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venerdì 4 novembre 2016

La stima del terremoto

Sarebbe poi interessante capire - visto che di terremoti ne avremo sempre, che tocca abituarsi non solo ai rischi, ma anche alle chiacchiere che seguono - sarebbe interessante capire come nasce quest'ossessione per la magnitudo come misurazione assoluta. Il famoso 7.1 che ci fece sobbalzare anche se a casa nostra non ballava nemmeno il lampadario, abbiamo scoperto, fu un errore: se qualche ente internazionale davvero lo divulgò, è riuscito nel frattempo a farlo sparire. La foga con cui i giornalisti lo ripresero è perdonabile: quando un dato è già disponibile in Rete, non ha molto senso pensare di filtrarlo; se non lo pubblichi tu lo farà qualcun altro, e comunque ci sarà tempo per aggiustare. Salvo che il pubblico questa cosa non la capisce.

Il fatto che il terremoto non si presenti immediatamente con un numero preciso - magari anche un decimale che aiuta a dare un tono, salve mi presento sono una scossa del Sei Punto Cinque - è percepito come un disturbo nel normale ordine di cose: un chilo di pane è un chilo di pane, una macchina che va a cento all'ora dopo un'ora ha fatto cento km., perché un terremoto non dovrebbe essere altrettanto preciso e quantificabile? In fondo è solo un evento tellurico che avviene a km di profondità in un sottosuolo inesplorato, sprigionante megatoni di energia. Perché due sismografi a distanze diverse non dovrebbero dare immediatamente la stessa misurazione precisa? Dove si rinota la fiducia del tutto magica che il cittadino ripone nella scienza: non sa come funziona ma pretende che funzioni con precisione immediata, e se non è così si ritiene defraudato. Se gli racconti che in certi casi assomiglia più a Ballando con le stelle, ci sono vari misuratori e poi si fa la media, ci rimane malissimo.

Mi domando se non sia una responsabilità della scuola (cioè mi domando se non sia colpa mia). Quando aiutiamo i ragazzi a misurare le cose, quanto insistiamo sul fatto che la misurazione, qualsiasi misurazione, è comunque soggetta a un errore? Che le misure non esistono a priori in una dimensione iperuranica, ma che sono una forma di comunicazione, e quindi sempre in parte una bugia? Che non c'è modo di conoscere davvero la circonferenza partendo da un raggio, che un chilo di pane non è davvero un chilo preciso - e cos'è un chilo poi? Che il prodotto interno lordo si misura in dollari e i dollari ogni giorno valgono una quantità di euro diversa? Che insomma ogni misura è complicata, interessante ma complicata?

O li abituiamo a domande facili, e a dubitare di chi non ha la risposta secca? "Quant'era forte l'ultima scossa?"
"Eh, beh, dipende da tanti fattori: la profondità, la durata, la magnitudo - ce ne sono diverse - la densità degli insediamenti, la robustezza degli edifici..."
"La fai troppo lunga, mi stai senz'altro nascondendo qualcosa".

11 commenti:

  1. L'unica colpa che ha la scuola è che molte persone non ci stanno abbastanza a lungo e con la giusta dose di concentrazione. Intanto qualunque misura (QUALUNQUE!) è soggetta ad un errore più o meno grande, compreso il kg di pane e la velocità registrata dal tachimetro.
    Il metro che usa la sarta sarà più o meno diverso dal metro standard (anche se ormai non si usa più) e il metro standard sarà soggetto più o meno a variazioni nel corso della sua esistenza perchè, come tutte le cose di questo mondo, è deperibile.
    Questo mi hanno insegnato a scuola e immagino che lo abbiano insegnato anche agli altri, almeno quelli che non avevano i genitori che facevano saltare loro i compiti per "insegnargli a vivere".

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  2. Secondo me questo tipo di situazioni hanno a che fare con una "certa inerzia culturale" che hanno le società umane: conquiste/scoperte soprattutto dell'ambito scientifico/filosofico di una certa data ci mettono decine o, talvolta, centinaia di anni per permeare la cultura della società in cui avvengono. La scuola, essendo il veicolo principale, sicuramente ha un ruolo importante. Rispetto all'argomento specifico la scuola che ho fatto io (30 anni fa) era, almeno superficialmente, ancora permeata da un pervasivo determinismo/positivismo di fondo; così anche l'altro Grande Veicolo del Nuovo Che Avanza: la TV. Il messaggio era (e mi pare sia ancora): la scienza e la tecnica sanno e possono fare più o meno tutto, e quel che ancora non si sa si saprà (per lo più a breve...). Tutto ciò nonostante già quasi un secolo fa si sia dimostrato che le cose non sono proprio così semplici e lineari (principio di indeterminazione di Heisenberg, meccanica quantistica e dintorni).
    Banalizzando: non so se nella scuola di oggi ci si sofferma ancora tanto sulla mela che cade in testa a Newton, ma di sicuro ci farebbe bene partire a testa bassa già dalle elementari con il gatto di Schroedinger.

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    1. Le misure dei sismografi sono classiche; la questione qui ha a che fare più col discorso che pesando la stessa cosa su due bilance diverse esce un numerino diverso che non con l'indeterminazione o la misura in meccanica quantistica.

