ricordate la voce del Tenore impastarsi a meraviglia col falsetto di Jimmy Sommerville in Tell me why? (Io e te insieme pugnam pel nostro amor…). La sua versione di Just can’t get enough dei Depeche Mode mantiene a distanza di anni tutta la sua carica vitalistica e trasgressiva:
Luciano: Ognor ti penso, e cresce in me il desio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: Soltanto in te trova conforto il pensier mio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: D’amor io brucio, siccome pira ardente
E bruciando pur non ne ho bastante – mai.
Qualche concessione al passato il Maestro doveva pur farla. Memorabile la sua versione di Light my fire, supportata dai tre Doors superstiti:
Sai ch’io non sarei sincero
Sai ch’io sarei ben bugiardo
Se or io ti dicessi, invero
Che non possiam salir più in alto
Orsù amor appicca il foco
Orsù amor appicca il foco
Di quella pira orrendo… foco!.
Passato e moderno. Sulla passerella i fantasmi dei Doors lasciavano lo spazio ai Clash all’apice della fama:
Diletta mia, mi devi dir
Debbo partirmene o restar?
S’io vado, vi saranno guai?
S’io resto, un doppio amante avrai?
Deh dimmi, mia diletta, inver:
debb’io partirmene o restar?.
E i Police:
Pavarotti: Ogni tuo sospir
Ogni tuo pensier
Ogni tuo piacer, ogni tuo voler
Io ti scruterò
Sting: Every single day
Every word you say
Every game you play
Every night you stay
I'll be watching you
Pavarotti: Che, non lo sai?
Ti posseggo, ormai,
e reclamo inver
ogni tuo pensier.
Purtroppo tutto quello che ci resta di quegli anni felici sono un pugno di ricordi. Niente registrazioni, mp3, foto, niente. Dobbiamo affidarci alla nostra memoria, lacunosa e non sempre degna di fiducia. Ma saremmo grati se qualcuno ci volesse segnalare altri duetti storici del Maestro. A maggior gloria sua e dei suoi amici, la cittadinanza riconoscente.
martedì 27 maggio 2003
A pensar male si invecchia male (diceva il tale)
Anche quando non vengono a prenderti col furgone, c’è sempre il rischio di metter su una gobba e le orecchie a punta, ritrovarsi in un processo per mafia, ecc.. Perciò bisognerebbe sforzarsi di non pensare sempre male, di pensare anche positivo. Va bene. Domani penserò positivo.
Stanotte penso male. Scusate.
I fatti:
c’è un quotidiano molto importante, negli USA, che è il New York Times (ma va'?). Pur non essendo contro la guerra, prima e dopo il conflitto non è stato del tutto allineato con le scelte dell’amministrazione Bush.
Bene, nelle ultime settimane il New York Times è stato al centro di una caccia alle pulci senza precedenti da parte dei colleghi della stampa. Bisogna dire che almeno una pulce era di dimensioni considerevoli: Jayson Blair, un giovane cronista afroamericano che sembra essersi fatto avanti nel mondo del giornalismo a furia di bugie, distorsioni, copia-incolla-e-ometti-la fonte, ecc.. Blair si è dovuto dimettere, il NYT ha fatto pubblica ammenda con un’indagine interna e un lungo articolo di scuse. Sotto accusa è finita anche l’abitudine politically correct di promuovere i giornalisti appartenenti alle minoranze etniche.
Il caso Blair tiene banco per molti giorni: (qui è segnalata un'intervista, qui un falso blog) nel frattempo altri giornalisti si danno da fare e scoprono altre piccole e grandi magagne. Qui, per esempio, Andrew Sullivan, ultimamente molto vicino ai Neocon. La nostra fonte per tutto questo tipo di notizie è naturalmente Camillo. E proprio Camillo (24 maggio) segnala un altro episodio
Maureen Dowd imbroglicchia (anche dopo il caso Blair)
Sul New York Times, la sopravvalutata reginetta radical chic di Washington, ha attribuito a Bush una frase ,"Al Qaida non è più un problema", pronunciata prima della nuova ondata di attentati a Riad e Casablanca, per dimostrare che è un presidente incapace. Solo che Bush non ha detto questo, ma questo: "I più importanti militanti di Al Qaida sono o in galera o morti. In entrambi i casi non costituiscono più un problema". Quelli che non costituiscono più un problema sono i militanti di Al Qaida in galera o morti, non Al Qaida (del resto Bush vuole fare la guerra infinita, no?)
Sono passati 10 giorni e la reginetta che piace molto alle dame snob del giornalismo italiano non ha corretto la sua affermazione che nel frattempo viene ripetuta in tutti i talk show e in cento giornali in giro per il paese. Né, del resto, il New York Times si è scusato. Vedremo domenica, ma il New York Times per i canoni americani sta facendo un'altra gigantesca figuraccia.
Concordiamo con Camillo: un giornalista che isola una frase dal contesto e se ne serve per distorcere un’informazione fino a trasformarla nel suo contrario merita di essere sbertucciato pubblicamente.
E arriviamo a ieri, 26 maggio: sul NYT compare un articolo non firmato (cosa inusuale, pare), che saluta “la visione del Presidente sul Medio Oriente” (perdonatemi la cacofonica traduzione di “The President's Mideast Vision”). È un articolo equilibrato e dice cose universalmente condivisibili (“gli insediamenti sono intollerabili. Sono spine nel cuore di un futuro stato palestinese. In molti casi si tratta di piccole enclavi all’interno o nelle vicinanze dei territori e delle città palestinesi, difese da guarnigioni israeliane che fanno sentire i palestinesi come odiati intrusi a casa loro”). Però non c’è dubbio che “la Vision” di Bush, la sua opera di smontaggio e rimontaggio del Medio Oriente sia salutata come l’unica in grado di risolvere la situazione.
Beh, magari il pezzo è il risultato di un lungo ripensamento collettivo della redazione del NYT, che si è resa conto di essere stata ingiusta nei confronti di uno statista che si sta dando così tanto da fare per cambiare il mondo in meglio. E del resto siamo tutti padroni di cambiare idea quando vogliamo e come vogliamo.
Però volete scommettere che la caccia alle pulci delle ultime settimane (meritoria, per carità) calerà di intensità, adesso?
Ecco, lo sapevo, è arrivato il furgone. Sì, è vero, ho pensato male. Ma solo un po’. No, la camicia no, per favore. Le pillole le prendo, ma la camicia no. Ho detto no.
A domani.
Anche quando non vengono a prenderti col furgone, c’è sempre il rischio di metter su una gobba e le orecchie a punta, ritrovarsi in un processo per mafia, ecc.. Perciò bisognerebbe sforzarsi di non pensare sempre male, di pensare anche positivo. Va bene. Domani penserò positivo.
Stanotte penso male. Scusate.
I fatti:
c’è un quotidiano molto importante, negli USA, che è il New York Times (ma va'?). Pur non essendo contro la guerra, prima e dopo il conflitto non è stato del tutto allineato con le scelte dell’amministrazione Bush.
Bene, nelle ultime settimane il New York Times è stato al centro di una caccia alle pulci senza precedenti da parte dei colleghi della stampa. Bisogna dire che almeno una pulce era di dimensioni considerevoli: Jayson Blair, un giovane cronista afroamericano che sembra essersi fatto avanti nel mondo del giornalismo a furia di bugie, distorsioni, copia-incolla-e-ometti-la fonte, ecc.. Blair si è dovuto dimettere, il NYT ha fatto pubblica ammenda con un’indagine interna e un lungo articolo di scuse. Sotto accusa è finita anche l’abitudine politically correct di promuovere i giornalisti appartenenti alle minoranze etniche.
Il caso Blair tiene banco per molti giorni: (qui è segnalata un'intervista, qui un falso blog) nel frattempo altri giornalisti si danno da fare e scoprono altre piccole e grandi magagne. Qui, per esempio, Andrew Sullivan, ultimamente molto vicino ai Neocon. La nostra fonte per tutto questo tipo di notizie è naturalmente Camillo. E proprio Camillo (24 maggio) segnala un altro episodio
Maureen Dowd imbroglicchia (anche dopo il caso Blair)
Sul New York Times, la sopravvalutata reginetta radical chic di Washington, ha attribuito a Bush una frase ,"Al Qaida non è più un problema", pronunciata prima della nuova ondata di attentati a Riad e Casablanca, per dimostrare che è un presidente incapace. Solo che Bush non ha detto questo, ma questo: "I più importanti militanti di Al Qaida sono o in galera o morti. In entrambi i casi non costituiscono più un problema". Quelli che non costituiscono più un problema sono i militanti di Al Qaida in galera o morti, non Al Qaida (del resto Bush vuole fare la guerra infinita, no?)
Sono passati 10 giorni e la reginetta che piace molto alle dame snob del giornalismo italiano non ha corretto la sua affermazione che nel frattempo viene ripetuta in tutti i talk show e in cento giornali in giro per il paese. Né, del resto, il New York Times si è scusato. Vedremo domenica, ma il New York Times per i canoni americani sta facendo un'altra gigantesca figuraccia.
Concordiamo con Camillo: un giornalista che isola una frase dal contesto e se ne serve per distorcere un’informazione fino a trasformarla nel suo contrario merita di essere sbertucciato pubblicamente.
E arriviamo a ieri, 26 maggio: sul NYT compare un articolo non firmato (cosa inusuale, pare), che saluta “la visione del Presidente sul Medio Oriente” (perdonatemi la cacofonica traduzione di “The President's Mideast Vision”). È un articolo equilibrato e dice cose universalmente condivisibili (“gli insediamenti sono intollerabili. Sono spine nel cuore di un futuro stato palestinese. In molti casi si tratta di piccole enclavi all’interno o nelle vicinanze dei territori e delle città palestinesi, difese da guarnigioni israeliane che fanno sentire i palestinesi come odiati intrusi a casa loro”). Però non c’è dubbio che “la Vision” di Bush, la sua opera di smontaggio e rimontaggio del Medio Oriente sia salutata come l’unica in grado di risolvere la situazione.
Beh, magari il pezzo è il risultato di un lungo ripensamento collettivo della redazione del NYT, che si è resa conto di essere stata ingiusta nei confronti di uno statista che si sta dando così tanto da fare per cambiare il mondo in meglio. E del resto siamo tutti padroni di cambiare idea quando vogliamo e come vogliamo.
Però volete scommettere che la caccia alle pulci delle ultime settimane (meritoria, per carità) calerà di intensità, adesso?
Ecco, lo sapevo, è arrivato il furgone. Sì, è vero, ho pensato male. Ma solo un po’. No, la camicia no, per favore. Le pillole le prendo, ma la camicia no. Ho detto no.
A domani.
lunedì 26 maggio 2003
Madamina, il catalogo è questo:
Non è mai dove te l’aspetti. La poesia, intendo.
Hai voglia a cercarla nei libri piccoli, dove si va a capo spesso. Lì è troppo facile. Ma la poesia non è facile.
Pensi: è solo una questione di regole. Imparerò a mettere punti e virgole, conterò le sillabe le e rime. Sbagliato. La poesia ama le regole solo per infrangerle. Taglia le rime. Taglia i punti e le virgole. Ecco, hai tolto tutto. Anche la poesia. Dov’è finita?
Pensi: è una questione di contenuto. Parlerò di qualcosa che conosco bene. Parlerò di me. Sbagliato.
Parlerò di lei: si farà ben vedere. Sbagliato, ancora. La poesia non parla mai di sé stessa. La poesia parla d’altro. La poesia cincischia, cambia argomento. Dove sono finite le nevi d’un tempo? E che ne so io, scusa. (Eppure piangerai per Silvia, per le nevi d’un tempo, per l’aratro in mezzo alla maggese, per gente che non hai mai conosciuto e che magari nemmeno è esistita).
C’è poesia nei blog? Può darsi, ma non dove la stiamo cercando. I blog sono simpatici, ma un po’ troppo verbosi, e a lei non piace. Angosciati dalla loro stessa libertà, si danno tutti schemi prefissati, c’è il seguace del link e quello dell’iperlink, la poesia nel frattempo è già fuggita in direzione scalo merci.
Ma soprattutto: i blog sono scritti bene (come disse una volta un tale).
Troppo bene. I punti giusti, le virgole giuste, i giochi di parole mai troppo debordanti, una sintassi impeccabile e mai troppo pesante.
Questo la poesia non lo può sopportare. Chi scrive bene può dire soltanto quello che è già stato detto. La poesia vuole qualcosa di più.
14)Turista francese
Era sexy smaliziata e stronza come tutte le francesi.
La portai dritto in spiaggia.
Ma al momento del bacio , scoprii che aveva mangiato cipolla e non uso nemmeno la cortesia di avvisarmi.
Giuro mi venivano gli sforzi del vomito ad ogni bacio.
Una cosa indecente.
Non la vidi +
E poi c’è Bart.
Tutte le mattine mi veniva a svegliare ed era in competizione con la Biondina al punto 15)
Una sera andammo in spiaggia sul tettino del Bagno Adriana in Valverde proprio di fronte al Bar Centrale.
Era il grande giorno.Lei un corpo da favola.
Ci provammo ma lei stava troppo ….e io non riuscivo ….poi faceva caldo e ..ci poteva vedere qualcuno …e .. insomma , lasciammo perdere e ci andammo a mangiare un gelato.
Rimasimo amici anche per estati seguenti , ma ci incontravamo sempre + raramente e alla fine se andava bene una telefonata all’anno.
[…]
Erano gli anni 90.
Bart è il tenutario di un blog intitolato Memorie di me medesimo. Lo citerò molto stasera, per due ragioni. La prima è che ho paura che il suo sito scompaia da un momento all’altro. È un inventario di tutte le donne che lui ha amato o anche solo sfiorato (ma per Bart, vedrete, non fa molta differenza). L’inventario comprende Kim Basinger, la Barbie di sua sorella (La rapii e la portai in una legnaia,la Baciaii , la strinsi forte a me provando un sentimento forte di amore e le promisi che l’avrei sposata. Poi la riconsegnai a mia sorella se no mi legneva), ma anche, e soprattutto, persone vere, con tanto di nome, cognome, attuale occupazione e stato civile. Lo stesso Bart fornisce nome, cognome, fototessera. Secondo me non può durare. E questo mi dispiace perché (seconda ragione) Bart è un poeta. O almeno, alcune memorie di lui medesimo sono pura poesia.
31) Lucrezia.
Internet che passione.
Chiattavamo per ore poi mentre guardavo la tv passo una scritta che cercavano persone che non si conoscevano e che si erano parlate in internet.
Gli mandai le foto mia e di Lucrezia from Naples , di Napoli quagliò ,il mio sito internet e mi contattarono.Lei ballerina , io attore.
Ma lei era innamorata di un ragazzo di Torino sposato e la trasmissione si teneva alla sede rai di Torino , la sede storica.Questa sfortunata coincidenza mi costo una notte di pasione alla Romagnola.
Ci tennero separati 4 gg per poi farci incontrare in trasmissione.
Mi sembrava meglio dalla foto.
Ma ci divertimmo.
Dopo in tram mi diede un bacio prima di andare dal torinese.Ma disse che ci saremmo visti dopo in camera da lei.
Cosa io il grande attore raccogliere gli avanzi , le frattaglie di un Torinese bizantino bianco e smunto per quanto regale.
No mai il grande attore è stanco e stanotte dorme solo.
Tanto ero famoso e fra l’altro innamorato dalle mia collega Manuela che esaltai in trasmissione.
Ma si mise con un collega piccolo e nero.
Che donna.
Maldestra, sì, la poesia è maldestra. Bart non ha frequentato corsi di scrittura creativa, non padroneggia la punteggiatura, ha un lessico impulsivo e impreciso. E allora? Io trovo che si spieghi benissimo. Voi no?
58) A. T.
Era completamente pazza lei ma anche suo fratello.Lui soffriva di attacchi di panico,stava per andare in spiaggia e gli vaniva l’attacco di panico e si andava a casa guidando a fatica.Poi si fece curare da un santone.
La sorella stava un po meglio si fa per dire.
Non guidava per la paura e allora per fargli superare il trauma gli feci guidare la mia spider nella via emilia (strada emiliano romagnola trafficata) che matto , pure io.
Poi era ipocondriaca aveva paura delle malattie e temeva l’aids visto che mi ero rombato mezza africa (protetto si intende).Era Apatica.Informatissima.Non riusciva a fare le cose per paura , gli esami , neanche andare in palestra.
Diceva che si era innamorata di me perché non aveva nulla da fare,come la canzone,potete immaginare l’entusiasmo.
Ecco: riscritto in buon italiano potrebbe essere un soggetto di Bevilacqua. Ma chi se lo legge, Bevilacqua. Al diavolo il buon italiano.
E se il minimalismo emiliano v’ha stracotto i coglioni (giustamente), ho una buona notizia per voi. Bart ha viaggiato più di tutti gli scrittori emiliani del Novecento messi assieme. Ha fatto l’attore, il barista, l’agente petrolifero, ha visto l’Africa, il Sudamerica, i Balcani (protetto, si intende). È il nostro Hemingway:
25)Ragazza israeliana.
Ero in grecia nella vacanza già descritta e conobbimo un gruppo di ragazzi israeliani.
Una specie di setta con loro regole controlli incrociati da parte dei maschi del branco per la religione che gli ordina di fare solo certe cose , quelle giuste per dio.
Ci appartammo a baciammo ma sbucò un ebreo che si raccomando con lei di fare attenzione.
Ma le mi baciava.
Ci decimo anche foto in spiaggia che ho ancora.
E’ l’unica ragazza che ho avuto e che ha fatto 2 anni di militare.
18) Era la ragazza dicolore + intraprendente che abbia mai visto.In africa conoscere una prostituta così vale + che conoscere un ambasciatore se ti trovi nei guai.
[…]
I miei colleghi dottori di bologna non apprezzavano che io sperperassi i soldi che l’agip ci dava per mangiare con le donnine allegre era immorale.
Preferivano darli ai ricchi colonizzatori francesi nei loro ristorantini chic.
Io facevo del bene a quelle povere ragazze,davvero.
La scoperta del diverso, senza tanta retorica ma nemmeno troppo cinismo:
Congo piattole,era una negretta piccolina sui 18 anni molto carina occhio e croce era in un bar ubriaca la portai nella mia suite la lavai per benino ma non si era depilata , dalle gambe sembrava una scimmia e si grattava di continuo.
Mi ha attaccato la scabbia.
Il giorno dopo mi imbarcai per un mese.
