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giovedì 4 luglio 2024

A Rainha Santa Isabel

4 luglio: Sant'Elisabetta (1271-1336), regina del Portogallo

Francisco de Zurbarán
Di Elisabetta (che era un'Aragona, e in aragonese si chiamava Isabel) sono riportati alcuni miracoli che sono, come dire, i classici miracoli da agiografo principiante, quelli che ti mettono nella valigetta il primo giorno di lavoro: guarda, se non ti viene in mente niente, racconta questa cosa. Ad esempio la regina Elisabetta aveva un paggio di cui si fidava ciecamente, ammirandone l'onestà e il timor di Dio: e gli affidava ingenti somme affinché le desse ai poveri. Un cortigiano invidioso cominciò a mettere la pulce all'orecchio di suo marito Dionigi, re del Portogallo: è evidente che quel paggio è il suo amante, ma c'è un sistema molto spiccio per liberarsene. Ordinagli di recarti presso la tal fornace, dove dovrà dire "mi manda il re"; gli operai, opportunamente istruiti, sentendo quelle parole sapranno che si tratta del cortigiano che devono gettare nel fuoco. Va bene, dice il re, facciamo così: e ordina al paggio di recarsi presso la tal fornace. Il paggio però, tenendo a Dio più che alla puntualità, prima di andare in fornace si ferma a prendere una messa. Nel frattempo il re si agita, pesta i piedi, vorrebbe sapere com'è andata la cosa, finché non ordina al cortigiano invidioso di andare alla fornace a controllare. Il cortigiano, convinto che tutto sia già finito, arriva e avverte gli operai: Ehi, mi manda il re... ovviamente non fa in tempo a finire la frase.

Un'altra volta la stessa Elisabetta stava portando del pane ai poveri, quando il marito sospettoso (e alquanto avaro) la scoprì: ferma là, cosa stai portando in grembo? E lei: ma niente, un mazzo di rose. Ora, questo miracolo ha molto più senso se è riferito a una santa che svolga una professione più umile, come Santa Zita che era una domestica, o al limite Francesca Romana che era una nobildonna, sì, ma stava a Trastevere e poteva davvero infilarsi un sacco di pane sotto il gonnellone. È appunto a causa della scarsa fantasia degli agiografi improvvisati se verso il Quattrocento questo miracolo comincia a essere attribuito a regine come Elisabetta d'Ungheria, e poi Elisabetta di Portogallo che peraltro era sua nipote. Comunque quando re Dionigi insiste per vedere cosa c'è davvero nel sacco, indovinate: il pane si è trasformato in un mazzo di rose. Per questo motivo Elisabetta è spesso ritratta coronata da rose, e Francisco de Zurbarán la ritrae con la gonna più grande che riesce a mettere nel quadro, perché se una regina deve proprio uscire di palazzo per portare pane ai poveri, sembra giusto che ne porti un'ingente quantità. In seguito viene introdotta la variante per cui a trasformarsi in un mazzo di rose non è un po' di pane, ma un sacchetto di monete che avrebbero finanziato opere di carità più degne di una regina. Ma d'altro canto cosa ci si aspetta da una santa regina?

Diverse cose. Che si sposino volentieri con il sovrano loro destinato; che gli scodellino rapidamente qualche erede maschio ma non troppi (sennò poi tocca combattere le guerre di successione); che sopportino invecchiando i tradimenti del marito e che alla sua morte si ritirino in un convento magari fondato e senz'altro finanziato da loro. Elisabetta non si scosta molto dal modello già incarnato dalla zia, Elisabetta di Turingia e Ungheria. Ci aggiunse comunque l'impegno con cui si dedicò a mettere pace tra i suoi litigiosi congiunti. In tutte le famiglie ci sono elementi così, di solito cucinano per le feste e cercano di far sedere tutti allo stesso tavolo; per Isabel invece si trattava di fermare eserciti già schierati cavalcando lungo la linea del fronte e brandendo un crocefisso, per evitare che suo figlio Alfonso Quarto attaccasse il padre Dionigi re del Portogallo e dell'Algarve. 

