Maestri di vita (5):
La stanchezza di Rosa Parks
There comes a time that people get tired (M. L. King)
La sera del primo dicembre 1955 Rosa Parks era stanca.
Tornava a casa dal lavoro (sarta in un grande magazzino a Montgomery, Alabama). Sull’autobus che aveva preso non c’erano posti a sedere per lei. Ma Rosa era molto stanca, e aveva deciso di sedersi ugualmente: sui sedili riservati ai bianchi.
Magari non era la prima volta. Magari aveva messo in conto qualche occhiataccia dei passeggeri. Ma alla fermata successiva, quando il conducente (una vecchia conoscenza) le chiese di alzarsi e lasciare il suo posto ai bianchi, Rosa rispose che era stanca, e che non si sarebbe alzata.
La stanchezza non le passò quando il conducente minacciò di fermare il bus e chiamare la polizia.
("Well, I'm going to have you arrested"
"You may go on and do so.")
Così Rosa Parks fu arrestata, il primo dicembre del 1955. Il resto è Storia. L’associazione nazionale per il progresso dei cittadini di colore organizzò un tipo di protesta del tutto nuova, destinata a un insperato successo: il boicottaggio dei trasporti pubblici di Montgomery, che per due terzi erano utilizzati dai neri.
Non fu una passeggiata: il boicottaggio durò 382 giorni. Uno dei promotori, il reverendo battista Martin Luther King, fu arrestato; la sua famiglia subì un attentato. Ma proprio nei giorni del processo la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionali le leggi segregazioniste dell’Alabama. Così, a un anno dal suo arresto, il 21 dicembre 1956, Rosa Parks salì di nuovo su un autobus, ma dalla porta posteriore, fino a quel giorno riservata ai bianchi. Da quel giorno Rosa è diventata un’icona delle lotte per i diritti civili. E un simbolo di quanta forza ci possa essere nella stanchezza.
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Se ho un rilievo da fare, a me, e in genere a tutto il Movimento, non è l’energia che mettiamo in quello che facciamo, che è benedetta, finché c’è.
Ma ho la sensazione che tanti di noi diano troppo affidamento alle proprie capacità. Ci dicono tutti: siete instancabili, voi attivisti. Ce lo diciamo anche noi. E – quel che è peggio – ci crediamo.
Finché un giorno non succede quello che non sarebbe mai dovuto succedere: ci stanchiamo. Prendiamo sonno alle assemblee. Marchiamo visita alle riunioni. Fin lì è ordinaria amministrazione. Poi cominciamo a dar buca agli appuntamenti, anche quelli fissati da noi: pessimo segno. Oppure nulla di tutto questo: continuiamo imperterriti finché non ci scontriamo coi limiti strutturali del nostro corpo: gastriti, emicranie, esaurimenti.
A quel punto, forse dovremmo chiedere scusa. E invece iniziamo a recriminare. Cominciamo a far pesare tutto il tempo che abbiamo investito nel Movimento, vorremmo riaverlo indietro (come se non avessimo sempre saputo che i patti non erano questi). Ci lamentiamo che tutti facciano affidamento su di noi, quando siamo stati noi i primi a voler fare tutto per gli altri. Perché degli altri non ci fidavamo. E adesso che siamo stanchi, non ci fidiamo più nemmeno di noi stessi.
Di lì a poco iniziamo a diventare scettici. Vediamo che il mondo va avanti anche durante i nostri periodi di stanchezza, e va male, naturalmente. Le cose vanno sempre peggio e nessuno riesce a farci niente. Certo, noi ai nostri tempi ci abbiamo provato, però… eravamo giovani e inesperti, e per giunta circondati da incapaci. Ci è andata male. Per consolarci impesteremo la generazione dei nostri figli con le nostre nostalgie deprimenti.
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Io sono contento di aver ricevuto un’educazione cattolica. Ho assunto molti anticorpi in quel periodo.
Per esempio, ho maturato una grande diffidenza verso l’entusiasmo, verso le vocazioni troppo assolute, troppo rapide. Nella fede, come nell’amore, come nell’attivismo (che è quello di cui stiamo parlando), ho sempre avuto paura di essere un fuoco di paglia, lesto ad accendersi e a spegnersi subito dopo.
Certo, anche un fuoco di paglia ha la sua utilità, se vuoi accendere un falò. Ma quello che ti serve veramente è uno di quei ceppi grandi, secchi, che all’inizio non vuol saperne di prender fuoco. E non farà mai una fiamma alta. Ma brucerà e ti terrà caldo tutta la notte.
Così, certe sere che sono stanco, stanco anche di dar la colpa al lavoro, o al movimento, quando la colpa è soltanto mia, mi dico che anche la stanchezza ha i suoi vantaggi: basta accettarla per quello che è, farne il proprio Piave, puntare i piedi e mantenere la posizione. E cerco di pensare a chi è riuscito, in un determinato momento, per una determinata causa, a fare della sua stanchezza la sua forza. Non è che mi vengano in mente tanti esempi. Ma per fortuna c'è Rosa Parks.
Rosa Parks was physically tired, but no more than you or I after a long day's work…
Questa idea della stanchezza come forza è una delle più assurde che mi sono venute.
RispondiEliminaL'algoritmo per scrivere i post, in quel periodo, doveva essere più o meno così: prendi un aspetto della tua vita quotidiana (la stanchezza), socializzalo (la stanchezza del Movimento), rovescialo (la Stanchezza è Forza!), trova un qualunque episodio storico che possa darti ragione (Rosa Parks ci mostra che la Stanchezza è Forza!) Bene, bravo.
Ma che stanchezza.