Non potete neanche immaginare come si sta un mese con la scabbia e non mi facevo sbarcare per la grana.
In un campo profughi bosniaco è tutto un piangere di orfani. Bart reagisce a modo suo, e a modo suo ritrova un Dio, e un motivo serio per ringraziarlo:
24)Ragazza di monza dalle suore nel cabinotto con tette enormi
Lavoravo alla S Maria sul Mare , una colonia di suore che ospitava Bambini Bosniaci fuggiti dalla Bosnia a causa della guerra.La sera era un coro di pianti.
Lei era di monza struttura robusta ma graziosa e seno enorme.
UN giorno in pausa pranzo lei rimase un po di + in spiaggia per sistemare i giocattoli dei bimbi.
Vicino alla doccia c’erano le cabine e io la spinsi dentro e la baciai appassionatamente e assaggiai la morbidezza di quel seno generoso.Viva le suore , viva dio.
Mettiamo in chiaro una cosa: a me non piace mettere alla berlina le persone. Per di più Bart non se lo merita, perché non ha nessuna pretesa di voler fare poesia. Proprio per questo la poesia gli si concede così di frequente. Io non mi prendo gioco di lui, io lo invidio. Invidio il suo personaggio, la sua disponibilità alle avventure e la sua tranquillità nel raccontare le vittorie e le sconfitte della vita.
La portai al porto in una barca attraccata e dopo averla baciata gli sfilai le mutande.
Non era il giorno adatto.
Da sobrio non la rividi +.
---
Mi diede uno schiaffone tipo si contano le 5 dita e chise la portiera della macchina.
Invidio il suo trasporto, sincero, non per una donna sola e nemmeno per tante, ma per qualsiasi cosa sia anche lontanamente donna, ogni piccolo dettaglio, anche straniante:
Ci incontravamo al Rio di Pinnarella nei primi anni 90.
Ci baciavamo per delle ore e mi piaceva il fatto che si sentivano i baffi.
----
Mi ricordo soprattutto di lei l’odore di piedi quando in macchina si levava le scarpe
----
Aveva un po i dentoni ma mi piaceva.
Aveva quel velo di tristezza e di pessimismo
---
3)Elena
Elena fu la mia prima ragazza di Macerone , da piccolina aveva perso un occhio con le forbici e l’aveva di vetro ma mi piaceva , anche se in realtà mi piaceva la sua migliore amica Chiara , ma era troppo bella per me , ache se poi la troverete al numero 8.
Ci baciavamo nel prato della parrocchia per ore ed era bello , se non che quando ci guardavamo negli occhi non era proprio come guardare ..con due , cioè non vorrei sembrare indelicato…comunque il culo compensava.
Adesso fa la logopedista ed ha sposato un oculista , giuro.
Quando la lasciai era estate , ma non era per l’occhio e andai al mare col mio motorino rosso e piansi , ma piansi che me lo ricordo ancora , mi sentivo in colpa , come era bello piangere.
Tempo dopo mi ferì dicendo che avevo le mani nodose.
Ma la capii.
Ho la netta sensazione di essere io il ridicolo, quello che sta attento ai punti e alle virgole e si perde l’essenziale. Ma fortunatamente Bart non si prenderà gioco di me. Ha di meglio da fare, direi
60) Verusca.
L’adoro quella ragazza , con le palle , bionda grassoccella con macchie bianche nella pelle ma lei diceva che non era contagioso.
Era divorziata , me la rombavo ripetutamente e stavo bene.Lavorava in banca.
Rideva sempre.
Che carina aveva comprato una casa vicino alla mia e quando rientravo la passavo a salutare.
Un giorno andai a casa sua ,piccina ma carina , e si mise a prepararmi le tagliatelle fatte in casa
In un epoca in cui ci si sente dire dopo cena dalla ragazza , “Non lavo i piatti perché non sono portata per i lavori manuali”
E allora si mise il grembiule , la farina , ruppe le uova e si mise a impastare e impastare con quelle mani con quella forza con quelle braccia e il sererotto,sembrava la mia nonna di campagna quando ci riunivamo con tutti i parenti a Gattolino.
Gli saltai addosso all’istante.
Ci salutiamo con affetto.
Ti auguro ancora mille di queste donne, Bart, anzi, mille e tre. Ho il sospetto che te le meriti.
(Però cambia i nomi e i cognomi, ti prego).
Grazie a Kristerica per la segnalazione.
Non è mai dove te l’aspetti. La poesia, intendo.
Hai voglia a cercarla nei libri piccoli, dove si va a capo spesso. Lì è troppo facile. Ma la poesia non è facile.
Pensi: è solo una questione di regole. Imparerò a mettere punti e virgole, conterò le sillabe le e rime. Sbagliato. La poesia ama le regole solo per infrangerle. Taglia le rime. Taglia i punti e le virgole. Ecco, hai tolto tutto. Anche la poesia. Dov’è finita?
Pensi: è una questione di contenuto. Parlerò di qualcosa che conosco bene. Parlerò di me. Sbagliato.
Parlerò di lei: si farà ben vedere. Sbagliato, ancora. La poesia non parla mai di sé stessa. La poesia parla d’altro. La poesia cincischia, cambia argomento. Dove sono finite le nevi d’un tempo? E che ne so io, scusa. (Eppure piangerai per Silvia, per le nevi d’un tempo, per l’aratro in mezzo alla maggese, per gente che non hai mai conosciuto e che magari nemmeno è esistita).
C’è poesia nei blog? Può darsi, ma non dove la stiamo cercando. I blog sono simpatici, ma un po’ troppo verbosi, e a lei non piace. Angosciati dalla loro stessa libertà, si danno tutti schemi prefissati, c’è il seguace del link e quello dell’iperlink, la poesia nel frattempo è già fuggita in direzione scalo merci.
Ma soprattutto: i blog sono scritti bene (come disse una volta un tale).
Troppo bene. I punti giusti, le virgole giuste, i giochi di parole mai troppo debordanti, una sintassi impeccabile e mai troppo pesante.
Questo la poesia non lo può sopportare. Chi scrive bene può dire soltanto quello che è già stato detto. La poesia vuole qualcosa di più.
14)Turista francese
Era sexy smaliziata e stronza come tutte le francesi.
La portai dritto in spiaggia.
Ma al momento del bacio , scoprii che aveva mangiato cipolla e non uso nemmeno la cortesia di avvisarmi.
Giuro mi venivano gli sforzi del vomito ad ogni bacio.
Una cosa indecente.
Non la vidi +
E poi c’è Bart.
Tutte le mattine mi veniva a svegliare ed era in competizione con la Biondina al punto 15)
Una sera andammo in spiaggia sul tettino del Bagno Adriana in Valverde proprio di fronte al Bar Centrale.
Era il grande giorno.Lei un corpo da favola.
Ci provammo ma lei stava troppo ….e io non riuscivo ….poi faceva caldo e ..ci poteva vedere qualcuno …e .. insomma , lasciammo perdere e ci andammo a mangiare un gelato.
Rimasimo amici anche per estati seguenti , ma ci incontravamo sempre + raramente e alla fine se andava bene una telefonata all’anno.
[…]
Erano gli anni 90.
Bart è il tenutario di un blog intitolato Memorie di me medesimo. Lo citerò molto stasera, per due ragioni. La prima è che ho paura che il suo sito scompaia da un momento all’altro. È un inventario di tutte le donne che lui ha amato o anche solo sfiorato (ma per Bart, vedrete, non fa molta differenza). L’inventario comprende Kim Basinger, la Barbie di sua sorella (La rapii e la portai in una legnaia,la Baciaii , la strinsi forte a me provando un sentimento forte di amore e le promisi che l’avrei sposata. Poi la riconsegnai a mia sorella se no mi legneva), ma anche, e soprattutto, persone vere, con tanto di nome, cognome, attuale occupazione e stato civile. Lo stesso Bart fornisce nome, cognome, fototessera. Secondo me non può durare. E questo mi dispiace perché (seconda ragione) Bart è un poeta. O almeno, alcune memorie di lui medesimo sono pura poesia.
31) Lucrezia.
Internet che passione.
Chiattavamo per ore poi mentre guardavo la tv passo una scritta che cercavano persone che non si conoscevano e che si erano parlate in internet.
Gli mandai le foto mia e di Lucrezia from Naples , di Napoli quagliò ,il mio sito internet e mi contattarono.Lei ballerina , io attore.
Ma lei era innamorata di un ragazzo di Torino sposato e la trasmissione si teneva alla sede rai di Torino , la sede storica.Questa sfortunata coincidenza mi costo una notte di pasione alla Romagnola.
Ci tennero separati 4 gg per poi farci incontrare in trasmissione.
Mi sembrava meglio dalla foto.
Ma ci divertimmo.
Dopo in tram mi diede un bacio prima di andare dal torinese.Ma disse che ci saremmo visti dopo in camera da lei.
Cosa io il grande attore raccogliere gli avanzi , le frattaglie di un Torinese bizantino bianco e smunto per quanto regale.
No mai il grande attore è stanco e stanotte dorme solo.
Tanto ero famoso e fra l’altro innamorato dalle mia collega Manuela che esaltai in trasmissione.
Ma si mise con un collega piccolo e nero.
Che donna.
Maldestra, sì, la poesia è maldestra. Bart non ha frequentato corsi di scrittura creativa, non padroneggia la punteggiatura, ha un lessico impulsivo e impreciso. E allora? Io trovo che si spieghi benissimo. Voi no?
58) A. T.
Era completamente pazza lei ma anche suo fratello.Lui soffriva di attacchi di panico,stava per andare in spiaggia e gli vaniva l’attacco di panico e si andava a casa guidando a fatica.Poi si fece curare da un santone.
La sorella stava un po meglio si fa per dire.
Non guidava per la paura e allora per fargli superare il trauma gli feci guidare la mia spider nella via emilia (strada emiliano romagnola trafficata) che matto , pure io.
Poi era ipocondriaca aveva paura delle malattie e temeva l’aids visto che mi ero rombato mezza africa (protetto si intende).Era Apatica.Informatissima.Non riusciva a fare le cose per paura , gli esami , neanche andare in palestra.
Diceva che si era innamorata di me perché non aveva nulla da fare,come la canzone,potete immaginare l’entusiasmo.
Ecco: riscritto in buon italiano potrebbe essere un soggetto di Bevilacqua. Ma chi se lo legge, Bevilacqua. Al diavolo il buon italiano.
E se il minimalismo emiliano v’ha stracotto i coglioni (giustamente), ho una buona notizia per voi. Bart ha viaggiato più di tutti gli scrittori emiliani del Novecento messi assieme. Ha fatto l’attore, il barista, l’agente petrolifero, ha visto l’Africa, il Sudamerica, i Balcani (protetto, si intende). È il nostro Hemingway:
25)Ragazza israeliana.
Ero in grecia nella vacanza già descritta e conobbimo un gruppo di ragazzi israeliani.
Una specie di setta con loro regole controlli incrociati da parte dei maschi del branco per la religione che gli ordina di fare solo certe cose , quelle giuste per dio.
Ci appartammo a baciammo ma sbucò un ebreo che si raccomando con lei di fare attenzione.
Ma le mi baciava.
Ci decimo anche foto in spiaggia che ho ancora.
E’ l’unica ragazza che ho avuto e che ha fatto 2 anni di militare.
18) Era la ragazza dicolore + intraprendente che abbia mai visto.In africa conoscere una prostituta così vale + che conoscere un ambasciatore se ti trovi nei guai.
[…]
I miei colleghi dottori di bologna non apprezzavano che io sperperassi i soldi che l’agip ci dava per mangiare con le donnine allegre era immorale.
Preferivano darli ai ricchi colonizzatori francesi nei loro ristorantini chic.
Io facevo del bene a quelle povere ragazze,davvero.
La scoperta del diverso, senza tanta retorica ma nemmeno troppo cinismo:
Congo piattole,era una negretta piccolina sui 18 anni molto carina occhio e croce era in un bar ubriaca la portai nella mia suite la lavai per benino ma non si era depilata , dalle gambe sembrava una scimmia e si grattava di continuo.
Mi ha attaccato la scabbia.
Il giorno dopo mi imbarcai per un mese.
Non potete neanche immaginare come si sta un mese con la scabbia e non mi facevo sbarcare per la grana.
In un campo profughi bosniaco è tutto un piangere di orfani. Bart reagisce a modo suo, e a modo suo ritrova un Dio, e un motivo serio per ringraziarlo:
24)Ragazza di monza dalle suore nel cabinotto con tette enormi
Lavoravo alla S Maria sul Mare , una colonia di suore che ospitava Bambini Bosniaci fuggiti dalla Bosnia a causa della guerra.La sera era un coro di pianti.
Lei era di monza struttura robusta ma graziosa e seno enorme.
UN giorno in pausa pranzo lei rimase un po di + in spiaggia per sistemare i giocattoli dei bimbi.
Vicino alla doccia c’erano le cabine e io la spinsi dentro e la baciai appassionatamente e assaggiai la morbidezza di quel seno generoso.Viva le suore , viva dio.
Mettiamo in chiaro una cosa: a me non piace mettere alla berlina le persone. Per di più Bart non se lo merita, perché non ha nessuna pretesa di voler fare poesia. Proprio per questo la poesia gli si concede così di frequente. Io non mi prendo gioco di lui, io lo invidio. Invidio il suo personaggio, la sua disponibilità alle avventure e la sua tranquillità nel raccontare le vittorie e le sconfitte della vita.
La portai al porto in una barca attraccata e dopo averla baciata gli sfilai le mutande.
Non era il giorno adatto.
Da sobrio non la rividi +.
---
Mi diede uno schiaffone tipo si contano le 5 dita e chise la portiera della macchina.
Invidio il suo trasporto, sincero, non per una donna sola e nemmeno per tante, ma per qualsiasi cosa sia anche lontanamente donna, ogni piccolo dettaglio, anche straniante:
Ci incontravamo al Rio di Pinnarella nei primi anni 90.
Ci baciavamo per delle ore e mi piaceva il fatto che si sentivano i baffi.
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Mi ricordo soprattutto di lei l’odore di piedi quando in macchina si levava le scarpe
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Aveva un po i dentoni ma mi piaceva.
Aveva quel velo di tristezza e di pessimismo
---
3)Elena
Elena fu la mia prima ragazza di Macerone , da piccolina aveva perso un occhio con le forbici e l’aveva di vetro ma mi piaceva , anche se in realtà mi piaceva la sua migliore amica Chiara , ma era troppo bella per me , ache se poi la troverete al numero 8.
Ci baciavamo nel prato della parrocchia per ore ed era bello , se non che quando ci guardavamo negli occhi non era proprio come guardare ..con due , cioè non vorrei sembrare indelicato…comunque il culo compensava.
Adesso fa la logopedista ed ha sposato un oculista , giuro.
Quando la lasciai era estate , ma non era per l’occhio e andai al mare col mio motorino rosso e piansi , ma piansi che me lo ricordo ancora , mi sentivo in colpa , come era bello piangere.
Tempo dopo mi ferì dicendo che avevo le mani nodose.
Ma la capii.
Ho la netta sensazione di essere io il ridicolo, quello che sta attento ai punti e alle virgole e si perde l’essenziale. Ma fortunatamente Bart non si prenderà gioco di me. Ha di meglio da fare, direi
60) Verusca.
L’adoro quella ragazza , con le palle , bionda grassoccella con macchie bianche nella pelle ma lei diceva che non era contagioso.
Era divorziata , me la rombavo ripetutamente e stavo bene.Lavorava in banca.
Rideva sempre.
Che carina aveva comprato una casa vicino alla mia e quando rientravo la passavo a salutare.
Un giorno andai a casa sua ,piccina ma carina , e si mise a prepararmi le tagliatelle fatte in casa
In un epoca in cui ci si sente dire dopo cena dalla ragazza , “Non lavo i piatti perché non sono portata per i lavori manuali”
E allora si mise il grembiule , la farina , ruppe le uova e si mise a impastare e impastare con quelle mani con quella forza con quelle braccia e il sererotto,sembrava la mia nonna di campagna quando ci riunivamo con tutti i parenti a Gattolino.
Gli saltai addosso all’istante.
Ci salutiamo con affetto.
Ti auguro ancora mille di queste donne, Bart, anzi, mille e tre. Ho il sospetto che te le meriti.
(Però cambia i nomi e i cognomi, ti prego).
Grazie a Kristerica per la segnalazione.
venerdì 23 maggio 2003
Noi assassini
siamo così appassionati della nostra capacità di farci male l'un l'altro, che passiamo i giorni a contare i morti da una parte e dall'altra, dieci di qui, cento di là, si vedrà alla fine chi è l'assassino e chi la legittima difesa.
Quando basta così poco, un battito di ciglia, uno starnuto, una breve scossa, a ricordarci che siamo solo dei poveri dilettanti.
siamo così appassionati della nostra capacità di farci male l'un l'altro, che passiamo i giorni a contare i morti da una parte e dall'altra, dieci di qui, cento di là, si vedrà alla fine chi è l'assassino e chi la legittima difesa.
Quando basta così poco, un battito di ciglia, uno starnuto, una breve scossa, a ricordarci che siamo solo dei poveri dilettanti.
giovedì 22 maggio 2003
Alla maniera del povero BB
"Ho letto sul giornale (ed era convincente), che devo votare Sì al Referendum, anche se...
– è vero che le imprese a conduzione famigliare non ne riceveranno vantaggi;
– e che quello che si abbatte col maglio del referendum può essere ricostruito in pochi mesi con tre leggine passate sotto silenzio;
– e che insomma, la sinistra dovrebbe preoccuparsi di creare un blocco stabile e di vincere le elezioni, invece di affidarsi al primo plebiscito che trova (perdendolo, probabilmente);
– mentre questo quesito sembra concepito per dividere la sinistra tra moderati e massimalisti, e Berlusconi ringrazia.
Ciononostante:
– molti dopo il 23 marzo 2002 hanno cantato vittoria e rimesso le bandiere in naftalina, senza accorgersi è in atto un’offensiva ai diritti del lavoro senza precedenti;
– presto sarà possibile smembrare le imprese in piccole aziende con meno di 15 dipendenti (da noi credevo lo facessero già);
– sta passando l’idea Meno Diritti = Più Opportunità di Lavoro, ed è una tragica sciocchezza, da combattere con tutte le forze disponibili, comprese quelle necessarie a tracciare una X su una scheda, il 15 giugno".
Ti ho convinto lettore?
Riproviamo.
"Ho letto sul giornale (ed era convincente), che devo votare Sì al Referendum, perché...