Cosa metteva contro il padre e il figlio? Ma le solite questioni: Dionigi sembrava preferire ad Alfonso certi fratellastri di quest'ultimo, avuti da altre donne mentre la regina Isabel chiudeva santamente gli occhi. Per quanto i genitori gli assicurassero che lui restava il legittimo primogenito, Alfonso non si fidava del tutto e dando un occhiata al suo assai intricato albero genealogico non possiamo dargli torto. La stessa Elisabetta/Isabel, pur essendo figlia di Pietro III il Grande d'Aragona, era nipotina di Manfredi di Svevia, uno dei famosi figli del grande imperatore Federico II: tutti probabilmente illegittimi (non si è ancora capito se Federico sposò o no la madre di Manfredi sul letto di morte). Quanto a papà Dionigi, era un Borgogna, figlio di Alfonso III re come lui del Portogallo, ma la madre Beatrice era figlia illegittima di un altro re Alfonso, quest'ultimo di Castiglia, e Decimo della sua serie. 

Vien da pensare che chiudere un occhio sulla legittimità degli eredi fosse l'unico modo per allargare un poco il pool genetico tra casate regnanti di Spagna, Borgogna e Sicilia, ormai ridotte a una sola famiglia neanche troppo allargata. Nota che tutti questi matrimoni tra consanguinei non impedivano agli Alfonsi e ai Dionigi di farsi comunque qualche guerra ogni tanto. Tanto più meritoria l'impresa di Sant'Elisabetta, che forse avvenne a Coimbra durante un assedio (qui avrebbe cavalcato un cavallo) e forse a Lisbona dove invece avrebbe montato una mula, o magari è capitato due volte. Non capita anche nella vostra famiglia che i litigi si somiglino un po' tutti. 

Il marito premiò quest'opera di conciliazione facendola rinchiudere per un po' con l'accusa di tradimento, in quanto avrebbe sobillato il figlio. Una bella faccia, tosta, ma alla prima malattia seria se ne pentì e la riabilitò. Elisabetta, dopo aver accudito al marito malato, ottenendone il pentimento per i peccati quando questi era ormai in fin di vita, sarebbe entrata come terziaria francescana nel convento da lei fondato a Coimbra. Ne sarebbe uscita un'ultima volta per tentare di mettere pace tra il figlio Alfonso IV e il marito della figlia di quest'ultimo, anche lui un Alfonso, ma re di Castiglia e pertanto Undicesimo. Ma stavolta l'opera di pacificazione non funzionò e allora lei disse sai che c'è? Mi sono rotta di tutti questi Alfonsi di Castiglia e d'Aragona e di Borgogna, io torno a Coimbra e tra un po' me ne vado in paradiso, ciao. No, non lo disse (più probabilmente morì di febbre prima di arrivare nel teatro delle operazioni), ma non avrebbe avuto tutti i torti.

martedì 2 luglio 2024

(Non compie gli anni nessuno in particolare)

– Stavo pensando che all'età che mi ritrovo sarebbe anche il caso ogni tanto di scrivere un pezzo che esprima indignazione per il fatto che il mondo vada in direzioni che non avevo previsto e che nel futuro le persone non non vivranno come sono vissuto io, non ameranno le cose che ho amato io, non lavoreranno come lavoro io e forse non lavoreranno proprio nel senso che io do oggi al termine – del resto neanch'io sarei stato probabilmente un lavoratore nel senso che i miei nonni davano al termine (oddio anche mio padre credo che abbia sempre avuto dei dubbi su di me in tal senso). 

