Quella cattiva, anche.
Il petrolio è finito, sull'Unita.it, si commenta lì in tempo reale.
La Coppa del Mondo, e la crisi del calcio italiano. Il vertice dei G8. La bomba in Grecia. Le mozzarelle blu. Gli esami di maturità. L'anniversario dell'ennesima strage insabbiata. I nuovi ministri, con o senza portafoglio, e i loro impedimenti, legittimi o meno: c'è tanta carne al fuoco in questi giorni. Sarà per questo che della catastrofe del Golfo del Messico sui giornali non si parla quasi più.
Ha tutta l'aria di una notizia “vecchia”: in fondo la piattaforma Deepwater Horizon è colata a picco due mesi fa. E invece il vero disastro sta avvenendo in diretta, proprio in questo momento: si stima che dal pozzo Macondo fuoriescano ogni giorno tra i 5000 e i 9000 metri cubi di petrolio. Già da un mese la macchia di petrolio è visibile dai satelliti. Le ultime piogge in Louisiana lasciavano pozzanghere oleose e iridescenti. Centinaia di operatori ecologici hanno sofferto di una sindrome ribattezzata TILT (“Toxicant Induced Loss of Tolerance”). Eppure tutto questo non lascia quasi tracce nel flusso d'informazione dei media tradizionali italiani. Come mai?
1. Una ragione l'abbiamo già vista: l'incidente è avvenuto due mesi fa. Purtroppo la nostra soglia di attenzione è quella che è, e non ci consente di percepire un'“emergenza” che duri più di qualche giorno. Persino un'apocalisse ecologica come quella del Golfo, dopo una settimana, è già routine. I problemi passano di moda prima che si riesca a risolverli.
2. C'è di mezzo Obama. Ai tempi di Bush un disastro del genere gli sarebbe stato rinfacciato quotidianamente (è quello che accadde più o meno con l'uragano Katrina). Ma benché la sua popolarità cominci a traballare nei sondaggi in madrepatria, qui da noi Obama è ancora intoccabile. È una sorta di meccanismo di compensazione, scattato sin dal 2008 (quando il Pd veltroniano colò a picco sventolando le bandierine stelle-e-strisce): la vittoria di un giovane democratico nero ci ha reso meno intollerabile il pensiero di vivere in un'Italia berlusconizzata. Il guaio è che Obama non detiene i poteri assoluti che segretamente vorremmo che avesse: i suoi ultimatum alla BP finora sono serviti a poco; nel frattempo la Corte Suprema ha dichiaratoillegittima la sua moratoria sulle trivellazioni. Il pensiero che anche Obama non riesca a farsi rispettare dalla lobby petrolifera è sconfortante quanto basta per voltar subito pagina e parlar d'altro – sì, persino dei problemi della Nazionale.
3. Non ci riguarda. Anche se una parte del petrolio ha già raggiunto l'oceano, noi italiani ci riteniamo al sicuro. E fingiamo di non sapere che il disastro del Golfo è solo l'annuncio di un evento ben più catastrofico, che c'interessa da vicino: la fine del petrolio. Che si tratti di una fonte non rinnovabile lo abbiamo sempre saputo. Da anni gli studiosi ci spiegano che il petrolio non scomparirà all'improvviso: la produzione toccherà un picco (il cosiddetto picco di Hubbert) per poi calare rapidamente, quando tutti i pozzi più accessibili cominceranno a esaurirsi. Nuovi giacimenti continueranno a essere scoperti, ma l'estrazione diventerà sempre più complessa e onerosa. I pozzi dovranno scendere sempre più in profondità, e correre sempre più rischi. Quando raggiungeremo il picco? Secondo gli scienziati dell'ASPO ci siamo già. Da qui in poi la possibilità che accadano incidenti come quello del Golfo (o del delta del Niger) crescerà sempre di più – anche nel Mediterraneo, un ecosistema fragilissimo che non resisterebbe a una fuoriuscita come quella del Golfo. Siamo insomma noi, ancora più che Obama, ad aver bisogno di una moratoria alle trivellazioni.
Tutto chiaro? E ora, un indovinello: quale ministro, dieci giorni dopo l'esplosione della Deepwater, ha aperto il golfo di Taranto alle ricerche di una compagnia petrolifera? Un piccolo aiuto: quindici giorni dopo si è dimesso. Per altri motivi, pensate. http://leonardo.blogspot.com
(Un ringraziamento a Petrolio, il blog che è la migliore finestra italiana sul disastro).