– molti dopo il 23 marzo 2002 hanno cantato vittoria e rimesso le bandiere in naftalina, senza accorgersi è in atto un’offensiva ai diritti del lavoro senza precedenti;
– presto sarà possibile smembrare le imprese in piccole aziende con meno di 15 dipendenti;
– sta passando l’idea Meno Diritti = Più Opportunità di Lavoro, ed è una tragica sciocchezza, da combattere con tutte le forze disponibili, comprese quelle necessarie a tracciare una X su una scheda, il 15 giugno.
Tuttavia,
– è vero che le imprese a conduzione famigliare non ne riceveranno vantaggi;
– e che quello che si abbatte col maglio del referendum può essere ricostruito in pochi mesi con tre leggine passate sotto silenzio;
– e che insomma, la sinistra dovrebbe preoccuparsi di creare un blocco stabile e di vincere le elezioni, invece di affidarsi al primo plebiscito che trova (perdendolo, probabilmente);
– mentre questo quesito sembra concepito per dividere la sinistra tra moderati e massimalisti, e Berlusconi ringrazia".
(l’articolo era su un giornale che è stato buttato via, e su internet ha l’archivio a pagamento. Scemi).
"Ho letto sul giornale (ed era convincente), che devo votare Sì al Referendum, anche se...
– è vero che le imprese a conduzione famigliare non ne riceveranno vantaggi;
– e che quello che si abbatte col maglio del referendum può essere ricostruito in pochi mesi con tre leggine passate sotto silenzio;
– e che insomma, la sinistra dovrebbe preoccuparsi di creare un blocco stabile e di vincere le elezioni, invece di affidarsi al primo plebiscito che trova (perdendolo, probabilmente);
– mentre questo quesito sembra concepito per dividere la sinistra tra moderati e massimalisti, e Berlusconi ringrazia.
Ciononostante:
– molti dopo il 23 marzo 2002 hanno cantato vittoria e rimesso le bandiere in naftalina, senza accorgersi è in atto un’offensiva ai diritti del lavoro senza precedenti;
– presto sarà possibile smembrare le imprese in piccole aziende con meno di 15 dipendenti (da noi credevo lo facessero già);
– sta passando l’idea Meno Diritti = Più Opportunità di Lavoro, ed è una tragica sciocchezza, da combattere con tutte le forze disponibili, comprese quelle necessarie a tracciare una X su una scheda, il 15 giugno".
Ti ho convinto lettore?
Riproviamo.
"Ho letto sul giornale (ed era convincente), che devo votare Sì al Referendum, perché...
– molti dopo il 23 marzo 2002 hanno cantato vittoria e rimesso le bandiere in naftalina, senza accorgersi è in atto un’offensiva ai diritti del lavoro senza precedenti;
– presto sarà possibile smembrare le imprese in piccole aziende con meno di 15 dipendenti;
– sta passando l’idea Meno Diritti = Più Opportunità di Lavoro, ed è una tragica sciocchezza, da combattere con tutte le forze disponibili, comprese quelle necessarie a tracciare una X su una scheda, il 15 giugno.
Tuttavia,
– è vero che le imprese a conduzione famigliare non ne riceveranno vantaggi;
– e che quello che si abbatte col maglio del referendum può essere ricostruito in pochi mesi con tre leggine passate sotto silenzio;
– e che insomma, la sinistra dovrebbe preoccuparsi di creare un blocco stabile e di vincere le elezioni, invece di affidarsi al primo plebiscito che trova (perdendolo, probabilmente);
– mentre questo quesito sembra concepito per dividere la sinistra tra moderati e massimalisti, e Berlusconi ringrazia".
(l’articolo era su un giornale che è stato buttato via, e su internet ha l’archivio a pagamento. Scemi).
mercoledì 21 maggio 2003
Il Vecchio della Montagna (e i suoi tifosi)
Ma Bin Laden, secondo voi?
Per me è morto. Non è che si possa scappare dall’Afganistan come da un cpt, quando sei il dializzato più famoso del mondo.
Ma soprattutto: se è vivo mostrerebbe il suo volto. Perché una volta mandava vhs e ora non più? La prova video mi sembra inconfutabile.
I ragazzi non sono convinti. Sono abituati a finali più all’altezza: non solo nei film il cattivo viene arrestato, ma perfino sui libri di testo c’è sempre un processo, o al limite un’esecuzione: sparano a Mussolini, Hitler si suicida. Ma Bin Laden è sparito nel nulla (e Saddam Hussein?)
E poi c’è una storia curiosa, che adesso vi racconto.
La favola di Giafar.
Era sul loro libro di lettura dell’anno scorso, penso fosse tratta dalle Mille e Una Notte, ma non sono più riuscito a trovarla.
Giafar è il servitore di un gruppo di Saggi, che passano lo loro giornate a piangere di qualcosa che è proibito chiedere. Da qualche parte c’è una porta che ovviamente Giafar non può aprire… avevamo appena letto Barbablù, e mi sembrava simpatico proporgli lo stesso tema in una fiaba orientale. Fotocopiai la prima pagina e gli chiesi di scrivere il seguito: Giafar apre la porta e… di solito incontra un mostro, poi uno più grosso, poi più grosso ancora, secondo la logica delle playstation. Però trovi sempre qualcuno con uno spunto geniale.
Nel caso di Ahmed (12 anni), sono gli stessi vecchi ad aprire la porta a Giafar. Gli spiegano che loro sono immortali a causa di un filtro, di cui però cominciano a scarseggiare gli ingredienti. Occorre varcare la soglie e andare a cercarli, per salvare la vita ai vecchi immortali. Bello spunto. Buono più.
“Ma Ahmed… come si chiama il capo dei Vecchi? Qui mi pare che ci sia scritto…”
“Osama. È un nome arabo”.
“Lo so. Non… non potevi usarne un altro?”
“Perché?”
Il Vecchio della Montagna
Chissà se Ahmed conosce la storia del Veglio della Montagna. Si tratta di una leggenda orientale che ha avuto un grande successo anche in Occidente, grazie a Marco Polo che se l’era fatta raccontare di passaggio in Persia.
È la storia di Aloodin, principe di una vallata tra due alte catene di monti, nella quale ha ricreato un piccolo paradiso terrestre con ogni ben di dio, comprese le ancelle compiacenti.
Invece di goderselo, il Veglio usa il suo paradiso per costruire un esercito di guerriglieri imbattibili. Come? Somministrando l’oppio a ragazzini innocenti, li fa svegliare nel suo giardino fatato:
Quando li giovani si svegliavano e si trovavano la' entro e vedeano tutte queste cose, veramente credeano essere in paradiso. E queste donzelle sempre stavano co loro in canti e in grandi solazzi; e aveano sí quello che voleano, che mai per loro volere non sarebboro partiti da quello giardino.
Invece la loro permanenza sarà breve: dopo un’altra dose di oppio, i giovani si risvegliano nel mondo normale. Incontrano il Veglio, lo scambiano per un profeta, gli raccontano di avere visto coi loro occhi il Paradiso.
Il Veglio spiega che ci possono tornare quando vogliono; non prima però di aver portato a termine una missione importante. Si tratta quasi sempre di assassinare un nemico di Aloodin. Assassinare: la stessa parola deriverebbe da Hascisc, la droga di cui i fedeli di Aloodin facevano ampio consumo.
Gli assassini di Aloodin sono i migliori: non temono la morte, anzi, l’attendono con gioia, una volta portata a termine la loro missione.
E quando lo Veglio vuole fare uccidere neuno uomo, egli lo prende e dice: "Va' fa' cotale cosa; e questo ti fo perche' ti voglio fare tornare al paradiso". E li assesini vanno e fannolo molto volontieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio de la Montagna.
Ricorda qualcosa?
Il “Veglio”, è un personaggio storico, Hasan Bin Sabbah, un principe persiano coivolto nel XIII secolo in una guerra di successione e fondatore di una setta mistica, dedita tra l’altro all’“impiego a scopi mistici della canapa indiana”. Marco Polo, preoccupato di dare al lettore un finale all’altezza, termina il racconto con la cattura del Veglio e la distruzione del suo paradiso (Alotta per fame fu preso, e fue morto lo Veglio e sua gente tutta. E d'alora in qua non vi fue piú Veglio niuno).
La Storia vera è sempre più deludente. È vero, la fortezza di Bin Sabbah fu espugnata dal fratello di Gengis Khan. Ma questo soltanto molti anni dopo la morte del re degli assassini.
Il Veglio resta nella memoria collettiva, come falso profeta che plagia le sue vittime con finte promesse di immortalità. Una caricatura dell’Islam, che sembra concepita apposta per piacere agli ultras dell’Occidente. Ma prima di tutto è una leggenda orientale: dunque anche i musulmani conoscono il pericolo dei falsi profeti e dei falsi paradisi: ne parlano nelle loro leggende, lo raccontano ai bambini. Teniamocelo per detto.
Cosa vogliamo fare con gli arabi?
Dopotutto vivono tra noi. E questo è un dato di fatto, accettato anche dagli amministratori leghisti. Abbiamo bisogno del loro lavoro, delle loro tasse, dei loro figli, e tra un po’ avremo bisogno anche dei loro voti. Ma (senza ipocrisie) non siamo tanto contenti. Perché?
Perché loro non sono certo migliori di noi. E noi, diciamocelo, non siamo un granché.
Siamo persone pacifiche, ma allo stesso tempo, abbiamo bisogno che qualcuno da qualche parte nel mondo combatta per noi, per le nostre idee, per la nostra civiltà, per la nostra razza.
Abbiamo isolato un fazzoletto di terra in Medio Oriente e abbiamo deciso che lì si gioca lo Scontro delle Civiltà: kamikaze da una parte, bulldozer dall’altra. E tutt’intorno noi, con le nostre bandierine.
Noi no, non combattiamo, non possiamo permettercelo. Al massimo facciamo manifestazioni, mettiamo coccarde, teniamo un blog, tifiamo rivolta nel mondo democratico.
Non facciamo la rivoluzione: alle otto siamo in ditta. Ma ci andiamo con la maglietta del Che. Non facciamo la guerra anti-terrorismo: teniamo famiglia, siamo non belligeranti. Al massimo mettiamo una bella bandiera stelle e strisce al balcone e sfottiamo i pacifisti.
E gli arabi? Gli arabi non sono migliori di noi. Come noi, non hanno troppa voglia di combattere: tengono famiglia, hanno un lavoro o lo cercano.
C’è un precedente storico curioso: negli anni Cinquanta la guerra d’Algeria fu in parte finanziata dalle rimesse degli emigrati in Francia. Tanti algerini che avevano deciso di trasferirsi in Francia, allo stesso tempo pensavano che fosse giusto aiutare l’Algeria a diventare uno Stato indipendente. Lavoravano per la Francia e tifavano Algeria. I loro figli sono francesi, anche se non lo ammettono volentieri. Tornano nell’Algeria indipendente solo in vacanza.
Anche agli arabi capita di tifare per qualcosa o per qualcuno. Non dovrebbero? Certo, non mettono fuori le bandiere, coi tempi che corrono. Non hanno coccarde o magliette. Ma tifano. Non tutti, certo. E non tutti con la stessa intensità. Però tifano. Si capisce che tifano. Da uno sguardo, da un sorriso, da una battutaccia (forse che loro non possono dirne? Forse che noi non ne diciamo mai?), dal tema di un ragazzino di undici anni: tifano.
E allora? Vogliamo impedirglielo? Vogliamo costruire anche noi un bel muro di cemento, come Sharon? E dove lo faremo passare?
È pericoloso il tifo? È una domanda d’identità: loro certo ne soffrono più che noi. Certo, bisognerebbe andarci piano, con le identità, ma da che pulpito possiamo parlare, noi che non facciamo altro che sventolare bandiere?
La ricetta, alla fine, mi sembra sempre la solita e banale: offrire benessere, un’alternativa praticabile ai paradisi artificiali del Vecchio della montagna. Non dev’essere difficile, visto che è il miraggio del benessere che li ha attirati fin qui.
Possono lavorare con noi, studiare con noi, vivere una vita simile alla nostra. Se si sistemano bene non ci daranno nessun fastidio.
Ma continueranno a tifare Islam, ancora per un bel po’. E non possiamo farci niente. Dovremo tollerarli, come tolleriamo chi ancora tifa Mussolini, chi tifa Castro, chi tifa Berlusconi. Tutte persone che a parlarci non sembrano affatto stupide, anzi.
Non fanno male a nessuno. Ma tifano. In un angolo della loro giornata c’è lo spazio per un cappellino, una bandierina variopinta, un fischietto. Pare che sia una questione identitaria: il bisogno di partecipare a uno scontro di civiltà, almeno nel tempo libero.
E va bene, si porta pazienza. Però, secondo me, il problema non sono le civiltà. È lo scontro in sé che è incivile.
Ma Bin Laden, secondo voi?
Per me è morto. Non è che si possa scappare dall’Afganistan come da un cpt, quando sei il dializzato più famoso del mondo.
Ma soprattutto: se è vivo mostrerebbe il suo volto. Perché una volta mandava vhs e ora non più? La prova video mi sembra inconfutabile.
I ragazzi non sono convinti. Sono abituati a finali più all’altezza: non solo nei film il cattivo viene arrestato, ma perfino sui libri di testo c’è sempre un processo, o al limite un’esecuzione: sparano a Mussolini, Hitler si suicida. Ma Bin Laden è sparito nel nulla (e Saddam Hussein?)
E poi c’è una storia curiosa, che adesso vi racconto.
La favola di Giafar.
Era sul loro libro di lettura dell’anno scorso, penso fosse tratta dalle Mille e Una Notte, ma non sono più riuscito a trovarla.
Giafar è il servitore di un gruppo di Saggi, che passano lo loro giornate a piangere di qualcosa che è proibito chiedere. Da qualche parte c’è una porta che ovviamente Giafar non può aprire… avevamo appena letto Barbablù, e mi sembrava simpatico proporgli lo stesso tema in una fiaba orientale. Fotocopiai la prima pagina e gli chiesi di scrivere il seguito: Giafar apre la porta e… di solito incontra un mostro, poi uno più grosso, poi più grosso ancora, secondo la logica delle playstation. Però trovi sempre qualcuno con uno spunto geniale.
Nel caso di Ahmed (12 anni), sono gli stessi vecchi ad aprire la porta a Giafar. Gli spiegano che loro sono immortali a causa di un filtro, di cui però cominciano a scarseggiare gli ingredienti. Occorre varcare la soglie e andare a cercarli, per salvare la vita ai vecchi immortali. Bello spunto. Buono più.
“Ma Ahmed… come si chiama il capo dei Vecchi? Qui mi pare che ci sia scritto…”
“Osama. È un nome arabo”.
“Lo so. Non… non potevi usarne un altro?”
“Perché?”
Il Vecchio della Montagna
Chissà se Ahmed conosce la storia del Veglio della Montagna. Si tratta di una leggenda orientale che ha avuto un grande successo anche in Occidente, grazie a Marco Polo che se l’era fatta raccontare di passaggio in Persia.
È la storia di Aloodin, principe di una vallata tra due alte catene di monti, nella quale ha ricreato un piccolo paradiso terrestre con ogni ben di dio, comprese le ancelle compiacenti.
Invece di goderselo, il Veglio usa il suo paradiso per costruire un esercito di guerriglieri imbattibili. Come? Somministrando l’oppio a ragazzini innocenti, li fa svegliare nel suo giardino fatato:
Quando li giovani si svegliavano e si trovavano la' entro e vedeano tutte queste cose, veramente credeano essere in paradiso. E queste donzelle sempre stavano co loro in canti e in grandi solazzi; e aveano sí quello che voleano, che mai per loro volere non sarebboro partiti da quello giardino.
Invece la loro permanenza sarà breve: dopo un’altra dose di oppio, i giovani si risvegliano nel mondo normale. Incontrano il Veglio, lo scambiano per un profeta, gli raccontano di avere visto coi loro occhi il Paradiso.
Il Veglio spiega che ci possono tornare quando vogliono; non prima però di aver portato a termine una missione importante. Si tratta quasi sempre di assassinare un nemico di Aloodin. Assassinare: la stessa parola deriverebbe da Hascisc, la droga di cui i fedeli di Aloodin facevano ampio consumo.
Gli assassini di Aloodin sono i migliori: non temono la morte, anzi, l’attendono con gioia, una volta portata a termine la loro missione.
E quando lo Veglio vuole fare uccidere neuno uomo, egli lo prende e dice: "Va' fa' cotale cosa; e questo ti fo perche' ti voglio fare tornare al paradiso". E li assesini vanno e fannolo molto volontieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio de la Montagna.
Ricorda qualcosa?
Il “Veglio”, è un personaggio storico, Hasan Bin Sabbah, un principe persiano coivolto nel XIII secolo in una guerra di successione e fondatore di una setta mistica, dedita tra l’altro all’“impiego a scopi mistici della canapa indiana”. Marco Polo, preoccupato di dare al lettore un finale all’altezza, termina il racconto con la cattura del Veglio e la distruzione del suo paradiso (Alotta per fame fu preso, e fue morto lo Veglio e sua gente tutta. E d'alora in qua non vi fue piú Veglio niuno).
La Storia vera è sempre più deludente. È vero, la fortezza di Bin Sabbah fu espugnata dal fratello di Gengis Khan. Ma questo soltanto molti anni dopo la morte del re degli assassini.
Il Veglio resta nella memoria collettiva, come falso profeta che plagia le sue vittime con finte promesse di immortalità. Una caricatura dell’Islam, che sembra concepita apposta per piacere agli ultras dell’Occidente. Ma prima di tutto è una leggenda orientale: dunque anche i musulmani conoscono il pericolo dei falsi profeti e dei falsi paradisi: ne parlano nelle loro leggende, lo raccontano ai bambini. Teniamocelo per detto.
Cosa vogliamo fare con gli arabi?
Dopotutto vivono tra noi. E questo è un dato di fatto, accettato anche dagli amministratori leghisti. Abbiamo bisogno del loro lavoro, delle loro tasse, dei loro figli, e tra un po’ avremo bisogno anche dei loro voti. Ma (senza ipocrisie) non siamo tanto contenti. Perché?
Perché loro non sono certo migliori di noi. E noi, diciamocelo, non siamo un granché.
Siamo persone pacifiche, ma allo stesso tempo, abbiamo bisogno che qualcuno da qualche parte nel mondo combatta per noi, per le nostre idee, per la nostra civiltà, per la nostra razza.
