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mercoledì 30 settembre 2020
Un ciceroniano a Betlemme
Lionello Spada, passi la penna d'oca e il tappeto ikea, ma GLI OCCHIALI? |
[2012]. Oggi quando una ragazza muore di digiuno la gente dice: è colpa delle riviste di moda, e le riviste di moda dicono: è colpa della famiglia - ma nell'antichità? A chi si attribuiva la colpa, in mancanza di foto patinate?
Ai padri della Chiesa. A Girolamo, perlomeno, che su certe fanciulle della Roma-bene pare che facesse questo effetto: si appassionavano al suo eloquio, si lasciavano catturare dal suo personaggio un po' hobo - quel tipo di snob figlio di patrizi che passa qualche anno in una comunità in Siria e poi torna con una certa aria di saggezza e i pidocchi nella barba - ne adottavano i costumi vegetariani, e dopo un po' rischiavano di lasciarci le penne. La giovane Blesilla ci restò secca davvero, dopo qualche mese di dieta, e Girolamo cadde in disgrazia: dovette abbandonare la città. Non aveva ancora quarant'anni ed era già stato segretario particolare di un Papa, il padre Georg di Damaso I; alla morte di Damaso alcuni lo davano già per papabile, ma appunto: i romani possono sopportare molte cose, ma un papa convinto che nell'attesa del Regno dei Cieli imminente non sia più concesso mangiar carne, eh, grazie, anche no. Girolamo se ne tornò nei deserti della sua giovinezza tormentata, la cristianità ci perse un papa vegetariano e ci guadagnò la miglior Bibbia che poteva permettersi. Perché Girolamo, riparato a Betlemme, non ebbe più niente di meglio che riprendere le sue traduzioni del testo sacro in latino, rimaneggiarle ed espanderle. Ci mise altri quindici anni, ma alla fine la latinità aveva un testo leggibile, organico, comprensibile, alla portata di tutti (Vulgata, lo chiamarono), e a suo modo elegante, come doveva essere stato elegante quel patrizio romano sotto gli stracci da asceta che ostentava nei circoli romani.
L'influenza di Girolamo sulla lingua che parliamo milleseicento anni dopo è incalcolabile. Nel senso che davvero è impossibile calcolare quante parole gli dobbiamo. Un esempio qualsiasi, su milioni che si potrebbero fare: l'aggettivo "geloso". Deriva da "zelotes", un termine che compare due volte nell'Esodo tradotto da Girolamo; in entrambi i casi è riferito a Dio, e in entrambi i casi Dio sta chiedendo al suo popolo di non avere altro Dio. Insomma la prima gelosia della storia è la gelosia divina, di un Dio che si considera Unico ma evidentemente non ne è troppo sicuro - sennò tanta gelosia non avrebbe un senso. Prima della vulgata i latini non avevano una parola per "gelosia": ne avevano il concetto? A leggere Catullo pare proprio di sì, ma così come non marcavano una netta distinzione tra l'azzurro e il verde, gli autori classici non danno la sensazione di distinguere nettamente invidia e gelosia. Forse i concetti sono dei grumi di senso che prendono forma intorno alle parole: finché non esiste una parola, non c'è nemmeno il concetto. Forse non avremmo il concetto di gelosia, se Girolamo non avesse deciso di tradurre un certo termine ebraico in un certo modo.
È da un po' che scrivo storie di santi sul Post. All'inizio non sapevo bene dove sarei andato a parare, ho proceduto per tentativi. A distanza di qualche tempo mi sembra che il metodo sviluppato consista nella simpatia: si prende un uomo o una donna vissuti secoli o millenni fa, in contesti radicalmente diversi, e si tenta di trovarli simpatici. A volte la cosa è fattibile, altre volte è così disperata che diventa divertente. Come metodo, è il meno serio e il più anti-storico che si possa adottare. Le persone nate secoli fa, in contesti alieni, sono alieni. Non parlano come noi, non pensano come noi, non mangiano le cose che mangiamo noi (Girolamo era vegetariano in un mondo senza pomodoro e senza pastasciutta). Trasformarli in figurine simpatiche (o antipatiche) non serve probabilmente a nulla. E in certi casi è veramente impossibile. Come si fa a provare simpatia per Girolamo, un fanatico ossessionato dall'inferno, che si fece mantenere per tutta la vita dalla nobildonna (Santa Paola) a cui aveva fatto perdere la figlia (Santa Blesilla)? C'è che contrariamente a tutte le aspettative, questo fanatico ossessionato è un grande intellettuale, un bravo scrittore, un incredibile traduttore. E la sua Bibbia in latino è un dono, prezioso anche per quelli che a milleseicento anni di distanza non si considerano cristiani.
Ai tempi del suo primo disperato pellegrinaggio nel deserto - durante il quale altri suoi amici erano morti di stenti - Girolamo aveva fatto un incubo, dopo una di quelle sere in cui prima di andare a letto si era messo a leggiucchiare un po' di Plauto, così, per prender sonno. Il sogno lo aveva catapultato alla corte di Cristo Re, che lo aveva interrogato: "sei forse tu cristiano?" "Mi sembra di sì", aveva risposto Girolamo, tremebondo. "Mi sembri piuttosto ciceroniano", aveva risposto il dio-magistrato, e ne aveva disposto l'immediata flagellazione. Girolamo, sanguinante, aveva promesso che non avrebbe toccato un autore pagano mai più, mai più: da lì in poi solo libri sacri. In pochi sogni come in questo vediamo un uomo tradirsi.
Perché il dio flagellatore aveva ragione: Girolamo era più di ogni altra cosa ciceroniano, e nessun digiuno, nessuna penitenza lo riuscirono a cambiare davvero. Sotto quella pelliccia puzzolente, il monaco traduttore era rimasto Eusebius Sophronius Hieronymus, una spia del classicismo greco-romano, infiltrata nel cuore più profondo del cristianesimo trionfante: la piccola cella di Betlemme dove stava prendendo forma la Vulgata. Nel giro di due secoli il testo avrebbe sbaragliato la concorrenza, diventando per un buon millennio l'unica Bibbia leggibile in Europa. Il libro di Dio, ma anche un po' di Cicerone. No, mettiamola così: il ciceronianesimo di Girolamo è un virus, rimasto in sonno per secoli prima di attivarsi. Finché il supporto rimase la pergamena, e i lettori poche migliaia in tutto il continente, quasi nessuno ci fece troppo caso. Ma quando arrivò Gutenberg, e la stampa a caratteri mobili, il virus dilagò. Era il virus del pensiero critico.
