18 febbraio: Beato Giovanni da Fiesole, meglio noto come Beato Angelico, pittore e frate domenicano (1387-1455).
Dettaglio della Crocefissione, convento di San Marco (Firenze) |
Secondo il meccanismo sociale noto come principio di Peter, se premiamo le persone competenti con una promozione, presto o tardi le porteremo a un livello in cui non saranno più competenti: a quel punto, se non li degradiamo con altrettanta prontezza (ma è molto difficile che accada), gli incompetenti resteranno lì, e in breve tempo tutta la nostra struttura sarà composta di gente sbagliata nel posto sbagliato. Giovanni da Fiesole seppe riconoscere il livello di incompetenza nel momento in cui stava per oltrepassarlo, insomma ebbe l'accortezza di restare al suo posto: la sua competenza, sin da ragazzo, era stata la pittura, e la pittura fu tutta la sua vita. Questo è più o meno quello che ci racconta Vasari, partendo forse dall'osservazione che se aveva davvero dipinto tutte le opere che gli venivano attribuite, l'Angelico doveva essere stato un lavoratore instancabile ("Lavorò tante cose questo padre, che sono per le case de’ cittadini di Firenze, che io resto qualche volta maravigliato, come tanto e tanto bene potesse, eziandio in molti anni, condurre perfettamente un uomo solo"). Eppure.
Eppure sappiamo che fra Giovanni non era solo il Maestro Beato Angelico. Nel 1450 sarebbe diventato priore del suo convento a Fiesole (subentrando a un fratello defunto). Già in precedenza aveva accettato incarichi amministrativi – quel tipo di accolli che un artista puro dovrebbe rifuggire come la peste. E la stessa generosa offerta che declinò, della cattedra arcivescovile di una capitale come Firenze, dimostra l'alta considerazione del papa per un uomo che conosceva di persona e che evidentemente doveva mostrare altre doti oltre a quella, indiscutibile, per la pittura. È possibile che già intorno al 1440 l'Angelico (ormai conosciuto ben oltre i confini della Toscana) più che un pittore fosse diventato il direttore artistico del suo brand: la rapidità con la quale completa uno dei suoi lavori più famosi e titanici, il ciclo di affreschi del nuovo convento domenicano di San Marco a Firenze, ci fa supporre che a realizzarli sia stata una vera e propria squadra di collaboratori, in grado di replicare lo stile del Maestro (il quale magari interveniva direttamente nei punti decisivi, come i volti che negli affreschi calamitano l'attenzione e sembrano tanto più moderni degli sfondi in cui sono immersi).
È la stessa squadra che una volta trasferitasi a Roma, riesce durante un intervallo di poche settimane a Orvieto a decorare una buona parte della cappella di San Brizio (che poi Signorelli completerà con quegli straordinari affreschi sulla fine del mondo). Professionisti rapidi che procurano all'ordine domenicano appalti prestigiosi e remunerativi. Lo stile sviluppato dal loro leader è precisamente quello che i committenti religiosi dovevano preferire: una via intermedia tra le eleganze tardo-gotiche di Gentile da Fabriano e la rivoluzione realista di Masaccio: panorami naturali ma non troppo, che non distraggano dalla gentilezza delle figure in primo piano, piacevoli – annota Vasari – ma mai sensuali.
Dopodiché non è nemmeno impossibile che fra Giovanni piangesse tutte le volte che dipingeva una crocifissione, come raccontano: la religiosità che emanano le sue composizioni è innegabile, e unita alla sua fama di frate modesto e pio fece sì che l'arte di Beato Angelico diventasse un modello per la pittura sacra, in contrapposizione a quella di altri maestri del primo rinascimento dallo stile più mondano, che un confratello della generazione successiva, Girolamo Savonarola, avrebbe fatto bruciare nel rogo purificatore in Piazza della Signoria; ma le opere di Giovanni a quanto pare non furono toccate. Chiamato "Angelico" già dai contemporanei, e "Beato" dai primi biografi, fra Giovanni è stato ufficialmente beatificato assai più tardi, nel 1982 da Giovanni Paolo II, che contestualmente l'ha nominato patrono degli artisti.
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