Abbiamo isolato un fazzoletto di terra in Medio Oriente e abbiamo deciso che lì si gioca lo Scontro delle Civiltà: kamikaze da una parte, bulldozer dall’altra. E tutt’intorno noi, con le nostre bandierine.
Noi no, non combattiamo, non possiamo permettercelo. Al massimo facciamo manifestazioni, mettiamo coccarde, teniamo un blog, tifiamo rivolta nel mondo democratico.
Non facciamo la rivoluzione: alle otto siamo in ditta. Ma ci andiamo con la maglietta del Che. Non facciamo la guerra anti-terrorismo: teniamo famiglia, siamo non belligeranti. Al massimo mettiamo una bella bandiera stelle e strisce al balcone e sfottiamo i pacifisti.
E gli arabi? Gli arabi non sono migliori di noi. Come noi, non hanno troppa voglia di combattere: tengono famiglia, hanno un lavoro o lo cercano.
C’è un precedente storico curioso: negli anni Cinquanta la guerra d’Algeria fu in parte finanziata dalle rimesse degli emigrati in Francia. Tanti algerini che avevano deciso di trasferirsi in Francia, allo stesso tempo pensavano che fosse giusto aiutare l’Algeria a diventare uno Stato indipendente. Lavoravano per la Francia e tifavano Algeria. I loro figli sono francesi, anche se non lo ammettono volentieri. Tornano nell’Algeria indipendente solo in vacanza.
Anche agli arabi capita di tifare per qualcosa o per qualcuno. Non dovrebbero? Certo, non mettono fuori le bandiere, coi tempi che corrono. Non hanno coccarde o magliette. Ma tifano. Non tutti, certo. E non tutti con la stessa intensità. Però tifano. Si capisce che tifano. Da uno sguardo, da un sorriso, da una battutaccia (forse che loro non possono dirne? Forse che noi non ne diciamo mai?), dal tema di un ragazzino di undici anni: tifano.
E allora? Vogliamo impedirglielo? Vogliamo costruire anche noi un bel muro di cemento, come Sharon? E dove lo faremo passare?
È pericoloso il tifo? È una domanda d’identità: loro certo ne soffrono più che noi. Certo, bisognerebbe andarci piano, con le identità, ma da che pulpito possiamo parlare, noi che non facciamo altro che sventolare bandiere?
La ricetta, alla fine, mi sembra sempre la solita e banale: offrire benessere, un’alternativa praticabile ai paradisi artificiali del Vecchio della montagna. Non dev’essere difficile, visto che è il miraggio del benessere che li ha attirati fin qui.
Possono lavorare con noi, studiare con noi, vivere una vita simile alla nostra. Se si sistemano bene non ci daranno nessun fastidio.
Ma continueranno a tifare Islam, ancora per un bel po’. E non possiamo farci niente. Dovremo tollerarli, come tolleriamo chi ancora tifa Mussolini, chi tifa Castro, chi tifa Berlusconi. Tutte persone che a parlarci non sembrano affatto stupide, anzi.
Non fanno male a nessuno. Ma tifano. In un angolo della loro giornata c’è lo spazio per un cappellino, una bandierina variopinta, un fischietto. Pare che sia una questione identitaria: il bisogno di partecipare a uno scontro di civiltà, almeno nel tempo libero.
E va bene, si porta pazienza. Però, secondo me, il problema non sono le civiltà. È lo scontro in sé che è incivile.
martedì 20 maggio 2003
(Io sono sempre molto lento, ma questa settimana blogspot va a carbone).
Diritto di replica, perbacco.
Sapete che io, in quanto testimonial dell'associazione Orfani del Tredici Maggio, ogni anno in questi giorni scrivo una lettera all'Astensionista di Sinistra, il cui senso è: farabutto, tutto questo è colpa tua.
Beh, quest'anno, finalmente, l'Astensionista mi ha risposto. E -- cosa che non mi capita poi così spesso -- mi ha risposto a tono.
Tra l'altro è proprio una mia collega, e la cosa mi spiazza un po':
Ok, Leonardo, va bene.
All'epoca non votai.
E faccio pure l'insegnante, e non sopportavo De Mauro.
Non per gli aumenti agli insegnanti meritevoli, figuriamoci... caso mai, per la riforma dei cicli dell'ultimo momento, con annessa circolare delirante che non ho voglia di andare a ripescare, pietà...
E, anche, perchè non mi pagava.
Perchè questa è l'unica cosa in cui non ci hai preso, con il tuo identikit: non sto andando in pensione, nemmeno un po'. A dire il vero, credo che non ci andrò mai.
Al contrario, ero una precaria, all'epoca (lo sono ancora, ovviamente, ma sto imparando a fare a meno della scuola) e proprio non mi pagava, il Ministero.
Presi servizio a Ottobre, quell'anno, e il primo stipendio mi arrivò a Febbraio.
Come l'anno prima. E quello prima ancora.
Ed io mi incazzai moltissimo, proprio da soffocone, e non votai.
Eccola, la verità.
Sì, se vuoi mi vergogno pure... e, ovviamente, ne sono pentita.
Però non mi ritrovo in quel tuo feroce "Tutta la tua invidiabile forza morale, la condensi in un solo giorno: il giorno delle elezioni".
Perchè, vedi, la mia non fu forza morale; al contrario.
Quello moralmente forte, all'epoca, fosti tu.
Io, semplicemente, mi incazzai col mio datore di lavoro moroso... fossi stata più forte, più attenta e più brava, l'avrei votato lo stesso.
Fui infinitamente meno brava di te, invece, quindi puoi concederti gli sguardi di cui parli; che vuoi che ti dica...
Io ti invidio perchè tu ci sai vivere, in un paese in cui l'alternativa è tra una costante forza morale (la tua, quella che io non ebbi) e il disastro.
Ti invidio perchè riesci ad assumere serenamante il fatto di dover essere sempre tu, in prima persona, a qualunque costo, colui che si dà i pizzichi sulla pancia e va a salvare il paese.
Ti invidio perchè io proprio non fui capace di pensare che no, non importava che il mio Stato mi obbligasse, anno dopo anno, ad andare ad insegnare affidando il mio mantenimento alla buona volontà dei miei congiunti.
Che dovevo pensare alla Patria.
A un bene superiore al mio.
Pensai in termini infinitamente più semplici, perchè avevo bisogno di sentirmi normale. Aspiravo a cose piccole. Ad essere amministrata in base a due concetti elementari (tipo lavoro= stipendio) e ad avere il voto come unico strumento per valutare i miei amministratori.
Una cosa piccola piccola ma fondamentale per il mio equilibrio, in quei giorni.
Il resto qui.
...E bisogna dire che tutto l'haramlik è molto bello.
Ma che mi succede? Mi scuso per il server, lascio spazio agli altri, ospito le repliche, faccio complimenti gratis... sto invecchiando?
(L'effetto è lo stesso della foto con autografo prestampato delle dive di Hollywood: un nuovo fan è stato arruolato. Il bello è che il blogger neofita ringrazia "Wow, avete visto, ho ricevuto un commento da una Blogstar!!! Che giornata!!!" La Non Piu' Giovane Blogstar sorride compiaciuta e torna a pensare al titolo del suo prossimo, originalissimo post).
Diritto di replica, perbacco.
Sapete che io, in quanto testimonial dell'associazione Orfani del Tredici Maggio, ogni anno in questi giorni scrivo una lettera all'Astensionista di Sinistra, il cui senso è: farabutto, tutto questo è colpa tua.
Beh, quest'anno, finalmente, l'Astensionista mi ha risposto. E -- cosa che non mi capita poi così spesso -- mi ha risposto a tono.
Tra l'altro è proprio una mia collega, e la cosa mi spiazza un po':
Ok, Leonardo, va bene.
All'epoca non votai.
E faccio pure l'insegnante, e non sopportavo De Mauro.
Non per gli aumenti agli insegnanti meritevoli, figuriamoci... caso mai, per la riforma dei cicli dell'ultimo momento, con annessa circolare delirante che non ho voglia di andare a ripescare, pietà...
E, anche, perchè non mi pagava.
Perchè questa è l'unica cosa in cui non ci hai preso, con il tuo identikit: non sto andando in pensione, nemmeno un po'. A dire il vero, credo che non ci andrò mai.
Al contrario, ero una precaria, all'epoca (lo sono ancora, ovviamente, ma sto imparando a fare a meno della scuola) e proprio non mi pagava, il Ministero.
Presi servizio a Ottobre, quell'anno, e il primo stipendio mi arrivò a Febbraio.
Come l'anno prima. E quello prima ancora.
Ed io mi incazzai moltissimo, proprio da soffocone, e non votai.
Eccola, la verità.
Sì, se vuoi mi vergogno pure... e, ovviamente, ne sono pentita.
Però non mi ritrovo in quel tuo feroce "Tutta la tua invidiabile forza morale, la condensi in un solo giorno: il giorno delle elezioni".
Perchè, vedi, la mia non fu forza morale; al contrario.
Quello moralmente forte, all'epoca, fosti tu.
Io, semplicemente, mi incazzai col mio datore di lavoro moroso... fossi stata più forte, più attenta e più brava, l'avrei votato lo stesso.
Fui infinitamente meno brava di te, invece, quindi puoi concederti gli sguardi di cui parli; che vuoi che ti dica...
Io ti invidio perchè tu ci sai vivere, in un paese in cui l'alternativa è tra una costante forza morale (la tua, quella che io non ebbi) e il disastro.
Ti invidio perchè riesci ad assumere serenamante il fatto di dover essere sempre tu, in prima persona, a qualunque costo, colui che si dà i pizzichi sulla pancia e va a salvare il paese.
Ti invidio perchè io proprio non fui capace di pensare che no, non importava che il mio Stato mi obbligasse, anno dopo anno, ad andare ad insegnare affidando il mio mantenimento alla buona volontà dei miei congiunti.
Che dovevo pensare alla Patria.
A un bene superiore al mio.
Pensai in termini infinitamente più semplici, perchè avevo bisogno di sentirmi normale. Aspiravo a cose piccole. Ad essere amministrata in base a due concetti elementari (tipo lavoro= stipendio) e ad avere il voto come unico strumento per valutare i miei amministratori.
Una cosa piccola piccola ma fondamentale per il mio equilibrio, in quei giorni.
Il resto qui.
...E bisogna dire che tutto l'haramlik è molto bello.
Ma che mi succede? Mi scuso per il server, lascio spazio agli altri, ospito le repliche, faccio complimenti gratis... sto invecchiando?
(L'effetto è lo stesso della foto con autografo prestampato delle dive di Hollywood: un nuovo fan è stato arruolato. Il bello è che il blogger neofita ringrazia "Wow, avete visto, ho ricevuto un commento da una Blogstar!!! Che giornata!!!" La Non Piu' Giovane Blogstar sorride compiaciuta e torna a pensare al titolo del suo prossimo, originalissimo post).
lunedì 19 maggio 2003
Chi volesse (come me) scrivere alla Bertolini, può copiare da qui.
Ricevo (da MD) e pubblico volentieri:
Carissimo Luigi,
ho ricevuto per telefono la notizia della tua partenza e mi sono mancate le parole. Sapessi quanto le ho cercate, le tue parole, ogni giorno, all'uscita dall'edicola. Speravo sempre di vedere il tuo nome nella colonna di sinistra, che per me era tua, per antonomasia, come il dieci di Baggio e il primo novembre dei santi. Oggi vedo per l'ultima volta il tuo nome e il tuo editoriale, le lettere del tuo cognome strano che ho imparato a indovinare a colpo d'occhio, senza bisogno di inforcare gli occhiali. Oggi spieghi che abbiamo perso, ma ho imparato anche a riconoscere nei tuoi pessimismi l'imperativo di una morale spietata, che non risparmia dolori e verita' per quanto siano invivibili, che non ha bisogno di illusioni per ridisegnare la mappa di cio' che rimane sempre da fare. I doveri civili e gli impegni della ragione vengono prima di qualsiasi contesto, sei stato anche tu a insegnarmelo, tu che li hai sempre buttati al di la' dell'ostacolo. E' la tua tremenda morale comunista, Luigi.
La morale di un gappista di diciott'anni che si ritrova a dover vendicare la morte di un fratello leggendario, spolmonato da una mina nazista mentre scendeva al sud per organizzare la Resistenza. Un fratello scomodo, bravissimo a scuola, precoce collaboratore della casa editrice Einaudi, traduttore dal tedesco, che piaceva alle ragazze e che i ragazzi seguivano come si seguono quelli piu' in gamba, con il cuore che batte. Un'autorita' morale, un'altra. Un fratello che prima di morire ti ha scritto una lettera che nei prossimi giorni andro' a leggere e a rileggere, nella quale ti spiegava che ci sono viaggi dall'esito incerto che bisogna comunque intraprendere, sacrificando tutto il resto.
Dopo gli anni de l'Unita', dove primeggiavi, ti hanno cacciato dal partito, tu e gli altri del Manifesto. Sono riuscito a trovare e conservo il primo numero della rivista mensile, quella del giugno del 1969, perche' io soffro anche per i ricordi degli altri. In quel numero c'e' un tuo articolo che finiva cosi': "Si tratta di promuovere uno schieramento di forze sociali e politiche convinte che una transizione al socialismo si presentera' nel giro di questi anni come alternativa unica e obbligata a nuove e piu' moderne forme di reazione". Le novita' in effetti non sono mancate, poveri noi. E tu le hai davvero accolte con l'inamovibile forza della ragion pratica, con la forza di chi non ha nessuna intenzione di commerciare, anche quando lo pretenderebbe l'aritmetica. Anche nell'ultimo editoriale parli dei nostri doveri. Dal primo all'ultimo articolo parli di loro, senza scampo.
Devi essere stato un padre difficile, caro Luigi, con tutti questi doveri. Sicuramente sei stato un padre sfortunato. Quando sei anni fa e' morto tuo figlio, che si chiamava come lo zio che non ha mai conosciuto. Poi sua sorella. "E' accaduto in poco tempo - leggo dal Nespolo - con la furia di un uragano, a un anno dalla morte del fratello a venti da quella della madre [...]. Era primogenita, la continuita', la memoria femminile. La madre mori' dopo lunga agonia, il fratello se n'e' andato quasi per suo conto, lei e' stata strappata con violenza. Il male ha una fantasia illimitata".
Il male ha una fantasia illimitata - dovevi pensare - e quindi noi dobbiamo averne altrettanta per starci di fronte. Ma allora non era piu' tempo che tu rimanessi qui con noi, Luigi, con un male tanto squallido da dividere il mondo in due e cosi' imbecille da gigioneggiare con il 25 aprile e le canzoni popolari. Tu non eri adatto per stare di fornte a questo male cosi' meschino e tribale, senza memoria e senso di civilta'. Cosa c'entravi piu', Luigi, con questo mondo in cui i doveri sono reati da condonare e la morale serve a confondere le erezioni di guerra?
Tu rappresentavi un'idea della vita caduta in disuso, costosa e spietata, che si paga di persona e in nome della quale, poche ore prima di andartene, non ci hai fatto, ancora una volta, nessuno sconto. "Le nostre idee - hai scritto per salutarci - i nostri comportamenti, le nostre parole, sono retrodatate rispetto alla dinamica delle cose, rispetto all'attualita' e alle prospettive". Parlavi di noi compagni, per l'ultima volta. E ne parlavi come nessuno, dall'altra parte, ha parlato, parla o parlera' mai di se stesso. Ci hai lasciato con questo nuovo imperativo, rilanciando cio' che dovremo essere oltre l'inimmaginabile, ma sempre con la passione della misura e della verita'. Quindi grazie, compagno Pintor, grazie di tutto e addio.
Ricevo (da MD) e pubblico volentieri:
Carissimo Luigi,
ho ricevuto per telefono la notizia della tua partenza e mi sono mancate le parole. Sapessi quanto le ho cercate, le tue parole, ogni giorno, all'uscita dall'edicola. Speravo sempre di vedere il tuo nome nella colonna di sinistra, che per me era tua, per antonomasia, come il dieci di Baggio e il primo novembre dei santi. Oggi vedo per l'ultima volta il tuo nome e il tuo editoriale, le lettere del tuo cognome strano che ho imparato a indovinare a colpo d'occhio, senza bisogno di inforcare gli occhiali. Oggi spieghi che abbiamo perso, ma ho imparato anche a riconoscere nei tuoi pessimismi l'imperativo di una morale spietata, che non risparmia dolori e verita' per quanto siano invivibili, che non ha bisogno di illusioni per ridisegnare la mappa di cio' che rimane sempre da fare. I doveri civili e gli impegni della ragione vengono prima di qualsiasi contesto, sei stato anche tu a insegnarmelo, tu che li hai sempre buttati al di la' dell'ostacolo. E' la tua tremenda morale comunista, Luigi.
La morale di un gappista di diciott'anni che si ritrova a dover vendicare la morte di un fratello leggendario, spolmonato da una mina nazista mentre scendeva al sud per organizzare la Resistenza. Un fratello scomodo, bravissimo a scuola, precoce collaboratore della casa editrice Einaudi, traduttore dal tedesco, che piaceva alle ragazze e che i ragazzi seguivano come si seguono quelli piu' in gamba, con il cuore che batte. Un'autorita' morale, un'altra. Un fratello che prima di morire ti ha scritto una lettera che nei prossimi giorni andro' a leggere e a rileggere, nella quale ti spiegava che ci sono viaggi dall'esito incerto che bisogna comunque intraprendere, sacrificando tutto il resto.
Dopo gli anni de l'Unita', dove primeggiavi, ti hanno cacciato dal partito, tu e gli altri del Manifesto. Sono riuscito a trovare e conservo il primo numero della rivista mensile, quella del giugno del 1969, perche' io soffro anche per i ricordi degli altri. In quel numero c'e' un tuo articolo che finiva cosi': "Si tratta di promuovere uno schieramento di forze sociali e politiche convinte che una transizione al socialismo si presentera' nel giro di questi anni come alternativa unica e obbligata a nuove e piu' moderne forme di reazione". Le novita' in effetti non sono mancate, poveri noi. E tu le hai davvero accolte con l'inamovibile forza della ragion pratica, con la forza di chi non ha nessuna intenzione di commerciare, anche quando lo pretenderebbe l'aritmetica. Anche nell'ultimo editoriale parli dei nostri doveri. Dal primo all'ultimo articolo parli di loro, senza scampo.