Come animale da compagnia, un leone vegetariano. Il problema coi leoni vegetariani è che mangiano chili di cespugli al giorno, e hanno continuamente una spina da farsi cavare, e tu intanto stai cercando di capire le unità di misura del Levitico |
Ci sono stati nella Storia dell'uomo altri traduttori di libri sacri. Siccome i libri di questo tipo durano molto, e nel frattempo non cambia solo la lingua, ma anche la cultura, il modo di pensare... di solito tradurli è l'occasione per riammodernarli un po', magari per riscrivere intere parti da capo. Girolamo sapeva bene, per esempio, che quando i greci avevano tradotto la Bibbia ebraica, l'avevano un po' aggiornata, togliendo magari qualche riferimento messianico che loro non capivano e che invece a lui premeva molto. Girolamo crede, indiscutibilmente crede, che l'autore della Bibbia ebraica sia Dio, e che quindi sia necessario ripartire da là: ma l'ebraico è difficile, e Girolamo non si fida veramente di nessuna delle sue fonti: non degli ebrei suoi contemporanei, non dei Greci, non del saggio Origene che aveva fatto uno splendido lavoro accostando tutte le traduzioni conosciute, ma era anche lui in odore di eresia... Diffidando di tutti, Girolamo è costretto a metterli a confronto, e a inventare un metodo filologico che poi ci servirà a restaurare tutti i classici, Cicerone incluso.
Ma quel che forse è più importante, e che lo rende il Santo dei traduttori, è che Girolamo diffida anche di sé stesso. Altri, prima di lui, avevano risolto i dilemmi di interpretazione lasciandosi semplicemente ispirare dalla Divinità. Lui no, lui traduce a senso, anche quando il senso magari non gli piace. Non è un profeta, non cerca Dio nella sua testa: Dio sta fuori, Dio ha scritto un libro, Girolamo deve capire cosa c'è scritto senza lasciarsi tentare dal demone dell'interpretazione. Nelle sue mani, la Bibbia diventa latina, ma non si evolve. Non si adatta alla cultura della civiltà tardoantica. Rimane un ingombrante centone di miti ebraici totalmente sganciati dalla quotidianità dei cristiani: qualcosa di oggettivamente difficile da manovrare, che rimarrà per secoli incastonato nella liturgia come un meteorite piovuto dal cielo. Nella maggior parte del testo, il Dio di cui si parla non è quello dei cristiani: a volte è buono e misericordioso, altre volte è mandante di genocidi; il più delle volte non si capisce cosa pretenda e con chi ce l'abbia, tutti i popoli di cui si parla sono lontani nella Storia e nella geografia. Dopo un migliaio di pagine così (intervallate da qualche salmo commovente, qualche onesta riflessione sulla condizione umana, qualche poesiola d'amore, qualche proverbio abbastanza banale), arriva Gesù - ma persino le storie di Gesù non sono affatto raccontate in modo univoco e coerente. C'è un sacco di contraddizioni, e Girolamo le avrebbe potute risolvere: chi meglio di lui?
Un piccolo esempio, di cui abbiamo parlato altre volte: i fratelli di Gesù. Tutti quelli che nei secoli hanno difeso la verginità della Madonna, si sono scontrati contro quei versetti in cui si dice, chiaramente, che Gesù aveva dei fratelli. Non c'è niente da fare, il testo dice così: hai voglia a dire che magari gli evangelisti intendevano "cugini", "amici", "discepoli", no: c'è scritto fratelli, punto. Ma chi l'ha scritto? Girolamo era nella stanza dei bottoni (o meglio nella cella dei papiri), Girolamo avrebbe potuto cambiare. Certo, ci sarebbe stata qualche polemica, Agostino avrebbe storto il naso... ma nel giro di qualche secolo tutto sarebbe stato risolto, un testo meno contraddittorio avrebbe fatto comodo a tutti. Bastava convincersi che quel "fratelli" era un evidente sinonimo di cugini, le religioni sono piene di gente che si convince di cose così, ma Girolamo non era quel tipo di fanatico. Tradusse "fratelli", e "fratelli" rimase. Sotto quella pellaccia livida di tutte le frustate che si autoinfliggeva per aver esagerato a condire la lattughina, sotto tutto il suo cristianesimo furioso e militante, Girolamo Eusebio Sofronio era rimasto un filologo. Classico. Ciceroniano. Se oggi leggiamo la Bibbia, e ci troviamo i migliori argomenti per non dare retta ai preti, lo dobbiamo a lui, che poteva sostituirla con un bel catechismo edificante, ma non ne era in grado. Tra l'amore per la Chiesa e quello per la lettera del testo, Girolamo scelse il secondo, e lo sapeva: almeno nei sogni.
martedì 29 settembre 2020
Piccole, scomode e costose
"Allora ragazzi ora passo a distribuirvi le mascherine per la prossima settimana".
"Ma prof".
"Che c'è?"
"Sono piccole".
"Beh, è chiaro".
"Sono scomode".
"Ovviamente".
"Ma ve le hanno regalate?"
"No, credo che le abbiamo pure pagate troppo".
"Ma che senso ha?"
"In realtà ha molto senso. Sono le mascherine della Fiat".
"Della Fiat?"
"Troppo piccole, scomode, e costano troppo allo Stato. Classiche Fiat".
"Ma..."
"Alla prossima".
lunedì 28 settembre 2020
sabato 19 settembre 2020
Un vecchio sfatto spettinato che si aggira nel piazzale la mattina
"No, sono venuti i ragazzi della prima X, quelle che stanno al piano di sotto".
"Eh, non li conosco ancora tanto bene".
"Dicono che quando arrivano la mattina nel piazzale ci trovano spesso un tizio... sempre lo stesso".
"Sempre lo stesso tizio".
"Un vecchio, dicono".
"Sempre lo stesso vecchio. Ma vecchio in che senso?"
"Non saprei... ha la barba bianca, dicono".
"Sempre lo stesso vecchio con la barba bianca la mattina nel piazzale".
"Che li guarda, li osserva, non lo so".
