(Premessa sul Post è comparsa una Storia tossica della letteratura italiana, che malgrado il titolo intrigante non è scritta da un tossico appassionato di letteratura italiana, e nemmeno è intossicante in sé. Si tratta invece di un atto di accusa contro la letteratura italiana per come la presenterebbero le antologie scolastiche, dove "il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie" sarebbero "una costante". È una lettura molto avvilente per chi quelle antologie le ha lette davvero, alcune le ha amate, molte ne ha usate, insomma per chi a scuola ci lavora. Ma da che pulpito parlo? Ecco, qua sotto spiego da che pulpito; si vedrà che non è un granché).Forse perché cresciuto in una casa dove libri ce n'erano, non tantissimi e non buonissimi, ma nemmeno così pochi, ho sin dall'inizio concepito la lettura come una sfida: i grandi non credono che io sia in grado di leggere 'sti tomazzi, io invece ci provo e (mica sempre) ci riesco. Con gli anni mi è rimasta questa tensione agonistica, per cui se devo scegliere cosa leggere, mediamente cerco ancora tomazzi che rappresentino una sfida, quelle robe che restano incomplete anche dopo duemila pagine, roba così. (Da giovane mi sono laureato in letteratura su un tizio che non sapeva letteralmente scrivere, per cui si arrangiava con le macchie d'inchiostro). Per contro gli scrittori viventi non mi dicono quasi mai molto: le rare volte in cui ci incoccio mi sale appunto quella tensione agonistica per cui una voce nel mio cervello comincia a dirmi: ah ma questo l'avrei scritto pure io (col terribile corollario: e perché non l'ho scritto?) e mi guasta un po' il piacere della lettura, ragion per cui preferisco continuare a leggere libri freak o non leggere proprio.
C'è il problema che nel frattempo mi sono trovato un posto nella scuola pubblica, di modo che il mio preciso mestiere sarebbe convincere i ragazzini a leggere: la mia missione, anche. Questo credo sia il mio più grande imbarazzo professionale: non il fatto che sono un disastro a compilare il registro o che ci metto secoli a correggere i compiti e millenni a consegnare i programmi; tutta questa disastrosità scompare di fronte al fatto che dovrei far leggere i miei studenti e mah, probabilmente sono la persona sbagliata per farlo.
C'è da dire che nulla è così cambiato rispetto a quando ero giovane io come la letteratura per ragazzi; negli anni Settanta/Ottanta c'erano classici consolidati che erano parte del paesaggio, Verne, Stevenson, Dickens, Twain, coi quali mi ero trovato abbastanza bene proprio perché li avevo affrontati presto con quella famosa tensione agonistica che diventava indispensabile quando si cercava di capire storie ambientate ancora nell'Ottocento senza ancora avere tanti strumenti culturali. E per quanto ogni tanto io ci provi, a suggerire libri così, mi rendo conto che tutto è troppo cambiato.
La letteratura per ragazzi è esplosa, dagli anni Novanta in poi; è il segmento di mercato più interessante e funziona in un modo tutto suo che faccio fatica a capire. Quel che ho capito è che il fatto stesso che la scuola sproni gli studenti a leggere ha prodotto un vero e proprio sottogenere di libri fatti apposta per essere consigliati dagli insegnanti. Ce n'è per tutti i gusti e per tutti i problemi: se vuoi parlare di bullismo c'è uno, dieci, centomila libri sul bullismo (a occhio ne vedo uno nuovo ogni volta che passo in libreria), se vuoi parlare di mafia c'è il libro che spiega ai giovani la mafia, la disabilità, la shoah, il terrorismo, la guerra in Ucraina, persino quell'altra guerra che Zuck preferirebbe non nominassi, ecc. Tutta roba che dovrei consigliare, e a volte lo faccio; purché non mi si chieda di leggerne. Non è il mio genere, ecco, ogni volta che sfoglio trovo tutto un po' troppo semplice, ma è semplice per me e ormai si è assodato che io sono il tipo di lettore sbagliato. In generale mi fido dei colleghi.
Ciò detto, ho notato che alla fine anche a me capita di discutere in classe di bullismo, di mafia, di disabilità, di terrorismo e di tutto il resto; e mi capita soprattutto nell'ora più strana della settimana, l'ora di letteratura. Un'ora che alle medie non è previsto che ci sia, alcuni colleghi legittimamente ne fanno a meno (altri invece ne fanno due o tre a settimana, sì, facciamo un po' quel che ci pare). È comunque prevista da tutti i manuali scolastici, che ormai la mettono in un volume a parte, e come molte cose previste dai manuali scolastici ha sorpassato quasi indenne tutte le riforme dal '68 in poi; nel primo anno c'è ancora la mitologia, Omero, Virgilio, i cicli carolingi e bretoni; dal secondo ci si cimenta con la storia della letteratura italiana senza risparmiarsi nemmeno Sao ke kelle terre; si legge un po' di Dante, avendo tempo pure Petrarca e un molto ripulito Boccaccio. Nel terzo anno si arriva ai giorni nostri passando dai Promessi Sposi – tutto questo con gran scorno dei colleghi delle superiori che continuano a ripeterci di lasciar perdere, non ne vale la pena, poi arrivano che odiano già Dante e i Promessi Sposi, vogliamo essere noi a far loro odiare Dante e i Promessi Sposi, sennò che ci stiamo a fare. Devo dire che li capisco; ogni tanto penso a mio padre che mollò l'Avviamento perché c'era un maestro che insisteva col latino e a Sozzigalli (MO), nel mentre che cominciava a ragionare col fratello di mettere su un'officina di autoriparazioni, mio padre non vedeva l'esigenza di perfezionare le declinazioni – a volte mi sembra di essere quel maestro, che perde tempo a far recitare Dante ad alunni che stanno riflettendo se valga la pena di mettere su un'analoga autofficina quando tornano in Pakistan. Non credo che l'insegnamento della letteratura sia indispensabile nella scuola secondaria di primo grado; anch'io ricordo di averne fatta pochissima e forse è il motivo per cui in seguito la letteratura italiana mi sembrò un terreno vergine e appassionante; l'unico motivo per cui insisto a farla è che sennò qualche genitore si lamenterebbe – no, aspetta, allora ci sono due motivi; il secondo motivo per cui insisto a farla è che è meglio insegnare una cosa che conosci che ti piace che altre cose che non conosci molto o che t'annoiano – no, aspetta, allora di motivi ce ne sono tre; il terzo motivo è che l'ora di letteratura è quella in cui alla fine riusciamo a parlare di qualsiasi cosa, compreso il problema del giorno.
