Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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giovedì 4 dicembre 2003

Non è che ora, per far contenti Rutelli e D’Alema, ci metteremo pure a riallargare le paludi pontine, a riportare la malaria a Latina, a mandare al rogo l’enciclopedia italiana… Basta, gli esami adesso devono farli gli altri. Ora tocca alla sinistra… [e ti pareva]
Maurizio Gasparri, “Repubblica” del 30 novembre.

L’importanza dell’Agro Pontino

Ogni tanto giova, al buon vecchio blog di provincia, riconoscere i propri errori, le proprie lacune.

Perché non vorrei sembrare un tuttologo, ci sono tante cose che proprio non so, o che non capisco, o che ho capito troppo tardi: per esempio, la Destra Sociale. Per me era un controsenso: se uno è “sociale” sta a sinistra, se uno sta a destra non è sociale, oppure è in buona fede, o in cattiva. Per spiegarmi questa bizzarria, io usavo la cosiddetta Teoria della Festa. Questa teoria parte da un’osservazione: la gente scorda qualsiasi cosa, ma se nell’adolescenza viene esclusa da una festa non lo dimentica mai, e può passare il resto della vita a cercare di vendicarsi. Ecco, secondo me negli anni Sessanta c’era stata una specie di grande festa a Sinistra (che probabilmente, come tutte le feste, sembrava molto più divertente vista da fuori), e quelli che non erano stati invitati, o erano stati cacciati, se l’erano presa di brutto, e si trovavano in uno scantinato a masticare amaro. Esistono scantinati così, in Italia e altrove (adesso che ci penso, in inglese c’è una parola sola per “Festa” e “Partito”), e secondo me la Destra Sociale poteva essere uno di quelli.

Ma avevo torto: la Destra Sociale è molto di più.
Dove mi ero sbagliato? Semplice: avevo sottovalutato l’Agro Pontino. Invece l’Agro Pontino è davvero importante.

Ma vi pare che in Israele Fini poteva dire che il fascismo è stato anche le grandi bonifiche, Pontinia, Guidonia… Come faceva proprio lì a vantare tutte le conquiste di Mussolini? Dovreste ringraziarlo per aver definito le leggi razziali il male assoluto, perché adesso sì che siamo liberi di dire ad alta voce tutte le altre cose buone che è stato il fascismo. Che il fascismo ha realizzato il rapporto tra le masse e la politica, lo Stato sociale, l’opera nazionale Balilla…
Ignazio La Russa, “Repubblica” del 30 novembre.

Me ne accorsi tornando a scuola come Insegnante: il bello di questo mestiere è che spesso sono gli alunni a darti lezioni. Quella era la mia prima classe, una terza media, e mi faceva parecchio dannare. Furono severi maestri. In storia, li avevo ereditati alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Ma tirava una brutta aria, era appena stato ammazzato Biagi e ci si preparava al 23 marzo, a Bologna avevano attivato un numero non verde per denunciare i prof troppo ideologizzati. Insomma, avrei preferito cominciare col Feudalesimo.

“…E poi c’erano gli Interventisti, quelli che, ehm, per vari motivi, volevano che l’Italia entrasse in Guerra. Erano soltanto una minoranza, ma molto agguerrita: facevano manifestazioni, cortei… uno dei grandi animatori, pensate, era un ex socialista che era uscito dal Partito proprio per questo motivo: si chiamava Benito Mussolini, e senz’altro ne avete già sentito parlare. Vero?”
Nel brusio di fondo, qualche occhiata svagata poteva essere interpretata come un sì. Avanti.
“…Infatti, vedremo che alla fine della guerra Mussolini fonderà un nuovo movimento, ehm, il movimento Fascista: e che per vent’anni governerà l’Italia come un ditt…”

A questo punto la Gloria, la più brava in Storia e in Geografia e in qualsiasi altra materia; la preferita nel caso ipotetico in cui al prof fosse concesso preferire qualcuno; l’unica a mostrare, in quel momento, un barlume d’interesse, mi interruppe in un modo che mi spaventò. Spalancò gli occhi improvvisamente, come se la stanchezza della quinta ora si fosse sciolta in un secondo, e con voce vagamente meccanica, disse:
“Però Mussolini ha fatto anche tante buone cose per l’Italia”.
“Eh?”

Notate, per cortesia, che non avevo ancora detto che ne avesse fatte di cattive.

