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lunedì 21 giugno 2010

Do teachers dream electronic tests?

Salve, insegnante della Scuola italiana.
Mi chiamo Invalsi. Risolvo i tuoi problemi.
Tu sei molto stressato, lo so. Io sono qui per aiutarti.
Hai molti compiti da correggere. Ma non ti pagano per le ore che passi a correggere i compiti. Ti pagano soltanto per le lezioni. Quindi il tempo che passi a correggere i compiti è... tempo sprecato. Pazzesco, no?
E qui arrivo io. Ti do un test che si può correggere al computer. Ai ragazzi basta fare una quarantina di crocette, tu lo rimetti al computer, e il gioco è fatto. Bello, no?
Ma allora, insegnante, perché mi odi?
Perché i prof non sopportano la prova nazionale Invalsi, sull'Unità.it. Si commenta qui. (I commenti funzionano! Provare per credere!)

Anche se ogni anno se ne parla come di una straordinaria novità, la prova nazionale è ormai una vecchia conoscenza degli insegnanti delle scuole medie, che giovedì scorso l’hanno affrontata per il terzo anno consecutivo. Senza alcun entusiasmo.
Eppure sulla carta non sembra una brutta idea. La prova Invalsi è un questionario a risposte multiple (anche se alcune sono relativamente “libere”, diciamo che per l’80% il candidato si trova a dover scegliere tra diverse soluzioni, una sola delle quali è quella giusta). Questo tipo di questionari sono ormai una prassi consolidata nelle scuole di tutto il mondo, per un motivo semplice e non esattamente ‘didattico’: si possono correggere al computer. Ovvero: non occorre impiegare personale qualificato in grado di interpretare le risposte. Se si tratta di una novità, insomma, è una novità già vecchissima: l’Automazione, che dopo essere entrata nelle fabbriche e negli uffici, penetra finalmente in uno degli ultimi baluardi del lavoro artigianale: la scuola. Questo potrebbe giustificare parte dello scetticismo degli insegnanti: se comincia a passare l’idea che i compiti si correggono da soli, senza prof, presto o tardi si cominceranno a eliminare i prof…
Un momento. Non ha senso pensare a insegnanti luddisti che distruggono il server dell’Invalsi, come i braccianti che a inizio del secolo distruggevano le mietitrebbie. Gli insegnanti non sono pagati a prestazione. Nessuno tiene conto della quantità di tempo che passano a correggere compiti manualmente, anzi: di solito questo tempo è solennemente ignorato, e nei conteggi si tiene conto soltanto delle lezioni (le famigerate “diciotto ore”, che sembrano sempre così poche a chi non lavori nel settore). In pratica un insegnante che passa altre dieci ore a settimana a correggere compiti e verifiche viene pagato come un insegnante che non corregge nulla. Ne consegue che qualsiasi insegnante dovrebbe essere entusiasta di una verifica che si corregge da sola. Soprattutto quello che passa dieci ore della settimana a fare un lavoro (correggere verifiche) che una stupida macchina potrebbe fare al posto suo. Senza togliergli un soldo di stipendio. Più che braccianti, i prof sono nella situazione delle casalinghe di un secolo fa: nessuno li paga per portare i panni al fiume, lavarli, riportarli a casa, stenderli… se regali loro una lavatrice, non la odieranno, anzi. La prova Invalsi è una lavatrice: dovrebbero esserne entusiasti, e invece non la sopportano. Perché? Ci sono varie teorie.
Prima teoria: la lavatrice sarà anche comoda, ma resta un lavoro in più. Se agli insegnanti fosse stato proposto un nuovo metodo rivoluzionario per non andare più al fiume a lavare i panni, sarebbero stati entusiasti. Invece alle prof viene richiesto di andare comunque al fiume; di lavare i panni a mano come sempre; di stenderli, stirarli, piegarli; e poi, nei ritagli di tempo, imparare a usare questo nuovo complicato aggeggio di cui si parla in città, la lavatrice Invalsi. La prova nazionale non ha sostituito il tema e il compito di matematica. Si è soltanto sovrapposta. Agli insegnanti di italiano e matematica è stato aumentato il carico di lavoro – senza aumentare il salario, naturalmente.