Alcuni alla mia età preferiscono non affrontare ancora la cosa di petto, magari partire da un segmento più ristretto, ad es. i gusti musicali, c'è gente in tutti gli asili nido del mondo che non ascolterà la musica che abbiamo ascoltato noi e probabilmente svilupperà gusti musicali diversi dai nostri, non trovate tutto questo intollerabile? Alla mia età pare che diventi intollerabile. 

Nei commenti di questo pezzo potreste dare il vostro contributo esprimendo solidarietà nei miei confronti e pena per chi viene dopo di noi, poveri esseri usciti da uno stampino a cui sarà per sempre preclusa una vera autentica esistenza, e suggerire anche motivi per cui questo è successo, potrebbe essere stata l'Intelligenza Artificiale o l'enigmatica Dittatura del Politicamente, fatto sta che dopo di noi il diluvio e non è che ci faccia piacere, però non possiamo che constatare che i tempora, i mores, è tutto andato a puttane esattamente nel momento in cui compivamo il 45esimo anno di età e ora ci aggiriamo scrollando la testa tra le macerie di questo disastro morale, ultimi superstiti di un'era di superuomini, sperando di incontrare qualcuno che ci capisca, poi da cosa nasce cosa. Purché non ne nascano bambini! Ci abbiamo già provato ma invece di dare la luce a individui perfetti come noi, maledizione, sono nate queste creature sciocche piangenti e puzzolenti che ascoltano la trep o i moleskin.

lunedì 1 luglio 2024

Bernardino, santo e assassino?

2 luglio: San Bernardino Realino (Carpi 1530 – Lecce 1616), poeta pentito e gesuita

Bernardino Realino è nato a Carpi, ma non è il patrono di Carpi: quest'ultimo è Bernardino da Siena, che nel Quattrocento forse passò per il borgo (del resto non stava fermo un attimo). Non solo i carpigiani lo invocano, soprattutto in caso di pestilenze, carestie o alluvioni, ma talvolta battezzano i loro figli bernardini, e così era destino che prima o poi un santo omonimo spuntasse da qui. A Carpi, come si vedrà, Realino non ha fatto in tempo a fare nulla di santo; in compenso è patrono di Lecce, per acclamazione. Le agiografie raccontano volentieri che quando era in fin di ricevette una delegazione della cittadinanza leccese, che gli chiese ufficialmente di diventare santo patrono di Lecce. In quel momento Bernardino non solo non era stato ancora canonizzato da nessuna corte ecclesiastica, ma nemmeno beatificato, e soprattutto – condizione non sufficiente ma necessaria – non era ancora morto; e però tanto erano apprezzate le sue opere di carità e lodato il suo trentennale apostolato tra i leccesi, che tutti questi passaggi ormai i concittadini li davano per scontati e l'unica cosa che volevano sapere era se lui fosse d'accordo: poteva Bernardino non essere d'accordo? Diede il suo assenso, commettendo un veniale e comprensibile peccato di superbia, probabilmente per non contrariare la cittadinanza che sembrava tenerci molto. Non è che puoi sempre fare il muso e dichiararti un peccatore indegno di partecipare alla Tua mensa.

