3 agosto: Sant'Aspreno di Napoli (I secolo), che non ha inventato l'Aspirina
Busto presso Sant'Arseno al Porto |
Che un "Aspren", o "Asprenas" sia stato il primo vescovo a Napoli lo dicono i documenti più antichi, che però non si premurano di fornire su di lui un minimo di storia originale, qualcosa su cui i predicatori possano ricamare. La lacuna viene colmata nel nono secolo da un cronista che mentre ricostruiva la vita di un altro vescovo importante (Atanasio) decide di retrodatare l'arrivo del cristianesimo a Napoli addirittura ai tempi di San Pietro – mossa abbastanza disinvolta, dal momento che altre fonti collocavano il primo vescovo già nel secondo secolo. Per l'autore della Vita Sancti Athanasii viceversa è Pietro stesso, sulla strada per Roma, a sostare in città e a incontrare ivi una vecchietta (in seguito identificata in Santa Candida), che mette subito in chiaro come stanno le cose da queste parti: se vuoi convertirmi, dice, devi prima guarirmi; e siccome Pietro la esorcizza senza fatica, Candida decide di presentarlo a un amico che soffriva di emicrania. Quest'ultimo si sarebbe appunto chiamato Aspren (il nome latino, caduto in disuso dopo il secondo secolo, è considerato dagli storici un indizio di attendibilità). Pietro gli avrebbe toccato la testa con un bastone, tuttora custodito nel tesoro della cattedrale: in un gesto solo il tocco del guaritore e l'investitura sacerdotale. In questo modo la Chiesa napoletana sarebbe persino un po' più antica di quella romana, e cofondata dallo stesso apostolo.
Dopo aver escogitato un episodio così interessante, che ricollega per la prima volta Aspreno al mal di testa, l'autore si attiene alla tradizione che prevedeva un ministero di ventitré anni caratterizzato dalla pia sollecitudine nei confronti dei poveri. Non si preoccupa invece di trovargli un destino da martire, forse perché sarebbe stato difficile associarlo a una persecuzione nel primo secolo (quella del 64, lo sappiamo, fu circoscritta alla sola città di Roma). Il vescovo però nelle celebrazioni veniva comunque invocato tra i martiri, il che dovette ispirare qualche altro predicatore a trovargli una fine violenta; e siccome probabilmente Aspreno veniva già invocato contro il mal di testa, una decapitazione sembrava il supplizio più congruo. A quel punto il culto per Aspreno aveva tutte le carte per resistere al tempo, e invece no: in un calendario napoletano del XIII secolo (il Tutiniano) il suo nome è misteriosamente omesso. Può trattarsi di una semplice coincidenza, ma è nello stesso periodo che abbiamo i primi documenti della devozione dei fedeli napoletani per un altro santo, che non era nemmeno stato vescovo in città (bensì a Benevento): San Gennaro. A quest'ultimo vengono intitolate persino le catacombe che custodirebbero i resti mortali dei primi vescovi, Aspreno inculso.
Può darsi che il successo di Gennaro dipenda dall'affermarsi in città dell'influenza dei longobardi, che controllavano l'entroterra campano e avevano in Benevento la loro capitale meridionale. Si tratterebbe di un'influenza più culturale che politica, dato che l'élite cittadina si oppose fieramente ai longobardi fino all'arrivo dei normanni; Gennaro del resto è sempre stato il santo del popolo, e non è escluso che siano stati gli immigrati dal contado a imporlo su altri santi più veraci. Un'altra possibilità è che tra i 46 colleghi Gennaro si sia fatto notare perché faceva più miracoli: in particolare quelle ampolline di sangue che si liquefacevano due o tre volte l'anno, ma di cui non abbiamo documentazione precedente il 1389. Meno di tre secoli dopo, quando il Vesuvio si sveglia da un sonno secolare, Gennaro viene identificato come il protettore della città dalle eruzioni che manterranno un ritmo periodico fino al 1944.