Devi essere stato un padre difficile, caro Luigi, con tutti questi doveri. Sicuramente sei stato un padre sfortunato. Quando sei anni fa e' morto tuo figlio, che si chiamava come lo zio che non ha mai conosciuto. Poi sua sorella. "E' accaduto in poco tempo - leggo dal Nespolo - con la furia di un uragano, a un anno dalla morte del fratello a venti da quella della madre [...]. Era primogenita, la continuita', la memoria femminile. La madre mori' dopo lunga agonia, il fratello se n'e' andato quasi per suo conto, lei e' stata strappata con violenza. Il male ha una fantasia illimitata".
Il male ha una fantasia illimitata - dovevi pensare - e quindi noi dobbiamo averne altrettanta per starci di fronte. Ma allora non era piu' tempo che tu rimanessi qui con noi, Luigi, con un male tanto squallido da dividere il mondo in due e cosi' imbecille da gigioneggiare con il 25 aprile e le canzoni popolari. Tu non eri adatto per stare di fornte a questo male cosi' meschino e tribale, senza memoria e senso di civilta'. Cosa c'entravi piu', Luigi, con questo mondo in cui i doveri sono reati da condonare e la morale serve a confondere le erezioni di guerra?
Tu rappresentavi un'idea della vita caduta in disuso, costosa e spietata, che si paga di persona e in nome della quale, poche ore prima di andartene, non ci hai fatto, ancora una volta, nessuno sconto. "Le nostre idee - hai scritto per salutarci - i nostri comportamenti, le nostre parole, sono retrodatate rispetto alla dinamica delle cose, rispetto all'attualita' e alle prospettive". Parlavi di noi compagni, per l'ultima volta. E ne parlavi come nessuno, dall'altra parte, ha parlato, parla o parlera' mai di se stesso. Ci hai lasciato con questo nuovo imperativo, rilanciando cio' che dovremo essere oltre l'inimmaginabile, ma sempre con la passione della misura e della verita'. Quindi grazie, compagno Pintor, grazie di tutto e addio.
venerdì 16 maggio 2003
Farò il portiere
Premessa: io tiferei Torino, però…
…però ho dato qualche tiro a un pallone anch’io da piccolo, e ho fatto anch’io più o meno il sogno che fanno tutti, cioè segnare un gol nella Finalissima.
Procedendo negli anni il sogno non svapora, anzi, di solito si chiarisce di mille dettagli, per cui c’è chi sogna di entrare nell’ultimo quarto d’ora perché il Mister sotto sotto lo odia (è invidioso della sua classe); c’è chi s’immagina di rientrare da un lungo infortunio, o da un’ingiusta squalifica per illeciti sportivi, o di dover giocare con un braccio al collo, la febbre a quaranta, la testa fasciata, una gamba sola. Comunque sia, tu segni il gol decisivo, i tuoi compagni ti sollevano verso il cielo, e tu sei Dio, anzi, Dio sotto sotto è invidioso.
Questo, più o meno, è il sogno tipico, ma io devo aver avuto un’infanzia particolare. Non difficile, no. Ma particolare.
Il mio sogno, dunque, è il seguente: io sono il solito, onesto terzinaccio e faccio il mio dovere per la prima ora di gioco: poi succede una cosa che ha dell’incredibile. Il nostro portiere fa un’uscita a braccio teso e spacca un ciglio a un centravanti: espulso.
Il problema è che lui è il secondo portiere: il titolare è uscito nei primi minuti per un infortunio. (Vedi che sfiga i sogni a volte). Noi dieci cerchiamo di farlo notare all’arbitro, ma l’arbitro mica può farci niente, il regolamento è regolamento (in seguito credo che il regolamento sia cambiato).
Allora noi dieci cominciamo a guardare smarriti il Mister, e il Mister ci rimanda gli sguardi indietro: queste sono quelle situazioni che non si prevedono. Occorre che qualcuno si metta i guanti e s’improvvisi portiere: chi va?
Nessuno vuole andare, nessuno vuole rischiare di passare alla Storia in questo modo, peraltro siamo sullo zero a zero e tira aria di rigori. Chi va?
“Vai tu, Leonardo”.
“Ma io non sono buono”.
(Questa è l’unica cosa vera del sogno: io sono una schiappa come portiere. I portieri sono alti e flemmatici, io sono basso, nervoso e distratto).
Ma siccome gli altri si tirano indietro con maggiore energia, non resta che mettermi i guanti. A quel punto la speranza di segnare il gol della finalissima è finito…
Ma vuoi vedere che pochi minuti dopo la mia squadra non va in vantaggio, e al novantaduesimo l’arbitro non ci fischia un rigore contro?
A quel punto nessuno può biasimarmi se mi faccio segnare un gol, ma invece lo paro, e Dio lassù crepa dalla rabbia. Campioni d’Europa, del Mondo, dell’Universo. Vengo nominato Presidente della Repubblica a vita con effetto retroattivo.
Ecco, dottore, ci pensavo anche ieri sera. Io sto col portiere. Spero sempre che la palla non entri. Credo che nessuna tripletta valga il piacere di restare immobile davanti a due mossette di Figo, e incassargli il pallone, tiè, porta a casa. Più d’Italia-Brasile tre a due, per me c’è Olanda-Italia nel 2000, con Toldo che para quattro, cinque rigori, neanch’io ricordo quanti. Io piangevo di gioia.
Non so se sia normale. Certo è molto italiano: solo noi abbiamo portieri come Buffon o Toldo, solo noi pensiamo che una partita si possa vincere in difesa.
Ma lasciamo perdere gli italiani, parliamo di me. Significa che non mi piace il calcio? Che non mi piacciono i gol, la bellezza, l’arte, la poesia, che preferisco ribattere tutto al mittente? Non sarà mica una metafora sessuale, o politica? Perché non voglio far passare il pallone? Perché non voglio far passare le punte, i bomber, gli eroi? Cosa c’è che non va in me?
“Mah, è interessante che lei sogni di trionfare in qualcosa che per sua stessa ammissione non è in grado di fare, nemmeno nel sogno”.
“Sì, nel sogno faccio il terzino”.
“Però si improvvisa portiere. E vince una partita come portiere. Ma non è un bravo portiere. È solo fortunato, è volenteroso, e non sa dire di no al Mister”.
“E quindi?”
“Un po’ come quando trova un lavoro, no? Non smette di far notare agli altri e a sé stesso la propria incompetenza. Allo stesso tempo, si illude di poter avere successo in qualsiasi campo”.
“Non la seguo”.
“Lei non vuole studiare da portiere. Lei non vuole ammettere a sé stesso che è un portiere. Lei vuole che gli altri la costringano. Dopodiché, nessuno può biasimarla se non riesce a parare un rigore…”
“Ma io paro il rigore”.
“Lei si crede capace di improvvisare qualsiasi ruolo, e di avere comunque successo. Non crede che valga la pena impegnarsi a fondo in un ruolo, perché in qualsiasi momento qualcuno le potrebbe chiedere di assumerne un altro”.
“È un segno di flessibilità”.
“È un segno di immaturità, nascosto sotto la spavalderia. Crede che le basti indossare due guanti per diventare un portiere”.
“Ma è solo il sogno che facevo da bambino. Significa che ero un fallito già da allora?”
“Non lo so, la seduta è terminata. Due cents, prego”.
(Se piacciono i pezzi con metafore calcistiche, il Griso ne ha uno che... uh, colpisce).
Premessa: io tiferei Torino, però…
…però ho dato qualche tiro a un pallone anch’io da piccolo, e ho fatto anch’io più o meno il sogno che fanno tutti, cioè segnare un gol nella Finalissima.
Procedendo negli anni il sogno non svapora, anzi, di solito si chiarisce di mille dettagli, per cui c’è chi sogna di entrare nell’ultimo quarto d’ora perché il Mister sotto sotto lo odia (è invidioso della sua classe); c’è chi s’immagina di rientrare da un lungo infortunio, o da un’ingiusta squalifica per illeciti sportivi, o di dover giocare con un braccio al collo, la febbre a quaranta, la testa fasciata, una gamba sola. Comunque sia, tu segni il gol decisivo, i tuoi compagni ti sollevano verso il cielo, e tu sei Dio, anzi, Dio sotto sotto è invidioso.
Questo, più o meno, è il sogno tipico, ma io devo aver avuto un’infanzia particolare. Non difficile, no. Ma particolare.
Il mio sogno, dunque, è il seguente: io sono il solito, onesto terzinaccio e faccio il mio dovere per la prima ora di gioco: poi succede una cosa che ha dell’incredibile. Il nostro portiere fa un’uscita a braccio teso e spacca un ciglio a un centravanti: espulso.
Il problema è che lui è il secondo portiere: il titolare è uscito nei primi minuti per un infortunio. (Vedi che sfiga i sogni a volte). Noi dieci cerchiamo di farlo notare all’arbitro, ma l’arbitro mica può farci niente, il regolamento è regolamento (in seguito credo che il regolamento sia cambiato).
Allora noi dieci cominciamo a guardare smarriti il Mister, e il Mister ci rimanda gli sguardi indietro: queste sono quelle situazioni che non si prevedono. Occorre che qualcuno si metta i guanti e s’improvvisi portiere: chi va?
Nessuno vuole andare, nessuno vuole rischiare di passare alla Storia in questo modo, peraltro siamo sullo zero a zero e tira aria di rigori. Chi va?
“Vai tu, Leonardo”.
“Ma io non sono buono”.
(Questa è l’unica cosa vera del sogno: io sono una schiappa come portiere. I portieri sono alti e flemmatici, io sono basso, nervoso e distratto).
Ma siccome gli altri si tirano indietro con maggiore energia, non resta che mettermi i guanti. A quel punto la speranza di segnare il gol della finalissima è finito…
Ma vuoi vedere che pochi minuti dopo la mia squadra non va in vantaggio, e al novantaduesimo l’arbitro non ci fischia un rigore contro?
A quel punto nessuno può biasimarmi se mi faccio segnare un gol, ma invece lo paro, e Dio lassù crepa dalla rabbia. Campioni d’Europa, del Mondo, dell’Universo. Vengo nominato Presidente della Repubblica a vita con effetto retroattivo.
Ecco, dottore, ci pensavo anche ieri sera. Io sto col portiere. Spero sempre che la palla non entri. Credo che nessuna tripletta valga il piacere di restare immobile davanti a due mossette di Figo, e incassargli il pallone, tiè, porta a casa. Più d’Italia-Brasile tre a due, per me c’è Olanda-Italia nel 2000, con Toldo che para quattro, cinque rigori, neanch’io ricordo quanti. Io piangevo di gioia.
Non so se sia normale. Certo è molto italiano: solo noi abbiamo portieri come Buffon o Toldo, solo noi pensiamo che una partita si possa vincere in difesa.
Ma lasciamo perdere gli italiani, parliamo di me. Significa che non mi piace il calcio? Che non mi piacciono i gol, la bellezza, l’arte, la poesia, che preferisco ribattere tutto al mittente? Non sarà mica una metafora sessuale, o politica? Perché non voglio far passare il pallone? Perché non voglio far passare le punte, i bomber, gli eroi? Cosa c’è che non va in me?
“Mah, è interessante che lei sogni di trionfare in qualcosa che per sua stessa ammissione non è in grado di fare, nemmeno nel sogno”.
“Sì, nel sogno faccio il terzino”.
“Però si improvvisa portiere. E vince una partita come portiere. Ma non è un bravo portiere. È solo fortunato, è volenteroso, e non sa dire di no al Mister”.
“E quindi?”
“Un po’ come quando trova un lavoro, no? Non smette di far notare agli altri e a sé stesso la propria incompetenza. Allo stesso tempo, si illude di poter avere successo in qualsiasi campo”.
“Non la seguo”.
“Lei non vuole studiare da portiere. Lei non vuole ammettere a sé stesso che è un portiere. Lei vuole che gli altri la costringano. Dopodiché, nessuno può biasimarla se non riesce a parare un rigore…”
“Ma io paro il rigore”.
“Lei si crede capace di improvvisare qualsiasi ruolo, e di avere comunque successo. Non crede che valga la pena impegnarsi a fondo in un ruolo, perché in qualsiasi momento qualcuno le potrebbe chiedere di assumerne un altro”.
“È un segno di flessibilità”.
“È un segno di immaturità, nascosto sotto la spavalderia. Crede che le basti indossare due guanti per diventare un portiere”.
“Ma è solo il sogno che facevo da bambino. Significa che ero un fallito già da allora?”
“Non lo so, la seduta è terminata. Due cents, prego”.
(Se piacciono i pezzi con metafore calcistiche, il Griso ne ha uno che... uh, colpisce).
giovedì 15 maggio 2003
Onorevole Bertolini,
devo dire che lei, certe volte, mi fa paura.
Ora, mi rendo conto che siamo in campagna elettorale (ma da quanto tempo? E quanto tempo ancora durerà?), e che in campagna elettorale i politici sono più sgradevoli del solito; però quello che lei ha fatto a Emilio Teglio passa il segno. Anche perché Emilio non è un suo avversario politico: è un privato cittadino.
"Teglio - ricordano - è quello che, quando hanno arrestato Caruso, girava con la maglietta 'io sono sovversivo'. E' quello che invoca la fuga degli extracomunitari dal Cpt, struttura voluta dal Comune che lo stipendia. E' quello che ha partecipato all'assalto dell'ambasciatore Usa in visita a Bologna, e che sabato è sceso in piazza contro l'autodromo, cioè contro un progetto voluto dal Comune e che riguarda l'assessorato per cui lavora, l'Ambiente. Se questa è coerenza..."
Lei ha pubblicamente accusato Emilio di aver partecipato all’assalto di un ambasciatore, e non è vero.
L’ha accusato (qui) di aver organizzato un blocco dei treni, e non è vero.
Lo ha accusato di “invocare la fuga degli extracomunitari dal Cpt”, come se gli extra fuggissero a frotte dal Cpt, dove si sta tanto bene, soltanto perché c’è fuori Emilio che li invoca. E comunque non è vero neanche questo.
Non è nemmeno sceso in piazza contro l’Autodromo (il che non sarebbe certo reato), perché era a Roma per i fatti suoi.
Lo considera un sovversivo perché avrebbe indossato una maglietta “io sono sovversivo” per manifestare la propria solidarietà nei confronti di altri cittadini che sono ancora, fino a prova contraria, innocenti. E comunque non è vero neanche questo…
Questa, secondo me, è diffamazione. Un privato cittadino non potrebbe farla. Lei, Onorevole, invece può.
Ma perché se la prende tanto con Emilio? Perché ha scoperto che ha un contratto col Comune di Modena. Per lei è solo un’occasione per lanciare una polemica contro il Comune, che “paga coi soldi dei modenesi” un sovversivo, che attraverso Emilio “finanzia i No-Global” con “cinque milioni al mese”.
La polemica va avanti da tre giorni, e possiamo pensare che ne duri altri cinque o sei. Poi si passerà a un altro argomento. Il carrozzone elettorale va avanti. E tanto peggio per i cittadini che alla fine si troveranno schizzati di fango.
Come Emilio. Chi è Emilio? Primo: è uno che si difende benissimo da solo.
Secondo: Emilio è il “leader dei no global modenesi” che nessuno ha dichiarato, ma che negli ultimi due anni si è dato molto da fare, sacrificando anche qualcosa della sua vita professionale, per organizzare iniziative e manifestazioni assolutamente civili e pacifiche, com’è nello stile del Forum Sociale Modenese (e di Attac Modena). Sono stati due anni di dialogo incessante con associazioni, forze dell’ordine, amministrazione, durante i quali l’episodio più violento è stato probabilmente la demolizione di un modellino del CPT di polistirolo, un anno fa. Magari è solo una coincidenza, ma nell’unica manifestazione in cui ci sono stati incidenti (un presidio contro Forza Nuova), Emilio non c’era.
Alle manifestazioni organizzate dal FSM ci puoi portare i bambini, come ben sanno alla Prefettura, alla Digos, e ormai in tutta la città. A non saperlo è rimasta soltanto l’on. Bertolini. Beh, capisco che i suoi impegni professionali la tengano lontana da Modena: ma senz’altro aveva gli strumenti per documentarsi meglio.
Terzo: Emilio è amico dell’assessore all’ambiente, Tesauro (Verdi), che peraltro ha partecipato a quasi tutte le iniziative del FSM. Questo, probabilmente, è il nocciolo della questione. Si può stare contemporaneamente nella Giunta e in un Movimento che la contesta? Se ne può discutere, ma senza bisogno di diffamare un cittadino.
Perché, (quarto) Emilio è soprattutto un professionista che sa fare il suo mestiere, con un curriculum di tutto rispetto, che da qualche mese ha un Co.Co.Co. con un’agenzia del Comune. Non prende cinque milioni al mese, non prende trentumila euro: quelle cifre sono al lordo. Prende di meno, e comunque il contratto è a termine. Quando scadrà, ed Emilio tornerà nel mercato del lavoro, dovrà scontare il danno d’immagine di essere stato sbattuto in prima pagina del Carlino Modena (titolo in alto su tre colonne) come “no-global”, e “sovversivo”. (Strillo nelle edicole: “UN NO GLOBAL SUL LIBRO PAGA DEL COMUNE”)
Ecco, questo mi fa paura. Mi fa paura che lei pensi di poter dire quel che vuole di una persona, senza stare attenta a non dire falsità. Devo dire che mi fa un po’ paura anche la giornalista del Carlino, quando alla fine del suo pezzo si chiede: “ma quella consulenza di 60 milioni, a cosa serve?”, malgrado sin dal giorno prima Emilio abbia mostrato il suo curriculum, spiegato le sue mansioni, e precisato che non prende 60 milioni.
Mi fa paura che lei si preoccupi delle idee politiche di un collaboratore del Comune. Dobbiamo dedurne che un giunta Bertolini epurerebbe i collaboratori ritenuti “sovversivi”? E basta mettersi una maglietta per diventarlo?
Mi fa paura che l’idea che lei e molti altri hanno ancora dei “No-Global”, brutti sporchi e cattivi (e fannulloni, si presume), mentre molti sono persone assolutamente normali, che hanno un lavoro e una famiglia, o almeno ci provano.
Prendiamo me. Emilio è un mio amico, abbiamo fatto varie cose assieme in questi due anni. Io lavoro per lo Stato, faccio l’insegnante. Non dovrei? Svolgo i programmi del Ministero dell’Istruzione e vengo pagato dal Ministero del Tesoro, anche se sono convinto che entrambi i dicasteri siano in mano a due pericolosi incompetenti. Non dovrei?
