Nessuno gli vuole bene 2
10 mesi dopo...(6 marzo '02)
(premessa doverosa: non l’ho visto in tv, non ho potuto. Ma ho fiducia nei virgolettati della Repubblica).
C’è una cosa di cui bisogna dare atto a D’Alema: lui non è quel tipo di persona che vuol fare il simpatico a tutti i costi, no.
I movimenti sono importanti, ma non sono un fatto epocale. Firenze? Anche a noi è capitato di stare fino all'una di notte in un'assemblea, molte volte. E nessuno ha il monopolio delle passioni.
La tesi di questo pezzo è banale: D’Alema è una persona antipatica. Mi rendo conto che il travaglio della Sinistra meriterebbe ben più acute riflessioni, ma a volte bisogna anche attentarsi a dire che il re è nudo, putacaso qualcuno non se ne fosse accorto. D’Alema non è nudo: però è antipatico. Liberissimo di esserlo. Ma forse le persone antipatiche non dovrebbero fare politica.
Qui non è in discussione il suo pensiero politico. Ma anche le idee migliori servono ben poco, in mano alla persona sbagliata. In questi giorni ho sentito dire fino alla nausea frasi che iniziavano con “Cofferati” e finivano con “cuore-della-gente”: “Cofferati sa parlare al cuore della gente”, “Cofferati sa scaldare il cuore”, ecc., un frasario da Tamaro prestata alla politica. Ora, senza dubbio l’uomo ha le sue qualità, non si diventa leader sindacali per caso. Ma io credo che a questo punto chiunque sarebbe in grado di vincere un duello di simpatia con D’Alema.
E siccome anche lui lo sa – non è uno stupido – mi chiedo come abbia potuto acconsentire a un duello del genere. Se Cofferati ha critiche da fare ai dirigenti DS, il suo avversario naturale è Fassino. D’Alema dovrebbe mantenersi al di sopra delle parti, come si conviene al Presidente del partito. Ma lui non si stanca di ripetere che la carica di Presidente serve a poco o nulla. Il che, oltre a denotare uno scarso rispetto nei confronti delle istituzioni del suo Partito, è anche scarsamente credibile, da parte sua.
Per quella poltrona di presidente, infatti, D’Alema ha brigato parecchio. Non se n’è staccato nemmeno quando, dopo il disastro elettorale, tutti i dirigenti si sono dimessi. Sempre per il motivo che “tanto il Presidente serve a poco”, e quindi se ne sobbarcava lui…
Mi dispiace che Cofferati sia in collegamento da Milano, mi sarebbe piaciuto guardarlo negli occhi. Lo so che lavora alla Pirelli, ma anche noi lavoriamo.
D’Alema forse ignora (ma come fa?) qual è la percezione che l’italiano medio ha del Parlamento: un convitto di allegri scrocconi, insaziabili, di una certa età. Non si sarà mai accorto delle voci che girano su internet e nei bar, sui mille privilegi, gli stipendi continuamente ritoccati verso l’alto, gli aerei e i cinema gratis. Non ha mai fatto caso a certe battute sulle sue barche, sui suoi cuochi, sul suo paio di scarpe da un milione.
Ha visto coi suoi occhi una buona parte dei suoi colleghi franare nelle crepe di Tangentopoli. Ha visto un imprenditore digiuno di politica metter su un partito e vincere le elezioni in quattro mesi.
Tutto questo avrebbe dovuto insegnargli qualcosa. E invece no.
Cofferati, che ha visto le stesse cose, ha avuto il buon senso di non farsi cooptare nel ceto politico, di tornare nel mondo del lavoro, almeno simbolicamente. Diciamo la verità, da Cincinnato avrà fatto sì e no un mese: ma gli è bastato per conquistarsi una popolarità e un credito notevoli.
Io non credo che non ci sia un solo lavoratore italiano, che, alle nove di sera, sentendo D’Alema dire “anche noi lavoriamo” non abbia sentito dalle sue viscere nascere un pensiero: “ma quale lavoro, D’Alema, se non hai mai fatto un cazzo in tutta la tua vita”. Concetto discutibile, ma alle viscere non si comanda. Per l’ennesima volta: ma come si fa a dire cose del genere? O meglio: come si fa a dire cose del genere e nel frattempo considerarsi un grande comunicatore politico? Mistero (doloroso).
Sottovaluti il nostro mondo, non siamo burocrati. E nel vecchio Pci è capitato tante volte che un dirigente scaldasse il cuore, facesse piangere la gente con un discorso, ma non per questo sono diventati segretari del partito.
In questa frase ci sono tre gravi errori politici. Riuscite a trovarli?