"Sempre lo stesso vecchio con la barba bianca e un'aria controllora".
"La faccia un po' sfatta, spettinato".
"Sempre lo stesso biancobarbuto dall'aria controllora, sfatto spettinato".
"Proponevano di chiamare i vigili".
"No, i vigili no".
"Ma infatti anch'io ho detto aspettiamo, magari fategli delle foto".
"No, meglio di no. Un vecchio sfatto spettinato barba bianca".
"Così le mandano ai vigili".
"No, non devono mandare ai vigili foto di un vecchio sfatto spettinato biancobarbuto che si aggira nel piazzale la mattina".
"E perché no?"
"Perché sono io".
"Oh".
"Eh".
"Non ci avevo pensato, professore".
"E meno male, che mi vede ancora con altri occhi".
"Eh?"
"Niente, niente. La fotocopiatrice invece, tutto ok?"
"Un po' sbiadita ormai".
"Quello si risolve".
venerdì 18 settembre 2020
Hai visto Giuseppe volare?
La sua gabbia a Osimo. Neanche un trespolo. |
[2014]. Comporre le classi, in particolare le prime medie, è più un'arte che una scienza. Non ci sono parametri oggettivi, non c'è modo di sapere se quello che stai facendo funzionerà o no. Rimane una regola empirica, valida in questo e in tanti altri campi: se alla fine tutti si lamentano, è un buon segno. In effetti quando si lamentano in pochi è palese che è stata commessa un'ingiustizia: qualcuno è stato favorito rispetto a qualcun altro, ecco perché non si lamenta. Se si lamentano tutti almeno sei sicuro di non aver favorito nessuno, il che è già qualcosa.
Una delle difficoltà fondamentali, quando componi le classi, è far vuotare il sacco alle maestre elementari. Esse sanno molto degli elementi che tu devi mescolare in un pastone il più possibile uniforme. Sanno senz'altro distinguere i ragazzi talentuosi e i criminali in erba, e tuttavia neanche sotto tortura ti diranno "Omar Pascià è un ragazzo talentuoso!" o "Livio Barazzutti è un criminale in erba". Li hanno avuti in custodia per cinque e più anni, e quindi non glieli tocchi, sono i loro bambini. Sono tutti bravissimi. Sono tutti meravigliosi. Al limite, a volte, aggiungeranno espressioni sibilline come "...è da capire". Per intenderci: se la sua maestra dice che Livio "è da capire", Livio non è semplicemente da capire. È da guardare a vista per evitare che mangi gli altri bambini, o i loro astucci, o li faccia mangiare agli altri bambini (i loro astucci).
"E Giuseppe?"
"Eh, Giuseppe, Giuseppe... è meraviglioso".
"Naturale. Ma a parte questo? Morde?"
"No... no... tendenzialmente no".
"Tendenzialmente".
"È un ragazzo straordinario, con una sensibilità, una fantasia..."
"Quindi non lo mettiamo in prima X".
"Ma no, perché?"
"Perché sarebbe il ventesimo straordinario, sensibile e dotato di fantasia. Anzi facciamo così: da qui in poi, mi dici soltanto quando non sono straordinari e sensibili. Se non dici niente do per scontato che sono straordinari e sensibili. C'è il completamento automatico, vedi?"
"Però Giusi non è come gli altri, lui è un po' di più... come dire..."
"Più sensibile?"
"Insomma va capito".
"O mio dio. Un altro?"
"Ma no, non in quel senso..."
"Non è un maniaco oppositivo violento, mi vuoi dire".
"No, tendenzialmente..."
"Tendenzialmente".
"Anche la neuropsichiatra ci ha confermato che è tutto a posto, non ha niente che..."
"Ehi ehi ehi, ferma, è uno da neuropsichiatria?"
"No, no, assolutamente".
"Ma qualcuno ce l'ha portato".
"La famiglia forse, noi non c'entriamo, per noi era solo un ragazzo che..."
"Senti, ne ho altri settanta da piazzare entro sabato, e non è che io voglia sapere vita morte miracoli. Soltanto se graffia o no".
"Non graffia".
"Oh, grazie".
"Però... vola un po', ecco".
"Ricevuto, lo mettiamo al piano terra".
Portatelo giù. |
Giuseppe da Copertino volava. Per un santo è quasi una cosa banale. Un po' meno banale è il modo in cui confratelli e gerarchie reagivano al miracolo: con fastidio. Il francescano volante passò parecchio tempo in gabbia. Dopo aver tanto penato sui libri per riuscire a diventare sacerdote, alla fine gli toccò officiare nella sua cella, da solo. Questa cosa di levitare a ogni menzione della Madonna o di Gesù, o anche solo per aver fissato un'immaginetta santa, dopo un po' riusciva snervante. Ok, lo abbiamo capito, sei santo, ma adesso vieni giù, comportati come una persona normale. No, niente da fare. Giuseppe non ce la faceva. Guarda che chiamiamo l'Inquisizione!
Per fortuna quella spagnola era impegnata. Si scomodò l'Inquisizione napoletana, forse meno intransigente. Ma chi è questo tizio? Perché non riesce a star fermo? Siamo nel Seicento, è un po' prestino per diagnosticare un deficit dell'attenzione."Non riesce a farci niente. Anche mentre gli parli: un momento è qui che ti ascolta, l'attimo dopo è in orbita".
"Ha sempre fatto così?"
"Difficile dirlo, ha già cambiato molte classi... volevo dire, molti conventi".
"Ahi".
"Copertino (Lecce), Martina Franca, Roma, Assisi, Pietrarubbia, Fossombrone, Osimo..."
"Non riesce a tenerlo nessuno. Nel faldone cosa c'è scritto?"
"Bambino meraviglioso"
"Naturale. E poi?"
La modesta sede della Apple a Cupertino (il nome della località deriva da un fiume che un cartografo spagnolo dedicò a "San José de Cupertino"). |
"Un po' distratto. I compagni di banco lo chiamavano "Boccaperta", forse perché a volte si scordava di chiuderla".
"Sintomatico. E com'è che è diventato sacerdote?"
"Eh, vossignoria lo saprà meglio di me: Dio ci chiama e noi..."
"E noi dobbiamo studiare e passare esami di latino e teologia. Spiegatemi come ha fatto a passarli questo bifolco che non riesce a star fermo sul banco neanche a legarlo".
