1° agosto: Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), vescovo, sacerdote, fondatore dei Redentoristi, avvocato, scrittore, pittore, musicista.
Alfonso Maria de' Liguori, in una rappresentazione del XIX secolo, che lo mostra affetto da osteoartrite cervicale progressiva: perciò tiene il crocifisso con la mano sinistra |
Non è decisamente una canzone per l'estate, e l'ha scritta Alfonso Maria de' Liguori, che a sedici anni era già dottore in diritto civile ed ecclesiastico, a 18 avvocato, a 22 giudice presso l'autorità portuale di Napoli, a 26 ambasciatore, dopodiché perse una causa contro il granduca di Toscana e all'improvviso si stancò. Forse aveva toccato con mano fin dove poteva arrivare la meritocrazia nel Settecento, il soffitto di cristallo. Dall'altra parte c'era il vero potere, quello che le cause semplicemente non può perderle; ma dall'altra parte Alfonso Maria non sarebbe mai arrivato: per quanto precoce, e dotato, e figlio di un comandante di marina, tutti i gradini che poteva salire, entro i trent'anni li aveva saliti. Bisognava accettare il pianerottolo a cui si è arrivati e fermarsi lì; ma spesso dietro a un talento precoce c'è un deficit di pazienza, e Alfonso Maria evidentemente fermo non sapeva stare. Così i gradini cominciò a scenderli.
Già ai tempi dell'università, per staccarsi un po' dalle sudate carte, amava fare volontariato presso l'Ospedale degli Incurabili. Fu proprio mentre cambiava la biancheria ai malati terminali, che sentì una voce che gli proponeva di lasciare il mondo e darsi a Lui. Il che non lo distolse affatto dal cambiare la biancheria ai malati. È un dettaglio che permette di riconoscere i mistici seri: le Voci che sentono non sono mai scuse per interrompere un'incombenza. Solo verso sera (dopo aver risentito la Voce sulla scalinata mentre usciva dall'ospedale), Alfonso andò a gettarsi ai piedi della Madonna della Grazia, promettendole di diventare un padre Filippino, ovvero della confraternita dell'Oratorio fondata da Filippo Neri. Una promessa che non riuscì a mantenere, perché il padre si opponeva, e a quel tempo pare che le cose andassero così: potevi essere avvocato a 18 anni e ambasciatore a 26, ma se a 27 volevi farti Padre Filippino, dovevi ancora chiedere il permesso a tuo padre. A mo' di compromesso, Alfonso si fece prete e rimase a casa coi genitori. E siccome non poteva entrare nell'ordine dei Filippini, lo reinventò.
Era il Settecento, un secolo complicato per gli ordini religiosi: i gesuiti in quasi tutti i regni d'Europa erano passati in clandestinità. Anche a Napoli non era consentito fondare nuovi ordini, ma Alfonso era pur sempre avvocato, e invece di chiamarlo "ordine" scelse la parola "Congregazione"; Congregazione del Santissimo Salvatore. Quando però sottopose la regola a papa Benedetto XIV, questi cambiò "Salvatore" in "Redentore", e così Alfonso Maria de' Liguori divenne il fondatore dei redentoristi. La missione era la medesima di Filippo Neri: riportare il vangelo ai poveri. Ma se gli Oratori sorgevano nei centri più importanti, per Alfonso si trattava di evangelizzare le sterminate campagne del regno. Che quella dovesse essere la sua missione lo ribadì un altro papa, Clemente XII, che trent'anni dopo lo nominò vescovo di Sant'Agata de' Goti, oggi in provincia di Benevento.
Per parlare al pubblico che si era scelto, sin dall'inizio del suo apostolato, Alfonso aveva bisogno di una teologia semplice e accogliente, basata sull'amore di Dio più che sul timore dell'inferno: qualcosa che avrebbe infastidito gli intellettuali cattolici più sensibili al giansenismo, ma tanto quelli stavano in città. E poi aveva bisogno di canzoni, perché come diceva Agostino d'Ippona, chi canta prega due volte; e si addormenta meno facilmente, aggiungo io. Alfonso aveva studiato musica, mentre studiava legge e disegno; era un buon clavicembalista, ma la canzone così famosa che la conoscete anche voi potrebbe aver preso qualcosa dalle melodie dei pastori zampognari (se fate caso alla nota di bordone). Alfonso non scrive per il popolo: scrive la musica del popolo. La prosodia (o il flow, come si dice oggi) sembra del tutto originale: se qualcun altro aveva sistemato rime e versi in strofe così, sono tutte andate perse; invece la sua è così famosa che la conoscete pure voi. Ha un titolo modesto e poco promettente (Canzoncina a Gesù Bambino), ma quello non lo avete mai sentito. Quel che avete tutti sentito è la prima strofa, che fa:
Tu scendi dalle stelle, o re del cielo
e vieni in una grotta, al freddo e al gelo.
E vieni in una grotta, al freddo e al gelo.
O-oh bambino,
mio divino,
io ti vedo qui a tremar,
o Dio beato:
ahi, quanto ti costò,
l'avermi amato.
La seconda strofa potreste non ricordarla; magari non l'avete nemmeno mai sentita. È un peccato, perché come in altri casi è la strofa rivelatrice. Perché Tu scendi dalle stelle ha avuto il successo che ha avuto? Di canzoni di Natale ne sono state scritte tante. Ognuna ovviamente si sofferma su qualcosa di diverso. Le canzoni nordiche più spesso su luci e addobbi. In ambito anglosassone assume più importanza la regalità: è nato Gesù, sì, ma soprattutto è nato un re, glory to the new born king (a volte hai la sensazione che potrebbe anche non essere esattamente Gesù; l'importante è che sia un re). I tedeschi ce l'hanno con la natura: la quiete della notte, e gli alberi, oh gli alberi. E agli italiani? Cosa interessa agli italiani, di tutta la storia? Francesco d'Assisi una sua idea ce l'aveva. Già ai suoi tempi era un'idea pericolosa, sul filo dell'eresia, ma il presepe a quanto pare lo ha ideato lui. Cinquecento anni più tardi, Alfonso Maria de' Liguori batte ancora sullo stesso chiodo: i poveri. Le luci, d'accordo, la natura (ma la neve è fredda e le stelle non riscaldano). È nato un re, senz'altro, ma quel che davvero importa è che sia nato povero tra i poveri: e di fronte a questo mistero, l'ex avvocato prodigio si innamora. Lo dice proprio, e lo ripetiamo ancora, tutte le notti di Natale, in quasi tutte le chiese, 270 anni dopo.
A te che sei del mondo il Redentore,
mancano panni e fuoco, oh mio Signore.
Mancano panni e fuoco, oh mio Signore.
Caro eletto
Pargoletto,
Quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora,
giacché ti fece amor povero ancora.
Alfonso morì novantenne il 1° agosto del 1787 a Pagani, presso la sede della sua Congregazione, ed è sepolto lì. Mozart sarebbe scomparso tre anni dopo, a trentacinque anni.
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