Fino alla prossima riforma.
Però siamo un po' ipocriti, noi italiani.
Da una parte vorremmo le strade tranquille, con le vetrine e i monumenti in ordine, senza furti e scippi, e magari senza cortei: tolleranza zero!
Poi, però, quando un pezzo grosso si becca una condanna, ci indigniamo.
"Com'è possibile che le stesse identiche prove in primo grado portino all'assoluzione e in secondo grado a 24 anni di carcere?"
"È perché sono prove indiziarie".
"Ma com'è possibile che in Italia si vada in galera solo sulla base di prove indiziarie? Urge una riforma! Finiamola con questo giustizialismo!"
A questo punto c'è sempre qualcuno che aggiunge: "separiamo le carriere", e tutti annuiscono con la testa. Di che carriere si tratti e a che serva separarle non lo dice nessuno: lo si dà per scontato, come in una vecchia soap di cui nessuno vuol più riassumerti le puntate. Peggio per te se sei arrivato tardi. Eeeh, i giovani d'oggi, che non s'appassionano ai veri problemi…
Siccome trovo improbabile che Andreotti passi un solo giorno della sua vita in galera, il dibattito sulla sua colpevolezza non mi appassiona più di tanto. Capisco l'inquietudine di Ciampi e della classe politica, perché un padre Costituente condannato come mandante di un omicidio non è una cosa da mandar giù a cuor leggero. Se potessi almeno trovare sui giornali qualche ricostruzione del caso Pecorelli, così da farmene un'idea… no, niente. È tutto occupato dai dibattiti sulla riforma della giustizia. Dibattiti incomprensibili, per chi non segue tutte le puntate da dieci anni. Se mi sforzo, riesco a ricordare che se ne parlava molto ai tempi della Bicamerale… la Bicamerale che poi fallì… ma chi la fece fallire? Berlusconi, credo… e allora di chi è la colpa adesso? Del giustizialismo di sinistra, naturalmente.
Sento giornalisti e ministri della Repubblica fare un solo brodo retorico con la condanna del senatore e gli arresti di Cosenza. Ma cosa c'è in comune tra una condanna in appello per un omicidio (e il senatore non ha ancora fatto un solo giorno di galera) e venti arresti cautelari per reati di opinione? Niente. Capisco che il brodo si fa con quello che passa in convento, e che due casi giudiziari in 72 ore siano un'occasione troppo ghiotta. Poi, se l'Etna si rimette a eruttare, si tornerà a parlare della sicurezza delle scuole. Così è il giornalismo. Così è la politica. Un po' superficiale, direi, ma forse ce la meritiamo così.
Inoltre mi sembra di capire che la colpa è un poco mia, perché sono di sinistra, e quindi sono un giustizialista, un forcaiolo. Devo essermi perso dei passaggi. Se vado al Social Forum sono un giustizialista? La sinistra alternativa è giustizialista? Da quando?
Senza scomodare il buon De Andrè, che con i giudici ce l'aveva sempre e comunque, vorrei ricordare un libro uscito a Bologna qualche anno fa a firma Luther Blissett, Nemici dello Stato. Un pamphlet contro le leggi anti-terrorismo e gli abusi dei magistrati, scritto a ridosso di Tangentopoli, quando i tabaccai vendevano la statuina del presepe a forma di Di Pietro. E i leghisti mostravano il cappio alle telecamere del Parlamento. Secoli fa. Gli autori di quel libro sono a tutt'ora menti pensanti del movimento. Io magari non lo condivido in pieno - magari non l'ho neanche letto tutto - però verba manent, come diceva una tale.
Quanto a me, se ho gioito secoli fa per la cacciata di Craxi, chiedo scusa per aver creduto anche un solo istante che una rivoluzione si potesse delegare alla magistratura. S'è visto infatti com'è andata a finire.
Ora, se posso esprimere un ideale astratto, credo che nessuno, nemmeno il Senatore Andreotti, dovrebbe essere condannato soltanto sulla base di prove indiziarie.
Se invece devo essere sincero e spietato, credo che anche dopo la prossima riforma le prove indiziarie continueranno a mandare in galera tante persone. Perché la gente vuole le strade sicure, prima di tutto, e poi chi se lo può permettere farà ricorso in appello. E gli altri aspetteranno l'indulto, l'amnistia, la grazia, la riforma successiva. Così è la vita. Così è l'Italia. Un po' ipocrita, però.
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