“Per esempio, ha bonificato le paludi”.
“Ah, beh, sì, le paludi …”
In quel momento Carafoli Giampiero, dalla quarta fila, che mai aveva dimostrato alcun interesse per la materia e mai più ne avrebbe dimostrato, smise improvvisamente di bucherellare la gomma con lo spillone del compasso, spalancò i medesimi occhi glaciali e disse:
“Mussolini-ha-bonificato-l’Agro-Pontino”
E tacque per sempre. Ma nel frattempo un’altra manciata di studenti si erano riscossi, e mi guardavano con espressioni di genuino interesse: oh, finalmente si parla delle bonifiche fasciste.

“Beh, vedremo poi cosa farà Mussolini quando andrà al potere. Ma torniamo a prima della guerra…”
Gli occhi azzurri si socchiusero di scatto, chi aveva rizzato le spalle si afflosciò di colpo, e nella classe tornò il brusio di fondo. Ma intanto io avevo capito una lezione. L’Agro Pontino è molto importante.
Molto più importante di quanto noi a sinistra possiamo realizzare. Nei nostri libri di Storia se ne parla poco, e comunque quei paragrafi di solito li trascuriamo. Mussolini, si sa, “bonificò l’Agro Pontino”. Diamo per scontato che se non l’avesse fatto lui ci avrebbe pensato qualcun altro. E invece no. Chi altro avrebbe potuto pensarci, se non Lui? L’Agro Pontino è davvero molto importante.
Non so nemmeno quanta gente ci abiti, non ci sono mai stato, ed è una mancanza grave. Posto nel cuore dell’Italia, l’Agro Pontino è un punto nodale per tutta la nostra economia, e ci si può onestamente chiedere dove saremmo oggi, noi italiani, se Mussolini non avesse bonificato l’Agro Pontino.
E non valeva la pena sacrificare vent’anni di suffragio universale maschile e libertà d’espressione e d’associazione; non valeva la pena di scontare un po’ di embargo internazionale, di allearsi coi franchisti e i nazisti, importare le leggi razziali, morire a milioni su un po’ di fronti in tutto il mondo, combattere un’ultima disperata guerra civile contro il proprio stesso popolo, collaborare con un invasore folle e invasato, pur di aver bonificato, una volta per sempre, l’Agro Pontino?

Ora confesso un’altra cosa: io, tutto sommato, alla svolta di Fiuggi ci avevo creduto. Certo, continuavo a dare del post- o del neo-fascista a Fini, ma così, per incivile abitudine all’insulto politico. Tanto più che, al confronto di Forza Italia, AN mi ha sempre dato una sensazione di partito democratico. Per la verità non è che abbia fatto molto per meritarsela: così come Fini si è conquistato un’immagine di credibilità e autorevolezza semplicemente stando zitto mentre Bossi e Berlusconi straparlano. Non è poco, però è ancora niente. E non mi sembrava così sensazionale che Fini andasse in Israele. Forse mi preoccupavo più di tutti questi agganci che stiamo offrendo al Likud. Ma mi sbagliavo (anche perché il Likud, dei nostri agganci, forse non sa nemmeno che farsene).

Non mi aspettavo che Tremaglia andasse in tv a dire che lui ha fatto la Repubblica Sociale per salvare l’Italia dalle rappresaglie naziste (meno male, altrimenti a Monte Sole chissà cosa combinavano). Non mi aspettavo che Alessandra Mussolini, che non sono mai riuscito a immaginare davvero nipote del Grande Bonificatore, fosse talmente legata alla sua memoria da giocarsi una carriera politica ben avviata. Non mi aspettavo che la moglie di Almirante avesse ancora qualcosa da dire a qualcuno, e scopro invece che c’è ancora molta gente che l’ascolta, e in religioso silenzio. Non mi aspettavo che Storace. Non mi aspettavo che Buontempo. Non mi aspettavo che perfino La Russa e Gasparri… insomma, io, della Destra, non ho mai capito niente e continuo a non capire niente.

Credo che il problema stia là, in quella terra promessa che non è la mia, e che io posso solo immaginare in sogno: l’Agro Pontino.
Penso a una grande pianura, più o meno come qui, ma senza traffico: solo ogni tanto qualche vettura aerodinamica disegnata da Prampolini. Nei campi gli uomini e le donne seminude di Sironi lavorano senza affanno. All’orizzonte, qualche palazzo di Sant’Elia: e ai muri i cartelloni di Depero.
Penso dev’essere bellissimo vivere laggiù. Una festa. A cui nessuno mi ha mai invitato: perché?
Dio, che rabbia.

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