Dove avete letto che i cosiddetti no global vogliono sovvertire lo Stato? Avete letto male. I no global vogliono più Stato e meno mercato: dove dovrebbero lavorare, se non nell’amministrazione? Vogliono agire locale e pensare globale: dove dovrebbero impegnarsi, se non nell’amministrazione comunale?
E se io, che partecipo al Forum Sociale, prendo uno stipendio dallo Stato o dal Comune, significa che lo Stato e il Comune finanziano il Forum? Secondo lei le cose stanno così?
Bene, la invito a considerare un altro aspetto del problema: che professione svolge, lei?
Lei, in questo momento sta incassando un cospicuo stipendio come parlamentare. Quello stipendio, glielo pago io (e pago bene). Lei lavora per me. E sì, so benissimo che non posso licenziarla, nemmeno per giusta causa. Ma questo non toglie che lei sia sul mio libro paga.
E questo, almeno, dovrebbe ispirarle un po’ di rispetto, onorevole Bertolini, per me e per i miei amici.
In fede
Adesso cosa faccio, gliela spedisco?
Dite voi.
devo dire che lei, certe volte, mi fa paura.
Ora, mi rendo conto che siamo in campagna elettorale (ma da quanto tempo? E quanto tempo ancora durerà?), e che in campagna elettorale i politici sono più sgradevoli del solito; però quello che lei ha fatto a Emilio Teglio passa il segno. Anche perché Emilio non è un suo avversario politico: è un privato cittadino.
"Teglio - ricordano - è quello che, quando hanno arrestato Caruso, girava con la maglietta 'io sono sovversivo'. E' quello che invoca la fuga degli extracomunitari dal Cpt, struttura voluta dal Comune che lo stipendia. E' quello che ha partecipato all'assalto dell'ambasciatore Usa in visita a Bologna, e che sabato è sceso in piazza contro l'autodromo, cioè contro un progetto voluto dal Comune e che riguarda l'assessorato per cui lavora, l'Ambiente. Se questa è coerenza..."
Lei ha pubblicamente accusato Emilio di aver partecipato all’assalto di un ambasciatore, e non è vero.
L’ha accusato (qui) di aver organizzato un blocco dei treni, e non è vero.
Lo ha accusato di “invocare la fuga degli extracomunitari dal Cpt”, come se gli extra fuggissero a frotte dal Cpt, dove si sta tanto bene, soltanto perché c’è fuori Emilio che li invoca. E comunque non è vero neanche questo.
Non è nemmeno sceso in piazza contro l’Autodromo (il che non sarebbe certo reato), perché era a Roma per i fatti suoi.
Lo considera un sovversivo perché avrebbe indossato una maglietta “io sono sovversivo” per manifestare la propria solidarietà nei confronti di altri cittadini che sono ancora, fino a prova contraria, innocenti. E comunque non è vero neanche questo…
Questa, secondo me, è diffamazione. Un privato cittadino non potrebbe farla. Lei, Onorevole, invece può.
Ma perché se la prende tanto con Emilio? Perché ha scoperto che ha un contratto col Comune di Modena. Per lei è solo un’occasione per lanciare una polemica contro il Comune, che “paga coi soldi dei modenesi” un sovversivo, che attraverso Emilio “finanzia i No-Global” con “cinque milioni al mese”.
La polemica va avanti da tre giorni, e possiamo pensare che ne duri altri cinque o sei. Poi si passerà a un altro argomento. Il carrozzone elettorale va avanti. E tanto peggio per i cittadini che alla fine si troveranno schizzati di fango.
Come Emilio. Chi è Emilio? Primo: è uno che si difende benissimo da solo.
Secondo: Emilio è il “leader dei no global modenesi” che nessuno ha dichiarato, ma che negli ultimi due anni si è dato molto da fare, sacrificando anche qualcosa della sua vita professionale, per organizzare iniziative e manifestazioni assolutamente civili e pacifiche, com’è nello stile del Forum Sociale Modenese (e di Attac Modena). Sono stati due anni di dialogo incessante con associazioni, forze dell’ordine, amministrazione, durante i quali l’episodio più violento è stato probabilmente la demolizione di un modellino del CPT di polistirolo, un anno fa. Magari è solo una coincidenza, ma nell’unica manifestazione in cui ci sono stati incidenti (un presidio contro Forza Nuova), Emilio non c’era.
Alle manifestazioni organizzate dal FSM ci puoi portare i bambini, come ben sanno alla Prefettura, alla Digos, e ormai in tutta la città. A non saperlo è rimasta soltanto l’on. Bertolini. Beh, capisco che i suoi impegni professionali la tengano lontana da Modena: ma senz’altro aveva gli strumenti per documentarsi meglio.
Terzo: Emilio è amico dell’assessore all’ambiente, Tesauro (Verdi), che peraltro ha partecipato a quasi tutte le iniziative del FSM. Questo, probabilmente, è il nocciolo della questione. Si può stare contemporaneamente nella Giunta e in un Movimento che la contesta? Se ne può discutere, ma senza bisogno di diffamare un cittadino.
Perché, (quarto) Emilio è soprattutto un professionista che sa fare il suo mestiere, con un curriculum di tutto rispetto, che da qualche mese ha un Co.Co.Co. con un’agenzia del Comune. Non prende cinque milioni al mese, non prende trentumila euro: quelle cifre sono al lordo. Prende di meno, e comunque il contratto è a termine. Quando scadrà, ed Emilio tornerà nel mercato del lavoro, dovrà scontare il danno d’immagine di essere stato sbattuto in prima pagina del Carlino Modena (titolo in alto su tre colonne) come “no-global”, e “sovversivo”. (Strillo nelle edicole: “UN NO GLOBAL SUL LIBRO PAGA DEL COMUNE”)
Ecco, questo mi fa paura. Mi fa paura che lei pensi di poter dire quel che vuole di una persona, senza stare attenta a non dire falsità. Devo dire che mi fa un po’ paura anche la giornalista del Carlino, quando alla fine del suo pezzo si chiede: “ma quella consulenza di 60 milioni, a cosa serve?”, malgrado sin dal giorno prima Emilio abbia mostrato il suo curriculum, spiegato le sue mansioni, e precisato che non prende 60 milioni.
Mi fa paura che lei si preoccupi delle idee politiche di un collaboratore del Comune. Dobbiamo dedurne che un giunta Bertolini epurerebbe i collaboratori ritenuti “sovversivi”? E basta mettersi una maglietta per diventarlo?
Mi fa paura che l’idea che lei e molti altri hanno ancora dei “No-Global”, brutti sporchi e cattivi (e fannulloni, si presume), mentre molti sono persone assolutamente normali, che hanno un lavoro e una famiglia, o almeno ci provano.
Prendiamo me. Emilio è un mio amico, abbiamo fatto varie cose assieme in questi due anni. Io lavoro per lo Stato, faccio l’insegnante. Non dovrei? Svolgo i programmi del Ministero dell’Istruzione e vengo pagato dal Ministero del Tesoro, anche se sono convinto che entrambi i dicasteri siano in mano a due pericolosi incompetenti. Non dovrei?
Dove avete letto che i cosiddetti no global vogliono sovvertire lo Stato? Avete letto male. I no global vogliono più Stato e meno mercato: dove dovrebbero lavorare, se non nell’amministrazione? Vogliono agire locale e pensare globale: dove dovrebbero impegnarsi, se non nell’amministrazione comunale?
E se io, che partecipo al Forum Sociale, prendo uno stipendio dallo Stato o dal Comune, significa che lo Stato e il Comune finanziano il Forum? Secondo lei le cose stanno così?
Bene, la invito a considerare un altro aspetto del problema: che professione svolge, lei?
Lei, in questo momento sta incassando un cospicuo stipendio come parlamentare. Quello stipendio, glielo pago io (e pago bene). Lei lavora per me. E sì, so benissimo che non posso licenziarla, nemmeno per giusta causa. Ma questo non toglie che lei sia sul mio libro paga.
E questo, almeno, dovrebbe ispirarle un po’ di rispetto, onorevole Bertolini, per me e per i miei amici.
In fede
Adesso cosa faccio, gliela spedisco?
Dite voi.
mercoledì 14 maggio 2003
Compagno Ogilvy, il tuo fulgido esempio
Allora, stasera avrei dovuto parlare di blog [urp], di assunzione di responsabilità nei confronti dei lettori, ecc..
Partendo da una tesi: i lettori di blog sono voraci e compulsivi, ma non hanno tutto il tempo del mondo per visitare i link che segnaliamo. Di solito danno una scorsa veloce. Se sono visitatori abituali, tendono a sviluppare una certa fiducia nei confronti dei loro blog preferiti. Scatta il meccanismo perverso del “se l’ha detto lui è vero”: del resto la maggior parte di quello che sappiamo lo abbiamo appreso da persone di fiducia. (Mica abbiamo le prove, che il mondo gira intorno al sole).
Questa fiducia, però, un blog se la dovrebbe anche meritare. E qui casca Camillo… ecco, adesso dovrei riprendere la polemica con Camillo. Ma a che pro, infine? Tanto lui le mie repliche non le legge. Questa su Guantanamo, per esempio, non l’ha vista mai. Lui guarda i titoli...
E poi, diciamocelo, un altro pezzo teorico sui blog, non se ne può più. Doversi mettere a spiegare le cose per filo e per segno, pulitamente, con una sintassi lineare… va a finire che faccio la solita figura del saputello pedante. Eh no.
Voglio anch’io essere un weblog d’assalto, di quelli che bisogna leggere tra le righe, e se non sai leggere tra le righe sei solo un vecchio coglione (vieux con).
Per cui basta. Tanto alla fine
non è successo niente:
Rocca ha capito l’errore e ha chiesto scusa ai suoi lettori, inoltre
non è successo niente:
Guantanamo è un parco a tema per grandi e piccini, e anche in Iraq
non è successo niente:
non fanno che spuntar fuori armi di distruzione di massa dappertutto, ma per fortuna
non è successo niente:
dopo due anni di guerre, Al Qaeda non è più in grado di nuocere, insomma
non succede mai niente:
l’Europa aspetta ansiosa il semestre italiano.
E qui da noi? Non succede niente.
A parte che ci hanno tagliato un sacco di tasse, ma per il resto
non succede niente:
in particolare non esiste nessun tipo di conflitto d’interessi.
E Genova? Vi ricordate di Genova? Bene:
non è successo niente,
tranne per i poliziotti barbaramente aggrediti alle Diaz, ma per il resto, davvero
non sta succedendo niente:
le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente.
E aggiungerò che non è successo niente:
Bella semifinale. L’Inter ha dominato.
Per il resto, non è successo niente,
io al webbit non ci sono neanche andato. Qualcuno va in giro e si spaccia per me.
Insomma, potete circolare, qui davvero
non è successo niente...
Onore al Camerata Ogilvy. Inseguito da aerei di bombardamento nemici, latore di importanti dispacci, era balzato fuori dall’elicottero armato di mitra… anche se in realtà
non è successo niente:
La guerra è pace,
la libertà è schiavitù,
l’ignoranza è forza.
Oh, adesso mi sento meglio. Un uomo nuovo, un neouomo. Un neocon.
Arrivederci (in un posto senza tenebra).
Allora, stasera avrei dovuto parlare di blog [urp], di assunzione di responsabilità nei confronti dei lettori, ecc..
Partendo da una tesi: i lettori di blog sono voraci e compulsivi, ma non hanno tutto il tempo del mondo per visitare i link che segnaliamo. Di solito danno una scorsa veloce. Se sono visitatori abituali, tendono a sviluppare una certa fiducia nei confronti dei loro blog preferiti. Scatta il meccanismo perverso del “se l’ha detto lui è vero”: del resto la maggior parte di quello che sappiamo lo abbiamo appreso da persone di fiducia. (Mica abbiamo le prove, che il mondo gira intorno al sole).
Questa fiducia, però, un blog se la dovrebbe anche meritare. E qui casca Camillo… ecco, adesso dovrei riprendere la polemica con Camillo. Ma a che pro, infine? Tanto lui le mie repliche non le legge. Questa su Guantanamo, per esempio, non l’ha vista mai. Lui guarda i titoli...
E poi, diciamocelo, un altro pezzo teorico sui blog, non se ne può più. Doversi mettere a spiegare le cose per filo e per segno, pulitamente, con una sintassi lineare… va a finire che faccio la solita figura del saputello pedante. Eh no.
Voglio anch’io essere un weblog d’assalto, di quelli che bisogna leggere tra le righe, e se non sai leggere tra le righe sei solo un vecchio coglione (vieux con).
Per cui basta. Tanto alla fine
non è successo niente:
Rocca ha capito l’errore e ha chiesto scusa ai suoi lettori, inoltre
non è successo niente:
Guantanamo è un parco a tema per grandi e piccini, e anche in Iraq
non è successo niente:
non fanno che spuntar fuori armi di distruzione di massa dappertutto, ma per fortuna
non è successo niente:
dopo due anni di guerre, Al Qaeda non è più in grado di nuocere, insomma
non succede mai niente:
l’Europa aspetta ansiosa il semestre italiano.
E qui da noi? Non succede niente.
A parte che ci hanno tagliato un sacco di tasse, ma per il resto
non succede niente:
in particolare non esiste nessun tipo di conflitto d’interessi.
E Genova? Vi ricordate di Genova? Bene:
non è successo niente,
tranne per i poliziotti barbaramente aggrediti alle Diaz, ma per il resto, davvero
non sta succedendo niente:
le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente.
E aggiungerò che non è successo niente:
Bella semifinale. L’Inter ha dominato.
Per il resto, non è successo niente,
io al webbit non ci sono neanche andato. Qualcuno va in giro e si spaccia per me.
Insomma, potete circolare, qui davvero
non è successo niente...
Onore al Camerata Ogilvy. Inseguito da aerei di bombardamento nemici, latore di importanti dispacci, era balzato fuori dall’elicottero armato di mitra… anche se in realtà
non è successo niente:
La guerra è pace,
la libertà è schiavitù,
l’ignoranza è forza.
Oh, adesso mi sento meglio. Un uomo nuovo, un neouomo. Un neocon.
Arrivederci (in un posto senza tenebra).
martedì 13 maggio 2003
A Camillo rispondo domani. Sì, lo so che è importante, però oggi è il 13 maggio. E sapete che io sono uno degli orfani del 13 maggio.
O non lo sapete? Tanto meglio, visto che ogni 13 maggio io ricilo gli articoli vecchi. Questo è esattamente di un anno fa (12/5/02):
Caro astensionista di sinistra,
ciao, ti ricordi di me?
Non sono nessuno in particolare, ma l'anno scorso (10/5/2001) ti scrissi un appello.
Si stava per votare, e tu andavi in giro dicendo che non valeva la pena, che non avresti ceduto al ricatto, che Rutelli non l'avresti eletto mai, per cento validi motivi. È andata com'è andata, e poi non ne abbiamo parlato più.
Ci sono state cose ben più importanti: Genova, l'11 settembre, la Palestina. Ma soprattutto le mille trovate del nuovo governo, che a raccontarle non ci si crede, e non si sa nemmeno da che parte iniziare. Il giallo del buco nel Tesoro. Gli incentivi agli evasori fiscali. Il nostro ridicolo intervento in guerra. La controriforma scolastica. Le leggi ad hoc per i mercanti d'armi. La Bossi-Fini. Il ministro che dà ordine ai poliziotti di sparare, i poliziotti che non potendo eseguire l'ordine sparano per i fatti loro. E tante altre cose che ora non ricordo, ma che io e te ben conosciamo. Stasera però vorrei parlarti d'altro.
Vorrei chiederti come ti stai, come ti senti.
E se magari non ti vergogni, appena un po'.
No, eh?
Caro astensionista,
sgomberiamo l'equivoco. Io non ho mai creduto in Rutelli e D'Alema più di quanto ci credessi tu. Sono pronto a condividere qualsiasi critica tu abbia da fare nei loro confronti, sempre per il solito motivo che tu sei molto più informato e sensibile di me. Quando tu parlavi di ricatto, avevi perfettamente ragione. Ma c'è una cosa, che in un anno non sono riuscito a capire. Dove hai trovato l'energia morale per non cedere a questo ricatto? Perché tu sei tanto forte e, per esempio, io no?
Io sono una persona tutto sommato normale. Vivo una vita di compromessi, con le mie piccole frustrazioni e le mie piccole soddisfazioni. Cedo a ricatti almeno dieci volte al giorno. Se mi chiedono uno straordinario, per esempio, lo faccio. Se m'impongono una nuova tassa, la pago. Insomma, faccio buon viso a cattivo gioco. E mi chiedo cosa fai tu in simili situazioni. Tu non cedi mai? No, secondo me anche tu fai lo stesso. Tutta la tua invidiabile forza morale, la condensi in un solo giorno: il giorno delle elezioni. Quel giorno scopri improvvisamente di essere tutto d'un pezzo, di non poter cedere ai ricatti e ai compromessi. E allora fai vincere Berlusconi.
Sì, l'hai fatto vincere tu, ricordatelo. Perché quando ti vedo alle manifestazioni e ai girotondi (confessalo che ti diverti un mondo a urlare e a saltare e a tenerti per mano), ho come il sospetto che tu te lo sia dimenticato. Ogni tanto, per esempio, scopri l'acqua calda: ti accorgi che la Rai non è più libera: che sorpresa!, che la scuola pubblica è destinata a diventare un ghetto, che vergogna! (e magari qualche anno fa brontolavi per la riforma De Mauro). La polizia sequestra e picchia i manifestanti: che scandalo! Insomma, in piazza urli e strilli come un bambino, e intanto dimentichi il tuo passato recente e le tue responsabilità: i sintomi della demenza senile ci sono.
Caro astensionista,
lo sai che a volte ancora non ci credo? A volte provo a immaginare cosa sarebbe successo se, domenica 13 maggio 2001, io fossi riuscito a convincerti. Nulla di eccezionale. Rutelli avrebbe proseguito l'ordinaria amministrazione Amato. In ottobre avrebbe appoggiato la guerra afgana e noi avremmo fatto la solita marcia per la Pace. Forse il solito ministro del Tesoro avrebbe scoperto che era il momento di tirare un po' la cinghia, dopo i bonus fiscali elettorali. Tu avresti continuato a lamentarti, e anch'io, ma magari con meno rabbia, con meno entusiasmo.
A volte penso a Carlo Giuliani. Ecco, ci ho pensato a lungo e ho concluso che probabilmente oggi Carlo Giuliani sarebbe vivo. Il che mi rende la sua morte ancora più intollerabile.