Di Bernardino Realino nessuna agiografia riporta invece il fondamentale peccato di gioventù, che non furono gli scritti e gli studi letterari – e capirai, a quel tempo se da giovane non avevi scritto neanche una corona di sonetti eri un analfabeta – ma qualcosa di un filo più grave, ovvero: mentre i leccesi si proponevano di canonizzarlo da vivo, forse Bernardino era ancora alle prese col senso di colpa per avere ucciso un uomo a vent'anni. Di questo si parla poco, e del resto non è nemmeno chiaro se la cosa sia successa o no (è un giallo? Ma sì, dai, è un giallo). Lo scrive per esempio Silvana Menchi nel Dizionario Biografico degli italiani Treccani: "fu costretto a lasciare gli Stati estensi per aver ucciso in duello un altro gentiluomo (così il Tiraboschi; secondo altri per aver semplicemente ferito la stessa persona, ma aggredendola per vendicarsi d'un torto ricevuto)"; e però lo stesso Tiraboschi nella Biblioteca modenese o Notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli stati del serenessimo signor duca di Modena non parla di un duello ma di una lite con un magistrato in seguito a una discussione su un arbitrato che al giovane Bernardino non era piaciuto; e non di un morto ma di un ferito grave: "ſendo in tempo delle autunnali vacanze tornato a Carpi, abbattutoſi a caſo nel detto arbitro, e venuto a parlar con lui dell’affare, nel diſcorſo ſi acceſe per modo, che dato di mano a un pugnale ferillo in fronte". Il delitto era troppo palese, scrive Tiraboschi, "perchè poteſſe andare impunito; e perciò Bernardino ne ebbe in pena non già l'eſilio, come diceſi nella Vita, ma la condanna al taglio della mano, e una multa di 200 lire". Che si applicasse ancora la legge del taglione a Modena verso il 1550 è cosa che onestamente non sapevo, ma forse era un sistema come un altro per comminare l'esilio: ovvero Bernardino, che era già sulla buona strada per diventare un cortigiano a Ferrara, a quel punto lasciò gli Stati Estensi e non lo videro mai più.

Per prima cosa andò a Bologna a completare gli studi in giurisprudenza che aveva interrotto. È possibile che Realino non si sentisse veramente tagliato per il diritto: la sua intenzione iniziale era diventare medico. A convincerlo a studiare legge era stata la donna amata: "eſſendoſi allora acceſo di caldo amore per una cotal Cloride giovane non ſolo per la bellezza del corpo, ma anche per le rare virtù, che ne adornavano l’animo, degna di eſſere amata da chi gli foſſe in ſaviezza e in virtù ſomigliante, a inſinuazione di eſſa applicoſſi in vece alla Giuriſprudenza"Come mai questa Cloride ritenesse la carriera dell'avvocato più savia e virtuosa di quella del medico non ci è dato sapere, ma non ha così importanza perché Cloride sarebbe morta giovane, come si conviene alle ragazze che ispirano le poesie, salvo che di poesie su di lei non ce ne sono rimaste perché Bernardino, una volta entrato nei gesuiti, distrusse tutto o quasi. I contemporanei che avevano fatto in tempo a leggere avevano parole di apprezzamento, ma si sa che i letterati tra loro tendono a capolavorarsi ogni due per tre, non ci si può fidare. Magari ci siamo persi un grande poeta del Cinquecento, ma i leccesi starebbero ancora cercando il loro santo protettore, chi può dirlo.

Dopo la laurea Bernardino, tramite il padre, trovò subito lavoro nell'amministrazione nei vasti possedimenti del governatorato spagnolo di Milano, segnalandosi dal Piemonte all'Abruzzo come funzionario capace e onesto; di quell'onestà che sconfina talvolta nella dabbenaggine, perché trovandosi sempre più spesso in province gravate da carestie, invece di mettere qualcosa da parte finiva per offrire del suo, al punto che quando a 34 anni a Napoli entrò nei gesuiti, in dote portava più debiti che altro. Gli stessi gesuiti continuarono ad adoperarlo come i datori di lavoro precedenti, mandandolo nei posti difficili dove nessun altro voleva andare: nel suo caso a Lecce, dove la Compagnia aveva appena ereditato un lascito con la clausola di dover aprire una "casa professa", ovvero una filiale in loco. Queste clausole erano spesso una fregatura: i gesuiti non sono mendicanti, le case professe spesso costano più dei lasciti stanziati. Bernardino, col suo curriculum di amministratore, sembrava l'uomo giusto per capire se conveniva davvero aprire o no; ma anche a Lecce Bernardino finì per mettere l'ottimismo della volontà davanti al cubismo del budget, attirandosi qualche rimprovero dai superiori ma l'amore incondizionato dei leccesi, che quarant'anni dopo volevano metterlo nel calendario ancor prima che salisse in cielo.

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