L'ipogeo della chiesa di Sant'Arseno al Porto |
Nel frattempo Aspreno sembra scomparire dal culto popolare, al punto che non sappiamo nemmeno come dovremmo chiamarlo in italiano (il Martirologio propone Asprenato, ma qua e là si trova anche Asprenate o Asprenio). Non viene però del tutto dimenticato: ne è prova, nel Seicento, la ricostruzione di una chiesetta a suo nome nei pressi del porto, sopra la grotta che secondo la tradizione era la dimora del protovescovo, ma che in epoca classica faceva parte di un impianto termale. La piccola chiesa viene quasi del tutto demolita a fine Ottocento per far posto al palazzo della Borsa: una commissione municipale riesce tuttavia a salvare il vestibolo e l'ipogeo, ovvero la parte sotterrata, che mantiene il nome di Sant'Aspreno al Porto (o Sant'Aspreno ai Tintori) anche se ormai è appena una cappella. All'interno è custodita un'urna romana, transenne bizantine, e in una nicchia che forse fungeva da confessionale si troverebbe il foro in cui i malati di emicrania inseriscono la testa per trarne un giovamento. Uso il condizionale perché ad esempio Wikipedia dice che la fessura non è lì, ma nel duomo "nella cappella a lui intitolata, la prima a sinistra del Maggiore Altare". Il punto è che non sappiamo quando questa cosa di posare la testa in una nicchia abbia preso piede, in duomo o nell'ipogeo: come succede coi costumi più popolari, non lasciano traccia scritta e magari la tradizione data dall'antichità, oppure da chi si è inventato la diceria che collega Asprenio al nome di un popolare farmaco da banco. Un nome che forse non dovrei mettere qui per iscritto, visto che in Italia è ancora un marchio registrato. Però negli USA il copyright è scaduto, quindi se il mio blog risulta fisicamente conservato in un server americano nessuno mi potrebbe impedire di scrivere Aspirina, ops, ormai l'ho fatto.
Chi avrà messo in giro la storia? Impossibile saperlo, ma io punterei su una delle categorie maggiormente responsabili della nascita di miti e leggende, in epoca moderna ma non solo: le guide turistiche. Bisogna concedere che la coincidenza è suggestiva: non solo Asprenio ha un nome simile, ma già da secoli svolgeva una simile funzione analgesica. Ricordo qui agli scettici che l'effetto placebo esiste, e per millenni è stato uno dei pochi rimedi contro il dolore, insieme ad alcune erbe le cui proprietà anti-infiammatorie erano note sin dall'antichità, come ad esempio l'olmaria. In effetti il nome "aspirina" ufficialmente deriva da spiraea ulnaria, vecchio nome botanico dell'olmaria (oggi si chiama Filipendula ulmaria), la pianta da cui si ricava l'acido salicilico (chiamato anche acido spireico). E siccome il collegamento tra un santo napoletano e un marchio registrato di una multinazionale farmaceutica può sembrare troppo labile agli scettici, in qualche pagina web viene evocato il nome di un chimico dell'Università di Napoli, Raffaele Piria (1814-1865), che avrebbe isolato l’acido salicilico. Piria condusse davvero ricerche importanti sull'acido salicilico, ma non fu il primo a isolarlo. L'aspirina nasce invece nel 1897 nei laboratori della Bayer, dive Felix Hoffmann, su suggerimento del superiore Arthur Eichengrün, esterificò il gruppo ossidrilico dell'acido salicilico con un gruppo acetile utilizzando anidride acetica, ottenendo l'acido acetil-salicilico, la prima molecola sintetica della storia della farmacopea: la "a" di aspirina quindi deriva da acetile, il resto dalla spiraea, e il primo vescovo di Napoli non c'entra nulla, peccato.
Lo stesso Hoffman in seguito avrebbe esterificato anche la morfina, nel tentativo di trovare una molecola simile ma che non inducesse quei spiacevoli effetti collaterali di assuefazione e dipendenza. In questo modo fu sintetizzata l'eroina. Una denominazione che alla fine la Bayer non registrò, quindi posso usarla liberamente (la denominazione).
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