Io e te sapevamo già, prima di votare, cosa stava succedendo alla polizia italiana. Avevamo i giornali e avevamo internet, avevamo amici a Ventimiglia e Napoli, e certe conclusioni potevamo già tirarle. E magari tu hai deciso che lo Stato era già fascista e un Rutelli o un Berlusconi non facevano differenza, in piazza ci avrebbero sparato ugualmente. In un certo senso hai ragione, e in un certo senso hai torto.
Hai ragione, perché quel che accadde a Ventimiglia e Napoli era già vergognoso, e prime delle scuse di Berlusconi dovremmo sentire quelle di Amato.
Hai torto, perché quella sottile linea rossa tra democrazia e fascismo non è solo a Napoli o a Genova, ma dappertutto, in ogni città e in ogni persona e in ogni decreto legge, e ogni giorno può spostarsi da una parte o dall'altra, a seconda di chi sta spingendo e di chi invece dorme, o si sente fuori dal gioco. Per quali motivi al mondo ancora non riesco a capirlo, e nemmeno voglio.
Quello che ho capito è che ogni giorno è buono per spingere, e che quel 13 maggio era appunto un giorno come gli altri, bisognava spingere tutti assieme per non cedere un po' di democrazia, ma tu non c'eri. Poi sei tornato con più rabbia di prima, e tanta rabbia l'hai data anche a me, ma questo non ti giustifica. Sono contento che sei tornato, e che ora spingiamo assieme, e che a quanto pare siamo in tanti. Ma non dimentico di quel giorno, e nemmeno tu dovresti.
Perciò se qualche volta, nella pausa tra una riunione o un corteo, mi capita di voltarmi a guardarti in faccia in un certo modo, tu non chiedermi cos'ho: soltanto, abbassa gli occhi e vergognati. Almeno un po'.
Fine? Beh, aggiungo due cose.
-- Astensionista, perché non facciamo un patto? Io vado a votare il 15 giugno e tu...
-- Ma tu, astensionista, che mestiere fai? L'insegnante? non è per caso che hai partecipato alle vibranti proteste contro De Mauro, che voleva aumentare la paga agli insegnanti meritevoli? E adesso che ne pensi?
Ah, ma tanto tu stai per andare in pensione... capisco.
O non lo sapete? Tanto meglio, visto che ogni 13 maggio io ricilo gli articoli vecchi. Questo è esattamente di un anno fa (12/5/02):
Caro astensionista di sinistra,
ciao, ti ricordi di me?
Non sono nessuno in particolare, ma l'anno scorso (10/5/2001) ti scrissi un appello.
Si stava per votare, e tu andavi in giro dicendo che non valeva la pena, che non avresti ceduto al ricatto, che Rutelli non l'avresti eletto mai, per cento validi motivi. È andata com'è andata, e poi non ne abbiamo parlato più.
Ci sono state cose ben più importanti: Genova, l'11 settembre, la Palestina. Ma soprattutto le mille trovate del nuovo governo, che a raccontarle non ci si crede, e non si sa nemmeno da che parte iniziare. Il giallo del buco nel Tesoro. Gli incentivi agli evasori fiscali. Il nostro ridicolo intervento in guerra. La controriforma scolastica. Le leggi ad hoc per i mercanti d'armi. La Bossi-Fini. Il ministro che dà ordine ai poliziotti di sparare, i poliziotti che non potendo eseguire l'ordine sparano per i fatti loro. E tante altre cose che ora non ricordo, ma che io e te ben conosciamo. Stasera però vorrei parlarti d'altro.
Vorrei chiederti come ti stai, come ti senti.
E se magari non ti vergogni, appena un po'.
No, eh?
Caro astensionista,
sgomberiamo l'equivoco. Io non ho mai creduto in Rutelli e D'Alema più di quanto ci credessi tu. Sono pronto a condividere qualsiasi critica tu abbia da fare nei loro confronti, sempre per il solito motivo che tu sei molto più informato e sensibile di me. Quando tu parlavi di ricatto, avevi perfettamente ragione. Ma c'è una cosa, che in un anno non sono riuscito a capire. Dove hai trovato l'energia morale per non cedere a questo ricatto? Perché tu sei tanto forte e, per esempio, io no?
Io sono una persona tutto sommato normale. Vivo una vita di compromessi, con le mie piccole frustrazioni e le mie piccole soddisfazioni. Cedo a ricatti almeno dieci volte al giorno. Se mi chiedono uno straordinario, per esempio, lo faccio. Se m'impongono una nuova tassa, la pago. Insomma, faccio buon viso a cattivo gioco. E mi chiedo cosa fai tu in simili situazioni. Tu non cedi mai? No, secondo me anche tu fai lo stesso. Tutta la tua invidiabile forza morale, la condensi in un solo giorno: il giorno delle elezioni. Quel giorno scopri improvvisamente di essere tutto d'un pezzo, di non poter cedere ai ricatti e ai compromessi. E allora fai vincere Berlusconi.
Sì, l'hai fatto vincere tu, ricordatelo. Perché quando ti vedo alle manifestazioni e ai girotondi (confessalo che ti diverti un mondo a urlare e a saltare e a tenerti per mano), ho come il sospetto che tu te lo sia dimenticato. Ogni tanto, per esempio, scopri l'acqua calda: ti accorgi che la Rai non è più libera: che sorpresa!, che la scuola pubblica è destinata a diventare un ghetto, che vergogna! (e magari qualche anno fa brontolavi per la riforma De Mauro). La polizia sequestra e picchia i manifestanti: che scandalo! Insomma, in piazza urli e strilli come un bambino, e intanto dimentichi il tuo passato recente e le tue responsabilità: i sintomi della demenza senile ci sono.
Caro astensionista,
lo sai che a volte ancora non ci credo? A volte provo a immaginare cosa sarebbe successo se, domenica 13 maggio 2001, io fossi riuscito a convincerti. Nulla di eccezionale. Rutelli avrebbe proseguito l'ordinaria amministrazione Amato. In ottobre avrebbe appoggiato la guerra afgana e noi avremmo fatto la solita marcia per la Pace. Forse il solito ministro del Tesoro avrebbe scoperto che era il momento di tirare un po' la cinghia, dopo i bonus fiscali elettorali. Tu avresti continuato a lamentarti, e anch'io, ma magari con meno rabbia, con meno entusiasmo.
A volte penso a Carlo Giuliani. Ecco, ci ho pensato a lungo e ho concluso che probabilmente oggi Carlo Giuliani sarebbe vivo. Il che mi rende la sua morte ancora più intollerabile.
Io e te sapevamo già, prima di votare, cosa stava succedendo alla polizia italiana. Avevamo i giornali e avevamo internet, avevamo amici a Ventimiglia e Napoli, e certe conclusioni potevamo già tirarle. E magari tu hai deciso che lo Stato era già fascista e un Rutelli o un Berlusconi non facevano differenza, in piazza ci avrebbero sparato ugualmente. In un certo senso hai ragione, e in un certo senso hai torto.
Hai ragione, perché quel che accadde a Ventimiglia e Napoli era già vergognoso, e prime delle scuse di Berlusconi dovremmo sentire quelle di Amato.
Hai torto, perché quella sottile linea rossa tra democrazia e fascismo non è solo a Napoli o a Genova, ma dappertutto, in ogni città e in ogni persona e in ogni decreto legge, e ogni giorno può spostarsi da una parte o dall'altra, a seconda di chi sta spingendo e di chi invece dorme, o si sente fuori dal gioco. Per quali motivi al mondo ancora non riesco a capirlo, e nemmeno voglio.
Quello che ho capito è che ogni giorno è buono per spingere, e che quel 13 maggio era appunto un giorno come gli altri, bisognava spingere tutti assieme per non cedere un po' di democrazia, ma tu non c'eri. Poi sei tornato con più rabbia di prima, e tanta rabbia l'hai data anche a me, ma questo non ti giustifica. Sono contento che sei tornato, e che ora spingiamo assieme, e che a quanto pare siamo in tanti. Ma non dimentico di quel giorno, e nemmeno tu dovresti.
Perciò se qualche volta, nella pausa tra una riunione o un corteo, mi capita di voltarmi a guardarti in faccia in un certo modo, tu non chiedermi cos'ho: soltanto, abbassa gli occhi e vergognati. Almeno un po'.
Fine? Beh, aggiungo due cose.
-- Astensionista, perché non facciamo un patto? Io vado a votare il 15 giugno e tu...
-- Ma tu, astensionista, che mestiere fai? L'insegnante? non è per caso che hai partecipato alle vibranti proteste contro De Mauro, che voleva aumentare la paga agli insegnanti meritevoli? E adesso che ne pensi?
Ah, ma tanto tu stai per andare in pensione... capisco.
lunedì 12 maggio 2003
Help I’m a Rock 2
Adesso diranno che ne approfitto, che mi accanisco, tuttavia gli era già stato spiegato una volta che non doveva comportarsi così; che da lui, in quanto giornalista, ci si aspettava qualcosa di più che da un semplice blog…
… e invece, ops! Christian Rocca l’ha fatto ancora.
Su Camillo, il 9 maggio, scriveva:
Non è successo niente
A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte
Trascuriamo il cattivo italiano (le opere d’arte non si saccheggiano, al massimo si trafugano; i musei si saccheggiano), veniamo al dunque. Il link portava a un articolo del New York Times.
Adesso, secondo voi, se uno si registra e legge l’articolo, scopre che “a Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte”?
Naturalmente no. Una cosa è la bieca propaganda, una cosa è il New York Times. Si può, anzi, si deve dubitare di molte cose al mondo, ma il saccheggio del Museo di Bagdad è una cosa avvenuta troppo di recente, e sotto gli occhi di troppi cronisti internazionali, per poterne negare l’evidenza.
Più semplicemente l’articolo riporta le parole di un responsabile del British Museum, John E. Curtis, che è stato di recente in Iraq e ha i contatti giusti (e che dà la sensazione di sapere più cose di quante non ne possa dire). Curtis afferma che gli oggetti più importanti (“most precious artifacts”) erano già stati nascosti in luoghi sicuri prima dell’inizio della guerra. Il che è abbastanza prevedibile, visto che la guerra era annunciata da mesi e l’esito, per gli iracheni, doveva sembrare abbastanza scontato.
Ok, fa piacere sapere che gli iracheni sono stati previdenti: ciò non toglie che gli americani, entrando a Bagdad, non si siano dati molta pena per difendere il Museo. Avevano altre priorità.
Curtis è sicuro che chi comanda la piazza in questo momento sappia dove gli “artifacts” sono nascosti. Le dichiarazioni del comando a Bagdad sembrano confermare quest’ipotesi. C’è un colonnello della Marina che dice di aver contato solo 25 manufatti nella lista dei tesori mancanti (“definitely missing”). Meglio così.
Dobbiamo dedurne, con Rocca, che “A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte”?
Ma manco per idea. Già il solo fatto che manchino 25 oggetti dovrebbe significare qualcosa. Sono pochi, 25? Dipende. In casi come questi non si valuta solo la quantità. Se io m’introducessi nottetempo agli Uffizi e rubassi un paio di Botticelli, anche Rocca dovrebbe ammettere che “Gli Uffizi sono stati svaligiati”.
Ma si trattasse solo di quei 25… Curtis però ci dice che “Some 100,000 to 200,000 objects were stored in the basements. Many of them may never have been photographed or cataloged”. Insomma, dallo stesso articolo che Rocca sventola per negare il saccheggio, io scopro che dal Museo possono essere spariti più di centomila oggetti antichi mai fotografati o catalogati… a me questo sembra un saccheggio. A Rocca no.
Perché?
Cerchiamo di capire il perché.
Forse Rocca non sa l’inglese… impossibile. È il corrispondente da New York del Foglio, uno nella sua posizione un po' d'inglese deve masticarlo per forza. Beh, certo, è ancora convinto che “slurp” voglia dire leccare, mentre vuol dire un’altra cosa, però stando laggiù senz’altro migliorerà.
Forse ha equivocato il senso della parola “commonplace objects”. Quando un oggetto d’uso comune ha tremila anni, un suo valore ce l’ha, anche se non è firmato ed è pure bruttino. Anzi, dice un collega di Curtis: “è precisamente quel tipo di oggetti che possono facilmente essere smerciati al mercato nero”. A non sapere queste cose, si rishia di passare per il solito turista italiano a Parigi che entra al Louvre, trova la Gioconda, esce; oppure (per restare a New York) entra al MOMA, trova la Notte stellata di Van Gogh, esce. Siccome a Baghdad non risulta sparito nessun Van Gogh e nessun Da Vinci, per Rocca è evidente che “A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte”. (Dopodiché, siamo liberi di pensare dove stia meglio un oggetto antico: nella cassaforte di un collezionista o a prender polvere negli scantinati di un museo pubblico; e questo vale anche per certi scantinati italiani, che invocano il saccheggio).
Forse, più umanamente, ha letto l’articolo di corsa e non si è reso conto. E va bene, pazienza, noi blog siamo tutti un po’ cialtroni. Però, posso permettermi un consiglio? queste cose, su internet, non le dovresti fare più.
Il tuo mestiere è cercare puntelli per l’ideologia neoconservatrice? Credi che scrivere cose come “A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte” possa servire a rassicurare i tuoi lettori, che hanno visto il Museo lasciato in balia degli avvoltoi mentre i soldati americani correvano a mettere al sicuro il Ministero del Petrolio? D’accordo, il propagandista è un mestiere come un altro, e non sarò certo io a farti la morale.
Però se questo è il tuo mestiere, dovresti cercare di farlo bene. Insomma, non puoi scrivere una cosa e lincarla a un articolo che smentisce le tue stesse parole. A rischio che qualche stronzetto se ne accorga e ti faccia fare una brutta figura. E lo sai che la Rete è piena di stronzetti. Devi stare più attento, come i tuoi neocon, che vigilano. Tu, se mi permetti, non mi sembri mica tanto vigile. E non mi sembra neanche che stia rendendo un buon servizio ai neocon.
Adesso diranno che ne approfitto, che mi accanisco, tuttavia gli era già stato spiegato una volta che non doveva comportarsi così; che da lui, in quanto giornalista, ci si aspettava qualcosa di più che da un semplice blog…
… e invece, ops! Christian Rocca l’ha fatto ancora.
Su Camillo, il 9 maggio, scriveva:
Non è successo niente
A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte
Trascuriamo il cattivo italiano (le opere d’arte non si saccheggiano, al massimo si trafugano; i musei si saccheggiano), veniamo al dunque. Il link portava a un articolo del New York Times.
Adesso, secondo voi, se uno si registra e legge l’articolo, scopre che “a Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte”?
Naturalmente no. Una cosa è la bieca propaganda, una cosa è il New York Times. Si può, anzi, si deve dubitare di molte cose al mondo, ma il saccheggio del Museo di Bagdad è una cosa avvenuta troppo di recente, e sotto gli occhi di troppi cronisti internazionali, per poterne negare l’evidenza.
Più semplicemente l’articolo riporta le parole di un responsabile del British Museum, John E. Curtis, che è stato di recente in Iraq e ha i contatti giusti (e che dà la sensazione di sapere più cose di quante non ne possa dire). Curtis afferma che gli oggetti più importanti (“most precious artifacts”) erano già stati nascosti in luoghi sicuri prima dell’inizio della guerra. Il che è abbastanza prevedibile, visto che la guerra era annunciata da mesi e l’esito, per gli iracheni, doveva sembrare abbastanza scontato.
Ok, fa piacere sapere che gli iracheni sono stati previdenti: ciò non toglie che gli americani, entrando a Bagdad, non si siano dati molta pena per difendere il Museo. Avevano altre priorità.
Curtis è sicuro che chi comanda la piazza in questo momento sappia dove gli “artifacts” sono nascosti. Le dichiarazioni del comando a Bagdad sembrano confermare quest’ipotesi. C’è un colonnello della Marina che dice di aver contato solo 25 manufatti nella lista dei tesori mancanti (“definitely missing”). Meglio così.
Dobbiamo dedurne, con Rocca, che “A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte”?
Ma manco per idea. Già il solo fatto che manchino 25 oggetti dovrebbe significare qualcosa. Sono pochi, 25? Dipende. In casi come questi non si valuta solo la quantità. Se io m’introducessi nottetempo agli Uffizi e rubassi un paio di Botticelli, anche Rocca dovrebbe ammettere che “Gli Uffizi sono stati svaligiati”.
Ma si trattasse solo di quei 25… Curtis però ci dice che “Some 100,000 to 200,000 objects were stored in the basements. Many of them may never have been photographed or cataloged”. Insomma, dallo stesso articolo che Rocca sventola per negare il saccheggio, io scopro che dal Museo possono essere spariti più di centomila oggetti antichi mai fotografati o catalogati… a me questo sembra un saccheggio. A Rocca no.
Perché?
Cerchiamo di capire il perché.
Forse Rocca non sa l’inglese… impossibile. È il corrispondente da New York del Foglio, uno nella sua posizione un po' d'inglese deve masticarlo per forza. Beh, certo, è ancora convinto che “slurp” voglia dire leccare, mentre vuol dire un’altra cosa, però stando laggiù senz’altro migliorerà.
Forse ha equivocato il senso della parola “commonplace objects”. Quando un oggetto d’uso comune ha tremila anni, un suo valore ce l’ha, anche se non è firmato ed è pure bruttino. Anzi, dice un collega di Curtis: “è precisamente quel tipo di oggetti che possono facilmente essere smerciati al mercato nero”. A non sapere queste cose, si rishia di passare per il solito turista italiano a Parigi che entra al Louvre, trova la Gioconda, esce; oppure (per restare a New York) entra al MOMA, trova la Notte stellata di Van Gogh, esce. Siccome a Baghdad non risulta sparito nessun Van Gogh e nessun Da Vinci, per Rocca è evidente che “A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte”. (Dopodiché, siamo liberi di pensare dove stia meglio un oggetto antico: nella cassaforte di un collezionista o a prender polvere negli scantinati di un museo pubblico; e questo vale anche per certi scantinati italiani, che invocano il saccheggio).
Forse, più umanamente, ha letto l’articolo di corsa e non si è reso conto. E va bene, pazienza, noi blog siamo tutti un po’ cialtroni. Però, posso permettermi un consiglio? queste cose, su internet, non le dovresti fare più.
