Diciamo la verità, adesso:
se dico “Caifa” la prima cosa che mi viene in mente non è il tale versetto di Luca o Giovanni, quanto un basso barbuto che si pencola su un tubo Innocenti, come un corvaccio sul trespolo: Bob Bingham in Jesus Christ Superstar (1973). E l’immortale ritornellofor the sake of the nation, this Jesus must die
(must die, must die, this Jesus must die).
Che è preso pari da Giovanni 11,50. Ora sarei curioso di sapere: tra le mille accuse rivolte agli autori di JCS in quegli anni, ci fu anche quella di antisemitismo? Perché non c’è dubbio che Caifa e Anna facciano una pessima figura. Sono fastidiosi sin sul piano acustico: Caifa è un basso cavernoso, il villain di tutti i melodrammi; Anna sfoggia un falsetto stridulo. Sono brutti, neri, astuti e perfidi. Si prendono gioco del buon Giuda come la volpe e il gatto di Pinocchio. Possibile che nessun rabbino si sia sentito offeso?
Every time I look at you
È che ogni epoca ha i suoi pudori, le sue minoranze sensibili. Negli anni Settanta ci si scandalizzava più facilmente per un apostolo nero, che guarda caso di tutti gli apostoli è proprio quello che lo tradì. Ma non è solo questo. In JCS Caifa e Anna sono troppo melodrammatici per essere veri. Eppure, dopo tante versioni dei Vangeli, uno si chiede se l’opzione melodrammatica non sia la più riuscita. Visto Zeffirelli, visto Pasolini, visto Scorsese: com’è che il primo Caifa che mi viene in mente è sempre il corvaccio? E voi? Qual è il vostro Vangelo cinematografico preferito? Io non ho il minimo dubbio: il più apocrifo di tutti.
Non il più grottesco, però. Lo dico perché è una facile tentazione, oggi, rivedere JCS come un grande spettacolo kitsch: è un po’ il destino di tutti i musical. JCS non è immune dal kitsch: basti pensare alla scenetta di Erode, o al balletto finale, con Giuda in un costumino bianco preannunciante Saturday Night Fever (che è proprio il destino di Maria Maddalena, al secolo Yvonne Elliman). Ma è un kitsch strumentale: in generale JCS chiede di essere preso sul serio. Non è nato musical. Niente a che vedere con il Picture horror show. JCS è il capolavoro di un genere effimero che si prendeva pericolosamente sul serio: l’Opera Rock.
In quel periodo la musica leggera correva con leggerezza dei rischi pazzeschi. I primi anni Settanta, per me, sono una specie di tarda adolescenza del rock. Non a caso i grandi dischi di quel periodo ti piacciono soprattutto tra i 16 e i 22, età di grandi speranze: poi cali le arie e ti metti ad ascoltare canzoni di tre accordi. Lloyd Webber mescolava progressive rock, pop smaccato, jazz, classica, melodramma: con tutto questo, alcuni riff sono di una semplicità micidiale (“Remember Ceaser, you’ll be demoted, you’ll be deported, cricify him!”). Anche l’ambizione del librettista, Tim Rice, è smodata: fare un Gesù che parli con le stesse parole del Vangelo, ma sia anche un personaggio moderno e tormentato, una metafora della società dello spettacolo, e canti qualche canzone da top ten. Scommessa riuscita? Se amate il film, sì. Se vi ricordate a memoria quasi tutte le canzoni, sì. Per me, sì.
1. Always hoped that I'd be an apostle
Il rischio di un “Vangelo hippie”, in linea con la moda del tempo, era altissimo. In effetti JCS è anche questo. Ma basta vedere come dipinge gli apostoli: una manica di fricchettoni imbesuiti che non si rende conto di quello che succede (“Too much heaven in their minds!”). Pronti a rinnegare il santone appena le cose si mettono male, e a elaborare il lutto nel modo più infantile: (“Non potremmo ricominciare tutto da capo, per favore?”) L’unico un po’ interessante è Simone lo Zelota, che invano cerca di persuadere Gesù a passare alla lotta armata. Giuda è decisamente una spanna su tutti.
2. Poor old Judas
L’apostolo nero non è solo uno dei protagonisti: è anche il coro. Il suo punto di vista è molto spesso quello dello spettatore. Sin dall’orazione iniziale, quando Giuda si rivolge a Gesù dall’alto di un monte, lo spettatore tenderà a immedesimarsi in lui. In effetti è il classico Progressista di buon senso che sta dentro ognuno di noi, convinto di avere ragione bastante per sé e per tutti gli altri.
My mind is clearer now.
At last all too well
I can see where we all soon will be.
