Di un amore, ormai troppo lontano
#1. Mentre i ventennali e i quarantennali di solito funzionano bene, i trentennali hanno un che di bolso. Saranno i capelli grigi e radi, o i chili superflui, ma insomma, è così. Io non ho veramente voglia di sentire Lucia Annunziata che parla del ’77. Piuttosto rimettete su Tenco, lui sì che si è conservato in forma.
#2. Come fa a non piacerti Tenco? E d’altro canto: chi può dire di amarlo davvero? Quanto resiste una raccolta di Tenco sul tuo lettore? Se è ancora un amore, è comunque molto impegnativo. Con quella voce così educata. Un po' troppo perfetta.
#3. Nessuno canta come Tenco. Ieri sera Baglioni in tv è uscito a pezzi da Lontano lontano. Non c’è verso di cantarla senza sgolarsi. Tenco (almeno in studio) non si sgolava mai. Arrivava a tutte le note che voleva, col timbro giusto e l’espressione adatta. Ma è una perfezione un po’ fredda, ecco.
#4. Di Tenco conosciamo tutti solo una manciata di canzoni, eppure è stato un artista prolifico e, a suo modo, versatile. Ha svariato in tutti i generi a disposizione in quel momento: rock’n’roll alla Celentano, jazz, spiritual, canzone di protesta. Ha fatto in tempo a scoprire lo yé-yé (non fu una grandissima scoperta). Ma sotto tante maschere la voce era sempre la stessa, scolpita e inconfondibile.
Su alcuni esperimenti è calato un omertoso silenzio: per esempio, è molto difficile trovare la sua versione beat di Blowing in the wind in italiano. Ripeto: esiste una versione beat di Blowing in the wind in italiano. Cantata da Luigi Tenco. Funziona? Mica tanto. A Tenco venivano bene le canzoni confidenziali. Ma a lui stavano strette. Era uno sperimentatore, mettiamola così. La leggenda dell’artista maledetto fa a pugni con un repertorio molto più paraculo: uno che il successo lo ha corteggiato in tanti modi, senza mai trovarci la soddisfazione che cercava.
#5. (Ma le hai mai sentite le versioni jazz di Tiziana Ghiglioni, magari con Fresu alla tromba? Io le preferisco spesso agli originali. Ma conosco gente che non le sopporta). Qui c'è Mi sono innamorato di te.
#6. Di solito una canzone mette in versi una storia, o un sentimento. Ma Tenco a volte quando canta lascia l’impressione di dire le cose come stanno, senza neanche un grammo di poesia. “Tu non hai capito niente”. “Quando la sera ritorno a casa non ho neanche la voglia di parlare”. Questa non è poesia, è prosa. Vedi una strofa come questa:
Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro.
Non mancano solo le rime: manca qualsiasi figura retorica, anche minima; qualunque velleità di far poesia. Mondo Marcio è molto, molto più formale. Luigi Tenco, il Grado Zero della canzone.
#7. La retorica dell’uomo di poche parole che dice solo la verità col tempo stucca. Ma alcune di queste canzoni a grado zero sono davvero capolavori di chiarezza e di sintesi: strofe che puoi scolpire sulle lapidi. Tra trenta o novant’anni sarà difficile capire quel che avevano da dire De Gregori o Frankie Hi-NRG. Troppi riferimenti culturali, che col tempo scadono.
Invece Ciao Amore Ciao vorrà sempre dire Ciao Amore Ciao. Per anni in quella canzone non ho trovato niente di speciale, niente per cui valesse la pena spararsi in testa. Poi forse ho capito: è un inno scritto col lessico di una lista della spesa. Le parole del ’67 suonano uguali nel ’07, e i nostri nipoti le riascolteranno tali e quali nel ’47.
#8. Anche Tenco sapeva raccontare una storia, quando voleva. La mia preferita è Angela, una delle poche canzoni italiane ‘teatrali’ che reggono il confronto con Jacques Brel. Guarda il bel tenebroso trasfigurarsi in un libertino senza cuore…
Volevo farti piangere
vedere le tue lacrime
sentire che il tuo cuore
è nelle miiie mani.
(Senti quanto freddo in quelle suuue mani).
…finché il sipario non si strappa e non rivela altro che un vitellone sfigato! Ti prego, Angela, no, non andartene, non puoi lasciarmi quaggiù da solo… E tutto in meno di tre minuti! Avesse inciso solo questa canzone, sarebbe già il grande Luigi Tenco. Ed era una delle sue prime canzoni.
#9. Invece la canzone più brutta di Tenco (secondo me) si chiama No, non è vero. È un esperimento strano, ispirato al call-and-response degli spiritual americani: c’è un coro che martella, e Tenco in mezzo vocalizza. Il problema è che il coro esordisce con amenità del tipo “La tua donna se n’è andata e mai più ritornerà”, mentre Tenco continua a sgolarsi cantando “No, non è possibile, vi prego, no, no, no”. Tre minuti di sgozzamento emotivo.
#10. Il rovescio di Angela è Lontano lontano, una fantasia di morte da adolescenti. Sindrome di onnipotenza: per quanto tu possa andare lontano, ti porterai sempre con te il mio fantasma. Sempre.
Crescendo scopriamo che non è così: che le persone amate si dimenticano, eccome. Si dimenticano anche i morti. Si dimentica tutto, per sopravvivere. C’è gente al mondo, neanche troppo lontano da qui, che non mi ricorda più: a cui non capita più di parlare di me con nessuno, né per caso né per scelta. E anch’io faccio lo stesso.
Ma questo forse non vale per Tenco. Ancora adesso, senza un perché, mi capita di pensare a lui.