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sabato 11 giugno 2022

26. Noi, provinciali dell'Orsa Minore

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con un sassofonista matto, violini zaratustriani nello spazio, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Charles Aznavour, Dino Buzzati].  


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1974: Aries (#188)

Stai ascoltando Sulle corde di Aries, il terzo difficile disco dell'artista avanguardista Franco Battiato che ultimamente ha cambiato immagine, rifiutando le mises fantascientifiche e provocatorie e cercando una musica diversa, meno dissonante e provocatoria e più evocativa. Proprio quando stavi pensando, beh, fantastica questa Sequenze e frequenze, ecco se devo trovarci un difetto, bisogna dire che non finisce davvero mai... ecco che finisce. Ma poi ricomincia, praticamente con gli stessi accordi, all'inizio del lato B. E proprio quando stai pensando: certo che questa musica ha qualcosa di particolare, è come se si fosse riconciliata con qualsiasi suono dell'universo, è come se fosse impossibile suonarci sopra qualcosa e stonare, davvero c'è qualche strumento che sta sparando note a caso da dieci minuti, in particolare su certe tastiere potrebbe esserci passato un gatto eppure tutto funziona, tutto si accorda, tutto è melodia... ecco, proprio quando stai cominciando a pensare a questo entra il sax e spacca tutto. Lo suona il sassofonista Gianni Bedori ma non è difficile capire perché nel disco si sia nascosto dietro lo pseudonimo di "Johnny Sax": all'inizio puoi ancora considerarlo un assolo jazz... certo, molto free jazz... veramente molto free... no vabbe' Johnny stai soffiando come un matto e pesti tasti a caso. È l'unico tratto realmente avanguardista di un disco che in linea di massima ha rinunciato a sconvolgere i suoi ascoltatori. Dopo aver composto Sequenze e frequenze, FB si è concesso anche il lusso di distruggerla. 


1985: Via Lattea (#60)

Tum, cià, tu-tum, sh-cià. A risentirla, Via Lattea, è veramente un viaggio. La promessa di un viaggio. Già ai tempi la cornice fantascientifica di Mondi lontanissimi risultava un po' pretestuosa (nella mia memoria non riesco a separare questo disco di Battiato con Saturno in copertina dal primo best seller di Isaac Asimov, L'orlo della Fondazione, che uscì in Italia su Urania proprio in quell'estate). Battiato in fondo non faceva che utilizzare lo stesso espediente di David Bowie più di dieci anni prima: evocare spazio e stelle per parlare dei nostri mondi interiori. Ma Bowie stava sfruttando l'ondata delle missioni lunari e di Odissea nello Spazio; Battiato poteva al limite contare sui lettori di Asimov (che in quegli anni erano comunque una discreta legione) e sul pubblico della serie storica di Star Trek, che le emittenti private italiane stavano programmando con vent'anni di ritardo. Era un immaginario già anticato, che non avrebbe resistito ancora molti anni ai nuovi franchise d'oltreoceano, agli zombie e agli elfi. Era comunque un immaginario condiviso al punto che certi luoghi comuni erano persino scontati, ovvero forse Battiato orchestrando Via Lattea non si rendeva nemmeno conto di parodizzare Also Sprach Zarathustra: il fatto è che vent'anni dopo il film di Kubrick lo spazio ci ispirava ancora quel tipo di sviolinate all'unisono. Quel che sorprende ancora oggi di Via Lattea è il mix per niente banale di orchestrazione zarathustriana e suoni elettronici – questi ultimi dosati con molta attenzione, dopo la full immersion di Orizzonti perduti. Era un suono originale, con tanti contrasti dinamici che sono l'esatto contrario di quello che di solito ci aspettiamo dalla 'musica da meditazione', forse un po' magniloquente ma non è invecchiato male. 


1999: Ed io tra di voi (testo italiano di Bardotti e Calabrese, musica di Charles Aznavour, #69)

È stata una magnifica serata. Sì, sì, una magnifica serata! No, Battiato questo finale non lo canta. E io qua sopra ho messo la sua versione, ma la tentazione di sostituirla con lo sketch di Vianello e Mondaini era fortissima – quello sketch è un capolavoro, è una farsa ma elegantissima, è fatto solo di sguardi e smorfie, fa ridere ma ci fa anche ascoltare una bella canzone. Piuttosto varrebbe la pena di domandarsi: perché una cosa che in Francia era talmente tipica da essere stereo-tipica, il lamento del maschio deluso, il triangolo amoroso visto dal vertice più patetico, in Italia quasi non esiste?, e anche se Aznavour cerca generosamente di importarla facendosi tradurre il testo in italiano, deve dimentare immediatamente una farsa? Moi dans mon coin, l'originale si chiama così, è anche un esempio di canzone teatrale come la intendono i francesi: una tragedia in tre minuti. Brel era il maestro di queste cose, ma anche Aznavour in questo caso ottiene un risultato incredibile con uno sforzo minimo (quando diceva "lui" voltava la testa a sinistra, quando diceva "tu" la voltava a destra, infine diceva "et moi" e abbassava appena appena lo sguardo sul proprio sfacelo interiore). Forse in Italia siamo troppo melodrammatici per apprezzare queste cose: anche ammettendo che da qualche parte esiste un uomo migliore, mica possiamo abbassare la testa eh no, dobbiamo urlare e pazziare, adesso siediti su quella seggiola ecc. ecc. Oppure, appunto, la buttiamo in farsa (scusami tanto se vuoi / signore chiedo scusa anche a lei). A Battiato la farsa non interessa e forse per questo motivo decide di recidere da questo fleur il finale parlato – che era il climax del numero di Aznavour, l'amarissima strizzata d'occhio con cui si congedava dai due amanti e dagli ascoltatori. Battiato non la sente nelle sue corde, la teatralità è una dimensione che non gli interessa. E dire che ha lavorato tanto con Gaber, eppure, mah, no, no, è comunque una magnifica versione di Moi dans mon coin. Sì, sì, una magnifica versione!


2004: Fortezza Bastiani (Battiato/Sgalambro, #197) 

"Ho camminato girando a vuoto senza nessuna direzione. Mi tiene immobile nei limiti l'ossessione dell'io!" A volte una canzone senza volere descrive sé stessa. A volte anche Battiato girava a vuoto, e proprio intorno a sé stesso: per essere un negatore dell'Io, non è che abbia parlato di molto altro per tanti dischi e tanti anni. Fortezza Bastiani a un certo punto avrebbe dovuto dare il titolo all'album (che poi si chiamerà Dieci stratagemmi: nel caso sarebbe stato il secondo consecutivo dopo Ferro Battuto a condividere con l'artista le iniziali: FB. La fortezza del titolo, malgrado la suggestione buzzatiana, è Franco Battiato medesimo, che si vorrebbe inespugnabile ma poi si accorge di essersi rinchiuso con sé stesso. Tutto lo smarrimento metafisico del capolavoro di Buzzati – la vita come veglia in attesa di un senso, anche solo di un segnale – a Battiato (e Sgalambro) sfugge: non è di questo che volevano parlare. 


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