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giovedì 28 maggio 2015

"Non pagherai per il sesso": la prostituzione nel mondo post-romantico

Dunque secondo me (ne parlavo l'altro ieri) prostituirsi non può essere proibito, perché è qualcosa che si fa col proprio corpo: e la collettività non può impedire al singolo di disporre del proprio corpo. A questo punto l'obiezione è la solita: che libertà è, se si mette sul mercato?

E non è l'economia stessa una forma di costrizione, di coercizione, di violenza? Persino in inglese, la lingua del mercato globale, libertà e gratuità sono omonimi. E nei fatti, in molte epoche e spesso ancora oggi, mettere il proprio corpo sul mercato significa cederlo a uno sfruttatore.

Che posso rispondere? Immagino che il mercato debba avere dei limiti, fissati per legge, oltre ai quali diventa sfruttamento e schiavitù. Ma non credo che si possa abolire il mercato. Si può al limite negare che esista e voltare la testa dall'altra parte, come abbiamo fatto in Italia da 60 anni. Ma il mercato è fatto di scambi, e gli scambi esistono da quando esiste l'uomo. L'odioso modo di dire "il mestiere più vecchio del mondo" contiene questa constatazione: sia il sesso che lo scambio esistono da quando esistiamo noi, a differenza dell'amore romantico che, pur essendo il presupposto del matrimonio contemporaneo, è un'invenzione recentissima.

In passato il lato economico del matrimonio si considerava con più serenità. Un uomo offre un bene x a una donna in cambio di un rapporto: se il rapporto è occasionale, si chiamava prostituzione; se era continuativo ed esclusivo - se alla donna veniva impedito di avere rapporti al di fuori di quelli regolati da quel contratto, per tutta la vita - si chiamava matrimonio. Il primo scambio è sempre stato ritenuto "discutibile sul piano morale", ma non in quanto scambio: a turbare l'uomo pre-romantico era la natura occasionale e non continuativa dello scambio in questione; e soprattutto la non esclusività, che faceva la differenza tra uno scambio benedetto da Dio e uno scambio peccaminoso (c'era anche un'ovvia riserva di ordine sanitario, e c'è ancora).

Oggi la questione è più sfumata: facciamo fatica a intendere persino il matrimonio come contratto esclusivo. Forse la nostra difficoltà a incasellare l'attività della prostituzione è parte di una più generale difficoltà a capire come gestiamo, oggi, il sesso. Sicuramente abbiamo grosse difficoltà a considerarlo come un bene di scambio. Allo stesso tempo, nessuno nega che sia un bene. Forse viviamo in un mondo post-romantico in cui il sesso si è messo al centro di un gioco sociale: più un premio che una merce. Sono poche le pressioni sociali che avvertiamo tanto come quella a mantenerci il più possibile attrattivi e affascinanti, anche quando la biologia non lo richiederebbe più. Il grande sottointeso collettivo è che potremo avere accesso a tutto il sesso che vogliamo, se ce lo meritiamo.

Però non possiamo pagarlo.
Non perché sia immorale - o meglio, è diventato immorale per un altro motivo. Lo stigma sociale impresso sulla prostituzione ha un colore diverso: se il sesso è il premio del gioco, chi paga per il sesso sta barando al gioco. È un perdente. Dovrebbe vergognarsi (e di solito si vergogna: persino Berlusconi, che anche di fronte a un'intera palazzina di evidenze non ha mai ammesso di aver offerto denaro in cambio di).

Una persona del genere non commette reato (in Italia almeno), ma si mette fuori dal gioco. La riprovazione è sempre più riservata ai clienti, che osano offrire denaro per l'unico bene che non si potrebbe comprare (il fatto che storicamente, per quanto ne sappiamo, il sesso si sia sempre comprato e venduto, è considerato un'abiezione della Storia, che deve quindi azzerarsi e ripartire dal dopoguerra o anche più in là). Lo dice veramente bene la sentenza della Cassazione: la prostituzione è "contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo".

Questo approccio al problema avrà i suoi vantaggi, ma sposta ancor più i clienti in una zona d'ombra. Si dà per scontato che la prostituta sia costretta a fare quello che fa dagli sfruttatori, o dalla crisi, o da qualche altra forza esterna. Ma il cliente non lo costringe nessuno. È lui a doversi coprire il volto se fanno una retata. Ha meno interesse a uscire allo scoperto del consumatore di sostanze illecite. Per ottenere che quest'ultimo acconsenta magari a pagare l'iva è sufficiente legalizzare qualche molecola. Ma il puttaniere, che non sta consumando nulla di illegale, sta compiendo un atto "avvertito dalla generalità delle persone come trasgressivo di condivise norme etiche". Un'infrazione si paga con una multa, ma uno stigma sociale non lo cancelli nemmeno con un voto del parlamento.

A questo punto siamo in un grosso imbarazzo (e forse più comprensivi per i nostri padri e nonni e per la loro riluttanza a occuparsi del problema). Se da una parte non possiamo impedire a una persona di scambiare prestazioni in cambio di denaro, dall'altra siamo costretti dalla crisi, e dalla Cassazione, a normare questo tipo di prestazioni, e a tassarle. Altre nazioni lo fanno, con esiti non entusiasmanti, ma sarà sempre meglio che voltarsi dall'altra parte, o no? Non lo so.

Da una parte una persona che ha un reddito effettivo di ventimila euro dovrebbe contribuire alla cosa pubblica, non ci piove. Tra uno Stato che proibisce e uno Stato che impone una tassa, preferisco il secondo; do per scontato che un sacco di scambi sessuali resterà sommerso, e non vedo come possa essere altrimenti: l'alternativa è imporre per legge che il sesso non possa essere mai scambiato senza emettere fattura. Ma scambiare il sesso per qualcos'altro (materiale o immateriale) è una cosa normale, che capita più spesso di quanto non ci riflettiamo - e se ci riflettiamo può darsi che sia capitato anche a noi.

D'altro canto, si tratta di tassare quello che stai facendo col tuo corpo - se non è un collare, ci assomiglia molto. Alcolisti e fumatori possono obiettare che anche loro pagano salati i loro vizi, ma il sesso è un vizio? Fa altrettanto male alla salute? Io addirittura ho pensato qualche volta che il sesso potesse essere un diritto, ma quando ho provato ad affermarlo sono stato severamente ripreso da uomini e donne. E si capisce: se il sesso è un premio, non lo puoi garantire a tutti. (Gli unici a cui per ora è consentito una sorta di 'diritto alla sessualità', in deroga alle regole del gioco, sono i disabili). Il gioco sociale smetterebbe di essere interessante, e dopo il post-romanticismo dovremmo inventarci qualcos'altro. È ancora un po' presto.

1 commento:

  1. A proposito del nesso tra prostituzione e matrimonio in quanto entrambi contratti di scambio tra sesso e altre prestazioni, vedasi il 'matrimonio a tempo' islamico (più precisamente, sciita).

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