"Pare che sia stato un miracolo".
"Ma guarda".
"Lui racconta di aver penato molto sui libri, invano".
"Sì ma non siamo nell'Ottocento romantico, tutte queste menate sul buon selvaggio che riesce a diventare un buon curato di campagna anche se non gli entra in testa il periodo ipotetico del terzo tipo non le capiamo. Com'è andata davvero questa cosa, spiegate per filo e per segno".
"Dunque... lui era già stato espulso dal convento di Martina Franca perché rompeva i piatti".
"I piatti?"
"Non riusciva a lavarli senza romperli. Pare che andasse in estasi anche mentre li sfregava".
"Ma potrebbe persino essere epilessia. E lo abbiamo fatto prete?"
"No, anzi, i confratelli lo rimandarono a casa coi cocci ancora impigliati al saio. Ma lui a casa non ci poteva stare".
"E perché no?"
"Orfano di padre debitore. C'è una sentenza del tribunale supremo di Napoli che in pratica lo obbliga a lavorare finché non avrà saldato il debito del padre. L'unico modo di scamparla..."
"Era farsi frate".
"Quelli della Grottella si impietosiscono e lo riprendono. Ma siccome in cucina rompe tutto, pensano bene di farlo studiare".
"Meglio che rompa i libri che le scodelle".
"Dopo tre anni passa a fare l'esame per il diaconato il vescovo in persona".
"Com'è andata?"
"Un miracolo! Il vescovo apre il messale a caso e chiede a Giuseppe di spiegare il vangelo. Esce Luca 1,42".
"La Visitazione".
"Era l'unica pagina che Giuseppe era riuscito a memorizzare".
"Magari sullo stesso messale".
"In che senso?"
"Che se era l'unica, magari aveva dovuto aprirla spesso, e i messali si aprono più facilmente nella pagina che è rimasta aperta più tempo".
"Beh, in effetti questo potrebbe spiegare l'esame per il diaconato, ma poi... è diventato presbitero".
"Ecco. Ci piacerebbe capire come ha fatto. Un altro miracolo?"
"Di nuovo in presenza del vescovo. Sono tutti preparatissimi tranne Giuseppe. Il vescovo interroga i primi tre. Sanno tutto. Va bene, dice, si vede che siete una classe che studia. E se ne va".
"Questo è il miracolo?"
"Così lo raccontano".
"Le scuole migliori del mondo, abbiamo".
"E infatti produciamo santi che il mondo ci invidia. Ma adesso che si fa?"
"Che si fa. Che si fa. È una parola".
"Vossignoria, non è un modo di dire, siete l'Inquisizione. Se lo volete bruciare, dite solo una parola e appena viene giù lo mettiamo sulla pira".
"Ma come si fa... cioè, a parte volare e sfangare gli esami, ha mai fatto qualcosa di male? Morde?"
"Lui? No, macché... è buono come il pane".
"Predica al volgo? Non vorrei che mettesse in giro qualche fesseria sediziosa o rivoluzionaria, non sarebbe nemmeno il primo".
"No, no, è tranquillo. Parla agli animali".
"Ah, meno male. Ci piacciono quelli che parlano con gli animali".
"In effetti danno molti meno problemi".
"È proprio una pratica da incoraggiare, l'animaloterapia. Stiamo riscrivendo anche la storia del vostro fondatore in tal senso".
"Francesco?"
"Gli facciamo parlare un sacco con gli animali, così dà l'esempio".
"Tornando a Giuseppe..."
"Massì, che ci volete fare, è solo un poveretto che non riesce a star fermo in un posto. Mettetelo in una cella col soffitto non troppo basso e abbiate cura che non dica o faccia troppe scempiaggini. Al limite quando muore lo facciamo santo".
"Lui i soffitti proprio non li sopporta. Ci picchia contro, si fa male".
"E che vi devo dire. Siamo nel Seicento, non ci sarà ritalin in circolazione per quasi tre secoli, che altro dovremmo fare? Lo incateniamo?"
"E se lo lasciassimo libero?"
"Libero di fare che?"
"Di volare dove vuole".
"Ma non dite fesserie, siamo l'Inquisizione noi. La gente non vola".
"Infatti è un miracolo".
"Proprio per questo deve restare una cosa rara. Un poveretto che vola è un miracolo. Un popolo di poveretti che volano è l'anarchia".
"Uff".
"Non è contento".
"In coscienza, mica tanto".
"Meglio così, se vi lamentate in tanti è segno che facciamo un buon lavoro".
"Questa cosa di scontentare più gente possibile, se devo essere sincero..."
"Deve"
"...io non l'ho capita tanto".
"Capirà, capirà, se resta a terra prima o poi capisce tutto".
lunedì 14 settembre 2020
Cos'è una croce?
Velazquez |
E dovunque da loro troverai l’albero della vita, e la resurrezione della carne dall’albero: questo, credo, perché il loro maestro fu inchiodato alla croce ed era di professione carpentiere. Così, se per caso egli fosse stato buttato giù da un dirupo, o spinto in un burrone, o strangolato con un capestro, o fosse stato ciabattino oppure scalpellino o fabbro, al di sopra dei cieli vi sarebbe un... dirupo di vita? O un burrone di resurrezione? O una corda di immortalità, o una pietra beata, o un ferro d’amore, o un cuoio santo? Ma quale vecchia intenta a canticchiare una fiaba per ninnare un bambino non si vergognerebbe di sussurrare cose del genere?Il salto bimillenario tra Celso e Böll è dovuto - oltre alla mia ignoranza - dal fatto che in mezzo c'è stato un periodo in cui in Europa davvero, scherzare sul crocefisso non era molto consigliabile - meno di quanto lo sia oggi satirizzare su Maometto e la sua barba. Lo stesso Celso non ha avuto molta fortuna: la sua opera ha circolato liberamente finché i cristiani non hanno preso il possesso delle biblioteche, poi è rapidamente scomparsa. I frammenti che ci sono rimasti li ha salvati il suo miglior nemico, Origene, che per confutarlo scrisse un intero trattato, in cui non poteva evitare di citarlo. Se solo la Chiesa avesse avuto più apologeti alla Origene, e meno censori e raschiatori di codici antichi... ma raschiare è un risparmio, confutare è faticoso, insomma, è andata così.
