31 agosto: San Giuseppe d'Arimatea (I secolo), seppellitore di Gesù
Filippino Lippi ftg. il Perugino |
Perché il cristianesimo esista, occorre che Gesù sia risorto, ovvero il suo corpo deve scomparire da un luogo in cui era custodito. Ciò pone un grosso problema di logica narrativa agli evangelisti, già nella primissima fase: occorre stabilire con autorevolezza che le cose siano andate in un modo in cui generalmente non andavano. I crocefissi infatti non venivano sepolti: il supplizio (riservato agli schiavi ribelli) non terminava con la morte fisica del condannato, ma prevedeva che il cadavere fosse esposto alle intemperie e all'attenzione dei predatori necrofagi. Questo, secondo una mentalità condivisa dai Romani e dalla maggior parte degli abitanti dei territori da loro occupati, implicava che la loro anima non avrebbe trovato pace dopo la morte. I cadaveri esposti venivano sorvegliati proprio per evitare che fossero deposti da parenti o amici, con un'efficienza tale che è molto più facile oggi per gli archeologi imbattersi in fossili del neolitico che nei resti di qualche condannato romano. Il fatto che il corpo di Gesù di Nazareth non fosse reperibile, insomma, di per sé non era una notizia; a meno che lo stesso Gesù non fosse stato deposto. Ma per staccarlo dalla croce occorreva il permesso dell'autorità romana (quella che poche ore prima aveva emanato la condanna) e l'intercessione del Sinedrio ebraico (che aveva richiesto quella condanna con insistenza).
Giuseppe può sembrare quel tipo di personaggio plasmato da un'esigenza narrativa: dev'essere un membro del Sinedrio, perché altrimenti non avrebbe abbastanza autorevolezza per chiedere al prefetto di staccare un condannato dalla croce; e tuttavia dev'essere anche un seguace di Gesù, evidentemente messo in minoranza nel momento in cui i colleghi deliberano di consegnarlo ai Romani; deve persino possedere una sepoltura vuota appena fuori le mura, di cui disporre rapidamente.
Questo non significa necessariamente che Gesù di Nazareth non sia stato deposto e sepolto; è possibile infatti che al tempo di Pilato, in una terra di recente occupazione come la Giudea, i cadaveri fossero staccati dalle croci, per ottemperare alle norme rituali ebraiche. Uno dei rarissimi resti di un cadavere crocefisso è stato trovato proprio in una tomba in Palestina, e lo stesso Giuseppe Flavio, ebreo paganizzato, riporta di essere riuscito a ottenere la sepoltura di almeno uno dei tre parenti crocefissi per ribellione. Si trattava comunque di un'eccezione alla prassi, qualcosa che richiedeva da subito una spiegazione plausibile, e questo forse spiega come mai Giuseppe d'Arimatea sia uno dei pochi personaggi che compare in tutti e quattro i vangeli.
Ogni evangelista vi aggiunge qualcosa che tradisce il punto di vista dell'autore; per Marco è coraggioso, per Luca è buono e giusto e disapprova la decisione del Sinedrio di chiedere la morte di Gesù – insomma è un rappresentante della minoranza. Matteo non menziona il sinedrio, ma con la sua tipica attenzione al dettaglio economico, precisa che la tomba era nuova, e che Giuseppe l'aveva comprata per sé. Giovanni, come spesso fa, aggiunge dettagli ridondanti e non del tutto verosimili, nominando un altro discepolo (Nicodemo) e affermando che i due avrebbero unto il cadavere di Gesù – il che però li avrebbe resi impuri proprio alla vigilia di una festa.
Malgrado l'importanza del suo ruolo, Giuseppe scompare subito: non è menzionato negli Atti degli Apostoli; nel secolo successivo gli viene intestato un vangelo apocrifo, ma non si registrano particolari leggende su di lui, finché nel Medioevo non finisce invischiato nella mitologia bretone del Graal: sarebbe stato infatti lui a raccogliere nel calice il sangue di Cristo, o a riceverlo in sogno da Cristo stesso. E nonostante nelle più antiche storie del Graal di Giuseppe non si facesse menzione, presto o tardi gli viene attribuito una missione apostolica nelle isole britanniche.
Bravo!
RispondiElimina