Il tuo mestiere è cercare puntelli per l’ideologia neoconservatrice? Credi che scrivere cose come “A Baghdad non hanno saccheggiato le opere d’arte” possa servire a rassicurare i tuoi lettori, che hanno visto il Museo lasciato in balia degli avvoltoi mentre i soldati americani correvano a mettere al sicuro il Ministero del Petrolio? D’accordo, il propagandista è un mestiere come un altro, e non sarò certo io a farti la morale.
Però se questo è il tuo mestiere, dovresti cercare di farlo bene. Insomma, non puoi scrivere una cosa e lincarla a un articolo che smentisce le tue stesse parole. A rischio che qualche stronzetto se ne accorga e ti faccia fare una brutta figura. E lo sai che la Rete è piena di stronzetti. Devi stare più attento, come i tuoi neocon, che vigilano. Tu, se mi permetti, non mi sembri mica tanto vigile. E non mi sembra neanche che stia rendendo un buon servizio ai neocon.
venerdì 9 maggio 2003
La polemica tra blog e giornalisti
Durerà nei secoli dei secoli, senza fine, e senza neanche destare molto interesse. Mi preme soltanto segnalare alcuni punti fermi:
1) tutti hanno il diritto di fare quello che gli pare coi blog, compresi i giornalisti.
2) tutti possono criticare un blog, ma non sempre conviene.
Per esempio:
2/a) un blog che critica un giornalista è simpatico
2/b) un giornalista che critica un blog è antipatico.
Vi piaccia o no, le cose stanno così, per lo stesso motivo per cui i bambini tifano per Jerry e non per Tom, malgrado Jerry non sia che un ladruncolo un po’ stronzetto, e Tom un povero diavolo che cerca di fare il suo mestiere. È ingiusto, ma è normale: ai bambini piacciono gli animali piccoli, vispi e birichini.
Gli adulti, invece, odiano i topi, che sono sporchi, odiosi, portano le malattie, e la notte fanno fastidiosi rumori coi denti
Per cui, se vi capita di vedere un vecchio cartone, cercate di capire da che parte state: se ridete col topo o soffrite col gatto. Se siete passati dalla parte di Tom, siete diventati adulti. E non è grave, anzi, è giusto. Trovatevi un lavoro serio, procuratevi il veleno, fate pulizie regolari, comprate giornali seri, e smettetela di perdere tempo coi blog, che sono solo puttanate.
Buona fortuna.
(Chi c’è, ci si vede a Padova: La Pizia presenta il Libro!)
Durerà nei secoli dei secoli, senza fine, e senza neanche destare molto interesse. Mi preme soltanto segnalare alcuni punti fermi:
1) tutti hanno il diritto di fare quello che gli pare coi blog, compresi i giornalisti.
2) tutti possono criticare un blog, ma non sempre conviene.
Per esempio:
2/a) un blog che critica un giornalista è simpatico
2/b) un giornalista che critica un blog è antipatico.
Vi piaccia o no, le cose stanno così, per lo stesso motivo per cui i bambini tifano per Jerry e non per Tom, malgrado Jerry non sia che un ladruncolo un po’ stronzetto, e Tom un povero diavolo che cerca di fare il suo mestiere. È ingiusto, ma è normale: ai bambini piacciono gli animali piccoli, vispi e birichini.
Gli adulti, invece, odiano i topi, che sono sporchi, odiosi, portano le malattie, e la notte fanno fastidiosi rumori coi denti
Per cui, se vi capita di vedere un vecchio cartone, cercate di capire da che parte state: se ridete col topo o soffrite col gatto. Se siete passati dalla parte di Tom, siete diventati adulti. E non è grave, anzi, è giusto. Trovatevi un lavoro serio, procuratevi il veleno, fate pulizie regolari, comprate giornali seri, e smettetela di perdere tempo coi blog, che sono solo puttanate.
Buona fortuna.
(Chi c’è, ci si vede a Padova: La Pizia presenta il Libro!)
giovedì 8 maggio 2003
Il Regno dei Cieli esiste
Ma non è in Unione Europea. (Qualcuno lo dica ai signori della Convenzione).
Il 14 luglio del 1099, un’orda di selvaggi, coperti di barbe folte e armature di acciaio, assaliva e depredava la santa città di Gerusalemme, trucidando qualcosa come 70.000 abitanti.
Le cronache sono abbastanza esplicite al riguardo: E allora si videro cose meravigliose. I musulmani furono decapitati, o trafitti di frecce, o gettati giù dalle torri. Altri furono torturati per giorni, e poi bruciati. Le strade erano lastricate di teste, di mani e di piedi mozzi”. Calca un po’ la mano, Raimondo di Agiles, ma è pur sempre un testimone oculare.
Qui, senza moralizzare su un genocidio di 900 anni fa, io volevo porre questa domanda: voi, in quanto europei, vi sentite gli eredi di quei massacratori, i cavalieri della Prima Crociata? Io no, per niente. Li considero estranei alla mia identità e alla mia esperienza, più o meno quanto gli Aztechi o Toro Seduto, e forse di più. Mi sento, per cultura e per istinto, assai più vicino agli arabi fatimidi di Gerusalemme, che quaranta giorni prima avevano offerto ai Crociati il libero accesso ai Luoghi Santi.
Oppure, se proprio devo considerarmi erede di qualcuno, forse sono davvero erede dei Crociati, ma di quelli un po’ imbastarditi che tornarono in Europa, vestiti molto meglio, abbronzati e sbarbati, che lentamente iniziarono a progettare castelli un po’ più ariosi e a scrivere canzoni d’amore. Prima del 1100, diciamocelo, la Storia d’Europa è la cronaca di una rissa tra tribù di mentecatti rinchiusi in capanne di fango, con Re che nemmeno sanno leggere e scrivere.
Questo, secondo me, chiude la questione sull’identità cristiana dell’Europa: non c’è. Noi non siamo europei grazie al cristianesimo. Per prima cosa, il cristianesimo non ci ha mai riunito. Esiste nella storia europea qualcosa di paragonabile all’Islam per gli Arabi? Nel giro di due secoli la religione di Maometto ha creato un impero unitario dall’Iran alla Spagna, con una lingua e un Libro.
Il Cristianesimo non ha mai fatto questo per noi. Ha raccattato lingue che già esistevano (il Latino, il Greco), imperi che sopravvivevano, e non è nemmeno riuscito a difenderli. L’Europa nasce con le invasioni barbariche? Sorpresa: gli invasi erano cristiani, gli invasori pure. L’Unico Dio non ha impedito ai nostri antenati di massacrarsi, di dividersi in Regni e Feudi e di massacrarsi ancora. Di più: spesso ha fornito anche fantasiosi pretesti: le eresie, le riforme e le controriforme. Milioni di morti per cavilli teologici che noi non riusciamo nemmeno a capire, tanto poco ci riguardano (anche quando siamo cristiani praticanti): l’uomo è giustificato dalla Fede o dalle Opere? Cristo ha una sola natura o due? Lo Spirito procede dal Figlio o dal Padre?
Di queste cose non si parla a Strasburgo – e giustamente. Perché non solo l’Europa non è, in massima parte, cristiana; ma quel poco di Cristianesimo che c’è in Europa è una superficie disastrata, lacera, che mostra ancora scoperti i crateri della Guerra dei Trent’anni. In Italia è difficile rendersene conto, ma i protestanti e i cattolici non pregano allo stesso modo. E forse non pregano nemmeno lo stesso Dio.
Entrate in una chiesa cattolica durante una funzione: il parroco per prima cosa vi chiederà di pentirvi dei vostri peccati di parola, pensiero, opera e omissione. Poi, soltanto poi, ci sarà il tempo per leggere e meditare la scrittura, entrare in Comunione con Dio, salutare, e rimettersi inevitabilmente a peccare appena usciti. Il Cattolico-tipo, per prima cosa, è un peccatore che deve chiedere scusa.
Il Protestante-tipo è tutt’altro. Non c’è peccato che tenga, Dio lo ha scelto per salvarlo, sin dalla nascita. La Fede è il segno del suo successo, nell'aldilà e nell'aldiqua. La liturgia cattolica è malinconica, la liturgia protestante è trionfale: e anche se storicamente i re cattolici sono stati più disastrosi, quello che oggi mi spaventa sono questi leader politici che leggono la Bibbia tutti i giorni. Attenzione, italiani: quando Bush o Blair parlano di Dio, non stanno parlando del nostro. Il loro Dio è uno yesman, che li sorregge nelle difficoltà e non gli contesta falli di opera e omissione a ogni pie’ sospinto. Qualcosa di molto più simile ad Allah, se proprio devo dirlo. Il Dio degli eserciti, il Dio che sceglie il suo Profeta dalla nascita, e ne fa il primo Califfo dell’impero Arabo.
Quanto a Gesù Cristo, lui non c’entra molto in tutto ciò. È vero che ha fondato una grande religione. Ma a differenza di Maometto, di Calvino, di Tony Blair, non è mai stato e non ha mai voluto essere un leader, e nemmeno un amministratore. Le classi dirigenti, o i partiti rivoluzionari, non hanno mai potuto contare molto su di lui (si è visto del resto come lo hanno trattato). Lui non parlava ai popoli, e nemmeno alle moltitudini: parlava alle persone. Non diceva: “abolite la povertà”, ma diceva “i poveri li avrete sempre”; non diceva “non fate la guerra”, ma “Metti via quella spada”. Non si proponeva di cambiare il mondo, o fondare un Regno, ma di inventare una nuova dimensione, la Coscienza Personale. Qualcosa di mai visto, un Regno impossibile sulla terra, chiamato infatti (espressione alquanto bizzarra ai tempi) “Regno dei Cieli”.
Il Regno dei Cieli esiste (è in ciascuno di noi, se lo vogliamo), ma non è di questa terra. Più in dettaglio, il Regno dei Cieli non è dell’Unione Europea. Non è certo Gesù Cristo a impedirci di accogliere i turchi, col pretesto che essi violano i diritti civili, torturano i prigionieri, ecc.. Riguardo alla tortura, l’insegnamento di Gesù Cristo è uno solo: essa va accettata stoicamente, porgendo l’altra guancia e perdonando quelli che non sanno quello che fanno.
È un insegnamento di cui far tesoro, se abbiamo la manzoniana “provvida sventura” si trovarci tra gli oppressi: ma se siamo classe dirigente, o se aspiriamo a diventare tale, forse ci serve qualcosa di più.
Quando noi accusiamo la Turchia di essere ‘fondalmente’ diversa da noi perché pratica sistematicamente la tortura (mentre noi la pratichiamo solo distrattamente), in realtà ci richiamiamo a quella che è l’autentica cultura fondante dell’Europa moderna: l’Illuminismo. Il movimento di pensiero, oggi un po’ demodé, che tre secoli fa si fece strada tra le classi dirigenti con alcune verità nuove, tra le quali anche lo spregio della tortura e delle guerre di religione. Quel movimento che ebbe il suo battesimo di folla – e di sangue – esattamente 690 anni dopo il massacro di Gerusalemme, il 14 luglio del 1789: la presa della Bastiglia. Quel giorno dovrebbe essere la Festa dell’Europa.
Invece la Festa dell’Europa è domani. Lo sapevate? Lo so, lo so.
Buona giornata.
...A molte persone con cui devi parlare non piace ingoiare sermoni da cappellano. (Un consigliere d'immagine di Tony Blair)
Ma non è in Unione Europea. (Qualcuno lo dica ai signori della Convenzione).
Il 14 luglio del 1099, un’orda di selvaggi, coperti di barbe folte e armature di acciaio, assaliva e depredava la santa città di Gerusalemme, trucidando qualcosa come 70.000 abitanti.
Le cronache sono abbastanza esplicite al riguardo: E allora si videro cose meravigliose. I musulmani furono decapitati, o trafitti di frecce, o gettati giù dalle torri. Altri furono torturati per giorni, e poi bruciati. Le strade erano lastricate di teste, di mani e di piedi mozzi”. Calca un po’ la mano, Raimondo di Agiles, ma è pur sempre un testimone oculare.
Qui, senza moralizzare su un genocidio di 900 anni fa, io volevo porre questa domanda: voi, in quanto europei, vi sentite gli eredi di quei massacratori, i cavalieri della Prima Crociata? Io no, per niente. Li considero estranei alla mia identità e alla mia esperienza, più o meno quanto gli Aztechi o Toro Seduto, e forse di più. Mi sento, per cultura e per istinto, assai più vicino agli arabi fatimidi di Gerusalemme, che quaranta giorni prima avevano offerto ai Crociati il libero accesso ai Luoghi Santi.
Oppure, se proprio devo considerarmi erede di qualcuno, forse sono davvero erede dei Crociati, ma di quelli un po’ imbastarditi che tornarono in Europa, vestiti molto meglio, abbronzati e sbarbati, che lentamente iniziarono a progettare castelli un po’ più ariosi e a scrivere canzoni d’amore. Prima del 1100, diciamocelo, la Storia d’Europa è la cronaca di una rissa tra tribù di mentecatti rinchiusi in capanne di fango, con Re che nemmeno sanno leggere e scrivere.
Questo, secondo me, chiude la questione sull’identità cristiana dell’Europa: non c’è. Noi non siamo europei grazie al cristianesimo. Per prima cosa, il cristianesimo non ci ha mai riunito. Esiste nella storia europea qualcosa di paragonabile all’Islam per gli Arabi? Nel giro di due secoli la religione di Maometto ha creato un impero unitario dall’Iran alla Spagna, con una lingua e un Libro.
Il Cristianesimo non ha mai fatto questo per noi. Ha raccattato lingue che già esistevano (il Latino, il Greco), imperi che sopravvivevano, e non è nemmeno riuscito a difenderli. L’Europa nasce con le invasioni barbariche? Sorpresa: gli invasi erano cristiani, gli invasori pure. L’Unico Dio non ha impedito ai nostri antenati di massacrarsi, di dividersi in Regni e Feudi e di massacrarsi ancora. Di più: spesso ha fornito anche fantasiosi pretesti: le eresie, le riforme e le controriforme. Milioni di morti per cavilli teologici che noi non riusciamo nemmeno a capire, tanto poco ci riguardano (anche quando siamo cristiani praticanti): l’uomo è giustificato dalla Fede o dalle Opere? Cristo ha una sola natura o due? Lo Spirito procede dal Figlio o dal Padre?
Di queste cose non si parla a Strasburgo – e giustamente. Perché non solo l’Europa non è, in massima parte, cristiana; ma quel poco di Cristianesimo che c’è in Europa è una superficie disastrata, lacera, che mostra ancora scoperti i crateri della Guerra dei Trent’anni. In Italia è difficile rendersene conto, ma i protestanti e i cattolici non pregano allo stesso modo. E forse non pregano nemmeno lo stesso Dio.
Entrate in una chiesa cattolica durante una funzione: il parroco per prima cosa vi chiederà di pentirvi dei vostri peccati di parola, pensiero, opera e omissione. Poi, soltanto poi, ci sarà il tempo per leggere e meditare la scrittura, entrare in Comunione con Dio, salutare, e rimettersi inevitabilmente a peccare appena usciti. Il Cattolico-tipo, per prima cosa, è un peccatore che deve chiedere scusa.
Il Protestante-tipo è tutt’altro. Non c’è peccato che tenga, Dio lo ha scelto per salvarlo, sin dalla nascita. La Fede è il segno del suo successo, nell'aldilà e nell'aldiqua. La liturgia cattolica è malinconica, la liturgia protestante è trionfale: e anche se storicamente i re cattolici sono stati più disastrosi, quello che oggi mi spaventa sono questi leader politici che leggono la Bibbia tutti i giorni. Attenzione, italiani: quando Bush o Blair parlano di Dio, non stanno parlando del nostro. Il loro Dio è uno yesman, che li sorregge nelle difficoltà e non gli contesta falli di opera e omissione a ogni pie’ sospinto. Qualcosa di molto più simile ad Allah, se proprio devo dirlo. Il Dio degli eserciti, il Dio che sceglie il suo Profeta dalla nascita, e ne fa il primo Califfo dell’impero Arabo.
Quanto a Gesù Cristo, lui non c’entra molto in tutto ciò. È vero che ha fondato una grande religione. Ma a differenza di Maometto, di Calvino, di Tony Blair, non è mai stato e non ha mai voluto essere un leader, e nemmeno un amministratore. Le classi dirigenti, o i partiti rivoluzionari, non hanno mai potuto contare molto su di lui (si è visto del resto come lo hanno trattato). Lui non parlava ai popoli, e nemmeno alle moltitudini: parlava alle persone. Non diceva: “abolite la povertà”, ma diceva “i poveri li avrete sempre”; non diceva “non fate la guerra”, ma “Metti via quella spada”. Non si proponeva di cambiare il mondo, o fondare un Regno, ma di inventare una nuova dimensione, la Coscienza Personale. Qualcosa di mai visto, un Regno impossibile sulla terra, chiamato infatti (espressione alquanto bizzarra ai tempi) “Regno dei Cieli”.
Il Regno dei Cieli esiste (è in ciascuno di noi, se lo vogliamo), ma non è di questa terra. Più in dettaglio, il Regno dei Cieli non è dell’Unione Europea. Non è certo Gesù Cristo a impedirci di accogliere i turchi, col pretesto che essi violano i diritti civili, torturano i prigionieri, ecc.. Riguardo alla tortura, l’insegnamento di Gesù Cristo è uno solo: essa va accettata stoicamente, porgendo l’altra guancia e perdonando quelli che non sanno quello che fanno.
È un insegnamento di cui far tesoro, se abbiamo la manzoniana “provvida sventura” si trovarci tra gli oppressi: ma se siamo classe dirigente, o se aspiriamo a diventare tale, forse ci serve qualcosa di più.
Quando noi accusiamo la Turchia di essere ‘fondalmente’ diversa da noi perché pratica sistematicamente la tortura (mentre noi la pratichiamo solo distrattamente), in realtà ci richiamiamo a quella che è l’autentica cultura fondante dell’Europa moderna: l’Illuminismo. Il movimento di pensiero, oggi un po’ demodé, che tre secoli fa si fece strada tra le classi dirigenti con alcune verità nuove, tra le quali anche lo spregio della tortura e delle guerre di religione. Quel movimento che ebbe il suo battesimo di folla – e di sangue – esattamente 690 anni dopo il massacro di Gerusalemme, il 14 luglio del 1789: la presa della Bastiglia. Quel giorno dovrebbe essere la Festa dell’Europa.
Invece la Festa dell’Europa è domani. Lo sapevate? Lo so, lo so.
Buona giornata.
...A molte persone con cui devi parlare non piace ingoiare sermoni da cappellano. (Un consigliere d'immagine di Tony Blair)
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