Un politico italiano in un'apparizione pubblica, ai tempi della prima sentenza. |
Che il crocefisso, l'effigie di un cadavere esposta alla venerazione, sia qualcosa di scandaloso non è dunque una scoperta di Luttazzi. Lo era ai tempi di Paolo di Tarso, (1 Corinzi 22-24) lo era tre anni fa quando una signora italo-finlandese rivolse alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo più o meno il seguente quesito: mio figlio in Italia è costretto a studiare in una stanza dove è appeso il similacro di un uomo torturato e sanguinante, è legale questa cosa? La Corte in un primo momento disse no, sollevando un polverone che si era già abbondantemente posato quando nel marzo 2011 cambiò idea (il che è sempre sbagliato, parlo per me: il crocefisso appeso non mi dà fastidio, me ne danno di più i giudici che cambiano idea). Nel frattempo in molte aule e luoghi pubblici il simulacro continua a essere esposto con i chiodi e le ferite e tutto quanto. A causa di un bizzarro fenomeno di assuefazione culturale, la maggior parte degli italiani (e dei cattolici in generale, forse) non ci fa caso. Ovvero: facciamo tutti caso a un crocefisso, quando c'è, e magari litighiamo sul suo significato politico-storico-religioso-identitario, ma non lo guardiamo mai veramente per quel che è. Il fatto che descriva, con orripilante realismo, l'aspetto di un uomo torturato a morte, non colpisce quasi mai la nostra attenzione. Bisogna che arrivi Daniele Luttazzi con una battuta (o Paolo Poli, o Lenny Bruce, o chi volete).
Ma li inchiodavano davvero? In Giudea sì: il reperto a destra (I sec. dC) è stato ritrovato in Israele (a sinistra una ricostruzione). |
"Prega il tuo Dio, Alessameno!" |
venerdì 11 settembre 2020
September Spleen
"Giusto te. Hai tempo?"
"No".
"Mi servi lo stesso. Ci servono le planimetrie..."
"I colleghi vogliono sapere per l'orario dell'intervallo".
"L'orario per l'intervallo lo facciamo con calma".
"Con calma in che senso, è venerdì, lunedì comincia tutto, abbiamo venti classi su due piani e devono tutti fare l'intervallo in uno spaziotempo diverso..."
"Per fare l'intervallo devono essere entrati, no?"
"Me lo stai chiedendo? Certo che devono essere entrati".
"E allora prima di organizzare gli intervalli dobbiamo rivedere lo schema delle entrate".
"Di nuovo?"
"L'ingresso nord non è più disponibile".
"Ma come, i frati avevano promesso..."
"L'assicurazione non copre gli studenti nel tragitto".
"Sono venti metri".
"Dobbiamo rifare lo schema delle entrate".
"Ma tra dieci minuti sono in call con gli elettricisti".
"E allora dobbiamo sbrigarci. Ricapitolando: venti classi, tre ingressi perché i frati non ci aprono il quarto, devono entrare tutti in venti minuti in fila indiana a un braccio di distanza".
"Non ce la possiamo fare".
"Se facciamo passare il corso B tra la biblioteca e il muro di cinta?"
"Tra la biblioteca e il muro di cinta ci sono i cassonetti".
"E li facciamo spostare".
"I bidelli sono in agitazione".
"E li calmiamo".
"È un incubo".
"Ci servono le planimetrie, hai un'idea di dove potrebbero..."
"Lo sapeva la Cosa, ma è andata in pensione, prova a guardare nel suo armadio".
"Oddio ma che è questa roba".
"Piano d'emergenza... ma questa non è la planimetria della nostra scuola".
"Sicuro?"
"È rettangolare".
"Aspetta sono i prefabbricati del terremoto".
"Aaaaah, il terremoto".
"Bei tempi".
"E poi qui che c'è? È un piano per l'antiterrorismo?"
"Abbiamo avuto un'emergenza terrorismo?"
"Non saprei, magari è solo un piano che non è mai stato applicato...c'è scritto qualcosa sui cestini della spazzatura nei luoghi pubblici. Andavano tolti".
"Tolti i cestini? E perché?"
"Ma che ne so, è roba vecchia... 2001".
"C'è stata un'emergenza antiterrorismo nel 2001?"
"A quanto pare".
"Bei tempi comunque".
"Bei tempi sì".
mercoledì 9 settembre 2020
Mi piacerebbe riaccenderti
1. A Day in the Life (Lennon-McCartney, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, 1967).
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band non è il miglior disco dei Beatles, a quanto pare. Benché molti critici continuino a preferirlo a Revolver, quando poi si tratta di mettere in fila le canzoni succede quello che avete visto: Revolver ha due brani nei primi cinque posti, Sgt. Pepper salva la faccia col primo posto, ma per trovarne un altro (Lucy) bisogna scendere fino alla trentaseiesima posizione. Se volessimo fare una classifica degli album per piazzamento medio (una cosa che avrebbe ancor meno senso di quello che abbiamo fatto fin qui), Sgt Pepper sarebbe superato non solo da Revolver ma persino dalla versione USA del Magical Mystery Tour, che però più che un album è una compilation. Il tutto ci autorizza a pensare che alla fine la superiorità di Sgt Pepper stia più nella confezione che nella qualità delle canzoni: il famoso Concetto. A Day in the Life non ne fa nemmeno parte: è una specie di bonus, ma che razza di bonus. Fu la prima canzone che incisero, in un momento in cui non sapevano ancora esattamente che disco volevano fare – a dire il vero non hanno mai saputo esattamente che disco volessero fare, ma dopo aver inciso A Day in the Life erano persuasi che comunque sarebbe stato un capolavoro.