Seconda teoria: se almeno questa lavatrice funzionasse bene… E invece. Addirittura due anni fa l’Invalsi andò in tilt perché aveva invitato tutte le scuole d’Italia a scaricare i formulari con le risposte dal loro sito. Gli insegnanti con qualche rudimento d’informatica capirono al volo che il server sarebbe crollato, e cercarono di attaccarsi per primi. Gli altri si fidarono… e rimasero al buio per mezza giornata. Il server restò piantato per ore, ufficialmente per ‘problemi climatici‘. L’anno scorso le cose andarono un po’ meglio, ma qualche problema c’è sempre. Per esempio: quest’anno è stato reso disponibile un file per correggere automaticamente le prove. È un peccato che, con tanti software liberi e gratuiti, il ministero abbia deciso di distribuire un file Microsoft Office. È un peccato soprattutto perché il file, ovviamente, non funzionava con tutte le versioni di Windows. Stiamo parlando di scuole medie, quelle che non hanno il budget per pagare supplenze e fotocopiatrici: l’aggiornamento del software non è una delle loro priorità.
Terza teoria: cosa te ne fai di una lavatrice senza presa di corrente? Cosa te ne fai di un questionario a risposte multiple se non hai un lettore ottico? La logica vorrebbe che i questionari, una volta compilati, fossero processati da un lettore che decifrasse automaticamente i pallini bianchi e i pallini neri, e correggesse da solo i questionari. Questo lettore ottico non è un arnese fantascientifico: in sostanza è uno scanner con un software particolare; in altri Paesi si usa da decenni; da noi no. Da noi sono gli insegnanti a dover riportare tutte le risposte fornite dai ragazzi, al termine della prova, in una scheda riassuntiva. Se lo facesse il ragazzo, l’operazione gli toglierebbe al massimo cinque minuti; ma l’insegnante deve farlo per una media di venticinque alunni: si tratta di un lavoro molto ripetitivo che gli toglie tre ore di lavoro. E qui, davvero, c’è di che trasformare una paciosa insegnante cinquantenne in una seguace di Ned Ludd. Gli insegnanti sono lavoratori di concetto, a cui piace considerarsi autonomi e creativi: se anche qualcuno di loro stava maturando una buona opinione della prova Invalsi, un pomeriggio passato a riempire pallini su una scheda gliel’avrà stroncata sul nascere. In fondo chi erano i primi luddisti, se non pacifici tessitori che si erano resi conto che le macchine avevano trasformato la loro vita in un incubo ripetitivo…
Finita l’operazione di riempimento pallini, si tratta di ‘valutare’ le prove, ovvero contare i punti. Quest’anno il calcolo era particolarmente cabalistico, per cui anche gli insegnanti più testardi (reduci comunque da tre o quattro ore di riempimento pallini) alla fine si sono rassegnati e hanno acceso il computer. E qui si sono trovati di fronte a un déja vu: dopo aver passato ore a riempire pallini, si sono trovati davanti un software che (quando funzionava) in sostanza chiedeva loro la stessa cosa: come ha risposto lo studente a questa domanda? Il pallino che hai già riempito sulla scheda di carta è bianco o nero? In mancanza di un lettore ottico, all’insegnante veniva chiesto di diventare uno scanner. Siccome gran parte degli insegnanti non è più veloce col mouse che con la penna, è lecito immaginare che questa seconda operazione abbia impiegato in media ancora più ore che la precedente. A proposito: quando usciranno le statistiche sui risultati delle prove, ricordatevi che tutti i risultati sono passati attraverso questi due passaggi umani: un umano (stanco) ha ricopiato le risposte dello studente su una scheda, e un umano (ancora più stanco) le ha ricopiate di nuovo sul computer. Spero di sbagliarmi, ma temo che la percentuale di errori umani sarà tale da rendere del tutto inutile la rilevazione.
In pratica il computer non ha ‘liberato’ il tempo degli insegnanti, tutt’altro: li ha trasformati in automi costretti a perdere ore di lavoro per immettere dei dati che un lettore ottico avrebbe registrato in pochi minuti (facendo meno errori). È come se alle casalinghe di un secolo fa, stanche da una giornata passata al fiume, fosse stato chiesto di pedalare un paio d’ore per far funzionare questo trabiccolo moderno, la lavatrice. Se volevamo convincerli che la tecnologia può migliorare il loro lavoro, abbiamo scelto il modo peggiore.
L’anno prossimo i questionari Invalsi approderanno alle superiori. Chissà, magari lì troveranno insegnanti più aperti alle novità, e computer più adatti. Magari a Roma avranno fatto tesoro di tutti gli errori commessi in questi anni. È un augurio sincero, da parte di uno dei pochi prof che alle prove nazionali un po’ ci crede. Credo anche che il computer a scuola sia un’ottima cosa. Specie quando fa il mio lavoro. Ma fin qui sono stato io a fare il suo. E non sono affatto sicuro di averlo fatto bene.


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