      PS: il gatto di Schrödinger è poco più che una storiella con cui per un po' di tempo alcuni "illustravano" il concetto di stato quantistico — en passant: sui manuali "moderni" (con le virgolette, essendo Sakurai morto nell'80 o giù di lì) si parte con gli Stern-Gerlach — la cui comprensione è off-limits se non si ha almeno una vaga idea di com'è fatto uno spazio di Hilbert. Per cui anche partire a testa bassa con il gatto di Schrödinger (cosa che personalmente ritengo poco praticabile e sostanzialmente inutile anche all'ultimo anno di uno scientifico) significa "fare tv con altri mezzi"; magari non tv spazzatura, ma pur sempre tv — e, qualora il punto sia sottolineare "che le cose non sono proprio così semplici e lineari", agnosco una sorta di deriva voyageriana.

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    2. Ma guarda che la storia del gatto è abbastanza complessa. È un esempio che fa Schrödinger in una lettera ad Einstein nientemeno, e la interpretazione dell'esperimento è tutt'altro che scontata; infatti complesse teorie sono state concepite per evitare l'apparente paradosso del gatto. Direi non proprio adatto per le elementari (poi il problema sono le medie)..

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    3. Si si, ci mancherebbe altro, avete ragione, è (e voleva essere) una forzatura: bello l'esempio delle due bilance...forse basterebbe anche far prendere ai bambini in mano un metro, spiegargli come funziona, e fargli prendere la misura dell'altezza dei compagni di classe: per ogni bambino misurato ci si ritroverebbe con una serie di altezze leggermente diverse, e da lì si potrebbe cominciare a ragionare un po'... poi in generale non so se a scuola (alle medie? superiori?) si ragioni su cosa vuole dire misurare qualcosa: il fatto che a una misura è di fatto associato sempre un errore, qualche base minimissima di statistica...

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    4. Credo di non concordare con chuse — credo perchè non sono sicuro di aver capito il suo punto.
      Originariamente l'esperimento del gatto credo volesse essere uno "stratagemma" per costringere un sistema classico/macroscopico a funzionare come uno quantistico/microscopico, ed in tal modo forzare un paradosso; tuttavia il paradosso c'è solo a condizione di guardare il mondo da una certa prospettiva, direi piuttosto "arroccata".
      In pratica, per un po' è stato usato per introdurre (pubblicizzare?, divulgare?) l'idea di stato quantistico; di qui, credo, la sua importanza storico-filosofica, e pure l'effetto collaterale di assegnare un certo esotismo ai fenomeni microscopici; ma come introduzione alla meccanica quantistica c'è decisamente di meglio.

      Un mio amico insegna fisica a scuola, e la sua prima lezione standard consiste nella misura della "lunghezza" del proprio compagno di banco (a) in piedi e (b) steso orizzontalmente. Il punto principale, non so fino a che punto esplicitato, credo sia di mostrare come concetti in apparenza innocui, quasi nojosi, siano in realtà piuttosto curiosi e problematici; è ovviamente un modo per familiarizzare con concetti sulla misura (segnatamente dovresti trovare una variazione più significativa dell'errore sperimentale); in più, immagino, ci si diverte, proprio a livello meccanico; ultimo ma non ultimo passa sottotraccia la morale: mai sottovalutare la gravità terreste.

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  3. Ha molto a che vedere su come insegniamo la scienza e il valore scientifico di un qualcosa. Non so se sia per dogmatismo insito del popolo italiano o per qualche altro fattore, ma la scienza al liceo viene insegnata come l'ambito della verità assoluta, e non come il complicato processo attraverso cui la verità viene "prodotta", come direbbero gli epistemologi. Così si perde il valore dell'approssimazione e del procedimento. è lo stessa identica cosa del problema della statistica negli studi: le persone medie se ne fregano di sapere il valore di p dello studio che citano quando mettono il post su facebook: la headline dice "scienziati inglesi scoprono che il cioccolato aiuta a suonare la chitarra", e lo ripostano in maniera acritica, pensando che la tag "scienza" basti a far passare ogni fesseria per verità assoluta

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  4. Però, la misura 7.1... l'errore quale sarebbe? In genere le misure riportano un errore sottinteso uguale all'ultimo decimale, in questo caso 0.1. Vale la pena chiarire che la scala sismica (quella che si usa dagli 80 non è più la Richter) è logaritmica, dunque un errore di 0.1 vuol dire che l'errore è la stessa percentuale del momento sismico, a prescindere del valore.

    Poi, bisogna interpretare il dato. Chiaramente un terremoto non si propaga in tutte le direzioni nello stesso modo; dunque si fa la media, ma ciò non vuol dire che il sismografo abbia fatto un errore, solamente vuol dire che la magnitudo di un terremoto non si può es pressare in un singolo numero, e che i teremoti sono entità più complesse (diversi tipi di onde, ecc.).

    Alla fine il problema resta sempre quello di cercare di semplificare una cosa complessa, ma in questo caso non è la misura, ma la natura del terremoto.

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  5. Io credo che si tratti solo di cattiva informazione

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  6. Io credo che il problema sia quello del riassunto, della parafrasi. Dire cose complesse in modo semplificato è sempre mentire.
    Dire cose complesse in modo semplice è prerogativa dei grandi divulgatori.
    Dire cose complesse in modo complesso è un compromesso accettabile, serve però chi abbia il tempo e la voglia di ascoltare e capire le complessità.

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