A Day in the Life è il brano migliore dei Beatles. Perlomeno è quello che risulta dalle classifiche pubblicate on line dalle testate specializzate. A Day è in testa alla classifica di Vulture.com, di Ultimate Classic Rock, di Rolling Stone, di Usa Today, di Mojo e di Time Out. Solo quegli irriverenti ragazzacci del New Musical Express hanno concepito il pensiero trasgressivo di inserirla al secondo posto (dietro a Strawberry Fields), come del resto Entertainment Weekly (dietro a A Hard Day's Night). Insomma, intorno a questa cosa abbastanza fatua di scegliere la migliore canzone dei Beatles – una trovata che si fa apposta per generare discussione, e quindi via libera ai pareri più strampalati, in teoria – in pratica c'è un consenso tra gli esperti che raramente troveremmo quando si tratta di giudicare cose più serie. Questo malgrado A Day non sia poi una scelta così scontata e soprattutto popolare: ho il sospetto che molti ascoltatori distratti, in grado di riconoscere dalle prime note Yesterday o persino Ticket to Ride, potrebbero non identificarla (anche se riconoscerebbero la voce di Lennon). A Day in the Life è un esperimento che mette assieme cose che visibilmente assieme all'inizio non stavano; è tutto fuorché una canzone perfetta; cosa la rende allora una risposta quasi obbligata alla domanda "La migliore canzone dei Beatles", almeno per i critici?
A Day è tante cose, ma di sicuro non è la solita canzoncina per teenager. Non è neanche uno di quei motivetti svenevoli con cui Paul voleva conquistare i loro genitori. I Beatles sono la band più popolare del mondo, ma A Day in the Life non è un pezzo popolare, anzi: mobilitare una mezza orchestra solo per farla esplodere in un crescendo è una mossa orgogliosamente impopolare. Siamo i Beatles, possiamo fare tutto, e ora faremo esplodere il giocattolo. Avanguardia. Chi sceglie A Day in the Life ci tiene a ribadire questa cosa: i Beatles sono stati anche avanguardia. E noi che li studiamo, noi che compiliamo le classifiche: noi siamo gente seria.
In A Day si materializza per la prima volta sui solchi l'immagine del Lennon maturo, quello che più spesso associamo ai brani più famosi della sua carriera solista. Può trattarsi di naturale maturazione, o forse ad affiorare è un John che è sempre esistito, ma che fin qui non aveva avuto spazio e tempo per esprimersi. Sappiamo che diverse sue canzoni erano nate 'lente' nella sua testa, e successivamente accelerate su insistenza dei colleghi a cui servivano brani veloci ed eccitanti. Non sappiamo come suonasse, per esempio, Help!, la prima volta che la suonò. Ma A Day in the Life comincia con una progressione molto simile. Non solo: fosse uscito Sgt. Pepper anche solo venti giorni prima, i Beatles avrebbero potuto legittimamente rivendicare di essere stati il primo gruppo rock a costruire un brano intorno alla progressione del secondo movimento della Suite orchestrale n. 3 in Re maggiore (BWV 1068), di Johann Sebastian Bach, meglio nota in Italia come Aria sulla IV corda e, ancor meglio, Sigla di Superquark.
Ma Sgt. Pepper uscì il 26 maggio, quando ormai da due settimane l'etere inglese era irradiato dal successo dei Procol Harum, A Whiter Shade of Pale: un brano tra l'altro molto apprezzato sia da McCartney sia da Lennon. Quest'ultimo che si sappia non ha mai rimarcato la somiglianza: a differenza di Matthew Fisher e Gary Brooker, i due tastieristi dei Procol Harum, Lennon non aveva la cultura musicale necessaria per rendersi conto del prestito: era arrivato a Bach da solo, da autodidatta. Era alla ricerca di un tono greve, per commentare un fatto tragico che poteva averlo scosso (“I read the news today, oh boy”): l'incidente stradale in cui era morto il ventunenne Tara Browne, nobile anglo-irlandese e irruente protagonista della Swinging London (“He blew his mind out in a car”). Tara era stato l'iniziatore di Paul McCartney all'uso dell'LSD; McCartney ha sempre negato che la canzone parlasse di lui, anche perché in caso contrario bisognerebbe accettare il fatto che davanti alla notizia “abbastanza triste” Lennon non riesca a trattenere una risata (“Well, I just had to laugh”). E però sappiamo dall'intervista del 1970 che una reazione così incongrua è esattamente quella che Lennon sperimentava quando “moriva qualcuno vicino a lui”. “C'è una specie di risolino isterico, hi hi, sono felice che non sia toccato a me, quel buffo sentimento quando muore qualcuno vicino a te”. Lennon in questo caso si riferiva a Brian Epstein: A Day in the Life fu suonata al suo funerale.
Tara Browne |
Come scrivono su UCR: "Art Pop doesn't get better than this". A Day in the Life è un oggetto artistico, cosa che magari non sarebbe facile dire per I Want to Hold Your Hand. Più che ascoltarla forse dovremmo appenderla in soggiorno. I Beatles sono sempre stati artisti sperimentali, anche quando la loro arte era ondeggiare il caschetto e cantare “yeh-yeh”: hanno sempre tentato cose nuove, e delle loro innovazioni hanno fatto tesoro tutti. Ma è all'altezza di Sgt. Pepper che l'innovazione diventa uno spettacolo in sé. A Day non è più evoluzione, è un gesto di ribellione nei confronti della forma canzone, è un taglio di Fontana, un papier collé di Picasso: e come in quei casi si presta molto bene a diventare un feticcio, i critici vanno matti per questo genere di cose.
Tutto questo però si potrebbe benissimo dire anche per Tomorrow Never Knows, che però non è prima in nessuna lista. A Day in the Life invece è un'ottima scelta per il primo posto perché sembra contenere tutti i Beatles. Scegliendo A Day si riesce nell'impresa impossibile di tenere assieme sperimentazione e melodia, orchestrazione e urlo primordiale. A Day in the Life è anche, malgrado i giochi di parole di John, un pezzo serio, persino lugubre: tanto più rilevante in un disco di allegre buffonate come Sgt. Pepper. L'urlo di John tradisce un senso di tragedia che non ti saresti mai aspettato in un disco rock. E tutte queste cose i critici le apprezzano. Voi che non lo siete, siete liberi di continuare a preferire Yesterday, Yellow Submarine, perfino Obladì Obladà – non vi giudica nessuno. Di sicuro non io. Io cercavo solo una scusa per scrivere qualche pezzo sui Beatles. Spero di avervi acceso qualcosa (come lo tradurreste "turn you on")? Alla prossima.
