Quando 10 anni fa arrivarono i primi video di decapitazioni dall’Iraq, alcuni opinionisti iniziarono a invitarci a non distogliere lo sguardo, perché solo guardando quei video avremmo capito davvero cos'era il Terrorismo. Una singolare sintonia coi terroristi che quei video li giravano e diffondevano: curiosamente Al Zarqawi e Antonio Polito desideravano da noi la stessa reazione, più di pancia che di cervello. Perché alla fine in quelle decapitazione c’era poco da capire, e molto da soffrire.
Col tempo l’invito a non distogliere è diventato un genere a sé. Sabato Paolo Giordano ci invitava a “riguardare l’immagine” della strage di Gaiassa sostituendo “alla pelle scura dei volti schiacciati una carnagione chiara”. Altrimenti rischieremmo di sentirci “solo timidamente partecipi”, come davanti alle foto dei massacri in Ruanda. Invece occorre empatizzare di più, perché le vittime sono cristiane (ma veramente anche in Ruanda...), perché “ci assomigliavano, perché cristiani e attratti dalla stessa cultura universale sulla quale si fonda ogni atto quotidiano. Il loro peccato imperdonabile era di essere come noi”.
E se invece non avessero voluto essere come noi, come le vittime musulmane dei cristiani che in Centrafrica hanno distrutto 417 moschee? O come gli abitanti musulmani di Gaiassa che furono massacrati da un governo ‘cristiano’ nel 1980? In quel caso, mi par di capire, sbiancare la pelle non servirebbe a niente: c'è nero e nero, non tutti meritano la nostra preziosa empatia.
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