Gesù lo ha deluso, all’inizio parlava e faceva ottime cose, ma adesso, eh, adesso esagera. Si è fatto la concubina. Ha preso modi da Messia, come una rockstar in delirio di onnipotenza (un problema molto sentito all’epoca). Si fa frizionare con oli profumati: ma chi paga? non era più coerente dare quei soldi ai poveri? E poi bisogna stare attenti, la Palestina è in regime di occupazione militare, basta un niente per farsi massacrare tutti. Tutte obiezioni ragionevolissime. Di obiezione in obiezione, Giuda finisce per trovarsi tra le braccia degli altrettanto ragionevolissimi Anna e Caifa. Da bravo progressista, non ha ancora tradito Gesù che già comincia a dissociarsi:
Now if I help you, it matters that you see
These sordid kinds of things are coming hard to me
Sulle prime fa il difficile: “I don’t want your blood money!” Ma Caifa sa toccare le corde giuste: "non hai pensato a quante belle cose puoi fare con quel denaro? Beneficenza, aiuti ai bisognosi!" Così Giuda si fa ingannare con le sue stesse parole. Tradisce il maestro e si danna per l’eternità.
3. Who is this broken man?
Quando si leverà di mezzo, lo spettatore comincerà istintivamente a prendere le parti di Ponzio Pilato.
Giuda e Pilato: due uomini che s’interrogano su Gesù, e non ci capiscono niente. Peraltro, entrambi giungono alla medesima conclusione: Gesù vuole morire per diventare la definitiva rockstar: questo è il tipo di vita eterna a cui aspira. Esasperato da Caifa e dalla folla, che minaccia di denunciarlo all’imperatore, alla fine l’imbelle Pilato prorompe nella condanna finale:
Don't let me stop your great self-destruction.
Die if you want to, you misguided martyr.
I wash my hands of your demolition.
Die if you want to you innocent puppet!
E qui entra il tema di Superstar: Gesù ce l’ha fatta, tra lui e la gloria c’è solo una breve sosta su una croce. (La crocefissione dura pochi minuti, abbastanza trascurabili. Invece in Gibson, mi pare di capire, la Passione è soprattutto la sofferenza fisica del Cristo. Anche in JCS c’è il tempo per contare le 39 frustate in presa diretta: ma gli autori sono più interessati al processo, al palleggiamento del condannato tra Caifa, Pilato ed Erode).
4. Just watch me die!
Giuda e Pilato non sanno che lo stesso Gesù ha paura di morire, ma non può sottrarsi alla volontà di un Padre esigente. Per il resto, il Messia soffre dei problemi di una qualsiasi rockstar: sulle prime i bagni di folla piacciono, ma a un certo punto il pubblico si fa troppo esigente (“Hey J.C., J.C, won’t you die for me?”). Peggio di una calca di cacciatori di autografi c’è solo una massa di lebbrosi che pretendono di essere toccati. “Siete in troppi! Lasciatemi solo!” Quando Gesù cadrà in disgrazia, la folla continuerà a seguirlo con la stessa curiosità malata. “Dicci cosa hai provato!” Nel film si portano il pugno al mento, come un microfono. La Passione è uno spettacolo. Tutti devono vedere, tutti devono assistere: primo di tutti il Padre, sommo voyeur, in tribuna vip. “E va bene, guardami morire”, urla Gesù nell’orto di Getsemani: e in pochi secondi sullo schermo passano decine di scene di crocifissione, immaginate dai pittori di tutti i tempi: una soluzione economica e molto efficace (la prima volta che l’ho vista: ora ho paura a ricontrollare. È difficile parlare dei film a cui si vuole bene).
5. Every time I looked at you I don’t understand
Si dice che JCS sia una Passione senza Resurrezione – basterebbe questo per farne un’opera eretica. Ma in effetti una specie di Resurrezione c’è, anche se curiosamente è sistemata prima della crocifissione. E – sorpresa – di fronte a Gesù resuscita anche Giuda, in un tripudio di ballerine. Se il sacrificio di Gesù è immortale, immortale è anche la curiosità dell’uomo che non riesce a capirlo. Questo il senso della scena: dopodiché, i versi di Superstar sono i più demenziali di tutta l’opera (a parte il distico geniale
If you'd come today you could have reached a whole nation.
Israel in 4 BC had no mass communication).
Questa è la scena di JCS che mi piace di meno: la più sfacciata, la più volutamente irriverente. Come le gambe nude nei film in bianco e nero: al tempo valevano il prezzo del biglietto, ora rischi di non farci caso. Meglio così, perché un’altra battuta della canzone (“Dicci come stanno i tuoi colleghi at the top: Davvero Maometto poteva spostare la montagna, o è stato il suo PR?”) oggi sarebbe a rischio fatwa. Proprio come il film di Gibson. My poor Jerusalem.
- Tutti i testi.
- "Besides, Our Lord is hot": Julene Snyder su Salon.
- Carl has crossed over.
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