Ovvero: c'è stato quel momento in cui si parlava dappertutto di violenza di genere, e non è che si potesse far finta di niente – anche perché dal ministero ci chiedevano il Minuto di Silenzio – e a quel punto probabilmente avrei dovuto cercare un brano nell'antologia che parlasse di violenza di genere, in quel modo semplice e piano in cui ne parlano tutti i testi di quell'antologia che mi fa morire di noia; e se non c'era (in effetti non ne ho trovato) avrei potuto cercare qualche brano in uno dei libri per ragazzi di adesso, e fotocopiarlo, senonché ci hanno chiuso la fotocopiatrice del plesso (giuro), per cui meglio di no. Mentre ci riflettevo, è arrivata l'ora di letteratura in cui di legge di Paolo e Francesca (cioè del femminicidio più famoso della letteratura italiana, e di un fatto di cronaca che aveva intrigato tutte le corti del Duecento) e così abbiamo avuto l'occasione di ragionare su quel verso tremendo, Amor che a nullo amato amar perdona, e sull'idea terribile che sottende: la pretesa che l'Amore del cuore eletto debba essere necessariamente contraccambiato; abbiamo riflettuto sul fatto che questa idea, che rifletteva il modo di sentire della sua generazione, Dante la mette in bocca a un'anima dannata che sta cercando inutilmente di alleviare la sua colpa, o di spostarla su qualcun altro, proprio come tu che appena ti faccio notare che non si lanciano le palline di gomma mi punti il dito sul compagno che te l'ha appena lanciata e fossi io Dante vi manderei anche voi due all'inferno assieme, abbracciati per l'eternità a lanciarvi quella pallina, e vediamo se la troviamo divertente.
Abbiamo parlato di possessività, abbiamo notato quanto Dante sia imbarazzato e sgomento durante l'episodio, perché l'altro colpevole su cui punta il dito Francesca è proprio la Letteratura, e Dante da giovane leggeva e scriveva precisamente le cose che hanno portato Francesca a conoscere i dubbiosi disiri; insomma come oggi si dà la colpa alla trap, nel Duecento si dava la colpa al Dolce Stilnovo e il primo ad ammettere che qualche colpa l'arte potrebbe avercela è proprio Dante Alighieri, Francesca è un rimorso che morsica al punto che non gli resta che svenire. E poi ovviamente abbiamo parlato di quanto ancora oggi sia forte questa idea della possessività – se io ti amo devi riamarmi, prima o poi lo farai – e di quanto alligni in noi stessi. Ma anche del fatto che oggi nessuno ti manderebbe all'inferno per un bacio o poco più, e che alla fine chi uccide 'per amore' Dante lo manda in un luogo assai più freddo e terribile dell'inferno (Caina attende chi a vita ci spense): ovvero, nel Trecento questo poeta aveva sulla questione idee più avanzate di quelle che avevamo fino a una generazione fa, quando a un marito che uccide per corna ancora si riconoscevano le attenuanti 'd'onore'.
Abbiamo parlato di tutto questo leggendo una ventina di versi di un poeta di sette secoli fa, la letteratura italiana ci consente questo. Dante, Boccaccio, Manzoni, Leopardi, sono autori che non mi stanco di rileggere in classe e ogni volta mi sembra di trovarci qualcosa di nuovo, mi sembra di trovare un parola interessante sul problema di cui stanno parlando tutti. Probabilmente è un'illusione scaturita dalla mia attitudine di lettore intensivo: leggo pochi testi, ma li leggo tanto e alla fine mi sembra di trovarci di tutto, una pareidolia culturale. Probabilmente qualsiasi testo abbastanza complesso è in grado di illuderci della stessa cosa; già con le Avventure di Pinocchio le possibilità sembrano infinite. E però ci sono anche altri libri che queste possibilità non ce le danno; ne ho visti in giro, non saprei definirli, ma ho la sensazione che molti di questi libri sia possibile trovarli negli scaffali della letteratura per ragazzi; libri che ti parlano in modo molto semplice di mafia, ma di mafia e basta; di guerra, ma solo di una guerra; di bullismo, ma come se fosse l'unico problema al mondo; di terrorismo, ma appena cambia il terrorismo non ti dicono più niente di utile, sono già da buttare via. Magari mi sbaglio, magari la mia diffidenza è basata soltanto sulla stanchezza... (continua)