lunedì 7 settembre 2020
Nulla per cui impiccarsi
sabato 5 settembre 2020
Ridurre i parlamentari per rendere più efficiente... la corruzione
Capita così di leggere le più fantasiose giustificazioni, tutte belle documentate come se la politica fosse una scienza esatta – io per fortuna ho ancora un mestiere e poco tempo da dedicarci, così mi perdo tutti i link, ad esempio mi piacerebbe onestamente ritrovare il pezzo di un ingegnere convinto che con meno parlamentari si sarebbe ridotta la corruzione. Della serie, per ridurre le rapine in banca riduciamo gli sportelli. No in realtà era meno cretina di così, aveva trovato un paper basato sugli enti locali in Svezia (e già qui dovrebbe suonare un campanello d'allarme) che dimostrava che gli enti con più rappresentanti erano più corrotti. Mi domando se il caso non ricada nel solito paradosso: un ente risulta più corrotto se per esempio sono state sporte più denunce, se vi sono stati processi e soprattutto condanne per corruzione – ovvero se in quell'ente la corruzione è percepita come un problema dall'utenza e dalla magistratura. Un ente potrebbe anche risultare "non corrotto" perché nessuno ha più la volontà di denunciare e indagare. A parte questo, resta abbastanza ovvio che più sono i rappresentanti, più aumenta la possibilità che qualcuno si lasci corrompere. Ma questo deve automaticamente significare che basta ridurli per risolvere il problema? Basta rifletterci un attimo per accorgersi che potrebbe essere vero l'esatto contrario.
Cos'è la corruzione? Banalmente, si tratta di offrire un premio a un rappresentante affinché favorisca i miei affari particolari a scapito di quelli della collettività che rappresenta. Sotto un certo limite il fenomeno è perfettamente legale e prende il nome di lobbying. Corruzione e lobbying sono connaturate alla democrazia: il solo fatto che esistano rappresentanti a cui è delegata la facoltà legislatrice rende possibile e persino auspicabile che i cittadini si rivolgano a essi creando gruppi di pressione. Il punto rimane sempre lo stesso, sin dai tempi delle polis: come evitare che i cittadini più abbienti creino, grazie alle loro ricchezze, dei gruppi di pressione più convincenti? E sin dall'inizio la soluzione non fu diminuire i rappresentanti, ma aumentarli. Per il banale motivo che aumentando il personale, la corruzione diviene via via meno efficiente.
Non si tratta di rendere impossibile la corruzione, ma di renderla troppo costosa e inefficace. Se voglio convincere un Consiglio a far passare la nuova cinta muraria attraverso i miei pascoli (in modo da difenderli e da farmi intascare un indennizzo), io posso offrire un agnello a ogni membro del consiglio – se fossero dieci membri mi potrebbero bastare sei agnelli; se fossero venti me ne servirebbero undici – se sono cinquecento è meglio lasciar perdere. Chi fosse realmente preoccupato dal fenomeno della corruzione dovrebbe chiedere di aumentare, e non ridurre il numero dei parlamentari. Viceversa, chi li vuole ridurre, magari è convinto in buona fede di combattere la corruzione, ma quel che ottiene realmente è di renderla più efficiente. Più che disincentivare la corruzione, per loro si tratta di mantenerla entro dimensioni ragionevoli, insomma di far spendere meno in bustarelle.
Se poi sono gli stessi che cercano di spiegarti che questi rappresentanti devono essere poco pagati, e quindi più facilmente tentati dalle elargizioni, ecco, hai già capito il brodo culturale in cui hanno preso forma personaggi come Casaleggio: una piccola-media impresa che vorrebbe avere come controparte una piccola-media politica da lobbizzare con piccole-medie bustarelle. Io voto no.
venerdì 4 settembre 2020
Questo referendum è imbarazzante
Quando qualche esperto cercherà di convincervi del contrario, cercate di capire di cosa esattamente è esperto, e se non è stato inviato da qualche tipo di concorrenza della democrazia parlamentare. Sgombriamo subito il campo dall'argomento più scemo: che il taglio di 300 rappresentanti comporti un risparmio. Anche volendo ipotizzare una produttività uguale a zero, ovvero ammettendo (e non concedendo) che i parlamentari durante il loro mandato non facciano niente, questo risparmio per le tasche dei contribuenti sarebbe irrisorio: più o meno un euro all'anno per ogni cittadino. Ma siccome qualcosa questi legislatori lo fanno, e persino i più ottusi tra i grillini se ne sono accorti, dobbiamo pensare che questo euro ci costerà un peggioramento della qualità della nostra legislazione. Non solo, ma una riduzione di un terzo del parlamento porterà necessariamente le attuali forze politiche a ridiscutere sulla legge elettorale e sull'assetto costituzionale, laddove le attuali forze politiche hanno già dimostrato in materia un'incompetenza che raggiunge e talvolta sorpassa la soglia dell'analfabetismo. Io non sono mai stato un feticista della "Costituzione più bella del mondo", ma lo sto diventando. Non sarà così bella ma mi ha salvato da Berlusconi al Quirinale, da Salvini a Palazzo Chigi e da qualche altro scenario da incubo. Abbiate pazienza se me la tengo ben stretta (continua).
giovedì 3 settembre 2020
Arrenditi al vuoto. Sta splendendo.
Non è morire. Tutte le canzoni dei Beatles sono esperimenti. Alcuni cercavano di ricreare il passato, ma molti guardavano verso il futuro, indicavano la forma che la musica avrebbe potuto prendere di lì a un mese, a un anno, a un decennio. Presto o tardi si sono realizzate. Tutte.
Sono nato nell'anno 4 dalla Caduta, credo che a questo punto possa essere utile saperlo. Ne avevo sette quando morì Lennon: non ho ricordi. Per me i Beatles sono sempre stati parte del paesaggio, tanto che in molti casi è stato difficile distinguerli da tutto il resto. Tutto quello che loro avevano realizzato sfidando il mercato e il ridicolo, quando cominciai ad ascoltare dischi risultava abbastanza normale. Era normale urlare "aiuto" in un singolo di successo, invocare la morte o la mamma; non era così strano cambiare tempo o tonalità. Obladì Obladà era l'ennesimo ska bianco dalla melodia facile e un po' scema: e il fatto che fosse il primo era una curiosità da eruditi. Helter Skelter sembrava metallo pesante, ma in giro c'era metallo ben più pesante. Gli inserti barocchi ormai erano un luogo comune della disco music. Quando iniziai ad ascoltare i Beatles, diciamo nell'anno 20 dopo Sgt. Pepper, tutte le profezie si erano già realizzate.
