Maria Stella, dici che il Consiglio di Stato ti ha dato ragione.
Ma hai letto bene?
Ho una teoria #23, sull'Unità.it (si commenta qui).
Forse stavolta il Ministro Gelmini ha cantato vittoria troppo presto. La settimana scorsa il Consiglio di Stato ha accolto l'appello contro la sentenza del Tar del Lazio che escludeva l'insegnamento della religione cattolica dall'attribuzione del credito scolastico. “Il Consiglio di Stato accoglie le nostre posizioni”, ha scritto il ministero. Non è così vero. La sentenza contiene critiche esplicite e pesanti al ministero, che dovrebbe garantire in tutte le scuole il cosiddetto Insegnamento Alternativo (un'ora di lezione alternativa a quella di Religione), e non lo fa.
“La mancata attivazione dell'insegnamento alternativo”, si legge nella sentenza, “può incidere sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglie: la scelta di seguire l'ora di religione potrebbe essere pesantemente condizionata dall'assenza di alternative formative, perché tale assenza va, sia pure indirettamente, ad incidere su un altro valore costituzionale, che è il diritto all'istruzione sancito dall'art. 34 Cost. [...] Di questo aspetto il Ministero appellante dovrà necessariamente farsi carico...” Il ministero invece fa orecchie da mercante, e racconta ai giornali che il Consiglio gli ha dato ragione. A scuola intanto si attende una circolare che chiarisca, a due settimane dagli scrutini, se gli insegnanti di Religione dovranno parteciparvi o no: comunque vada, sarà un caos.
Se infatti fino all'anno scorso era normale pensare che l'ora di Religione “facesse media” (anche se la valutazione non è numerica ed è ancora inserita in un foglio a parte), quest'anno l'insegnante sembrava essere stato definitivamente estromesso dalla sentenza del Tar. Gli studenti che durante l'anno hanno preso sottogamba la materia rischiano di ritrovarsi una brutta sorpresa nella pagella finale. Eppure si tende a pensare che la presenza del prof. di Religione nel consiglio di classe sia generalmente benigna: nei casi, non rari, in cui una promozione o una bocciatura vengano decisi per alzata di mano, la sua varrebbe quanto quella degli insegnanti di italiano o matematica. Ma questo vale anche per l'insegnante di Materia Alternativa; inoltre non è detto che il prof di Religione (o Alternativa) debba sempre sostenere gli alunni, e che le sue valutazioni debbano sempre incidere sul credito scolastico in modo positivo. L'essenziale, per il Consiglio di Stato, è che all'inizio lo studente abbia la possibilità di scegliere tra l'ora di Religione e una Alternativa (fermo restando che anche chi decide di non scegliere entrambe, di uscire dalla scuola o di restare nei corridoi, deve avere la possibità di conseguire il massimo punteggio, purché risulti “comunque meritevole in tutte le altre materie”).
Le associazioni laiche e religiose (non cattoliche) che erano ricorsi al Tar consideravano discriminante la presenza dell'insegnante di religione cattolica agli scrutini. Il Consiglio di Stato dice di no: ammesso e non concesso che Religione influisca in modo positivo sul credito (e questo non può essere dato per scontato) non c'è discriminazione, se a settembre gli studenti hanno avuto la possibilità di scegliere tra Religione e Alternativa. Ma quest'ultima spesso non viene offerta, e la stessa sentenza lo riconosce nero su bianco, ammettendo che si tratta di una violazione di un diritto sancito dalla Costituzione.
Perché nelle scuole statali non viene garantita, come previsto dalla legge, la materia alternativa? È una semplice questione economica. In teoria l'ora di Religione costerebbe allo Stato il doppio delle altre; per ogni ora di insegnamento infatti dovrebbero essere garantiti due docenti. Ma in questa fase di tagli indiscriminati, in cui molte scuole chiudono laboratori e sospendono le gite d'istruzione, l'Alternativa è generalmente considerata sacrificabile. È la stessa legge a offrire ai dirigenti scolastici il grimaldello, lasciando ai genitori la libertà di non scegliere né Religione né Alternativa. A questo punto basta fare pressione sui genitori (che spesso non hanno chiari i loro diritti) perché portino i figli a scuola un'ora dopo, o li facciano uscire un'ora prima, o li lascino liberi di studiare nel corridoio... e il risparmio è assicurato. Il rispetto della Costituzione, un po' meno.