1) Al giorno d’oggi non è educato dichiararsi nostalgici del “vecchio Pci”. (Soprattutto da parte di chi si è dato da fare per metterlo in pensione).
2) Continuiamo pure a parlare della “gente”, la povera “gente” che ama “scaldarsi il cuore” e “piangere” per un discorso. Lamentiamoci poi se la stessa gente ci considera dei freddi burocrati…
3) Chi è che vuole diventare segretario del parito? Cofferati? Ne ha mai parlato? A metter troppo avanti le mani si rischia di cadere.
“Sì, magari non sarà un grande comunicatore, ma ha altre doti: è un fine stratega, per esempio”.
Dissento. Mi pare che pochi politici italiani, messi alla prova, abbiano commesso tanti errori di strategia. Dalla Cosa2, alla Bicamerale, all’idea sciagurata di sostituire Prodi, alle sue sconcertanti scommesse con Berlusconi: “se tu fai meno voti di me alle amministrative ti dimetti da Presidente del Consiglio, ok?” “Ok!”
Se io, se noi avessimo fatto sul nostro posto di lavoro la metà degli errori tattici commessi da D’Alema, oggi saremmo a casa, con o senza l’articolo 18. Perché D’Alema è ancora lì?
Semplice: perché lui chiede scusa. Ogni tanto rilascia un’intervista e dice: quella volta mi sono sbagliato. Quell’errore non lo ripeterò.
Nessuno osa spiegargli che, a un certo livello di professionalità, non dovrebbero esistere seconde possibilità. Che la politica è un mestiere disumano, dove ci si gioca la faccia a ogni gradino. Almeno, per gli altri è così. Ma per lui?
Quando ebbe la brillante idea di rifondare il PDS, a 5 anni dalla nascita, D’Alema sapeva che in quella rifondazione si giocava la faccia; che in caso di fallimento avrebbe pagato in prima persona. E invece no. Il PDS è abortito nei DS: il vertice si è rimpastato, la base non ha capito, un flop conclamato. Colpa di D’Alema? No. Colpa dei colleghi invidiosi che non lo hanno compreso.
Quando ebbe l’idea balzana di farsi nominare segretario della Bicamerale, D’Alema sapeva di correre due grossi rischi: svendere la Costituzione a Berlusconi, o partorire un altro bel nulla. Sapeva che, in entrambi i casi, era in gioco la sua credibilità. Com’è andata a finire? Un disastro.
A quel punto chiunque altro si sarebbe pre-pensionato. Lui no. È ancora lì che parla di riforme. Che importa se Berlusconi non è credibile, spiega, anche l’Ulivo deve fare le sue proposte. Come spiegargli che, a questo punto, lui stesso non è molto più credibile di Berlusconi?
Infine, i fatti parlano: dal suo governo in poi, i DS hanno perso quasi tutte le elezioni. Sono ai minimi storici.
Ma D’Alema, sulla “Repubblica” di domenica, spiega che le elezioni, lui, non le ha nemmeno perse, perché a Gallipoli ha fatto un ottimo score: Io, Fassino, gli altri esponenti della maggioranza saremmo i perdenti! Ma i perdenti sono i Folena, i Mussi, candidato a Milano, mentre io facevo una durissima campagna elettorale a Gallipoli!
Ecco un’altra frase a cui non mi riuscirebbe di replicare civilmente. Per quanto mi sforzi di trovare argomenti educati (il problema non è a Gallipoli, ma il dato nazionale, le responsabilità dei vertici del partito e del governo, ecc.), c’è qualcosa in me che finisce per sbottare: ma perché allora non ti trovi un bell’ufficio da assessore a Gallipoli e non ti cavi fuori dai coglioni?
Mi rendo conto di scadere nel qualunquismo, e me ne scuso, ma credo anche che il qualunquismo di una nazione sia direttamente proporzionale all’antipatia della classe dirigente.
E lo dico perché ho sempre avuto la sensazione che in Italia, se ci fu una rivoluzione, fu una rivoluzione qualunquista, che dieci anni fa culminò con un assedio al grand hotel che era la residenza invernale di Bettino Craxi. Ora, Craxi ne aveva fatte di cotte e di crude. Ma se si fosse trattato solo di qualche conto in Svizzera, lo avremmo sopportato. No. Quello che ci fece sbottare fu l’antipatia. Bettino Craxi era un politico intelligente, ma arrogante, supponente, antipatico.
Morì in esilio, indignato e incredulo di aver pagato per tutti. Senza capire quale gran disgrazia sia, per un politico, l’antipatia.
Credo che il suo caso avrebbe dovuto insegnare qualcosa a qualcuno. Ma no, no, niente, mai niente, è inutile.
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