Tranne una. Quel brano assurdo alla fine di Revolver, con la voce di Lennon che sembrava uscire dagli altoparlanti di una discarica invasa dai gabbiani (c'è un suono in Tomorrow che da ragazzino ero convinto fosse il campionamento di un gabbiano e non riesco a convincermi del contrario). Ecco, Tomorrow Never Knows era l'unica canzone che non somigliava ancora a niente. E non mi dispiaceva.
Suppongo sia il motivo per cui la troviamo così in alto. Tomorrow è l'unico brano che agli ascoltatori della mia generazione è stato concesso di ascoltare prima che anche il suo potenziale profetico si realizzasse. È stata l'unica dimostrazione in diretta di quella cosa che avevamo dovuto imparare su libri o su riviste, ovvero che le promesse dei Beatles presto o tardi si avverano. E Tomorrow, quando si avverò? Quando fu raggiunta dall'orizzonte degli eventi, quando smise di essere una canzone sul Domani e diventò, anche lei, una canzone sullo Ieri?
Penso che abbia avuto a che fare con l'affiorare della rave culture a metà anni Novanta: il momento in cui progetti come Chemical Brothers o Prodigy sono diventati improvvisamente mainstream. Così, proprio nel momento in cui i palchi dei festival inglesi gruppi come gli Oasis riproponevano una versione addomesticata dei Beatles, come le mascotte di una specie di parco a tema sulla Swinging London, nei club della stessa città l'ultima profezia lennoniana veniva dissigillata, interpretata, consumata. Verso la metà degli anni Novanta comporre musica nuova significava ricomporre loop e, sorpresa, i primi a immaginare la musica come un montaggio di loop erano stati proprio i Beatles durante le sessioni di Revolver – peraltro senza troppo crederci: era un ripiego rispetto all'idea originale di Lennon che avrebbe avuto un coro di migliaia di bonzi tibetani. Difficilmente avrebbe funzionato così bene.
Tomorrow Never Knows ha l'efficacia dei brani jungle più riusciti di trent'anni dopo, che però potevano contare su apparecchiature ormai digitali in grado di sovrapporre quantità illimitate di piste. Geoff Emerick e McCartney potevano contare soltanto su un registratore a quattro piste, e i nastri andavano montati a mano. Che non si sia trattato di un lavoro semplice lo dimostra anche solo il fatto che la grande stagione della sperimentazione coi loop e i nastri finisce qui: persino in brani in un brano ancora orgogliosamente avangarde come Strawberry Fields il loro impiego sarà meno appariscente. Da Sgt Pepper in poi i Beatles esploreranno altri territori, ma non torneranno più veramente su questi, che a noi posteri sembrano i più estremi. Che non bastasse semplicemente montare un po' di casino con due o tre trovate di scena e gridare all'avanguardia lo dimostra una prova di lavorazione ripresa su Anthology: senza i 'gabbiani' e soprattutto il groove allucinato di Ringo, Lennon può salmodiare tutte le profonde verità che vuole, il brano non decolla. Ringo non è campionato ma si comporta esattamente come se lo fosse: (davvero, quanto era intuitivo quel ragazzo?) Il suo groove è la versione drogata di Ticket to Ride: in Ticket Ringo fingeva di attardarsi a zoppicare, qui accelera all'improvviso accennando uno sgambetto. Lennon spulciando dal Libro Tibetano dei Morti ci chiede di rilassare la mente, ma la sua asserzione è messa in crisi già dall'arrangiamento. Come in She Said She Said, la sua primaria preoccupazione sembra essere garantirci che [drogarsi] non è morire: un po' troppo insistente per risultare convincente.
Tomorrow Never Knows è ancora un gran bell'ascolto, ma devo avvertire i più giovani che non suona più oltraggiosa come trent'anni fa: e chissà che razza di pugno nello stomaco doveva sembrare cinquant'anni prima. I Beatles non andarono più avanti di così: non in quella direzione, almeno. Anche la musica leggera, trent'anni dopo, sembrò suggerire questa sensazione: a fine anni Novanta anche i loop erano stati addomesticati. In seguito c'è stata ancora ottima musica ma nel giro di qualche anno i critici hanno cominciato a sentire la mancanza di qualcosa. Un'idea di suono nuova, qualcosa che non consistesse semplicemente nell'isolare e recuperare questo o quel dettaglio del passato. Sulle soglie degli anni Venti, la questione è rimasta aperta. Sembra che l'avvento della tecnologia digitale abbia reso tutto più semplice: comporre musica, arrangiarla, suonarla, apprezzarla... ma non inventarla. Siccome innovazione è semplicemente la manifestazione di un cambio di paradigma, un'ipotesi è che dal 1998 a oggi non sia cambiato nessun paradigma: i computer sono enormemente più potenti, ma sono ancora gli stessi computer. Le interfacce dei software per mixare le piste non sono nemmeno cambiate più di tanto. In compenso internet è diventato un archivio sterminato di ottima musica di un passato sempre più ingombrante; la nostalgia è diventata una commodity: chi si mette a comporre musica oggi non può più approfittare di quei vuoti di memoria che consentivano a Paul e John di creare nuova musica partendo da vecchi pezzi che non ricordavano di aver ascoltato. Se oggi un ragazzino si svegliasse con in mente una nuova Yesterday, Shazam entro colazione gliel'avrebbe già portata via. Sono tutte spiegazioni plausibili, al contrario di quella che propongo qui sotto.
Forse la musica è finita perché era tutta compresa nei Beatles. Come nel big bang, davvero. Ai miei tempi ormai rimaneva soltanto una stella da far esplodere: era Tomorrow Never Knows. Negli anni Novanta è andata anche lei, e ora? Ora magari con un po' di fortuna viviamo in un universo oscillante: tra un po' tutto collasserà e poi riesploderà di nuovo. Nel frattempo... Turn off your mind relax and float down stream.
mercoledì 2 settembre 2020
La scuola non era un parcheggio. Ieri.
Se a questo punto vi sembra che tutti vogliano tornare a scuola tranne gli insegnanti, ecco, in parte succede anche perché gli insegnanti in quelle scuole ci sono già tornati, e hanno realizzato quello che la maggior parte degli studenti e dei genitori e dei giornalisti e dei loro committenti ancora non ha capito, ovvero: la scuola che comincerà a settembre, non è quella che abbiamo lasciato in marzo.