E quindi? Il Ministero non ha nessun interesse ad ammetterlo, ma dopo il caos di giugno, c'è un rischio concreto di ricorsi a valanga. Le famiglie che a settembre non hanno avuto la possibilità di iscrivere i figli ad Alternativa potrebbero fare ricorso, sostenendo (sentenza del Consiglio di Stato alla mano) che la scuola abbia di fatto negato loro un diritto costituzionale. È davvero plausibile? Diciamo che è una mia teoria.
“La mancata attivazione dell'insegnamento alternativo”, si legge nella sentenza, “può incidere sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglie: la scelta di seguire l'ora di religione potrebbe essere pesantemente condizionata dall'assenza di alternative formative, perché tale assenza va, sia pure indirettamente, ad incidere su un altro valore costituzionale, che è il diritto all'istruzione sancito dall'art. 34 Cost. [...] Di questo aspetto il Ministero appellante dovrà necessariamente farsi carico...” Il ministero invece fa orecchie da mercante, e racconta ai giornali che il Consiglio gli ha dato ragione. A scuola intanto si attende una circolare che chiarisca, a due settimane dagli scrutini, se gli insegnanti di Religione dovranno parteciparvi o no: comunque vada, sarà un caos.
Se infatti fino all'anno scorso era normale pensare che l'ora di Religione “facesse media” (anche se la valutazione non è numerica ed è ancora inserita in un foglio a parte), quest'anno l'insegnante sembrava essere stato definitivamente estromesso dalla sentenza del Tar. Gli studenti che durante l'anno hanno preso sottogamba la materia rischiano di ritrovarsi una brutta sorpresa nella pagella finale. Eppure si tende a pensare che la presenza del prof. di Religione nel consiglio di classe sia generalmente benigna: nei casi, non rari, in cui una promozione o una bocciatura vengano decisi per alzata di mano, la sua varrebbe quanto quella degli insegnanti di italiano o matematica. Ma questo vale anche per l'insegnante di Materia Alternativa; inoltre non è detto che il prof di Religione (o Alternativa) debba sempre sostenere gli alunni, e che le sue valutazioni debbano sempre incidere sul credito scolastico in modo positivo. L'essenziale, per il Consiglio di Stato, è che all'inizio lo studente abbia la possibilità di scegliere tra l'ora di Religione e una Alternativa (fermo restando che anche chi decide di non scegliere entrambe, di uscire dalla scuola o di restare nei corridoi, deve avere la possibità di conseguire il massimo punteggio, purché risulti “comunque meritevole in tutte le altre materie”).
Le associazioni laiche e religiose (non cattoliche) che erano ricorsi al Tar consideravano discriminante la presenza dell'insegnante di religione cattolica agli scrutini. Il Consiglio di Stato dice di no: ammesso e non concesso che Religione influisca in modo positivo sul credito (e questo non può essere dato per scontato) non c'è discriminazione, se a settembre gli studenti hanno avuto la possibilità di scegliere tra Religione e Alternativa. Ma quest'ultima spesso non viene offerta, e la stessa sentenza lo riconosce nero su bianco, ammettendo che si tratta di una violazione di un diritto sancito dalla Costituzione.
Perché nelle scuole statali non viene garantita, come previsto dalla legge, la materia alternativa? È una semplice questione economica. In teoria l'ora di Religione costerebbe allo Stato il doppio delle altre; per ogni ora di insegnamento infatti dovrebbero essere garantiti due docenti. Ma in questa fase di tagli indiscriminati, in cui molte scuole chiudono laboratori e sospendono le gite d'istruzione, l'Alternativa è generalmente considerata sacrificabile. È la stessa legge a offrire ai dirigenti scolastici il grimaldello, lasciando ai genitori la libertà di non scegliere né Religione né Alternativa. A questo punto basta fare pressione sui genitori (che spesso non hanno chiari i loro diritti) perché portino i figli a scuola un'ora dopo, o li facciano uscire un'ora prima, o li lascino liberi di studiare nel corridoio... e il risparmio è assicurato. Il rispetto della Costituzione, un po' meno.
E quindi? Il Ministero non ha nessun interesse ad ammetterlo, ma dopo il caos di giugno, c'è un rischio concreto di ricorsi a valanga. Le famiglie che a settembre non hanno avuto la possibilità di iscrivere i figli ad Alternativa potrebbero fare ricorso, sostenendo (sentenza del Consiglio di Stato alla mano) che la scuola abbia di fatto negato loro un diritto costituzionale. È davvero plausibile? Diciamo che è una mia teoria.