Io se devo essere sincero Mattia Feltri lo capisco, forse dovrei scrivergli una lettera di solidarietà, qualcosa del tipo, caro direttore Feltri:
probabilmente non mi conosce, sono uno che negli anni Zero aveva un blog, cioè sparava a salve sui giornalisti tesserati, era molto liberatorio. Ovviamente ho sparato tantissimo a suo padre, e negli ultimi anni sto iniziando a sparare a lei. Com'è normale che sia, e spero capisca che non c'è niente di personale. La gente è arrabbiata, la gente vuole sfogarsi ecc.
Se è inevitabile diventare tutti nostro padre, prima o poi, ciò si manifesta in modo ancora più drammatico in certe situazioni feudali come il giornalismo italiano. Ma di chi è la colpa? Certo non sua. Non possiamo scegliere i nostri genitori e non possiamo scegliere il posto in cui veniamo al mondo. Per esempio lei è cresciuto in un ambiente in cui la priorità dei quotidiani non è farsi leggere, ma imbarcare nelle redazioni più parenti ed eredi possibile. Ci sono quotidiani interi che si stampano quasi soltanto per sistemare da qualche parte figli, cugini, fidanzate, tutto un circuito parastatale di libero opinionismo, in attesa che qualche nonno o vecchio zio vada in pensione liberando un posto in un giornale vero; benché sia gente che spesso piuttosto di rinunciare a una colonnina si fa impagliare alla scrivania, con la macchina da scrivere e tutto. Non è il caso di suo padre, sempre molto arzillo, ma diciamocelo che certi fondi che leggiamo sono scritti da gente che è cerebralmente morta dieci, quindici anni fa.
C'è gente (e non parlo di lei) che non sa letteralmente scrivere, proprio nel senso che non hanno capito ad es. dove vanno le virgole, i punti. Fossero nati figli di postini o architetti, prima o poi sarebbe stato diagnosticato loro un disturbo dell'apprendimento; invece gli è capitato in sorte un cognome, come dire? da giornalisti, e quindi non possono fare altro nella vita che i giornalisti: la punteggiatura si adeguerà. In mezzo a tutto questo, lei è nato Feltri: poi ha anche ottenuto un nome di battesimo, ma è un dettaglio. Giusto o sbagliato che sia, Feltri è il suo cognome, e non è che qualcuno possa offendere il suo cognome in casa sua. In un altro spazio e un altro tempo, forse, diremmo che le testate giornalistiche non sono "case", ma organi che svolgono un servizio d'informazione; e che in una di queste testate dovrebbe essere concesso a "Mattia" Feltri di dimostrare indipendenza di giudizio nei confronti dell'imbarazzante "Vittorio" Feltri, e dalle sciocchezze che scrive. Ma in Italia no, in Italia una testata è un castello. Il signore ti ha lasciato entrare nel suo castello? Il minimo che ci si aspetta è che tu non lo metti in imbarazzo con gli ospiti: che non offendi il suo Buon Cognome. Le cose stanno così e stupisce che ci sia ancora qualcuno che non ha la delicatezza di capirlo.
Confermo quanto scritto oggi dall’onorevole Boldrini su Facebook: ieri ha mandato uno scritto per HuffPost che conteneva un apprezzamento spiacevole su mio padre Vittorio. Ritengo sia libera di pensare e di scrivere su mio padre quello che vuole, ovunque, persino in Parlamento, luogo pubblico per eccellenza, tranne che sul giornale che dirigo. L’ho chiamata e le ho chiesto la cortesia di omettere il riferimento. Al suo rifiuto e alla sua minaccia, qualora il pezzo fosse stato ritirato, di renderne pubbliche le ragioni, a maggior ragione ho deciso di non pubblicarlo. Al pari di ogni direttore, ho facoltà di decidere che cosa va sul mio giornale e che cosa no. Se questa facoltà viene chiamata censura, non ha più nessun senso avere giornali e direttori.
Oltretutto l’onorevole Boldrini, come altri, su HuffPost cura il suo blog. Quindi è un’ospite. E gli ospiti, in casa d’altri, devono sapere come comportarsi.
Caro direttore Feltri, quando qualche giorno fa l'onorevole Boldrini ha cercato di pubblicare un brano che conteneva una critica a suo padre, ovvero al suo illustre Cognome, lei aveva due possibilità. Mostrare a un vasto pubblico che il feudalesimo è finito se lo vuoi; che a cinquant'anni in Italia si è liberi non dico di criticare il padre, ma di consentire che qualcun altro lo faccia. Insomma aveva la possibilità di reclamarlo, finalmente, questo cognome benedetto; di far girare il messaggio che da qui in poi il vero Feltri è lei: che in giro non c'è più un figlio promettente di tanto padre, ma un padre bollito di tanto figlio. Questa era la prima possibilità, e se si ragiona da un punto di vista commerciale, se si considera il segmento socio-economico e generazionale a cui si rivolge l'Huffington Post Italia, era anche l'unica. Ma lei ha scelto la seconda.
Lei ha scelto di difendere suo padre, ovvero l'indifendibile, ed è una scelta che contiene tutta la cavalleria di questo mondo. Proprio perché sa in partenza che non c'è nessuna possibilità di difendere un cognome che il suo stesso padre sputtana nelle edicole di tutt'Italia con cadenza plurisettimanale: proprio perché sappiamo tutti che l'unico risultato non sarà parare i colpi, ma prenderli al suo posto. Contro il buon senso, contro la correttezza politica, contro qualsiasi logica che non sembri quella feudale del giornalismo italiano, lei ha scelto di stare con suo padre e io non posso impedirmi di capirla. Se è vero che non scegliamo i nostri padri, possiamo almeno scegliere di amarli e lei lo ha scelto. Direttore Mattia Feltri: potessimo scegliere i nostri padri, io non avrei scelto il suo su un milione; potessimo scegliere i figli, su di lei ci avrei fatto un pensiero.